Storia di Venezia

Pagina pubblicata 22 Ottobre 2011

Discorsi famosi in Senato Veneto:
il doge Leonardo Loredan per la difesa di Padova

Discorso del doge Leonardo Loredan

   

Presentazione del documento

L'entusiasta fedeltà in armi di Treviso, pur sciolta dagli obbligi di alleanza, ha rinfrancato gli spiriti veneziani. L'incostanza e l'egotismo dei Monarchi hanno frantumato la Lega di Cambrai. La Repubblica alla riscossa ha riconquistato Padova e si tratta ora di difenderla da un ritorno in forze di Massimiliano.

Il discorso del doge Loredan ritrova i temi e i toni antichi della Repubblica. La descrive al cuore dei Cittadini con minuzia e precisione, rammentando i suoi valori cristiani e libertari, i suoi primati morali, politici e religiosi. Da questo discorso, probabilmente, Guicciardini trae spunto per l'orazione di Bernardo nel "Dialogo del Reggimento di Firenze", dove afferma il governo di Venezia essere migliore di quello di Roma e Atene.

Loredan introduce l'argomento dell'importanza strategica di Padova per il completo recupero dei Domini Serenissimi e per la sopravvivenza stessa della libertà veneziana. Istiga quindi i veneziani a combattere in Padova ricordando il senso e l'importanza della Repubblica, tutrice di ogni libertà e bene privato.

Siano i veneziani di oggi ancora degni della gloria dei loro padri! Loredan infiamma gli animi elogiando i luoghi, le costruzioni, lo stato sociale dei cittadini, la fama mondiale, la floridezza dei commerci, le opere d'arte di pittura e di scultura, la protezione accordata a letterati e perseguitati, l'abbondanza di templi, ospedali e monasteri, che fanno di Venezia Patria per la quale è onorevole offrire la propria vita di figli grati. Ricorda al Popolo le adesioni spontanee alla Repubblica di altri Popoli alla ricerca di Libertà e Giustizia.

Storia di Venezia - Giovanni Bellini, Leonardo Loredan Doge di Venezia

Leonardo Loredan Magistrato, visto immerso nell'etere da Giovanni Bellini (courtesy of Wikimedia).

Fonda questi sentimenti nella Storia, ricordando l'evoluzione di Venezia dai primordi, città unica al mondo in cui mai venne meno la libertà e la dignità di Cittadino Repubblicano : "Ebbe la patria nostra in uno tempo medesimo l'origine sua e la sua libertà, né mai nacque né morì in Vinegia cittadino alcuno che non nascesse e morisse libero, né mai è stata turbata la sua libertà; procedendo tanta felicità dalla concordia civile, stabilita in modo negli animi degli uomini che in uno tempo medesimo entrano nel nostro senato e ne' nostri consigli e depongono le private discordie e contenzioni".

Storia di Venezia - Vittore Carpaccio, Leonardo Loredan Doge di Venezia

Leonardo Loredan visto come baluardo di Venezia da Vittore Carpaccio (courtesy of Wikimedia).

Elogia quindi il Governo Repubblicano come fonte prima di ogni bene in Venezia, Amministrazione che con la sua costante ricerca di armonia, proporzione e concordia ha garantito al Popolo la pace interna per secoli: "... laude unica della nostra republica, e della quale non si può gloriare né Roma né Cartagine né Atene né Lacedemone, né alcuna di quelle republiche che sono state più chiare e di maggiore grido appresso agli antichi: anzi appresso a noi si vede in atto tale forma di republica quale quegli che hanno fatto maggiore professione di sapienza civile non seppeno mai né immaginarsi né descrivere".

La difesa di Padova, prosegue Loredan, non è solo un fatto contingente: fossero pure sufficienti le forze in campo, nessun veneziano degno di questo nome può perdere una simile occasione di offrirsi per la difesa di tanta Patria. Con l'adesione spontanea ed entusiasta si farà ammenda della recente caduta (la "resa" a Massimiliano d'Austria), riportando Venezia nel prestigio morale che le compete.

Ricordino i Veneziani che tale disfatta non venne loro da mala sorte, ma dall'aver trascurato quella Virtù che aveva fatto grandi i Padri. Si riscuotano, e facciano sì che la resa ignominiosa sia registrata dalla Storia solo come una debolezza momentanea alla quale sia subentrata pronta redenzione.

Se fosse possibile lasciare Venezia sguarnita, Loredan stesso, ottantenne, si avvierebbe a Padova, non sapendo immaginare modo migliore di spendere le ultime forze che assistendo a una splendida vittoria della Repubblica o morendo per essa.

Suo compito è invece difendere Padova tenendo in efficienza l'amministrazione veneziana, destina quindi al combattimento due suoi figli dotandoli di uomini e mezzi, come esempio per tutta la nobiltà veneziana. L'arrivo in Padova del fior fiore della gioventù veneziana in armi sarà di esempio e stimolo alle truppe, che infiammate d'amor patrio avranno la forza di respingere gli Imperiali.

L'intera popolazione rispose entusiasticamente a questo richiamo del Doge. Centinaia di giovani veneziani in armi si affiancano ai difensori di Padova. Massimiliano sarà respinto, e Venezia, recuperato il prestigio di imbattibilità per Virtù, non vedrà più le sue porte minacciate d'assedio fino a Napoleone. Ma il glorioso riscatto conteneva un altro pericolo per la Repubblica Cristiana, quello dell'insuperbimento.

Venezia purtroppo si insuperbì di quella straordinaria vittoria, e avviò una politica di tutela a ogni costo del proprio territorio, efficace ma lontana dai principi evocati dal Loredan. Una politica fatta di intrighi e di guerre preventive in terre straniere condotte con il minimo di sforzo al solo scopo di distogliere gli eserciti monarchici dall'attaccare direttamente la Serenissima.

La struttura statale repubblicana è più evoluta ed efficiente di quella monarchica, quindi la Repubblica, entrata nel gioco dei monarchi, vi si muove come vincente e spesso "gestisce il banco" stesso del gioco.
Ma non sull'astuzia la prepotenza e l'intrigo si era fondato e si alimentava il nerbo della Repubblica, bensì su Intelletto e Fede.

Si andò quindi sempre più assottigliando, nonostante la Battaglia di Lepanto, il suo spessore di "antimuro" della Cristianità verso il montante potere dell'Impero Ottomano, che finirà con il divorare quasi per intero lo Stato da Mar prima che Napoleone, fulmine in cielo già molto nuvoloso, violasse, forse per sempre, le Sacre Mura della Patria.

Questo mutamento di qualità nel Senato Veneziano non sfugge al bisturi storico del Guicciardini; nei Libri seguenti della Storia d'Italia avremo modo di leggere le sue osservazioni in merito.

Umberto Sartori

Da: Francesco Guicciardini, Storia d'Italia (1492 - 1534) Libro VIII, cap. X

Ma espettazione di cose molto maggiori occupava in questo tempo gli animi di tutti gli uomini: perché Cesare, raccogliendo tutte le forze che per se stesso poteva e che gli erano concedute da molti, si preparava per andare con esercito potentissimo a campo a Padova; e da altra parte il senato viniziano, giudicando consistere nella difesa di quella città totalmente la salute sua, attendeva con somma diligenza alle provisioni necessarie a difenderla, avendovi fatto entrare, da quelle genti in fuora che erano deputate alla guardia di Trevigi, l'esercito loro con tutte quelle forze che da ogni parte aveano potute raccorre, e conducendovi numero infinito d'artiglierie di qualunque sorte, vettovaglie d'ogni ragione bastanti a sostentargli molti mesi, moltitudine innumerabile di contadini e di guastatori; ...
... E con tutto che le provisioni fussino tali che quasi maggiori non si potessino desiderare, nondimeno in caso tanto importante era inestimabile la sollecitudine e la ansietà di quel senato, non cessando dì e notte i senatori di pensare, di ricordare e di proporre le cose che credevano che fussino opportune.

Delle quali trattandosi continuamente nel senato, Lionardo Loredano loro doge, uomo venerabile per l'età e per la degnità di tanto grado, nel quale era già seduto molti anni, levatosi in piedi parlò in questa sentenza:

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Il discorso del doge Leonardo Loredan per la difesa di Padova

"Se, come è manifestissimo a ciascuno, prestantissimi senatori, nella conservazione della città di Padova consiste non solamente ogni speranza di potere mai recuperare il nostro imperio ma ancora di conservare la nostra libertà, e per contrario se dalla perdita di Padova ne seguita, come è certissimo, l'ultima desolazione di questa patria, bisogna di necessità confessare che le provisioni e preparazioni fatte insino a ora, ancorché grandissime e maravigliose, non siano sufficienti, né per quello che si conviene per la sicurtà di quella città né per quello che si appartiene alla degnità della nostra republica; perché in una cosa di tanta importanza e di tanto pericolo non basta che i provedimenti fatti siano tali che si possa avere grandissima speranza che Padova s'abbia a difendere, ma bisogna sieno tanto potenti che, per quel che si può provedere con la diligenza e industria umana, si possa tenere per certo che abbino ad assicurarla da tutti gli accidenti che improvisamente potesse partorire la sinistra fortuna, potente in tutte le cose del mondo ma sopra tutte l'altre in quelle della guerra.

Né è deliberazione degna della antica fama e gloria del nome viniziano che da noi sia commessa interamente la salute publica, e l'onore e la vita propria e della moglie e figliuoli nostri, alla virtù di uomini forestieri e di soldati mercenari, e che non corriamo noi spontaneamente e popolarmente a difenderla co' petti e con le braccia nostre; perché se ora non si sostiene quella città non rimane a noi più luogo d'affaticarci per noi medesimi, non di dimostrare la nostra virtù, non di spendere per la salute nostra le nostre ricchezze: però, mentre che ancora non è passato il tempo di aiutare la nostra patria, non debbiamo lasciare indietro opera o sforzo alcuno, né aspettare di rimanere in preda di chi desidera di saccheggiare le nostre facoltà, di bere con somma crudeltà il nostro sangue.

Non contiene la conservazione della patria solamente il publico bene, ma nella salute della republica si tratta insieme il bene e la salute di tutti i privati, congiunta in modo con essa che non può stare questa senza quella; perché cadendo la republica e andando in servitù, chi non sa che le sostanze l'onore e la vita de' privati rimangono in preda dell'avarizia della libidine e della crudeltà degli inimici?
Ma quando bene nella difesa della republica non si trattasse altro che la conservazione della patria, non è questo premio degno de' suoi generosi cittadini? pieno di gloria e di splendore nel mondo e meritevole appresso a Dio? Perché è sentenza insino de' gentili, essere nel cielo determinato uno luogo particolare il quale felicemente godino in perpetuo tutti coloro che aranno aiutato conservato e accresciuto la patria loro.

E quale patria è giammai stata che meriti di essere più aiutata e conservata da' suoi figliuoli che questa? la quale ottiene e ha ottenuto per molti secoli il principato intra tutte le città del mondo, e dalla quale i suoi cittadini ricevono grandissime e innumerabili comodità utilità e onori: ammirabile se si considerano o le doti ricevute dalla natura, o le cose che dimostrano la grandezza quasi perpetua della prospera fortuna, o quelle per le quali apparisce la virtù e la nobiltà degli animi degli abitatori.

Perché è stupendissimo il sito suo; posta, unica nel mondo, tra l'acque salse, e congiunte in modo tutte le parti sue che in uno tempo medesimo si gode la comodità dell'acqua e il piacere della terra; e sicura, per non essere posta in terra ferma, dagli assalti terrestri; sicura, per non essere posta nella profondità del mare, dagli assalti marittimi.

E quanto sono maravigliosi gli edifici publici e privati! edificati con incredibile spesa e magnificenza, e pieni di ornatissimi marmi forestieri e di pietre singolari condotte in questa città da tutte le parti del mondo; e quanto ci sono eccellenti le pitture le statue le sculture gli ornamenti de' musaici e di tante bellissime colonne e d'altre cose simiglianti!
E quale città si truova al presente ove sia maggiore concorso delle nazioni forestiere? che vengono qui, parte per abitare in questa libera e quasi divina stanza sicuramente, parte per esercitare i loro commerci; onde Vinegia è piena di grandissime mercatanzie e faccende, onde crescono continuamente le ricchezze de' nostri cittadini, onde la republica ha tanta entrata del circuito solo di questa città quanta non hanno molti re degli interi regni loro.

Lascio andare la copia de' letterati in ogni scienza e facoltà, la qualità degli ingegni e la virtù degli uomini, dalla quale congiunta con le altre condizioni è nata la gloria delle cose fatte, maggiori da questa republica e dagli uomini nostri che da' romani in qua abbia fatto patria alcuna.
Lascio andare quanto sia maraviglioso vedere in una città nella quale non nasca cosa alcuna, e che sia pienissima di abitatori, abbondare ogni cosa.

Fu il principio della città nostra ristretto in su questi soli scogli sterili e ignudi, e nondimeno, distesasi la virtù degli uomini nostri prima ne' mari più vicini e nelle terre circostanti, dipoi ampliatasi con felici successi ne' mari e nelle provincie più lontane, e corsa insino nell'ultime parti dello Oriente, acquistò per terra e per mare tanto imperio, e tennelo sì lungamente, e ampliò in modo la sua potenza che, stata tempo lunghissimo formidabile a tutte l'altre città d'Italia, sia stato necessario che ad abbatterla siano concorse le fraudi e le forze di tutti i prìncipi cristiani: cose certamente procedute con l'aiuto del sommo Dio, perché è celebrata per tutto il mondo la giustizia che si esercita indifferentemente in questa città; per il nome solo della quale molti popoli si sono spontaneamente sottoposti al nostro dominio.

Già a quale città, a quale imperio cede di religione e di pietà verso il sommo Dio la patria nostra? ove sono tanti monasteri, tanti templi, pieni di ricchissimi e preziosissimi ornamenti di tanti stupendi vasi e apparati dedicati al culto divino, ove sono tanti ospedali e luoghi pii ne' quali, con incredibile spesa e incredibile utilità de poveri, si esercitano assiduamente le opere della carità?
È meritamente per tutte queste cose preposta la patria nostra a tutte l'altre, ma oltre a queste ce n'è una per la quale sola trapassa tutte le laudi e la gloria di se medesima.

Ebbe la patria nostra in uno tempo medesimo l'origine sua e la sua libertà, né mai nacque né morì in Vinegia cittadino alcuno che non nascesse e morisse libero, né mai è stata turbata la sua libertà; procedendo tanta felicità dalla concordia civile, stabilita in modo negli animi degli uomini che in uno tempo medesimo entrano nel nostro senato e ne' nostri consigli e depongono le private discordie e contenzioni.

Di questo è causa la forma del governo che, temperato di tutti i modi migliori di qualunque specie di amministrazione publica e composta in modo a guisa di armonia, proporzionato e concordante tutto a se medesimo, è durato già tanti secoli, senza sedizione civile senza armi e senza sangue tra i suoi cittadini, inviolabile e immaculato; laude unica della nostra republica, e della quale non si può gloriare né Roma né Cartagine né Atene né Lacedemone, né alcuna di quelle republiche che sono state più chiare e di maggiore grido appresso agli antichi: anzi appresso a noi si vede in atto tale forma di republica quale quegli che hanno fatto maggiore professione di sapienza civile non seppeno mai né immaginarsi né descrivere.

Adunque a tanta e a sì gloriosa patria, stata moltissimi anni antimuro della fede, splendore della republica cristiana, mancheranno le persone de' suoi figliuoli e de' suoi cittadini? e ci sarà chi rifiuti di mettere in pericolo la propria vita e de' figliuoli per la salute di quella? la quale contenendosi nella difesa di Padova, chi sarà quello che neghi di volere personalmente andare a difenderla?
E quando bene fussimo certissimi essere bastanti le forze che vi sono, non appartiene egli all'onore nostro, non appartiene egli allo splendore del nome viniziano, che e' si sappia per tutto il mondo che noi medesimi siamo corsi prontissimamente a difenderla e conservarla?

Ha voluto il fato di questa città che in pochi dì sia caduto delle mani nostre tanto imperio: nella quale cosa non abbiamo da lamentarci tanto della malignità della fortuna (perché sono casi comuni a tutte le republiche a tutti i regni) quanto abbiamo cagione di dolerci che, dimenticatici della costanza nostra stata insino a quel dì invitta, che perduta la memoria di tanti generosi e gloriosi esempli de' nostri maggiori, cedemmo con troppo subita disperazione al colpo potente della fortuna; né fu per noi rappresentata a' figliuoli nostri quella virtù che era stata rappresentata a noi da' padri nostri.

Torna ora a noi l'occasione di recuperare quello ornamento, non perduto, se noi vorremo essere uomini, ma smarrito; perché andando incontro alla avversità della fortuna, offerendoci spontaneamente a' pericoli, cancelleremo la infamia ricevuta; e vedendo non essere perduta in noi l'antica generosità e virtù, si ascriverà più tosto quel disordine a una certa fatale tempesta (alla quale né il consiglio né la costanza degli uomini può resistere) che a colpa e vergogna nostra.

Però, se fusse lecito che tutti popolarmente andassimo a Padova, che senza pregiudicio di quella difesa e delle altre urgentissime faccende publiche si potesse per qualche giorno abbandonare questa città, io primo, senza aspettare la vostra deliberazione, piglierei il cammino; non sapendo in che meglio potere spendere questi ultimi dì della mia vecchiezza che nel partecipare, colla presenza e con gli occhi, di vittoria tanto preclara, o quando pure (l'animo aborrisce di dirlo) morendo insieme con gli altri non essere superstite alla ruina della patria.

Ma perché né Vinegia può essere abbandonata da' consigli publici, ne' quali, col consigliare provedere e ordinare, non manco si difende Padova che la difendino con l'armi quegli che sono quivi, e la turba inutile de' vecchi sarebbe più di carico che di presidio a quella città, né anche, per tutto quello che potesse occorrere, è a proposito spogliare Vinegia di tutta la gioventù, però consiglio e conforto che, avendo rispetto a tutte queste ragioni, si elegghino dugento gentiluomini de' principali della nostra gioventù, de' quali ciascuno, con quella quantità di amici e di clienti atti all'arme che tollereranno le sue facoltà, vadia a Padova, per stare quanto sarà necessario alla difesa di quella terra: due miei figliuoli, con grande compagnia, saranno i primi a eseguire quel che io, padre loro principe vostro, sono stato il primo a proporre; le persone de' quali in sì grave pericolo offerisco alla patria volentieri.

Così si renderà più sicura la città di Padova, così i soldati mercenari che vi sono, veduta la nostra gioventù pronta alle guardie e a tutti i fatti militari, ne riceveranno inestimabile allegrezza e animosità; certi che, essendo congiunti con loro i figliuoli nostri, non abbia a mancare da noi provisione o sforzo alcuno: la gioventù e gli altri che non andranno, si accenderanno tanto più con questo esempio a esporsi, sempre che sarà di bisogno, a tutte le fatiche e pericoli.

Fate voi, senatori, le parole e i fatti de' quali sono in esempio e negli occhi di tutta la città, fate, dico, a gara, ciascuno di voi che ha facoltà sufficienti, di fare descrivere in questo numero i vostri figliuoli acciò che sieno partecipi di tanta gloria; perché da questo nascerà non solo la difesa sicura e certa di Padova ma si acquisterà questa fama appresso a tutte le nazioni: che noi medesimi siamo quegli che col pericolo della propria vita difendiamo la libertà e la salute della più degna patria e della più nobile che sia in tutto il mondo".


Fu udito con grandissima attenzione e approvazione, e messo con somma celerità in esecuzione, il consiglio del principe; per il quale il fiore de' nobili della gioventù viniziana, raccolti ciascuno quanti più amici e familiari atti allo esercizio dell'armi potette, andò a Padova, accompagnati insino che entrorno nelle barche da tutti gli altri gentiluomini e da moltitudine innumerabile, e celebrando ciascuno con somme laudi e con pietosi voti tanta prontezza in soccorso della patria: né con minore letizia e giubilo di tutti furono ricevuti in Padova, esaltando i capitani e i soldati insino al cielo che questi giovani nobili, non esperimentati né alle fatiche né a' pericoli della milizia, preponessino l'amore della patria alla vita propria; e in modo che confortando l'uno l'altro aspettavano con lietissimi animi la venuta di Cesare".

 

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Edizione digitale a cura di Umberto Sartori