Sommario Commentato dei "Discorsi sulla Storia Veneta" di Domenico Tiepolo
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È stato emozionante passare dalle concise citazioni riportate dal rev. Parsons nelle sua difesa della verità storica su Venezia, alla lettura integrale di quest'Opera di Domenico Tiepolo, patrizio veneto che aveva ricoperto incarichi nel Governo fino alla caduta di Venezia dallo stato di libera Repubblica a quello di terra di conquista.
Il lavoro in cui il Tiepolo si cimenta è titanico. Si tratta di rettificare le fonti adulterate e le traduzioni infedeli in un'opera francese spacciata per storiografica nel mondo accademico mondiale: la Histoire de la Republique de Venise pubblicata nel 1819 in sette volumi da Pierre Antoine Noel Bruno, meglio noto come "Conte Daru".
La vocazione storiografica veneziana e la lunga dimestichezza con gli archivi, compresi quelli Secreta, cui il Tiepolo ha avuto accesso per i suoi incarichi professionali e politici, fanno di lui uomo all'altezza di tale impresa.
Infatti egli la compie, con una minuzia e una precisione che non lasciano dubbi nel lettore attento.
L'Opera si compone in due Volumi con oltre novecento pagine complessive, che contengono sei Rettificazioni fondamentali per la luce in cui Venezia viene osservata nella sua Storia.
La prima Rettificazione, in circa 85 pagine, ripristina lo stato delle fonti sui primordi della Repubblica. Il Daru aveva voluto mostrare Venezia come nata in sudditanza e in sudditanza sempre rimasta dovendo, secondo lui, la "parvenza" di libertà ai tributi che essa avrebbe sempre pagato all'uno o all'altro dominante.
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Il frontespizio della prima edizione dei "Discorsi sulla Storia Veneta", 1828. (courtesy of GoogleBooks)
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La Storia offre molte testimonianze autorevolissime che mostrano falsa questa immagine, ma il Tiepolo non ha bisogno di ricorrere ad altre che alle sole fonti citate dal Daru stesso. Confrontando gli originali con gli estratti falsificati del Daru viene alla luce la profonda disonestà intellettuale che informa la Histoire de la Republique de Venise.
Questa sola Rettificazione sarebbe sufficiente a squalificare l'Autore della Histoire; appare evidente che il Daru non ha tratto i suoi ragionamenti dalle fonti, ma ha adattato queste ultime a uno scopo che già aveva in mente.
Scopo non difficile da intuire se si ricorda che il Daru era stato Comandante dell'armata napoleonica che saccheggiò, in nome della Repubblica e della Libertà, Venezia città repubblicana e libera, solo per poi subito venderla allo stato meno repubblicano e meno libertario dell'epoca: l'Impero Austro Ungarico.
Pierre Antoine Noel Bruno, meglio noto come "Conte Daru", che con la sua Histoire de la Republique de Venise avviò la campagna di falsificazione e calunnia storica contro la Repubblica di Venezia (courtesy of Wikimedia).
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Una pagina così sporca, nella pur non certo immacolata Storia delle imprese di Francia, che si ritenne di dover scaricare tale lordura, assieme a molte altre prodotte recentemente nella stessa Francia, sulla sconfitta Repubblica di Venezia.
Un "trasporto di rifiuti" che fece comodo sia a Napoleone che ai suoi nemici, come vediamo dalla biografia stessa del Conte Daru, "uomo per tutte le stagioni", repubblicano e populista che riesce a farsi nominare prima conte dal Napoleone e poi "Pari dell'Impero" dai Borboni restauratori.
Intenzione dichiarata dal Tiepolo, tuttavia, non è quella di provare il complotto internazionale o la malafede dell'Autore. Il suo è un procedere da storico alla correzione di innumerevoli inesattezze e falsità "tecniche" che viene riscontrando in un'opera per altri versi scritta in bello stile da un Autore brillante, come spesso va ripetendo il Tiepolo con una ironia sulla quale rifletteremo in seguito. Procede quindi come nella compilazione di una Errata Corrige alla disamina dei sette Volumi del francese.
Nella seconda Rettificazione, in 111 pagine, ripristina le notizie sulle origini e le modificazioni delle forme di Governo Veneto. Dalle stesse fonti del Daru emerge una Repubblica che costantemente si evolve e si amplia, così diversa da quella retrograda, oscura e impelagata nell'oligarchia, tratteggiata nella Histoire.
Nella terza Rettificazione, di 243 pagine, rileva tutti gli errori, le omissioni e le falsificazioni commessi dal Daru in merito alla Politica interna ed estera di Venezia.
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Dalle fonti emerge la sostanziale indole pacifica e leale della Repubblica, la sua straordinaria coesione interna, l'efficenza e la popolarità delle Magistrature. Sono qualità che il Daru stesso in più di un suo passo non ha potuto non enumerare, lasciando egli queste affermazioni sparse nella sua opera forse per rendere ancora più fumosa e contraddittoria la descrizione storica complessiva di Venezia, che ha tutta fortemente tinto con i colori foschi della tirannide e dell'intrigo.
In appendice alla terza Rettificazione, nel secondo Volume, ne troviamo due relative a specifici argomenti, complessi e di grande importanza:
la quarta Rettificazione che, con 118 pagine, riporta al vero le figure e le funzioni del Consiglio di Dieci e degli Inquisitori di Stato, che il Daru aveva inteso denigrare con particolare accanimento, proprio perché furono il fiore all'occhiello della Repubblica;
la quinta Rettificazione in 202 pagine, che prova esaurientemente, sempre solo attingendo alle stesse fonti citate dal Daru, la realtà della congiura ordita dall'ambasciatore spagnolo Bedmar duca di Cueva al fine di impadronirsi di Venezia con un colpo di mano interno nel 1618. Tale congiura richiese un'importante serie di esecuzioni capitali e viene usata dal Daru per illustrare la crudeltà che egli vuole attribuire ai Veneziani, col dire che tale congiura era stata da loro simulata per loschi fini diplomatici.
Nel corso della disamina, con il montare delle falsificazioni accertate, sempre più si evidenzia la disonestà dell'Autore dell'Histoire.
Le fonti del Daru, quando si perita di citarle, sono eterogenee e numerosissime. Cronache, apocrifi, sentito dire, si mescolano a documenti mutilati o contraffatti.
Ma il demagogo e il suo staff hanno trovato, in Domenico Tiepolo e negli archivisti veneziani, i tessitori che sanno dipanare la matassa di fili spezzati offerto come bibliografia dall'Histoire. Con grande perizia essi li annodano a ricomporre la trama della Verità raccontata dai documenti.
Nella Sesta Rettificazione, 72 pagine di storia sovrascrivono anche le sfumature e i "colpi di luce" con cui il Daru aveva tinto la sua "Histoire" di calunnie sui costumi dei Veneziani e del loro Governo.
Cito a esempio il caso della presunta conservazione in Venezia della crudele usanza di macellare un toro e dodici maiali in Piazza per commemorare la vittoria sul Patriarca di Aquileia nel 1162. Per il Daru questo è chiaro indice della ferocia e della vendicatività del Popolo veneziano, che avrebbe a suo dire mantenuto vivo il rancore verso il Patriarca aquileiese rinnovando la cerimonia per seicento lunghi anni.
Il Tiepolo non fatica a indicare che nella stessa fonte da cui il Daru attinge la notizia di questo rito pubblico, si rende anche noto che esso fu soppresso nel 1245.
Il Daru confonde le funzioni di due distinte magistrature (i Savi alla Promissione ducale e gli Inquisitori sopra il Doge defunto) in una di sua invenzione, sbaglia le date e le denominazioni del Senato, ha le idee molto confuse sull'origine e la specificità dei Savi e dei Consigli nell'Amministrazione della Repubblica e nella sua Storia...
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Frontespizio del secondo Volume dei "Discorsi sulla Storia Veneta", 1828. (courtesy of GoogleBooks)
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Poi una quantità di aneddoti storici minori, alterati dal Daru in modo da farne risaltare un'idea di Venezia come stato avido e mancatore di parola, vengono puntigliosamente ricondotti alla realtà testimoniata nei documenti.
Conclude l'Opera un indice analitico e riassuntivo commentato di tutte le incongruenze e discordanze dalle fonti che sono state riscontrate nel lavoro del Daru, indice che, in 81 pagine, da solo rende lo spessore dell'impegno enciclopedico e bibliografico del Tiepolo.
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Presentazione dei "Discorsi sulla Storia Veneta" di Domenico Tiepolo
Non ho davvero parole sufficienti a lodare il lavoro di Domenico Tiepolo, al quale penso si debba memoria degna di quella di un Salvatore della Patria. Egli non ha forse combattutto in armi ma ha creato gli strumenti concettuali per abbattere i fantasmi di una mente malata e malevola verso la Repubblica, fantasmi così potenti da avere infestato l'immaginazione del mondo con la loro menzogna ma che nulla possono a cospetto dell'esorcismo formulato nella Verità da Domenico Tiepolo.
Strumenti che sono rimasti purtroppo sepolti a lungo, deliberatamente trascurati ancora oggi dalla Storiografia ufficiale e completamente ignorati dalla stessa maggioranza dei Patrioti.
Strumenti che sono stati impugnati solo sporadicamente, per lo più da storiografi di lingua anglosassone e con particolare efficacia dal reverendo cattolico americano Reuben Parsons, solo grazie al quale io stesso sono venuto a conoscenza dell'opera di Tiepolo.
Giustizia e logica avrebbero voluto che, nato e vissuto in Venezia, io fossi stato messo al corrente di una così grave falsificazione alla Storia Patria fin dalla prima istruzione. Invece, come tanti altri anche ben più giovani di me, sono stato istruito precisamente nella torbida atmosfera instaurata sulla nostra città dal malevolo Daru.
A distanza di quasi due secoli, il complotto cui il Tiepolo ha evitato di accennare si è infatti dimostrato in tutta la sua evidenza.
Con l'Histoire de la Republique de Venise siamo di fronte al più lampante esempio di "storia riscritta dai vincitori". L'Autore, come accennato, è addirittura stato il capo commissario dell'Armata napoleonica del Nord-Italia e tra quelli che firmarono l'armistizio con l'Austria.
Le citazioni del Daru, esaminando le fonti originali, rivelano oltre novecento pagine di falsificazioni, avulsioni dal significato nel contesto, traduzioni infedeli e altre disonestà intellettuali che fanno dell'intera Histoire il prodotto di una mente demagogicamente orientata a calunniare la memoria di quella Repubblica che il Daru stesso, dieci anni prima, aveva saccheggiato e privato della Libertà.
Per mezzo di questi artifizi che la Storia non può condonare, il Daru pose un falso avallo affinché Venezia non fosse privata solo della Libertà ma finanche del diritto alla propria identità nazionale, territoriale e amministrativa, come vedremo avvenire con la Restaurazione.
Il Daru, con le sue falsità, era riuscito a proiettare sulla Serenissima Repubblica di Venezia, in forma quanto possibile peggiorata, sia tutti gli orrori generati dall'Illuminismo sia tutte le malvagità proprie dell'indole infantile e capricciosa dei monarchi, Francesi e non solo, dei secoli precedenti.
I Borboni restauratori infatti non mancarono di riconoscere al Daru, Napoleonico non pentito, il titolo di Pari nel loro restaurato Regno.
Ho accennato a come il Tiepolo si astenga da ogni valutazione o attribuzione di intenti all'Autore. Ciascuna osservazione di incongruenza è sempre attribuita alla mala disposizione di chi lo ha servito nelle ricerche bibliografiche e non del Daru stesso. Questo atteggiamento è ribadito anche nella nota di chiusura dell'Opera, che vedremo tra breve.
È somma preoccupazione del Tiepolo spogliare di ogni aspetto personale la disamina dei fatti. L'attenzione del critico si limita persino esclusivamente alle fonti stesse citate dal Daru, per non dover espandere alla discussione sull'accreditamento di ulteriori fonti un discorso già complesso.
Il lavoro svolto con tale rigore storiografico dal Tiepolo lascia me libero, duecento anni dopo, di assumere ben altro tono nei confronti del Daru e delle conseguenze delle sue falsità, che saranno trattate anche in altri articoli in VeneziaDoc.net. Mi lascia anche libero di mettere ulteriormente a fuoco la figura dell'Autore della Histoire de la Republique de Venise.
La patente di intellettuale mette il Daru in qualche modo al riparo dalla caduta di Napoleone, nonostante fosse stato intimo collaboratore del Bonaparte sin dalla prima ora. Egli, è detto nella biografia, si "ritirò a vita privata e di studio", mentre il suo diretto comandante, terrore dell'Europa monarchica, si sciroppava l'esilio dell'Elba.
Approfittando del curioso privilegio di libertà concessogli dal restaurato Luigi XVIII in pieno Congresso di Vienna, vediamo il Daru pronto a riunirsi al suo idolo quando questi tenta il ritorno dei Cento Giorni. Sopravvive tuttavia anche alla definitiva rovina del Bonaparte e viene destinato dai Borboni, anziché a Sant'Elena, a divenire membro della Camera dei Pari.
Sembra uno strano riconoscimento per un collaboratore tanto intimo ed efficace del Terrore d'Europa. Per il fautore, tra l'altro, di alcune delle più brillanti azioni militari del caporale Imperatore, suo principale rappresentante diplomatico nei più importanti trattati Internazionali.
Tuttavia il fenomeno di "galleggiamento" del Daru sulle tempestose acque di Francia non ci stupirà se prendiamo atto dell'immagine dei governi francesi che emerge dalle relazioni della Repubblica di Venezia e dai maggiori storici. La monarchia Francese è essa sì universalmente e fondatamente nota per la sua vocazione all'intrigo, per la volubilità e capricciosità e talvolta la ferocia di alcuni suoi monarchi.
Monarchia quasi sempre ferocemente e subdolamente ostile al Cristianesimo militante dei Templari prima e dei Veneziani poi.
Tale atmosfera morale nella Corte di Francia pare quindi riconoscere al Daru un ruolo al di sopra delle pur feroci fazioni, di uomo utile alla Nazione nel suo complesso come capo militare e orditore di intrighi. Una figura forse analoga a quella moderna del "Consulente" militare, ideologico e scientifico al tempo stesso.
Manca al Daru l'etica necessaria allo Storico, ma egli è stato un brillante capo militare e con l'etica di un militare barbaro viene lanciato sulla storia di Venezia.
Come aveva saccheggiato in armi, così pretende di saccheggiare in ispirito. Crede di pagare i privilegi ottenuti indistintamente da dittatori, monarchi e accademici con gli immensi tesori spirituali che la sua opera di falsificazione ruba alla Repubblica di Venezia.
Primati come l'abolizione della schiavitù, l'organizzazione del commercio mondiale, le leggi di tutela dei minori sul lavoro, la sanità pubblica, l'importanza della Borghesia come classe politica, furono trasferiti alla Francia, con il preciso scopo di coronare la carneficina rivoluzionaria, il Terrore e Napoleone come apportatori di grandi conquiste civili.
A lenire il disgusto della carneficina si pose l'aver questa finalmente portato al potere la Borghesia; il Terrore fu fatto apparire un breve malessere passeggero a confronto dei quattrocento anni del terrore di Venezia sotto il Consiglio dei "Terribili Dieci".
Frontespizio della prima edizione del dramma "storico" "Angelo, Tiranno di Padova" di Victor Hugo, in vendita al popolare prezzo di 50 centesimi. Victor Hugo fu tra i primi a trasformare le calunnie del Daru in suggestioni popolari per mezzo dei teatri (image courtesy of Tertulia Bibliofila).
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Chi fece il male peggiore, raccogliendo al contempo la maggior parte del bottino intellettuale, fu il movimento illuminista transnazionale, che ereditò in blocco quello che era stato il patrimonio culturale e tecnico dei Veneziani, ne usurpò l'Autorità morale e scientifica e di questa Autorità fece assai cattivo uso, soprattutto nelle opere di divulgazione e in quelle di istruzione popolare.
Detenendo presocché il monopolio della cultura enciclopedica e divulgativa, oltre a una cospicua influenza su gran parte degli Ordini Sapienziali laici, l'illuminismo perpetrò le calunnie del Daru e, grazie a queste, poté vestìre indegnamente i meriti di Venezia, cambiando il proprio stato filosofico da "mediocre rilettura laica del Cristianesimo" a "Grande Innovazione Globale del Pensiero, del Metodo e della Società". Un bel "salto di carriera", non c'è che dire, ma dalle conseguenze nefaste per l'umanità.
La Restaurazione venne per tutti ma non per Venezia. I suoi primati civili furono spartiti al pari dei suoi Territori e opere d'Arte, il suo limpido ed efficiente modello di Stato fu caotizzato e calunniato. Proprio grazie alla teoria fosca e fasulla del Daru tali impossessamenti e confusioni sono ancora oggi largamente tacitati nella Storiografia ufficiale e ancor più largamente falsificati nella letteratura e nell'immaginario popolare.
La teoria calunniosa francese sarà continuata dai dominatori Austro-ungarici e implementata dal Regno d'Italia, poi sarà adottata dal ventennio fascista, e ancora la pseudo-repubblica attuale non manca di rinnovare la demagogia anti-veneziana, passando dai librettisti dell'Ottocento ai registi e scribacchini del Novecento e del Duemila.
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I "Discorsi sulla Storia Veneta" sono un vero capolavoro di critica storiografica centrato su uno degli Stati che per oltre dieci secoli troviamo fra i protagonisti più importanti d'Europa e del Mondo. Essi contengono rettifiche storiografiche di tale importanza da rendere quest'Opera necessaria a ripristinare l'accertato storico non solo della Repubblica di Venezia ma della Storia Mondiale nell'arco di 14 secoli.
Tale Opera è stata tuttavia lasciata negletta tra le pubblicazioni minori d'Archivio, mentre alle Enciclopedie e alla Letteratura popolare si continua a dare in pasto la fiaba malevola del Daru.
Ancora oggi nel 2011 le guide di Piazza raccontano ai turisti gli "orrori del Consiglio dei Dieci", inventati dal Daru e portati a perfezione favolistica dai suoi successori nello sfruttamento della torbida atmosfera letteraria che scaturisce dalla calunnia: Victor Hugo (1835), Francesco Dall'Ongaro (1846), Arrigo Boito (1876) e altri, che con le loro operette di successo svolgevano funzione molto simile alla televisione e al cinema di oggi, quanto alla trasmissione di contenuti al popolo.
Agli sviluppi della calunnia ordita dal Daru sarà però opportuno dedicare uno specifico articolo, perché ancora oggi si producono opere di fantasia oscura che si ispirano alle "verità storiche" enunciate in quella calunnia, mentre ancora oggi la Rete Internet offre pochissimi riferimenti a Domenico Tiepolo e ai suoi "Discorsi sulla Storia di Venezia", nessuno dei quali in chiave divulgativa.
Grazie alla mai troppo lodata iniziativa degli scansionatori di Google Books, l'originale è oggi accessibile alla lettura, come lo sono molte delle fonti correlate, ma temo di dire il vero constatando che quella che state leggendo è l'unica presentazione divulgativa dei "Discorsi sulla Storia Veneta" attualmente raggiungibile via Internet.
Oltre a quello già citato del rev. Parsons, ho trovato accenni ai "Discorsi sulla Storia veneta" solo nei trafiletti che vedete riprodotti qui a fianco.
Vediamo come il redattore del "Museum of foreign Literature and Science di New York", nel 1829, si dica edotto sulla Storia di Venezia dal lavoro del Daru e attenda con una certa ansia le confutazioni del Tiepolo.
Vediamo anche un trafiletto negli "Annali universali di Statistica, economia pubblica, storia, viaggi e commercio" pubblicati a Milano nel 1829, che intende annichilire il testo del Tiepolo con una stroncatura.
Una piccola frase: "Diremo qui infine cosa spiacevole ma necessaria a ridirsi: che una storia vera di Venezia ancora manca: e innumerabili sarebbero le difficoltà a ben riuscirvi".
Piccola frase ma sufficiente a istillare l'idea che la lettura delle novecento pagine del Tiepolo sia attività di nessuna importanza, da lasciarsi a eruditi topi d'archivio per il loro piacere intellettuale, senza speranza di giungere a un'immagine chiara e definitiva della Storia di Venezia.
La vigliaccheria di questa frase definitiva, pronunciata non da un archivista o da uno storico, ma da un semplice giornalista di varietà, è raddoppiata dal fatto che il redattore la scrive in modo tale che sembri attribuibile al Tiepolo stesso. Tiepolo è invece uno storico perfettamente avveduto della grande e organica qualità di documenti tramandati alla Storia dalla Repubblica Serenissima, come dimostra la vera frase con cui conclude la sua Opera:
"Ci crediamo quindi in dovere nel chiudere queste nostre osservazioni, di ripetere la solenne protesta, che ... siamo stati nostro malgrado tratti a fare ... sui passi ne' quali ci siamo accorti che non era egli stato ben informato delle venete cose; oltreché da una specie di dovere ... di non lasciare ingannare i forastieri da inesatte nozioni della forma, e sistemi del governo Veneto, ... non ci ha permesso di lasciar luogo a sospettare dal nostro silenzio che neppur noi conoscessimo bene il governo nostro. Sarebbe questa una taccia ignominiosa per un Veneziano che ha avuto parte nel governo, e questi riflessi speriamo che saranno valevoli a giustificarci anche verso il sig. Daru se, con nostro dispiacere, vedendo da lui non approvate le nostre osservazioni, ci siamo creduti in dovere di assoggettarle al giudizio del pubblico".
Ancor maggiore infamia merita il terzo trafiletto, tratto da "Il Gondoliere" del 1836. È un giornale filofrancese fondato da un tardo bonapartista, Paolo Lampato, con capitali messi a disposizione dalla potente famiglia Papadopoli, anch'essa nota, dalle relazioni di polizia austro-ungarica, come "di censurabili principi politici".
Un altro patrizio veneto, Paolo Renier, aveva scritto una tragedia che si prefiggeva di ripristinare presso il grande pubblico la verità storica sulla vicenda del "Conte di Carmagnola", vicenda che la fantasia del giovane Alessandro Manzoni già nel 1816 aveva usato per mettere la Repubblica di Venezia proprio in quella luce fosca che il Daru andava pubblicando come storia.
Ci sarebbe da pensare che Paolo Renier dovesse trovare supporto alla sua tragedia rettificatrice in un giornale veneziano come "Il Gondoliere". Invece, come vediamo, viene pugnalato da una stroncatura tanto feroce, quanto mistificatoria e probabilmente priva di ogni fondamento critico.
La malafede del redattore, tale Luigi Carrer, appare evidente quando invita il Renier a produrre storiografia anziche teatro. Lo esorta quindi a duplicare il lavoro già svolto egregiamente dal Tiepolo e rimasto sepolto negli archivi.
Che il redattore non ignora l'esistenza dei "Discorsi sulla Storia Veneta", è dimostrato dal fatto che in calce all'articolo riporta proprio il necrologio del Tiepolo stesso, dove lo definisce autore di alcune note (le novecento pagine dei "Discorsi sulla Storia Veneta") ad una storia famosa che fornì materia di gravi pensamenti a chi ne abbia l'attitudine e il desiderio.
Evidentemente il redattore non era tra quelli che coltivassero il desiderio di amare la propria Patria e la propria Storia, perché il giudizio ex-cathedra che pronuncia sul concittadino è senza appello, il Renier è un vanitoso che vuole mettersi in mostra duellando con un avversario ben più dotato di lui. Sull'argomento degli "avversari" del Renier e su alcune vicende del Carrer e del suo "Gondoliere" vedremo meglio nell'articolo che dedicherò alla storia della calunnia contro Venezia.
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Citazione del Tiepolo nel "Museum of foreign Literature and Science", New York 1829. (courtesy of GoogleBooks)
Citazione falsificata del Tiepolo negli "Annali universali di Statistica, economia pubblica, storia, viaggi e commercio", Milano 1829. (courtesy of GoogleBooks).
Venezia 1836. (courtesy of GoogleBooks).
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Concludendo la presentazione dei "Discorsi sulla Storia Veneta", torno alla promessa riflessione sul tono letterario in cui il Tiepolo conduce le Rettificazioni. Lo abbiamo visto ripetersi, a ogni contestazione o confutazione, in attestazioni di stima al Daru, alla cui preclara fama di studioso solo fanno disonore collaboratori incapaci o infedeli.
Se davvero il Tiepolo così avesse pensato, avrebbe potuto sintetizzare il concetto in un proemio all'opera e proseguire poi con il lavoro di confronto compilativo, escludendo l'Autore da ogni ulteriore successiva menzione. Invece fà dell'infedeltà dei collaboratori del Daru un ritornello che giocoforza si traduce in una sorta di ironia arlecchinesca.
Egli sembra quasi un pugile che saltella attorno a un avversario di cui conosce tutti i punti deboli e che, mentre lo colpisce, si diverte a schernirlo dall'alto della maestria veneziana nella Storia e nell'arte diplomatica.
L'insistere in questa ironia rende poco attendibile l'ipotesi di un Tiepolo pavido uomo d'archivio, timoroso di entrare in aperto conflitto con un uomo potente sia nel campo delle Lettere che in quello militare e quello politico.
Se all'origine del tono sottomesso vi fosse stata semplice viltà umana, meglio avrebbe fatto il Tiepolo a non pubblicare la sua opera perché nel 1828 Venezia era sì sotto l'Austria, ma in anni molto recenti il potere era passato dai Francesi agli Austriaci, poi ancora ai Francesi e infine tornato agli Austriaci.
Non era affatto improbabile che, per ulteriori intrallazzi dei Restauratori, il Daru potesse tornare a Venezia con ogni pieno potere di saccheggiatore. E in tal caso non sarebbe la diplomazia ironica bastata a salvare il Tiepolo dalla sua vendetta per il KO tecnico che la sua Opera, ironica o meno, infligge all'Histoire de la Republique de Venise.
Io penso che il Tiepolo, nel ricorrere a quello stile, fosse a sua volta prigioniero di un'arte diplomatica che era divenuta preoccupazione costante della politica veneziana dalla vittoria di Cambrai fino ai giorni del suo ultimo governo.
Egli usa forse l'ironia verso il Daru perché la ritiene il modo più efficace di esporre presso gli intellettuali e perché valuta accuratamente la personalità del francese. Basta infatti guardare il suo ritratto per capire che la vanità ha un posto importante nella vita del "conte" repubblicano Daru.
Il fine diplomatico veneziano sà che simili anime sono attratte a leggere dal succedersi degli elogi loro riferiti, anche contro la ragione che vi intralegge l'ironia.
Tiepolo vuole che il Daru lo legga, perché certo non spera giustizia immediata per la sua Patria, ma non vuole lasciare al predatore l'illusione di averla fatta franca.
Con tutta la mia gratitudine per un'Opera davvero preziosa, capace da sola, non fosse suffragata da varie altre, di sbugiardare punto per punto e documenti alla mano l'intero intreccio di calunnia costruito dal Daru, non posso far a meno di rilevare nell'accademismo snob del Tiepolo chiara traccia degli errori morali e strategici che la Repubblica aveva cominciato a commettere almeno dal tempo di Cambrai.
Da Cambrai in poi, infatti, la Repubblica aveva cambiato modo di proporsi sul piano internazionale, sostituendo sempre più all'ardore di giustizia e verità cristiane che avevano fatto grande il nome e i possedimenti dei Veneziani le arti dell'astuzia diplomatica e commerciale.
Questo è un argomento che ho enunciato abbastanza precisamente in Storia Morale di Venezia e che trova riscontri storiografici importanti nella Storia d'Italia del Guicciardini. Di questi riscontri è in corso la pubblicazione in veneziaDoc.net.
Solo l'essersi la tarda Repubblica piegata, con notevole apparente successo, a pagare la tranquillità dei propri Territori servendosi più delle arti segrete e sottili della diplomazia che dell'esplicito coraggio, permise le aree di incertezza morale e storica nelle quali il Daru fece radicare le proprie calunnie.
Il Tiepolo riveste e acconcia secondo verità il cadavere di Venezia con il distacco professionale di un consumato ambasciatore, ma il degno funerale ebbe scarsa risonanza, mentre la libellosità del Daru rimase e purtroppo ancora in parte rimane fonte primaria per quella Storia internazionale cui si abbeverano tragedie, operette e melodrammi che nei teatri, nei cinema e nelle trasmissioni radiofoniche e televisive suggestionano l'immaginario popolare.
Umberto Sartori
Queste sono solo alcune delle lugubri immagini di cui ancora si veste Venezia grazie al meschino inganno di un commediografo ottocentesco.
Tra gli infausti emuli dello Hugo nel propalare le calunnie del Daru, infatti, il maggior successo spetta senza dubbio a Francesco Dall'Ongaro.
Dal 1846, con la sua invenzione del "Povero Fornareto di Venezia, condannato ingiustamente dal Consiglio dei Dieci", spacciata per "importante dramma storico", ha dato luogo a una inesauribile serie di edizioni e rifacimenti in tutte le branche della comunicazione mediatica, dal teatro alla narrativa, dall'anedottica al cinema, dalla televisione ai fumetti e alla musica.
Edizione HTML a cura di Umberto Sartori
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