Storia di Venezia

Pagina pubblicata 19 Ottobre 2011

Discorsi famosi in Senato Veneto:
Antonio Grimano v/s Marchionne Trivisano,
sull'alleanza con Luigi XII di Francia

Discorso di Grimano || Discorso di Trivisano || Decisione del Senato Veneto

   

Presentazione del documento

Questi discorsi di Senatori veneziani vertono sulla decisione di allearsi o meno con il nuovo Re di Francia Luigi XII. Siamo nei due anni immediatamente precedenti il 1500 e Venezia non ha ancora adottato una politica imperialista nell'entroterra italico, ma soccorre fraternamente gli esperimenti repubblicani ed è quindi direttamente coinvolta nella difesa della fragile neoRepubblica di Pisa attaccata dalla vicina Firenze, repubblica di nome ma vera e propria signoria nei metodi.

Scopo della ricerca che mi spinge a mettere in evidenza questi e altri dettagli dalla Storia d'Italia del Guicciardini non è tanto il descrivere eventi storici, quanto mostrare fonti storiche autorevolissime che corroborano la teoria sulle origini e le cause della Caduta della Repubblica, da me formulata in Storia Morale di Venezia.

Storia di Venezia - Antonio Grimani Doge in adorazione della Fede

Antonio Grimani, eletto Doge di Venezia nel 1521, raffigurato in adorazione della Fede sotto lo sguardo ispirato di San Marco. Quadro del Tintoretto nella sala delle Quattro Porte in Palazzo Ducale a Venezia.

Purtroppo, soprattutto nel discorso del Grimani, già si vedono affacciare sentimenti sempre più lontani dalla Dottrina morale di Cristo, e purtroppo ancora sarà il suo suggerimento vendicativo, avido e opportunista a essere scelto dal Senato invece di quello prudente e modesto del Trivisano.
Altre e più chiare conferme vengono dal Guicciardini in altri passaggi delle sue opere, ma ne parlerò a suo luogo: al di là di questa motivazione, invito i lettori ad annotare il tono di rispetto reciproco nei due discorsi e la generale atmosfera di concordia e autorispetto in cui operava il Senato Veneto, che traspaiono dal documento.
Si tratta di decisioni gravi, anzi gravissime, e le due posizioni sono decisamente opposte, eppure non vi è antagonismo, nessun attacco all'oppositore, solo la ricerca di esprimere al meglio il proprio punto di vista nell'interesse generale della Repubblica.

Questo è il tono in cui vanno esposti e composti i casi della politica, e va preso di esempio dal Popolo repubblicano quando egli debba esprimere e valutare i propri Dirigenti e Magistrati.

Umberto Sartori

Da: Francesco Guicciardini, Storia d'Italia (1492 - 1534) Libro IV, cap. VI

... Ma a Vinegia, in questo tempo medesimo, si consultava se, rimovendosi il re dalla dimanda del diposito alla quale aveano deliberato non consentire, dovessino collegarsi seco a offesa del duca di Milano, come egli con grandissima instanza ricercava, offerendo di consentire che, in premio della vittoria, conseguissino la città di Cremona e tutta la Ghiaradadda: la quale cosa benché da tutti fusse sommamente desiderata, nondimeno a molti pareva deliberazione di tanto momento, e tanto pericolosa allo stato loro la potenza del re di Francia in Italia, che nel consiglio de' pregati, che appresso a loro ottiene il luogo del senato, se ne facevano varie disputazioni.
Nel quale essendo uno giorno convocati per farne l'ultima determinazione [Antonio Grimanno], uomo di grande autorità, parlò in questa sentenza:

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Il discorso di Antonio Grimano

"Quando io considero, prestantissimi senatori, la grandezza de' benefizi fatti a Lodovico Sforza dalla nostra republica, la quale in questi anni prossimi gli ha conservato tante volte lo stato, e per contrario quanta sia la ingratitudine usata da lui, e le ingiurie gravissime che ci ha fatte per costrignerci ad abbandonare la difesa di Pisa, alla quale prima ci aveva confortati e stimolati, non posso persuadermi che non si conosca per ciascuno essere necessario fare ogni opera possibile per vendicarcene.

Perché quale infamia potrebbe essere maggiore che, tollerando pazientemente tante ingiurie, mostrarci a tutto il mondo dissimili dalla generosità de' nostri maggiori? i quali, qualunque volta provocati da offese benché leggiere, non ricusorono mai di mettersi a pericolo per conservare la dignità del nome viniziano; e ragionevolmente, perché le deliberazioni delle republiche non ricercano rispetti abietti e privati, né che tutte le cose si riferischino all'utilità, ma fini eccelsi e magnanimi per i quali si augumenti lo splendore loro e si conservi la riputazione, la quale nessuna cosa più spegne che il cadere nel concetto degli uomini di non avere animo o possanza di risentirsi delle ingiurie, né di essere pronto a vendicarsi: cosa sommamente necessaria, non tanto per il piacere della vendetta quanto perché la penitenza di chi ti ha offeso sia tale esempio agli altri che non ardischino provocarti.

Così viene in conseguenza congiunta la gloria con l'utilità, e le deliberazioni generose e magnanime riescono anche piene di comodità e di profitto; così una molestia ne leva molte, e spesso una sola e breve fatica ti libera da molte e lunghissime.

Benché se noi consideriamo lo stato delle cose d'Italia, la disposizione di molti prìncipi contro a noi, e le insidie le quali continuamente si ordinano per Lodovico Sforza, conosceremo che non manco la necessità presente che gli altri rispetti ci conduce a questa deliberazione.
Perché egli, stimolato dalla sua naturale ambizione e dall'odio che ha contro a questo eccellentissimo senato, non vegghia non attende ad altro che a disporre gli animi di tutti gli italiani, che a concitarci contro il re de' romani e la nazione tedesca: anzi già comincia per il medesimo effetto a tenere pratiche col turco.

Già vedete per opera sua con quante difficoltà, e quasi senza speranza, si sostenga la difesa di Pisa e la guerra nel Casentino, la quale se si continua incorriamo in gravissimi disordini e pericoli, se si abbandona senza fare altro fondamento alle cose nostre è con tanta diminuzione di riputazione che si accresce troppo l'animo di chi ha volontà di opprimerci: e sapete quanto è più facile opprimere chi ha già cominciato a declinare che chi ancora si mantiene nel colmo della sua riputazione.

Delle quali cose apparirebbono chiarissimamente gli effetti, e si sentirebbe presto lo stato nostro essere pieno di tumulti e di strepiti di guerra, se il timore che noi non ci congiugniamo col re di Francia non tenesse sospeso Lodovico: timore che non può lungamente tenerlo sospeso.
Perché chi è quello che non conosca che il re, escluso dalla speranza della nostra confederazione, o si implicherà in imprese di là da' monti o, vinto dalle arti di Lodovico dalle corruttele e mezzi potentissimi che ha nella sua corte, farà qualche composizione con lui?
Strigneci adunque a unirci col re di Francia la necessità di mantenere l'antica degnità e gloria nostra, ma molto più il pericolo imminente e gravissimo che non si può fuggire con altro modo.

E in questo ci si dimostra molto propizia la fortuna, poiché ci fa ricercare da uno tanto re di quel che aremmo a ricercarlo noi; offerendoci più oltre sì grandi e sì onorati premi della vittoria, per i quali può questo senato proporsi alla giornata grandissime speranze, fabbricare ne' suoi concetti grandissimi disegni, ottenendosi massime con tanta facilità; perché chi dubita che da Lodovico Sforza non potrà essere a due potenze sì grandi e sì vicine fatta alcuna resistenza?

Dalla quale deliberazione, se io non mi inganno, non debbe già rimuoverci il timore che la vicinità del re di Francia, acquistato che arà il ducato di Milano, ci diventi pericolosa e formidabile.
Perché chi considera bene conoscerà che molte cose che ora ci sono contrarie allora ci saranno favorevoli; conciossiaché uno augumento tale di quel re insospettirà gli animi di tutta Italia, irriterà il re de' romani e la nazione germanica per la emulazione e per lo sdegno che sia occupato da lui uno membro sì nobile dello imperio; in modo che quegli che noi temiamo che ora non siano congiunti con Lodovico a offenderci desidereranno allora, per l'interesse proprio, di conservarci e di essere congiunti con noi; ed essendo grande per tutto la riputazione del nostro dominio, grande la fama delle nostre ricchezze, e maggiore l'opinione, confermata con sì spessi e illustri esempli, della nostra unione e costanza alla conservazione del nostro stato, non ardirà il re di Francia di assaltarci se non congiunto con molti, o almeno col re de' romani: l'unione de' quali è per molte cagioni sottoposta a tante difficoltà che è cosa vana il prenderne o speranza o timore.

Né la pace che ora spera d'ottenere da' prìncipi vicini di là da' monti sarà perpetua, ma la invidia le inimicizie il timore del suo augumento desterà tutti quegli che hanno seco odio o emulazione.
E è cosa notissima quanto i franzesi siano più pronti ad acquistare che prudenti a conservare quanto per l'impeto e insolenza loro diventino presto esosi a' sudditi.
Però, acquistato che aranno Milano, aranno più tosto necessità di attendere a conservarlo che comodità di pensare a nuovi disegni; perché uno imperio nuovo non bene ordinato né prudentemente governato aggrava, più presto che e' faccia più potente, chi l'acquista: di che quale esempio è più fresco e più illustre che l'esempio della vittoria del re passato? contro al quale si convertì in sommo odio il desiderio incredibile con che era stato ricevuto nel reame di Napoli.

Non è adunque né sì certo né tale il pericolo, che ci può dopo qualche tempo pervenire della vittoria del re di Francia, che per fuggirlo abbiamo a volere stare in uno pericolo presente e di grandissimo momento; e il rifiutare, per timore di pericoli futuri e incerti, sì ricca parte e sì opportuna del ducato di Milano non si potrebbe attribuire ad altro che a pusillanimità e abiezione di animo, vituperabile negli uomini privati non che in una republica più potente e più gloriosa che, dalla romana in fuora, sia stata giammai in parte alcuna del mondo.

Sono rare e fallaci l'occasioni sì grandi, ed è prudenza e magnanimità, quando si offeriscono, l'accettarle e, per contrario, sommamente reprensibile il perderle; e la troppa curiosa sapienza e troppo consideratrice del futuro è spesso vituperabile, perché le cose del mondo sono sottoposte a tanti e sì vari accidenti che rare volte succede per l'avvenire quel che gli uomini eziandio savi si hanno immaginato avere a essere; e chi lascia il bene presente per timore del pericolo futuro, quando non sia pericolo molto certo e propinquo, si truova spesso, con dispiacere e infamia sua, avere perduto l'occasioni piene di utilità e di gloria, per paura di quegli pericoli che poi diventano vani.

Per le quali ragioni il parere mio sarebbe che si accettasse la confederazione contro al duca di Milano, perché ci arreca sicurtà presente, estimazione appresso a tutti i potentati, e acquisto tanto grande che altre volte cercheremmo, e con travagli e spese intollerabili, di poterlo ottenere, sì per la importanza sua come perché sarà l'adito e la porta di augumentare maravigliosamente la gloria e lo imperio di questa potentissima republica".


Fu udito con grande attenzione e con gli orecchi molto favorevoli l'autore di questa sentenza, e lodata da molti in lui la generosità dell'animo suo e lo amore verso la patria. Ma in contrario parlò Marchionne Trivisano:


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Il discorso di Marchionne Trivisano

"E' non si può negare, sapientissimi senatori, che le ingiurie fatte da Lodovico Sforza alla nostra republica non sieno gravissime, e con grande offesa della nostra degnità; nondimeno, quanto le sono maggiori e quanto più ci commuovono tanto più è proprio ufficio della prudenza moderare lo sdegno giusto con la maturità del giudicio e con la considerazione dell'utilità e interesse publico, perché il temperare se medesimo e vincere le proprie cupidità ha tanto più laude quanto è più raro il saperlo fare, e quanto sono più giuste le cagioni dalle quali è concitato lo sdegno e l'appetito degli uomini.

Però appartiene a questo senato, il quale appresso a tutte le nazioni ha nome sì chiaro di sapienza, e che prossimamente ha fatto professione di liberatore d'Italia da' franzesi, proporsi innanzi agli occhi la infamia che gli risulterà se ora sarà cagione di fargli ritornare; e molto più il pericolo che del continuo ci sarà imminente se il ducato di Milano perverrà in potere del re di Francia: il quale pericolo chi non considera da se stesso si riduca in memoria quanto terrore ci dette l'acquisto che fece, il re Carlo, di Napoli, dal quale non ci riputammo mai sicuri se se non quando fummo congiurati contro a lui con quasi tutti i prìncipi cristiani.

E nondimeno, che comparazione dall'uno pericolo all'altro! Perché quello re, privato di quasi tutte le virtù regie, era principe quasi ridicolo, e il regno di Napoli tanto lontano dalla Francia teneva in modo divulse le forze sue che quasi indeboliva più che accresceva la sua potenza, e quello acquisto, per il timore degli stati loro tanto contigui, gli faceva inimicissimi il papa e i re di Spagna; de' quali ora l'uno si sa che ha diversi fini e che gli altri, infastiditi delle cose d'Italia, non sono per implicarvisi senza grandissima necessità: ma questo nuovo re, per la virtù propria, è molto più da temere che da sprezzare, e lo stato di Milano è tanto congiunto col reame di Francia che, per la comodità di soccorrerlo, non si potrà sperare di cacciarnelo se non commovendo tutto il mondo.

E però noi, vicini a sì maravigliosa potenza, staremo nel tempo della pace in gravissima spesa e sospetto, e in tempo di guerra saremo tanto esposti alle offese sue che sarà difficillimo il difenderci.
E certamente, io non udivo senza ammirazione che, chi ha parlato innanzi a me, da una parte non temeva di uno re di Francia signore del ducato di Milano, dall'altra si dimostrava in tanto spavento di Lodovico Sforza, principe molto inferiore di forze a noi, e che con la timidità e avarizia ha messo sempre in grave pericolo le imprese sue.
Spaventavanlo gli aiuti che arebbe da altri, come se fusse facile il fare, in tante diversità di animi e di volontà e in tanta varietà di condizioni, tale unione, o come se non fusse da temere molto più una potenza grande unita tutta insieme che la potenza di molti; la quale come ha i movimenti diversi così ha diverse e discordanti l'operazioni.
Confidava che in coloro i quali, per odio e per varie cagioni, desiderano la nostra declinazione si troverebbe quella prudenza da vincere gli sdegni e le cupidità che noi non troviamo in noi medesimi a raffrenare questi ambiziosi pensieri

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Né io so perché debbiamo prometterci che nel re de' romani e in quella nazione possa più l'emulazione e lo sdegno antico e nuovo contro al re di Francia, se acquisterà Milano, che l'odio inveterato che hanno contro a noi che tegniamo tante terre appartenenti alla casa d'Austria e allo imperio; né so perché il re de' romani si congiugnerà più volentieri con noi contro al re di Francia che con lui contro a noi: anzi è più verisimile l'unione de' barbari, inimici eterni del nome italiano, e a una preda più facile; perché unito con lui potrà più sperare vittoria di noi che unito con noi non potrà sperare di lui.
Senza che, l'azioni sue nella lega passata, e quando venne in Italia, furono tali che io non so per che causa s'abbia tanto a desiderare di averlo congiunto seco.

Hacci ingiuriato Lodovico gravissimamente, nessuno lo nega, ma non è prudenza mettere, per fare vendetta, le cose proprie in pericolo sì grave, né è vergogna aspettare a vendicarsi gli accidenti e l'occasioni che può aspettare una republica; anzi è molto vituperoso lasciarsi innanzi al tempo traportare dallo sdegno, e nelle cose degli stati è somma infamia quando la imprudenza è accompagnata dal danno.
Non si dirà che queste ragioni ci muovino a una impresa sì temeraria, ma si giudicherà per ciascuno che noi siamo tirati dalla cupidità d'avere Cremona; però da ciascuno sarà desiderata la sapienza e la gravità antica di questo senato, ciascuno si maraviglierà che noi incorriamo in quella medesima temerità nella quale ci maravigliammo tanto noi che fusse incorso Lodovico Sforza, di avere condotto il re di Francia in Italia.

L'acquisto è grande e opportuno a molte cose, ma considerisi se sia maggiore perdita l'avere uno re di Francia signore dello stato di Milano: considerisi quanto sia maggiore la nostra potenza e riputazione, o quando siamo i principali d'Italia o quando in Italia è uno principe tanto maggiore e tanto vicino a noi.

Con Lodovico Sforza abbiamo altre volte avuto e discordia e concordia, così può tra noi e lui accadere ogni dì, e la difficoltà di Pisa non è tale che non si possa trovare qualche rimedio, né merita che per questo ci mettiamo in tanto precipizio; ma co' franzesi vicini aremo sempre discordia perché regneranno sempre le medesime cagioni: la diversità degli animi tra barbari e italiani, la superbia de' franzesi, l'odio col quale i prìncipi perseguitano sempre, per natura, le republiche e la ambizione che hanno i più potenti di opprimere continuamente i meno potenti.

E però non solo non mi invita l'acquisto di Cremona, anzi mi spaventa, perché arà tanto più occasione e stimoli a offenderci, e sarà tanto più concitato da' milanesi che non potranno tollerare l'alienazione di Cremona da quello ducato; e la medesima cagione irriterà la nazione tedesca e il re de' romani, perché medesimamente Cremona e la Ghiaradadda è membro della giurisdizione dello imperio.

Non sarebbe almanco biasimata tanto la nostra ambizione, né cercheremmo con nuovi acquisti farci ogni dì nuovi inimici, e più sospetti a ciascuno: per il che bisognerà finalmente o che noi diventiamo superiori a tutti o che noi siamo battuti da tutti; e quale sia più per succedere è facile a considerare a chi non ha diletto di ingannarsi da se medesimo.

La sapienza e la maturità di questo senato è stata conosciuta e predicata per tutta Italia e per tutto il mondo molte volte; non vogliate macularla con sì temeraria e sì pericolosa deliberazione. Lasciarsi traportare dagli sdegni contro all'utilità propria è leggerezza, stimare più i pericoli piccoli che i grandissimi è imprudenza; le quali due cose essendo alienissime dalla sapienza e gravità di questo senato, io non posso se non persuadermi che la conclusione che si farà sarà moderata e circospetta, secondo la vostra consuetudine".

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La decisione del Senato Veneto

Non potette tanto questa sentenza, sostentata da sì potenti ragioni e dalla autorità di molti che erano de' principali e de' più savi del senato, che non potesse molto più la sentenza contraria, concitata dall'odio e dalla cupidità del dominare, veementi autori di qualunque pericolosa deliberazione; perché era smisurato l'odio negli animi di ciascuno contro a Lodovico Sforza conceputo, né minore il desiderio di aggiugnere allo imperio veneto la città di Cremona col suo contado e con tutta la Ghiaradadda; aggiunta stimata assai, perché ciascuno anno se ne traevano di entrata almeno centomila ducati, e molto più per l'opportunità; conciossiaché, abbracciando con questo augumento quasi tutto il fiume dell'Oglio, distendevano i loro confini insino in sul Po e ampliavangli per lungo spazio in sul fiume di Adda, e appressandosi a quindici miglia alla città di Milano e alquanto più alle città di Piacenza e di Parma, pareva loro quasi aprirsi la strada a occupare tutto il ducato di Milano, qualunque volta il re di Francia avesse o nuovi pensieri o potenti difficoltà di là da' monti.

Il che potere succedere, innanzi che passasse molto tempo, dava speranza la natura de' franzesi, più atti ad acquistare che a mantenere; l'essere quasi perpetua la loro republica e nel regno di Francia accadere spesso, per la morte de' re, variazione di pensieri e di governi; la difficoltà di conservarsi la benivolenza de' sudditi, per la diversità del sangue e de' costumi franzesi con gl'italiani. Però, confermata col voto de' più questa sentenza, commessono agli oratori loro che erano appresso al re che conchiudessino con le condizioni offerte questa confederazione, ogni volta che in essa delle cose di Pisa non si trattasse.

 

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Edizione digitale a cura di Umberto Sartori