Questo articolo è stato scritto sulla base di relazioni e immagini raccolte dalla passione archivistica di Luigi Zanon. Il noto Autore mi ha gentilmente messo a disposizione il suo archivio perché ne traessi pubblicazioni Web in occasione del centenario della ricostruzione del Campanile. Zanon non è però responsabile delle osservazioni e deduzioni che ho personalmente tratto dal materiale del suo archivio né è responsabile delle opinioni religiose da me espresse o dei collegamenti e paragoni istituiti con situazioni governative dei nostri giorni.
Pietro Saccardo, unica vittima umana
del crollo del Campanile di San Marco
La Torre Campanaria di Venezia, secondo il cronista Giulio Feroldo autore degli "Annali Veneziani", vide lo scavo e il consolidamento delle sue fondazioni a partire dall'anno 911.
Fu un'opera tanto complessa e possente da chiarire che i Veneziani intendevano fin da allora innalzare un edificio che fosse secondo in altezza alle sole Piramidi ma di quelle ben più snello e ardito.
Racconta il cronista seicentesco Zuliani, nella sua "Storia Veneta" manoscritta:
Le fondamente del Campanile furono gittate con speroni all'interno, che molto si stendono da tutte le parti, e formano come una stella, acciò da questi resti fermato senza pericolo d'alcuna mossa il sito destinato alla gran fabbrica, obbligato al grosso peso.
Tanto importanti queste fondazioni, da richiedere un consolidamento di trentacinque anni, prima che su di esse si potesse posare il primo ordine di mattoni e poi forse altri cento anni perché la muratura raggiungesse il livello a cui sostenere la cella campanaria. E cento ancora perché nel Cielo di Venezia svettasse la cuspide più ardita delle proto-cattedrali.
Lo spirito che anima la costruzione è di indole religiosa e mostra chiaramente, nella contestualizzazione compositiva, la scelta neoplatonica alessandrina del Cristianesimo veneziano. Il campanile nasce infatti isolato, e isolato crollerà nel 1902, anche se nei secoli vi si erano addossati pro-tempore altri edifici.
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Il Campanile di San Marco a Venezia prima che nel 1873 fossero demoliti i negozi che ne circondavano la base.
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Non è quindi accorpato alla Basilica né ai pilastri delle Cattedrali come in uso presso i Cattolici Romani.
Questa scelta dice che Chiesa e Stato a Venezia non significa Chiesa-Stato. Laici e Sacerdoti sono trascesi dall'unità assoluta della Divinità, che merita nella raffigurazione architettonica della città il luogo dell'Uno. Trino solo poi, nel suo sovrapporsi alla Basilica e al Palazzo Ducale.
Non è un caso, per chi conosce la Storia Morale di Venezia, che la Torre subisca gravi ingiurie in concomitanza di scelte o condizioni immorali della Repubblica.
Nei primi secoli di esistenza della Torre queste ingiurie sono scarse, e riguardano sostanzialmente la cuspide lignea, che subisce alcuni incendi, soprattutto per via di fulmini, precisamente negli anni 1383, 1388, 1401 e 1403, mentre Venezia si insuperbisce per la vittoria nella Guerra di Genova.
Poi ancora nel 1489 il fulmine, e nel 1500 il terremoto, con Venezia che già vira dalla fierezza repubblicana alla vile astuzia della diplomazia. Si costruisce allora la cuspide marmorea, a prova di fuoco ma fragile nella sua rigidità.
I fulmini seguenti non si spengono nell'incendio e trasmettono la loro immensa forza d'urto direttamente ai mattoni. Quello del 1745, quando ormai non vi era più né astuzia né diplomazia a mascherare la viltà del Senato, fende e piega all'interno il coronamento superiore. Il danno presenta una profondità tale da costringere a gravi lavori di consolidamento dell'intera struttura.
Del resto perché un Popolo avrebbe costruito un'Antenna alla Divinità se non per captarne i messaggi? Il Campanile batté le sue ore con fedeltà e sacrificio, ma i veneziani non seppero ascoltarlo, trottando via dalle Virtù al rintocco dell'orologio cui avevano avvilito il suono delle campane, sempre più immersi nel trascorrere mondano (1).
Il grande ingegnere Bernardino Zendrini ebbe l'incarico di imbiancare il sepolcro, di mantenere in piedi quello che ormai già non era più che un feticcio cariato.
Lo fece tuttavia con grande perizia, a dimostrazione di quanto affermato nella nota (1) sul persistere della virtù amministrativa presso lo Stato Veneto.
Il Campanile di San Marco nel 1870. Le frecce indicano le chiavi in pietra d'Istria che aggrappavano il muro di incamiciatura dello Zendrini all'antica torre pericolante.
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Le frecce indicano la giunzione tra la torre e il nuovo muro di sostegno, che fu probabilmente inserito nella pianta quadrata scarnendo la muratura originale (dettaglio da un poster Alinari).
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Egli procedette a edificare un'incamiciatura al campanile con muratura moderna di mattoni di alta qualità legati da cementi ad alta resistenza, un vero e proprio esoscheletro capace di sostenere per punti l'antica muraglia cui veniva addossato.
Il nuovo muro fu aggrappato alla vecchia torre per mezzo di quelle chiavi in pietra d'Istria che si possono ancora notare nelle foto ottocentesche. Tali chiavi interessavano soprattutto gli angoli, ma se ne vedono sparse anche negli specchi della facciata.
Alla base, il muro di incamiciatura fu posato sulla grondaia di marmo della Loggetta, grondaia che già era infissa nelle vecchia muratura. Abbiamo visto che il fulmine del 1745 aveva fatto inclinare la sommità della vecchia torre verso l'interno, quindi il nuovo muro fu molto più spesso e più pesante in cima che nel punto in cui posava sulla grondaia della Loggetta.
L'operazione garantì stabilità per oltre un secolo, ma sul finire dell'Ottocento Pietro Saccardo, il Proto della Basilica di San Marco, comincia a inviare rapporti molto preoccupanti ai funzionari del governo Sabaudo.
La mole interna, sotto l'incamiciatura, manifesta segni di grave decadimento. Muratura già piuttosto rozza all'origine, mostra agli occhi del sapiente architetto di San Marco i sintomi di una progressiva degradazione dei materiali.
Confortato nel suo giudizio dalla consulenza di un grande esperto, il direttore del Museo di Belle Arti di Brooklin Mr. Goodyear, il Saccardo bombarda di allarmi e relazioni tecniche i funzionari sabaudi annidati nel Ministero e nell'ufficio regionale per la conservazione dei monumenti (le attuali Soprintendenze).
Il lavoro dello Zendrini avrebbe sostenuto la mole forse ancora molto a lungo, se si fossero seguite per tempo le avvertenze del Saccardo e se alla sua saggezza non si fosse sovrapposta, attivamente e passivamente, l'insipienza nefasta dei funzionari e delle istituzioni del Regno d'Italia.
L'anticipo con cui Saccardo lancia i suoi avvisi avrebbe permesso l'intervento che divenne impossibile a pochi giorni dal crollo, quando finalmente i Ministeri tolsero i veti fumosi e incrociati con cui per oltre dieci anni avevano risposto alle sollecitazioni sempre più angosciate del Saccardo.
Né il Saccardo era stato solo in queste sue preoccupazioni. Mentre lui si affidava alle relazioni tecniche cercando di spaniarle dall'ostilità della burocrazia, vi fu per dieci anni fra il popolo, in città, anche la voce di un anziano capomastro di Palazzo Ducale, Luigi Vendrasco, ad ammonire i veneziani sullo stato di salute del Campanile.
Il Vendrasco non fu infamato come vedremo avvenne a Pietro Saccardo. I cronisti narrano anzi che una grossa folla, dopo il crollo, si recò sotto la casa del Vendrasco per rendergli omaggio della sua lungimiranza, ma non lo trovò. Disgustato dall'inutilità di un possibile riconoscimento postumo, egli vi si era sottratto lasciando Venezia.
Dicevamo che l'insipienza non fu solo per passiva omissione. I funzionari regionali della Sovrintendenza sabauda, sotto la direzione dell'ing. Domenico Rupolo, pretesero infatti di metter mano in proprio al rifacimento della copertura in piombo della Loggetta.
Per fare questo ritennero di poter rimuovere la grondaia di marmo che affondava profondamente nella muratura, ignari o noncuranti del fatto che su quella "grondaia" poggiava l'intero peso del muro di rinforzo alzato dallo Zendrini un secolo e mezzo prima.
Il muro rimase pensile per qualche settimana, sospeso alle chiavi che lo legavano alla vecchia torre interna che era invece nato per sostenere, ma l'operazione dei Sovrintendenti sabaudi aveva creato un danno più immediato e ormai irreversibile.
Le sollecitazioni imposte alla grondaia dalle operazioni di scasso e di leva si erano trasmesse in una vasta zona alla base della muratura antica, incrinando ancor più la sua già degenerata struttura.
Pietro Saccardo giaceva da mesi gravemente malato, non vide e non poté fermarli, ma fu tirato giù dal letto quando i vandali si accorsero della voragine che si creava all'interno del campanile in corrispondenza dello scavo per la grondaia.
Le vibrazioni dei lavori avevano ridotto in stato di detriti gran parte degli elementi costitutivi della base della muraglia. La coesione di quelli sovrastanti, gravata del muro esterno a essa aggrappato, non era più in grado di reggersi. La rete di fessurazioni si andava allargando a vista d'occhio.
Ormai era troppo tardi, non rimase null'altro da fare che attendere come spettatori il crollo, che avvenne infatti tredici giorni dopo, il 14 Luglio 1902.
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Il crollo del Campanile di San Marco in un celebre fotomontaggio di Zago. Si può notare come, per imitare la nube esplosiva di polvere alla base, il fotografo abbia sovrapposto l'immagine sfuocata di arbusti coperti di neve.
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Il Redattore del "The Architectural Record", nel suo articolo sul Campanile scritto nel Dicembre 1902, contesta l'opinione diffusa che il crollo non avesse fatto vittime.
Egli racconta come vittima del crollo fu il Proto Saccardo che, debole e malato, venne usato dai mascalzoni sabaudi locali come capro espiatorio per l'ondata di sdegno mondiale sollevata dal crollo.
Saccardo fu riabilitato formalmente dopo oltre un anno ma patì tanto l'ingiustizia subita da morire due giorni dopo quell'arida riabilitazione. Quando la coscienza cittadina gli volle riconoscere il merito dovette consegnare la medaglia d'oro ai suoi eredi.
Un fotomontaggio meno famoso conservato nell'archivio di Luigi Zanon: il crollo del Campanile di San Marco immaginato da ?(forse Foto Giuman).
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Legando l'importanza della Storia nell'insegnamento politico attuale, è interessante rimarcare che ancora oggi la figura del Saccardo è tenuta in ombra denigratoria o ignorata del tutto dalla maggior parte delle pubblicazioni accademiche, in particolare quelle che riferiscono agli eredi odierni dei funzionari sabaudi, le Soprintendenze.
Con il Saccardo si volle e si vuole oscurare la sua precisa testimonianza dei fatti e avallare la tesi ufficiale di un crollo imprevedibile, di un improvviso collasso per vetustà che ancora oggi circola per la maggiore.
Unica eccezione a questo talvolta storicamente scurrile andazzo, tra il materiale che ho potuto esaminare, è "La Caduta del Campanile" di Ettore Vio, che fornisce finalmente informazioni storiche sullo sfortunato Proto Saccardo.
A testimonianza del fatto che in città si sapesse l'innocenza del Saccardo, ho trovato anche una prima pagina de "Il Gazzettino" con data 16 Luglio 1902, ovvero due giorni dopo il crollo.
Nella riproduzione digitale offertami da Luigi Zanon l'articolo non è leggibile, ma nel sottotitolo si nota l'attribuzione di responsabilità ai "funzionari governativi" autori del taglio nel muro del Campanile. Quegli stessi "funzionari governativi" che, con la complicità di Sindaco e Prefetto, riuscirono invece a puntare il loro indice colpevole ma potente contro il savio Saccardo.
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Grazie alle ricerche di Ettore Vio troviamo che, se un aiuto venne alla Verità storica veneziana, esso venne d'oltroceano, con la figura del Saccardo correttamente delineata nel suo aspetto umano e professionale dal già citato redattore dell'"Architectural Record". Il giornalista americano decide infatti di informare il pubblico americano con la descrizione delle circostanze che comportarono il crollo del Campanile di San Marco secondo la versione realistica e attendibile resa da Saccardo, così precisa e radicalmente diversa dalla vacuità di quella ufficiale. Più sotto riporto l'articolo nella traduzione di Giovanni Vio.
Umberto Sartori
Prima pagina de "Il Gazzettino", 16 Luglio 1902, due giorni dopo il crollo del Campanile di San Marco.
Da: "The Architectural Record", vol. XII, n. 7, Dicembre 1902; New York
Pietro Saccardo: IL CAMPANILE DI SAN MARCO A VENEZIA
Una descrizione autentica delle circostanze che comportarono il suo crollo.
La costruzione del campanile di San Marco a Venezia, che fu eretto tra il decimo e l'undicesimo secolo, fu influenzata dai grezzi metodi di quel periodo.
Le murature erano composte di grandi mattoni di misura diseguale, ottenuti dalla distruzione di antichi monumenti.
Le superfici visibili dei muri erano fatte di mattoni disposti in modo quasi regolare, ma all'interno i mattoni erano disposti irregolarmente e legati da malte di qualità inferiore.
Ciò fu provato dal crollo in cui l'edificio si abbassò su sé stesso in una montagna di piccoli frammenti dai quali sorse un'enorme nuvola di polvere.
Il campanile subì riparazioni in molte occasioni, nel corso dei secoli; ma queste, per la maggior parte, furono limitate alla cella campanaria, la cui forma finale fu in stile rinascimentale.
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La popolazione di fronte alle macerie del Campanile di San Marco a Venezia, poco dopo il crollo avvenuto il 14 Luglio 1902.
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Secondo le informazioni che si hanno dalle cronache, sembra che il corpo del campanile non abbia avuto nient'altro che parziali riparazioni prima del diciottesimo secolo.
Tuttavia venne stuccato e dipinto a imitazione dei mattoni, e tale rivestimento era, negli ultimi anni, visibile solo in parti.
Era circa la metà del secolo in questione, ed esattamente il 1745, che un fulmine provocò delle gravi fessurazioni, sul lato sopra la loggetta del Sansovino, e che questa parte dovette essere completamente riparata.
La caduta del Campanile di San Marco a Venezia trascinò nel crollo l'adiacente facciata laterale della Libreria Sansoviniana, e le macerie invasero il porticato.
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Il lavoro fu eseguito sotto la direzione dell'illustre Bernardino Zendrini, l'ingegnere della Repubblica, e costò 6800 ducati, una somma molto considerevole per quei tempi.
Questo restauro, dovrebbe essere notato con attenzione, consistette di un muro esterno di muratura di mattoni simile a quello usato ai tempi nostri, posto in opera con una malta di calce e pozzolana in tal modo che questo lato del campanile presentava un'apparenza veramente moderna.
Tuttavia, poiché i mattoni del nuovo muro esterno non potevano essere legati a quelli del muro interno (antico), furono sistemati grossi blocchi di pietra quadrati ad unire le due parti.
Le bianche superfici esterne di quest ultime erano visibili, sparpagliate sulla superficie del muro, e sistemate ai suoi angoli.
Questa muratura esterna rimase in buone condizioni fino al 1898, e poi ebbe solo bisogno di alcune piccole riparazioni nella parte alta, che furono richieste da fessurazioni di poca importanza, che non influenzavano la stabilità generale del campanile.
Dunque il campanile di San Marco avrebbe potuto rimanere in piedi per molti secoli, se mano d'uomo non fosse intervenuta a causarne la sua rovina.
Il mese passato di Giugno, l'ufficio regionale per la conservazione dei monumenti in territorio veneziano, che era incaricato delle riparazioni della loggetta, iniziò la sostituzione della copertura in piombo del tetto di questo piccolo monumento.
Dato che la loggetta era costruita addosso al lato del campanile, il tetto si appoggiava al suo muro, e presso la linea d'unione era costruita, in questo muro, una cornice in aggetto e spiovente, che impediva alla pioggia di infiltrarsi nel giunto tra la copertura di piombo e la superficie del muro.
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Coloro che erano alla direzione di tale lavoro, nella necessità di rinnovare le lastre di piombo, ebbero la sfortunata idea di rimuovere la cimasa aggettante, con l'intenzione di risistemarla immediatamente, e nell'intenzione di far ciò essi provocarono un taglio nel muro del campanile che penetrava orizzontalmente per più di due terzi della sua profondità.
In tal modo essi indebolirono seriamente la base del muro esterno, che fu costruito dallo Zendrini, come sopra spiegato.
Bisogna notare che a quest'altezza il muro esterno era più sottile che sopra, poiché a questa quota fu dato ad esso uno spessore molto più considerevole, ovvero ai punti dove il fulmine causò le maggiori fessurazioni sull'antica muratura, mentre più in basso un muro sottile servì allo scopo.
Ma questa era anche la parte soggetta ai maggiori sforzi, poiché doveva sopportare, per una grande porzione, l'intero peso del muro sopra.
Per aggiungere l'ultimo tocco a tale sfortuna, successe che, nel tagliare parte per parte il muro esterno, quello interno venne danneggiato in certi punti e questo taglio causò la caduta di una grande quantità di detriti, creando di conseguenza uno spazio cavo all'interno, che si allungava verso l'alto e che non poteva essere riempito.
In tal modo, come risultato del taglio orizzontale che fu lasciato aperto per molti giorni, per via della cavità che venne provocata all'interno del muro, la muratura esterna del 1745 fu spostata fuori piombo e all'interno del campanile iniziarono a farsi notare percettibili movimenti.
Durante questo tempo l'ingegner Saccardo, architetto in carica per la Basilica di San Marco, era ammalato e nessuno gli riferì che il lavoro stava procedendo.
Nonostante ciò, non appena l'ufficio regionale lo invitò a visitare il campanile il giovedì 1 Luglio, egli lo fece, a dispetto della sua malattia, ma immediatamente capì che ogni tentativo di rimedio sarebbe stato inutile e che l'unica cosa che si poteva sperare era che, qualora il taglio fosse stato riempito nuovamente, il muro esterno potesse riacquisire la sua stabilità.
Va fatto notare tuttavia che, sebbene l'architetto della Basilica fosse stato avvisato del taglio nel muro esterno, egli non venne messo al corrente della presenza della cavità all'interno cosicché, fino al punto in cui la sua conoscenza poteva arrivare, le sue speranze erano giustificate.
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Le macerie rovinarono sino a ridosso della Basilica di San Marco, ma la pietra del bando (visibile in primo piano nella foto) protesse la piu esile colonnina d'angolo della Basilica, che rimase praticamente intatta.
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E anche importante notare che, fino al fatidico giorno, sui muri esterni non apparirono ovvii segni di pericolo.
Fu così fino a Domenica 13 Luglio, quando sull'angolo nordest del campanile iniziarono ad apparire delle fessure, di carattere talmente minaccioso che l'architetto Saccardo, sebbene ancora ammalato, fu obbligato a dare immediate disposizioni, di carattere inflessibile, per la pubblica sicurezza.
La Marangona, unica superstite delle cinque campane di San Marco.
La Trottiera, la Pregadi o Mezzaterza, la Ringhiera e la Nona finirono invece in frantumi.
L'Angelo della sommità si accasciò al suolo proprio davanti alla porta della Basilica di San Marco.
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Infatti il Lunedì seguente, alle dieci meno cinque della mattina, il campanile cadde.
Dalla maniera in cui avvenne questo crollo si ebbe prova che la diretta e unica causa della catastrofe fu il taglio praticato nel muro esterno del 1745 e il danno causato da quest'azione nella muratura antica interna, visto che il collasso iniziò con il crollo totale del menzionato muro esterno, che precedette di vari secondi la completa rovina del campanile.
Possiamo ringraziare la provvidenza di non aver avuto da lamentare alcun sacrificio di vite umane e che la Basilica di San Marco, sebbene posta a pochi metri di distanza dal campanile non venne danneggiata in nessun modo dal suo crollo.
Bisogna aggiungere tuttavia che una vittima vi fu, e questa vittima fu il signor Pietro Saccardo, architetto della Basilica, che avendo lavorato negli anni passati al restauro del campanile, dovette patire il dolore di vedere il suo impegno interrotto da congiure di avversari invidiosi.
In quest'ultima occasione egli venne rimosso dal suo incarico con enorme ingiustizia, anche se temporaneamente, malgrado l'ovvia evidenza della sua completa innocenza, e senza riguardo per la sua età, per i suoi quarant'anni di servizio e per la sua instabile salute, mentre il vero colpevole della catastrofe sta ancora tranquillamente al suo posto: "Cherchez la femme" - la politique.
Un'investigazione è però in corso, per la quale si può sperare che sia fatta giustizia, se ancora in questo mondo vi sia un atomo di giustizia da ottenere.
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E se, contro tutte le prove, quella giustizia non dovesse esser fatta, è solo l'architetto, Saccardo, che verrà danneggiato, insieme alla moltitudine di suoi amici che pochi mesi dopo lo hanno onorato con una medaglia d'oro per i suoi servizi alla Basilica di San Marco.
Note
Nota 1 - Potrebbe apparire ad alcuni che, con il mettere in luce le ragioni morali della caduta di Venezia dallo stato di Repubblica nelle fauci insaziabili di Napoleone prima e degli Illuministi della "Restaurazione" poi, io voglia fornire argomenti di ragione a quegli sciacalli.
Non è affatto così. Sono anzi convinto che con tutto il suo decadimento interiore Venezia, al momento dell'invasione, fosse ancora il migliore e il più legittimo fra gli Stati europei.
Come mai allora cadde? Essa cadde perché era divenuta il più debole. E debole divenne perché si allontanò sempre più dalla Fede, dalla Speranza e dalla Carità, che erano state la Forza della sua Repubblica, per impelagarsi nel bosco grigio delle macchinazioni diplomatiche. Trascurata la fede, il Popolo Veneziano si trovò sempre più spesso nella paura che nel coraggio. E la paura, si sa, è pessima consigliera.
Il crollo del Campanile di San Marco a Venezia in due fotoritocchi digitali di Umberto Sartori
Edizione HTML a cura di Umberto Sartori
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