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Nel corso delle ricerche che effettuo in relazione alla stesura della Nuova Strategia del Comitato di Salute Pubblica a Venezia, mi sono imbattuto in questo brano del Reverendo Reuben Parsons, uno storico ecclesiale cattolico americano del 1800. Ritengo che il lavoro del Reverendo sia un ottimo contributo per la pulizia della Storia e del prestigio di Venezia dalle menzogne e falsificazioni accumulate in secoli ormai di sistematica denigrazione, e mi sono assunto il compito di tradurlo.
Umberto Sartori
Il Consiglio dei Dieci - The "Terrible Ten"
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Da: Alcuni Errori e Menzogne della Storia, del Rev. Reuben Parsons, D.D.; Notre Dame, Indiana: The Ave Maria; 7a edizione; 1893; pp. 244-260.
Courtesy of elfinspell.com
Venezia Malvagia (?!)
Per l'opinione pubblica media, la storia di Venezia è un melodramma sanguinoso e oscuro. Prigioni sotto i canali, celle di detenzione esposte al furore di un sole quasi torrido, porte segrete sempre minacciose della comparsa di spie e assassini, virtù e valore sempre soccombenti alla spada o al veleno; e tutto ciò sotto l'egida di un governo che proclamava se stesso Cristiano e popolare.
Questo è il quadro che sorge davanti a chi legge i racconti correnti su Venezia, o a chi assista a una rappresentazione teatrale sulla storia Veneziana.
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Fino agli albori del diciannovesimo Secolo, questa idea di Venezia fu in prevalenza effetto di calunnie Inglesi e Protestanti. L'odio ereticale e la rivalità commerciale si erano combinate nell'installare pregiudizi contro quella Repubblica Cattolica che per secoli era stata il più benestante tra i grandi Stati d'Europa.
Con il nostro secolo venne la necessità, anche da parte della Francia, di giustificare un grande crimine nazionale. La fata Venezia lascia un cadavere ai piedi della tigre rivoluzionaria Francese, ed è naturale che i suoi assassini debbano insistere che essa abbia meritato il suo destino.
Ecco, quindi, gli scrittori francesi di grosso calibro accumulare calunnie sulla memoria della Regina dell'Adriatico! Naturalmente anche autori Germanici si uniscono al coro, in quanto un potere Germanico aveva approfittato del crimine della Francia; un simile commercio di popoli doveva in qualche modo venir giustificato, e lo si fece supponendo la viltà dei barattati.
Pertanto il clamore contro la crudeltà, la disonestà, la tirannia e la maligna astuzia Veneziana, divenne quasi universale.
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L'infame mercimonio di Popoli viene siglato nel Trattato di Campoformido.
Courtesy of http://www.tor.it/danant/castelli.html
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Una delle più celebri illustrazioni dei misteri di Venezia è il dramma "Angelo" di Victor Hugo (ripreso a più vasta divulgazione da Aristide Ponchielli per la sua "Gioconda", NdT).
Il poeta spinse all'estremo l'uso letterario del veleno e dei pugnali dei Dieci, i passaggi segreti, le disgustose prigioni ecc.; alcuni critici si avventurarono a mettere in dubbio la verosimiglianza della sua messa in scena. In una delle note al suo dramma pubblicato, Hugo si appellò all'autorità del conte Daru, lo storico del Primo Impero, e agli "Statuti dell'Inquisizione di Stato" 1 di Venezia, addotti da quello scrittore.
Diamo un riassunto di questi Statuti che, secondo il Daru, portano la data del 12 Giugno 1454:
Nel sedicesimo viene decretato che quando il tribunale ritenga necessario mettere chiunque a morte, l'esecuzione non deva essere pubblica; il condannato deve, se possibile, venir annegato nel Canal dell'Orfano.
Il ventottesimo stabilisce che se un nobile Veneziano rivela di essere stato contattato a fini di corruzione da un ambasciatore straniero, egli sia autorizzato a entrare nella relazione proposta dal corruttore; quando l'affare stia per venire ad effetto, l'agente intermediario deve venir annegato, evitando di colpire l'Ambasciatore di persona o altri diplomatici di riguardo.
Il quarantesimo provvede all'istituzione di spie, non solo nella capitale ma in tutte le principali città della Repubblica. Questi agenti riporteranno di persona al tribunale, due volte l'anno, sulla condotta dei funzionari nei loro rispettivi distretti.
In un supplemento agli Statuti, viene fatta disposizione che chiunque parli in modo tale da fomentare disordine pubblico, sia diffidato dal farlo; se questi insiste nel farlo, possa essere annegato.
La ventottesima disposizione serve a sbarazzare lo stato di ogni prigioniero che potrebbe essere inopportuno punire apertamente. Un carceriere deve simulare simpatia per il prigioniero e, dopo avergli somministrato un veleno ad azione lenta e non evidente, deve favorirne l'evasione.
Paolo Sarpi, Servita
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Daru ci racconta di aver trovato questi Statuti, fino ad allora sconosciuti 2, nella Biblioteca Reale di Parigi. Erano rilegati in un volume in quarto, assieme a un'altra opera dal titolo: "Opinione di Fratello Paolo, Servita, Consigliere di Stato, sulla migliore maniera di governare la Repubblica Veneziana, sia negli affari interni che in quelli esteri, affinché possa godere di prosperità perpetua".
Il prete Servita altri non era che Paolo Sarpi, il famoso avversario della Santa Sede nelle occasioni in cui le rivendicazioni temporali del Papa venivano a conflitto con l'ordinamento laico Veneziano; Daru, che naturalmente considerava Sarpi come un'autorità in materia, volentieri abbracciò l'idea che il rilegare in unico volume gli Statuti e l'Opinione sul Governo Veneziano, fosse prova che il Servita aveva pubblicato anche gli Statuti.
Vorremmo poter accettare questa autorità del Sarpi, ma dobbiamo dare la precedenza agli argomenti che dimostrano come nessuno degli scritti inclusi nel "tesoro bibliografico" scoperto da Daru fosse opera del padre Servita 3.
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Anche volendo accettare il valore del Sarpi nelle premesse, ci sono numerose buone ragioni per rigettare come falsi gli Statuti allegati.
In primo luogo, come può essere che nessun ricercatore abbia trovato riferimento a queste leggi in alcun documento di epoca precedente al manoscritto di Daru? Secondo le costituzioni proprie del Governo Veneziano, misure simili non avrebbero potuto venir decretate senza l'approvazione del Maggior Consiglio, e solo dopo essere passate per tutte le formalità di registrazione negli archivi dei Dieci, dove nessuna ricerca le ha ancora mai trovate.
Inoltre, i presunti Statuti sono zeppi di errori che nessun giureconsulto Veneto del quindicesimo Secolo avrebbe mai commesso.
Così, a quel tempo, tutti i documenti giuridici e ufficiali della Repubblica erano stilati in Latino, laddove questi pseudo-statuti sono accomodati in dialetto Veneziano, che non divenne lingua ufficiale fino a un secolo dopo.
Di nuovo, quei decreti sono pronunciati in nome degli "Inquisitori di Stato", un titolo che questi magistrati non ebbero prima del 1610.
Infine, in queste ordinanze gli Inquisitori asseriscono giurisdizione sui prigionieri nei piombi, mentre quei locali non vennero adibiti a prigione fino al 1594.
Pertanto gli "Statuti" citati dal Daru sono apocrifi.
Poiché essi sono il fondamento delle accuse contro Venezia, dobbiamo togliere dalle nostre menti tutte quelle immagini che sono state costruite per rappresentare la legislatura Veneziana come una congregazione di demoni, invece che un'assemblea di aristocratici seri e reverendi.
Come ritengono, i calunniatori di Venezia, di farci fare i conti con la pace interna che regnò nella Repubblica per cosi tanti secoli? Non troviamo ribellioni ne in casa ne nelle colonie; e questo nonostante la frequenza di carestie, epidemie, guerre e scomuniche.
Fosse una simile cancrena esistita come i nemici di Venezia suppongono, e annidata nel cuore stesso della Nazione per divorare gradatamente ogni vestigia di libertà e distruggendo ogni senso di sicurezza, avrebbe la Repubblica potuto rimanere così unitariamente contenta e prospera?
Il Cardinal Bessarione, in un ritratto del pittore olandese JOOS van Wassenhove (1476?)
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Fu nel 1468, quindici anni dopo che i cosiddetti Statuti sarebbero stati promulgati, che l'illustre Cardinal Bessarione, Patriarca di Costantinolpoli, nell'atto di donare la sua preziosa biblioteca alla Repubblica, così si espresse:
"Quale Paese offre a uno un rifugio sicuro come il vostro, governato da equità, integrità e saggezza? Qui la Virtù, la Moderazione, la Serietà, la Giustizia e la Buona Fede hanno fissato la loro dimora. Qui il Potere anche se grande ed estensivo, è tanto giusto quanto delicato. Qui il saggio governa, il buono comanda sul perverso e gli interessi particolari sono sempre sacrificati al benessere generale".
Riflessioni come queste spinsero Paul Valery (uno dei più noti viaggiatori Francesi, miglior conoscitore dell'Italia di quanto lo sia la maggior parte degli stranieri) a scrivere nel 1838:
"Ho abbandonato i miei pregiudizi sugli Inquisitori Veneziani, e lo ho fatto con grande soddisfazione; perché è rinfrancante trovare che, infine, nella storia ci sia stato un minor numero di oppressori. Ci si deve rammaricare che uno storico illuminato come Daru abbia voluto credere negli pseudo-statuti dell'"Inquisizione di Stato" che trovò manoscritti nella Biblioteca Reale Francese, e che tutti i Veneziani istruiti considerano apocrifi e fabbricati da un ignorante nemico della Repubblica. Gli Inquisitori di Stato erano Guardiani delle Leggi, tribuni silenti cari al popolo. Gli Inquisitori difesero il popolo dagli eccessi del potere aristocratico 4".
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È dimostrato che i Veneziani moderni non sembrano aver paura di alcuna approfondita indagine sulla storia antica del loro Paese. Anzi la desiderano, come si evidenzia nello zelo con cui hanno cominciato immediatamente, dopo la chiusura della dominazione Austriaca, a pubblicare i tesori più importanti dei loro fino ad allora impenetrabili archivi.
Fra questi c'è una collezione di documenti relativi alla storia del Palazzo Ducale. Contiene le minute delle sedute del Consiglio dei Dieci dal 1254 al 1600; in esse non si trova alcuna traccia, per esempio, degli annegamenti che sarebbero stati decretati negli pseudo-statuti. Cercherete senza trovarle anche indicazioni di roghi al palo in Venezia, il Paese che, unico fra le terre Europee, mai testimoniò quell'orrore. |
Paul Valery
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Quanto al nome del Canal dell'Orfano, nel quale così tante vittime di una malvagia ragion di stato si dice siano state annegate senza rimorso, quella denominazione non necessariamente deriva dai tanti orfani che sarebbero stati prodotti in esso per ordine degli Inquisitori; i Veneziani moderni ritengono che quel canale fosse così chiamato da secoli prima che venisse a esistere l'Inquisizione di Stato.
Molto è stato detto a proposito della conveniente opportunità offerta alla malvagità dal mettere a disposizione ricettacoli per denuncie anonime agl'Inquisitori. Certamente non vi erano più relazioni tra queste "bocche di leone" e la tirannia, di quante ve ne siano tra la tirannia e le cassette postali appese ai nostri lampioni. Quanto alle lettere anonime indirizzate agli inquisitori, già una legge del 1387 decretava che fossero immediatamente bruciate. E anche quando, verso la fine del sedicesimo secolo, queste manifestazioni furono talvolta ammesse, nessun provvedimento poteva essere preso contro un accusato, senza l'approvazione dei quattro quinti del Consiglio. Si deve anche rimarcare che le precauzioni prese per evitare false testimonianze e false accuse erano maggiori in Venezia che in qualsiasi altro Paese.
Uno degli innumerevoli pozzi pubblici in Venezia
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È stato detto che la principale riserva d'acqua era collocata dentro le mura del Palazzo Ducale, in modo che le autorità potessero spegnere ogni rivolta chiudendo al popolo le forniture dell'indispensabile elemento. Ma a fianco delle due magnifiche riserve nella corte del Palazzo, ve ne erano numerose altre in altri luoghi, e quasi ogni casa privata disponeve di propri pozzi o cisterne. Documenti che risalgono al 1303 parlano di una Magistratura, simile agli attuali Commissari dell'Acquedotto, il cui compito principale era assicurarsi che ogni nuovo edificio abitativo fosse fornito di un pozzo. |
Adesso qualche parola sui "Piombi", quelle celle di presunta tortura poste all'ultimo piano del Palazzo Ducale, immediatamente sotto la copertura di piombo. Sarà interessante citare la testimonianza di Daniele Manin, il dittatore patriota nella rivoluzione del 1848, a proposito di queste presupposte invenzioni della malignità umana.
Un critico di Parigi, dovendo recensire un lavoro che lamentava i "misteri di Venezia", e che pietisticamente si dilungava sul "Ponte dei Sospiri", sugli "orribili piombi" ecc., mostrò il suo articolo al patriota. |
Daniele Manin riproclama la Repubblica in Piazza San Marco |
Dopo averlo letto, Manin gli fece questo discorso: "È possibile che voi, uomo educato e serio, crediate a queste storielle insensate? Ancora credete alle fole di quando eravate a balia? Conosco bene sia questi "piombi" che questi "pozzi". Io ci sono stato prigioniero e vi posso assicurare che non erano affatto degli alloggi orribili. Credete quando vi dico che tutto questo discorso sulle crudeltà di Venezia non è che pettegolezzo”.
Poi Manin mostrò al suo meravigliato amico come la Serenissima Repubblica non avrebbe potuto sopravvivere così gloriosamente per così tanti secoli se il suo Governo non fosse stato indulgente e popolare 5.
Infatti, ancora ai nostri giorni i Veneziani conservano un ricordo affezionato di quel Governo; da questo si comprende il ricostituirsi dell'unità popolare nel proclamare e sostenere la loro Repubblica del 1848, mentre altrove il movimento Italiano non fu che mera attività di una fazione rivoluzionaria.
John Howard, courtesy of http://gallery.nen.gov.uk/image72250-swgfl.html
Questi piombi non avrebbero potuto essere ghiacciaie d'inverno e fornaci in estate, se Howard, il grande riformatore delle prigioni inglesi, dichiarò ufficialmente la loro salubrità 6.
Tra l'altro, non è vero che siano state collocate immediatamente sotto il tetto del Palazzo. Ruskin misurò accuratamente lo spazio tra il soffitto delle celle e il tetto, trovandolo in alcuni casi di nove metri, e negli altri mai inferiore ai cinque metri 7.
Dodici anni prima della caduta della Repubblica Veneziana, il celebre astronomo Lalande disse, a proposito degli Inquisitori di Stato:
"Essi sono distinti più per la loro saggezza che per il talento. Essi sono scelti fra gli uomini la cui età garantisce libertà dalle passioni e dai pericoli del pregiudizio o della corruzione. Raramente infatti si verifica qualsiasi abuso del potere assoluto loro conferito 8". Il lettore ricordi che tale lode viene da un "filosofo".
L'eminente storico Botta dice:
"Venezia fu senza seri conflitti per molti secoli. Essa fu oggetto di attacco per le Nazioni più potenti - i Turchi, i Germani e i Francesi. Fu sulla strada di conquistatori barbari, e nel mezzo di rivoluzioni delle genti. Tuttavia uscì sana e salva da ogni tempesta politica; tale era la perfezione delle sue antiche leggi, così a fondo avevano spinto le radici date loro dal tempo, che Venezia non dovette mai cambiare il proprio carattere".
È mia ferma convinzione che non sia mai esistito un governo più saggio di quello di Venezia, sia che si consideri la sua preservazione che la felicità dei suoi sudditi. Per questa ragione Venezia mai ebbe pericolose fazioni nel suo seno, e per la stessa ragione mai nutrì paura delle nuove idee...
Non so se si dovrebbe provare pietà o indignazione verso coloro che tanto ferocemente inveiscono contro l'Inquisizione di Venezia e che pretendono di considerare l'esistenza di quel tribunale come giustificazione per la morte inflitta all'antica e sacra Repubblica 9.
Carlo Botta, Jerome Lalande, John Ruskin, courtesy of Wikipedia
La ragione sovrana per l'ostilità esercitata da così tanti moderni verso la memoria della Repubblica Veneta è il fatto che fosse preminentemente "clericale", come è moda "liberale" al giorno d'oggi di definire qualsiasi cosa non sia manifestamente ostile alla Chiesa Cattolica.
Secondo i clamorosi filosofisti della scuola liberale, "clericalismo" è uno scherno alla ragione, una negazione della luce del Sole, un imprecare alla libertà, un'esaltazione del dispotismo, una subordinazione di ogni potere civile a una teocrazia, un'ignoranza di tutte le conquiste della scienza moderna, un calpestare la dignità umana; infine - e questo somma tutte le iniquità del "clericalismo" - è un ritorno all'oscurità caliginosa del Medio Evo.
Cos'altro che malinconia può indurre in un radicale lo spettacolo di una città ansante negli incubi di duecento chiese, trenta istituzioni religiose maschili, trentacinque monasteri femminili e innumerevoli confraternite? E, cosa ancor più triste da riportare, ciascuno di questi monumenti della devozione religiosa dei Veneziani deve la sua origine da qualche voto di ringraziamento per il favore ottenuto da Dio.
Philippe de Commines, courtesy of Wikipedia
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Bene la Repubblica meritò il titolo di Cristianissima, conferitole da Papa Onorio nel settimo Secolo, il terzo della sua esistenza. Trentanove volte l'anno la capitale vedeva il Doge e il Senato al completo, recarsi a qualche chiesa in pompa magna, per adempiere a voti fatti in occasione di pericolo per lo Stato 10.
Sempre gli osservatori stranieri furono edificati dalla pietà manifestata nel compimento di questi doveri.
Philippe de Commines scrisse nel 1494:
"Venezia è la città più gloriosa che io abbia mai visto, ed è la più saggiamente governata. La devozione di Dio è condotta qui più degnamente che altrove; anche se i Veneziani possono avere le loro colpe, io credo che Dio li aiuti tenendo conto della loro riverenza per la Chiesa 11".
Quando la Repubblica fu vecchia di dodici secoli, questo spirito era ancora forte come quando la dubbia propsperità della sua infanzia la attrasse verso gli altari di Dio. Albrizzi scrisse nel 1771:
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"la caratteristica più degna di nota di questa augusta Repubblica è il suo fermo e inviolabile attaccamento per la Chiesa Cattolica. I comandanti dei suoi eserciti, i governatori delle sue fortezze, nelle loro guerre con i Turchi, hanno difeso la Fede con il loro sangue, e spesso tra le più crudeli torture. Nei momenti più critici questo saggio governo ha prestato la massima attenzione verso la preservazione della Fede in Gesù Cristo nella sua purezza... Quello zelo è visibile ancora oggi... I monumenti più cospicui di Venezia provano la pietà del suo governo in ogni periodo della sua esistenza. Il ricordo delle molte vittorie di Venezia è rinnovato ogni anno da qualche cerimonia religiosa, condotta con l'appropriata maestosità. Il Doge, a capo del Senato, adempie questo pio dovere... Possiamo quindi dire che i Veneziani sono molto assidui nelle loro pratiche religiose; in ogni giorno di festa, e specialmente nel giorno della Santa Vergine, loro protettrice12, le chiese si riempiono di persone d'ogni classe e condizione, tutte avvolte nel raccoglimento della memoria 13".
Come altri Paesi, Venezia passò attraverso molte lotte con la Santa Sede, ma queste mai riguardarono questioni di Fede.
Anche durante il terribile allontanamento da Roma nel Pontificato di Paolo V, l'interdetto lanciato da quel Pontefice non spinse Venezia, come predicevano i Riformatori, nei ranghi del Protestantesimo. Come sarebbe stata possibile una simile defezione, si domanda Cantù,
"quando Venezia era profondamente Cattolica? Le sue origini, i suoi Patroni, le sue Feste Nazionali, le sue Belle Arti, tutto la proclama tale..." E continua: "quale persona di buon senso potrebbe sostenere che quella Religione stava per perire, mentre proprio allora si andavano edificando tante chiese sontuose? Potrebbe un governo eminentemente conservativo, mentre lo spirito pubblico era così identificato con il Cattolicesimo, aver anche solo sognato una rivoluzione così radicale? Abbiamo studiato molti documenti sull'Interdetto di Venezia, e, se abbiamo trovato molta audacia e molto scontento, abbiamo sempre potuto discernere la sottomissione Cristiana e il desiderio di riconciliazione 14". |
Cesare Cantù, courtesy of Wikipedia
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Ma questo spirito Cristiano dispiace ai liberali dei nostri giorni, ed essi hanno quindi rievocato le accuse fatte contro Venezia dal Bonaparte, il capobanda nel grande crimine con il quale l'antica Repubblica fu rimossa dalla lista delle Nazioni.
Lasciamo al giudizio del lettore valutare se quelle accuse siano veritiere e se tra tutti i governi, quello in cui meglio fiorì l'eguaglianza di fronte alla legge, quello che fu il più patriottico dell'intera Cristianità e il più longevo, sia proprio quello che la brava gente più debba detestare.
Veduta di San Marco alla Festa della Sensa di Giovanni Antonio Canal "Canaletto".
NOTE
1 L' “Inquisizione di Stato” di Venezia non deve essere confusa con quella Romana (Sant'Uffizio) o quella Spagnola. Quella Romana fu un tribunale ecclesiastico, la Spagnola un tribunale del Re; entrambe si occuparono di eresie e simili delitti. Il tribunale Veneziano, reso permanente nel 1414, era puramente politico, ed era composto di tre persone - due scelte dai Dieci, e una dal Consiglio del Doge. La sua giurisdizione era universale, non andandone esente neppure il Doge. Originalmente era chiamata "Inquisizione dei Dieci", ma nel 1610 cambiò la denominazione in “Inquisizione di Stato”. Il suo potere era illimitato in tutti gli affari di Stato e di Polizia. Disponeva del Tesoro di Stato, dava istruzioni agli ambasciatori, ecc., e alla necessità deponeva il Doge. COmunque, quando intraprese l'azione giudiziaria verso il Doge Marin Faliero, chiamò una Giunta di venti aristocratici, che rimase operativa fino al 1582.
2 "Non ho notizia di alcuno scrittore," dice Daru, "anche tra i Veneziani, che abbia parlato di questi Statuti". Vedi: “Histoire de la République de Venice,” edit. 1821, vol. vi, p. 385.
3 Vedi un eccellente articolo nella British Review dell'Ottobre 1877, p. 377. La falsità di questi Statuti, e di molte delle asserzioni del Daru riguardo a venezia, è stata perfettamente dimostrata dal conte Tiepolo nel suo: "Discorsi sulla Storia Veneta” Udine, 1828.
4 “Voyage en Italie,” vol. i, p. 314.
5 J. Morey, in “Illustrations et Célebrités du XIXe Siècle,” vol. v. Paris, 1884.
6 “State of the prisons in England and Wales, with preliminary observations and an account of some foreign prisons.” London, 1777.
7 “Stones of Venice,” vol. ii, p. 293; note. London, 1852.
8 “Voyage en Italie, Contenant l’Histoire et les Anecdotes les plus Singulières de l’Italie.” Paris, 1786.
9 “Storia d’Italia da 1789 a 1814.” Firenze, 1816.
10 Le Cerimonie per la Settimana Santa erano particolarmente splendide. Saint-Didier, nel suo “La Ville et République de Venice,” scritto nel 1679, dice che per le luminarie in Venezia la notte del Venerdì Santo, si usava consumare più cera bianca di quanta se ne consumasse in tutta Italia nel corso di un anno.
11 “Mémoires,” b. vii, ch. 8, at year 1494.
12 La Festa dell'Annunciazione è l'anniversario della fondazione della città Capitale. Per questo sul pavimento della Chiesa di Santa Maria della Salute leggiamo: "Unde origo, inde salus".
13 “Il Forestiere Illuminato della Città di Venezia.” Venezia, 1771.
14 “Gli Eretici d’Italia,” vol. iii, p. 188. Turin, 1866.
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