Storia di Venezia

Pagina pubblicata 8 Luglio 2014

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799, XXXIII

INDICE || Tomo Primo 1788-1796 || Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , XXXIII
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE SECONDA
Del Progresso della Rivoluzione dal Primo Giugno 1796 al 12 Marzo 1797 (pagg. 173 - 396)

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L'Accademia dei Pugni con Pietro Verri

L'Accademia dei Pugni con Pietro Verri (secondo da destra) protagonista dei conflitti interni alla Municipalità di Milano (courtesy of Wikipedia).

Riportiamo dunque la nostra attenzione ai documenti diplomatici che la congiura dei Savj di Collegio tenne nascosti al Senato Veneziano, con un Dispaccio di Alessandro Ottolini, capitano e vice Podestà di Venezia in Bergamo.

Il messaggio porta la data del 5 Febbraio 1797 (1976 More Veneto), e tra varie notizie locali di relativo interesse, ne riporta una che da sola è capace di documentare una delle tesi enunciate in queste pubblicazioni come deduzioni logiche, ovvero il fatto che i "prigionieri" austriaci di Napoleone venissero subitamente riarruolati nella Armée d'Italie.

La prima informazione trasmessa con il dispaccio riguarda le attività di un prete, tale don Ottavio Morali di Lonate, persona di dubbia reputazione che svolgeva mestiere di aio in casa del N.H. Pietro Persego in Bergamo. Da mesi il Morali si era assentato da Bergamo per recarsi prima a Milano come segretario di quella Municipalità, e poi in Corsica a svolgere attività di propaganda delle "massima moderne".

Morali "tiene varie corrispondenze con qualche Nobile mal intenzionato" in Bergamo, e Ottolini ha intercettato una sua lettera indirizzata a "una di queste Signore" con inclinazioni moderniste.

Dalla lettera si evince l'intenzione del Morali di tornare a Bergamo per qualche giorno, e Ottolini chiede istruzioni sul da farsi.

Alcuni sudditi bergamaschi cominciano a subire il fascino di Napoleone e ad arruolarsi nelle sue Legioni. Ottolini vigila, ma avverte che le pratiche di arruolamento sono molto difficili da impedire a causa di non meglio specificate "insidie".

Segue la trascrizione di una lettera inviata a Ottolini dal suo agente in Milano. Una osservazione su questa lettera è innanzittutto l'intestazione: "Nobil Sig. Francesco Sig. mio Distintissimo".
Ottolini, come sappiamo, si chiama invece Alessandro. Può trattarsi di una elementare precauzione di segretezza, ma potremmo anche essere di fronte a uno scavalcamento di Ottolini per rivolgersi direttamente al procuratore filo-francese Francesco Battaja.

Il corrispondente da Milano ragguaglia in merito a suoi abboccamenti con un "Prete Corso", che egli sta prudentemente circuendo per ottenere informazioni.

Da pag. 372:

... posso dirle esser Costui un Emissario, mandato qui già da tempo da Buonaparte, che da questi ebbe mille e larghe promesse, delle quali si lagna d'inesecuzione.

Il Prete Corso confida all'agente degli Inquisitori, che verosimilmente si spaccia per un amico occasionale, grazie a un terzo "comune amico", alcune notizie interne alle dinamiche di potere francesi.

Napoleone ha ricevuto delle lagnanze da parte del Direttorio. Egli godeva già dell'appoggio di tre dei cinque "Re Capi dei Cinquecento", mentre i rimanenti due appoggiavano Garrau e Saliceti.
Buonaparte ha adesso comperato il consenso anche di questi due grazie a "grossi donativi", prelevati dalle estorsioni nello Stato di Milano.

Garrau e Saliceti, che esercitavano come Commissari il potere esecutivo di "Controlleria" sono adesso esautorati a fronte del Generale.

Bonaparte cerca di ottenere 40.000 uomini dall'Armata del Reno in occasione del probabile armistizio su quel fronte.
Userà questi uomini per riconquistare Trento, spingersi fino a Trieste e aumentare la pressione su Mantova (questo rapporto da Milano non è datato, ma, accluso al dispaccio del 5 Febbraio, possiamo dedurre che sia stato scritto poco prima della resa del Wurmser il 3 dello stesso mese).

Per realizzare il suo piano Napoleone imporrà sullo Stato di Milano una nuova "Contribuzione Militare".

"Del Veronese, Bresciano, Bergamasco, e Cremasco se ne parla ora più che mai serissimamente." Se anche non gli fosse possibile ottenere le due prime Province, Napoleone vuole le altre due "per assoluto".

La spia veneziana vorrebbe sperare che si tratti di millanteria, di "Chateux en Espagnè", ma teme, poiché "il Prete cantò con troppa franchezza", che "nella Dominante vi siano delle segrete intelligenze".
Di questo argomento dell'invasione delle Province venete "se ne parla troppo, e come di cosa già stabilita".

Segue la descrizione di alcuni eventi interni alla Municipalità Milanese, e specificamente nel "Consiglio dei 40 (numero però che finora non si è potuto completare)".
Da pag. 373:

ll Congresso delle Bestie, la Torre di Nembrotte, ove seguì la confusione delle lingue, le Biscaccie,(1) i Postriboli mi si dicono un'ombra pallida di questo rispettabilissimo Convocato.

Il Consiglio dei 40 si era istituito come controllore dell'Amministrazione, sì che nessuna spesa si sarebbe d'ora in poi potuta fare senza la sua autorizzazione.
Da pag. 373:

Da ciò nacque lo Scisma. Custodi gelosissimi gli Amministratori dello Stato di quel pien potere, da loro esercitato fin ora con tanto loro particolar lucro, vedendosi al presente tagliate le ugne, ed alla vigilia di prendersi un Vomitorio pel rendimento dei Conti passati, cui vengono costretti mediante le istruzioni date da Bonaparte al Consiglio, ... cominciarono a contendere...

La prima riunione di questo Consiglio si era tenuta nel palazzo di Pietro Verri,(2) presidente dello stesso Consiglio e con essa si erano espulsi, per ordine diretto di Napoleone, i rappresentanti di Pavia (Delili), Lodi (Carminati) e Cremona (Carnevali), senza provvedere a sostituti.

Le successive due riunioni si tennero al Palazzo Nazionale (già Arciducale), alla presenza di 52 persone, in quanto al Consiglio si erano aggiunti gli uomini dell'Amministrazione Generale dello Stato.

Nella terza convocazione, aveva preso per primo la parola il Presidente Verri, ma ben presto il consesso degenerò in rissa:
Da pag. 373:

Il Verri qual Presidente al Consiglio intonò il primo il discorso. Saltò su il Marchese Visconti Presidente dell'Amministrazione, e volle parlar Esso.
Uno de' Segretari del Congresso per farlo tacere, suonò il Campanello, ed uno degli Amministratori glielo strappò dalle mani.

Verri tenta di riprendere il discorso, ma il Conte Porro, amministratore, gli intima il silenzio.

Pietro Verri si adombra e minaccia di andarsene.

Intervengono allora due uomini di legge, l'avvocato Sommariva per l'Amministrazione e il dottor Custodi per il Consiglio, che riescono a riportare la calma.

Verri completa il suo discorso dove pone l'impellente necessità di ricevere dall'Amministrazione un dettagliato rendiconto delle spese al fine di meglio distribuire la nuova contribuzione di 12 milioni di lire Tornesi imposta da Napoleone.

Gli risponde "di volo" Visconti dell'Amministrazione, che tenta di sorvolare sui rendiconti dando per scontato che i conti siano sempre stati pronti e aggiornati, e di passare direttamente alla discussione sulla nuova tassa.

Verri non accetta di sorvolare ed esige che tali conti, se pronti, siano prodotti al Consiglio prima di ogni altra decisione.

Principale malversatore beneficiario delle truffe erariali era a quanto pare il Visconti, che era stato per lungo tempo in avanti partigiano e corrispondente diretto del Napoleone prima della caduta di Milano. Era stato poi il primo dittatore della nuova Municipalità.

Egli dunque contrasta il Verri sostenendo il suo diritto di presentare quei conti solo al Bonaparte.

Il Verri col suo Consiglio sono però in possesso di un ordine diretto del Napoleone che li incarica di revisionare quei conti.

Evidente la mossa di Buonaparte per seminare zizzania violenta tra i suoi stessi sostenitori, facendo leva sulle umane o bestiali avidità di questi.

Porro e Sommariva parlano in sostegno del Visconti, Custodi a sua volta parla per il Consiglio, ma non è più conciliante: taccia apertamente di ladri i Municipalisti, gli amministratori e il Visconti.
A quest'ultimo dedica anche una personale invettiva:
da pag. 374:

... ch'Egli era anzi il Capo di tutti li più infami Ladroni, e che aveva tanto in mano di provarglielo, perché lo aveva tenuto d'occhio fino dal mese di Maggio, e che egli aveva di fatto il processo in via d'inquisizione...

Seguì un accapigliamento, e si dovettero aprire le porte della sala e far entrare le Guardie a impedire che venissero alle mani.

Vi è poi nel messaggio dell'agente segreto una comunicazione personale al suo superiore, nel quale si mostra dolente di non potergli procurare le quattro bottiglie di rum giamaicano che gli erano state richieste, perché a Milano circola solo del rum definito pessimo dagli stessi venditori.
È una notizia forse futile, ma che unita a quella con cui la spia terminerà il suo messaggio, getta una luce inquietante sull'interlocutore e sulla mentalità con cui affrontava la gravissima situazione.

L'agente in Milano informa poi su un altro agitatore, tale Gian Antonio Ronza, italiano ma naturalizzato francese, che è riparato in Milano sfuggendo alla condanna capitale comminatagli dal re di Piemonte per aver preso parte, con tale Azzari, impiccato a Torino, a un non meglio specificato "tentativo di ribellione a Valenza".

Ha preso dimora in "casa Litta ai Servi", dove sotto il nome di Accademia Letteraria ha aperto un nuovo Club.

Scrive e pubblica trattati sovversivi, "terribili perché non sempre diretti alla Luna".
Tali trattati vogliono prefigurare l'esito della presente guerra con una totale sconfitta dell'Austria sul suolo italico.

A seguito di quella, il Ronza ipotizza la divisione d'Italia in due Repubbliche tra loro confederate, la nuova Cispadana e l'antica di Venezia, la cui comune capitale sarebbe Pisa dove un parlamento comune dovrebbe riunirsi ogni cinque anni.

Tra le due Repubbliche vi sarebbero delle compensazioni territoriali:
Venezia perderebbe Veronese, Bresciano, Bergamasca e Cremasco a favore dei Cispadani, acquisendo però L'Istria, il Friuli Austriaco e Trieste.

Tuttavia questa offerta ai Veneziani sarebbe valida solo a patto che essi spontaneamente si liberassero della loro presente Aristocrazia di Governo entro il 1797.

Il Ronza avrebbe anche espresso valutazioni sui Rettori Veneti di Terraferma, soffermandosi in particolare sull'Ottolini.
Da pag. 375:

... molto si fermò sull'attuale di Bergamo troppo giovine nel maneggio de' Pubblici affari, e che per affettar sostenimento alla rimbambita, ma cadente Aristocrazia, vuol rimaner schiacciato sotto le rovine di essa

Questa "spiata" rafforza l'ipotesi che l'agente di Milano indirizzasse il suo messaggio al Battaja, che come tutti i congiurati veneti filo-francesi osteggiava fortemente l'Ottolini, dal quale si temeva potesse attivare la resistenza attiva dei trentamila Bergamaschi in armi.
Ottolini non prenderà quell'iniziativa, purtroppo per lui e per la nostra Repubblica, e farà proprio la fine preconizzatagli dal Ronza.

L'agente da Milano passa poi a descrivere il fenomeno dell'arrivo dei prigionieri austriaci a Milano, il Proclama che li precede e due episodi connessi.

Sappiamo dai precedenti racconti che il solo Alvinzy, nelle due Campagne di Arcole e Rivoli aveva lasciato in mano francese circa 25.000 prigionieri, e che questi erano stati avviati a Milano.

A quanto ci racconta la nostra spia, però, a Milano ne giunsero molti meno. Il numero da lui citato esplicitamente è 3000. Possibile che ve ne fossero altri, ma il nostro informatore non ne parla, né accenna a un numero che sarebbe stato pari a circa un quarto della popolazione cittadina dell'epoca.

L'arrivo di questi prigionieri era stato preceduto da un Proclama:
da pag. 376:

Proclama, col quale si proibì sotto pene rigorosissime a chiunque l'avvicinarsi, il parlare, ed il fare elemosina a qualunque siasi prigioniero del Tiranno d Austria.

Si instaurò regime di coprifuoco, furono raddoppiate le Guardie Nazionali, si misero cannoni a miccia sempre accesa nei luoghi più frequentati.

Quando arrivarono i prigionieri, essi da oltre 24 ore non ricevevano né cibo ne acqua, e rimasero fino al mezzogiorno successivo privi di ogni ristoro.
Da pagg. 375 - 376:

Che qui siano giunti molti Prigionieri Austriaci di tutte le sorta, ella lo sa, ma non saprà forse le esecrabili tirannie, che da Francesi gli si fanno soffrire. Quando arrivarono, eran più di 24 ore, che non eragli stato somministrato alcun cibo, e ve ne stettero fino al mezzo giorno di domani a negargli ristoro, nè di pane, nè di acqua, nè di fuoco, di modo che perirono moltissimi e di inedia, e di freddo.

Le miserrime condizioni in cui versavano questi prigionieri, più volte portati a marciare all'aperto sotto la pioggia, mossero sovente elementi della Popolazione milanese a trasgredire al Proclama per soccorrere alcuni di coloro che si accasciavano esausti, causando durissime reazioni da parte dei Francesi, con molta turbativa dell'Ordine Pubblico.
Il nostro agente a Milano descrive dettagliatamente, a pagina 376, due episodi di cui fu testimone oculare e che fanno molto onore all'umanità del Popolo di Milano.

Più sotto, stringatamente, la notizia che ho preannunciato in apertura di questa pubblicazione:
da pag. 376:

Fatto è, che i prigionieri, che non si sentono di morir di fame, e di freddo, son costretti ad arruolarsi legionarj; ed a quest'ora se ne saran fatti con tale astuzia forse 600.

Tale trattamento era quindi, desumibilmente, riservato agli irriducibili. A quei soldati che sui campi di battaglia austriaci, da Loano a Rivoli, abbiamo sentito gridare al tradimento da parte dei loro ufficiali.
A quei Croati che non erano stati convinti alla diserzione dalla propaganda delle logge filo-francesi, a quei militi austriaci ligi alla propria Patria, a coloro che non si erano fatti ammaliare dalla promettente carriera sociale e militare sotto le insegne meritocratiche del Napoleone.

Questa semplice frase della spia da Milano ci dice che, quando il riarruolamento dei "prigionieri" non fosse stato volontario, subentrava quello forzato, o in alternativa lo sterminio (ho notizia dal dott. Paolo Foramitti dell'esistenza di un Diario lasciato da un prigioniero Austriaco che sarebbe effettivamente riuscito a raggiungere la Francia come deportato. Non ho ancora potuto esaminare questa fonte. Non è improbabile che effettivamente i più robusti tra gli irriducibili abbiano infine raggiunto campi di prigionia in Francia. Darò ulteriori ragguagli su questo testo in seguito, se riuscirò a esaminarlo).

Tre, forse quattromila uomini su 25.000 dimostrarono una vocazione eroica di un tipo molto peculiare. Non quella entusiastica della gloriosa morte in battaglia, ma quella assai più intensa e pura della fedeltà nella prigionia, nelle privazioni e nelle umiliazioni.

Questi uomini che si trascinarono esausti per le vie di Milano in nome della fedeltà a una Corona che vistosamente li aveva traditi sono a mio modo di vedere i veri grandi Eroi di questa guerra, uomini che dovrebbero essere ancora oggi celebrati e costituire l'orgoglio delle Nazioni che ereditano la Tradizione del loro Esercito.

L'agente da Milano conclude con un allegato che ben si sposa con la notizia della penuria di rum giamaicano di qualità. L'Abate Tentori non ci riporta tale allegato, ma sappiamo che si tratta di un' "ode saffica".
Da pag. 377:

L'includo un'ode Saffica gettata dal Loggione di questo Teatro. Trattone l'argomento, il resto mi piace, perché mi par bello. Se avessi avuto tempo, la avrei trascritta per non mandargliela così sporca: perciò scusi l'inciviltà.

Include l'ode saffica ma rimanda invece "Il disegno del ponte, e delle fortificazioni sul Pò, ... con cent'altre piccole cose, che per ristrettezza di tempo ommetto.".

Questo dettaglio ancora a mio modo di vedere indica che il vero destinatario del Dispaccio non fosse l'Ottolini.

Per come lo abbiamo conosciuto, il Vice Podestà di Bergamo non sembra essere il tipo, né trovarsi nelle condizioni, da preoccuparsi per qualche bottiglia di rum o per godere esteticamente di un'ode decisamente non confacente a un ligio funzionario dello Stato Veneto.

Tali "accessori", al contrario, sembrano adattarsi estremamente bene alla corte del Battaja che, come già sappiamo, aveva trasformato la sua Magistratura in una sorta di salotto di sapore "libertario", se non tout-court in un Club giacobino.

Napoleone in un quadro di Gros, visto allo specchio

Napoleone in un quadro di Gros, visto allo specchio (courtesy of Wikipedia).

Prima ancora di questo rapporto da Bergamo e Milano, sulle scrivanie degli Inquisitori era giunto, in data 20 Gennaio 1797, un altro Dispaccio, inviato da Antonio Maria Priuli, "Capitanio e Vice Podestà" di Verona, che il Supremo Tribunale trasmise ai Savj del Collegio in data 22.

Di questa comunicazione il Tentori ci rende "il fedele riassunto, da cui rileverà il Lettore l'arte nefanda, con cui il General Buonaparte si studiava di addormentare sempre più il Governo, onde più agevolmente riuscire nel premeditato tradimento.".

Il Dispaccio da Verona sostanzialmente riporta una serie di "suggerimenti" dati al Priuli da parte di Napoleone, in occasione del suo soggiorno in Verona.

Buonaparte è favorevole alla Repubblica Veneta: se essa fortificherà la sue piazze e le Truppe, egli non tenterà di espugnarle e combatterle.
Si spinge anche a proporre un piano militare per Venezia.

  • Cambiare la strada convenzionale di transito delle truppe austriache sul suolo veneto da quella di "Campara" (3) in quella "dell'Ospedaletto per Ruan Pracassai ec."(4).
  • Che Venezia dichiari nemica ogni Potenza che passi il fiume Oglio in tempo di guerra (richiesta non chiara, dal momento che Napoleone stesso lo ha da poco "passato"; forse teme la possibilità di un attacco austriaco alle spalle lungo l'alto corso di quel fiume).
  • Che si costruiscano due fortezze sull'Oglio.
  • Si munisca ben bene il Castello di Bergamo (già in mano sua).
  • Si restauri Peschiera, che i Francesi senza fallo restituiranno.
  • Si eriga una torre sulle alture di San Marco (anch'essa in mano a Napoleone).
  • Idem si faccia una fortezza a Rivoli (l'attuale Castello ancora non esisteva).
  • Restaurare le difese di Bassano (in mano a Napoleone).
  • Restaurare la fortezza di Palmanova.
  • Venezia dovrà quindi istituire adeguati presidi per tutti questi luoghi, e disporre l'ausilio ulteriore di un corpo "volante" di ottomila uomini.

Napoleone spinge la sua benevolenza fino alla programmazione economica del piano, la cui spesa la Repubblica potrebbe ripartire in dieci anni. Poi esprime gratitudine a Venezia e promette di tutelare i suoi interessi a guerra finita; le assegnerebbe Mantova in cambio di Crema.

Il Corso si abbandona anche ad alcune confidenze sui rapporti di potere e le possibili alternative d'alleanza tra Francia, Turchia e Austria. La Francia comunque rimarrà repubblicana:
da pagg. 378 - 379:

... la Francia sarebbe sempre Repubblica o Democratica, o Aristocratica, ciò che poco importava agl'interessi del Popolo.

Infine, Napoleone pronostica al Priuli che "gli Stati d'Italia sarebbero in fine restituiti all'Imperatore; e che desiderava che la Veneta Repubblica offerisse per l'avvenire una Barriera alla Casa d'Austria, e che in ciò dimostrasse la sua riconoscenza.".

L'abate Tentori si lascia quindi andare a una breve invettiva verso Napoleone, la cui palese mendacia viene però accettata dai Savj come oro colato. Non tanto da indurli a seguire i consigli rinunciando alla cosiddetta "neutralità disarmata" ma essi vollero cullarsi nelle lusinghe e continuare nel loro sonno che anestetizzava l'intero Senato.

Abbiamo poi una descrizione di Mantova che proviene quasi sicuramente dalla "Gazzetta Universale" o dalle "Notizie dal Mondo", entrambe pubblicazioni filofrancesi.
Mantova è descritta come allo stremo per fame, malattie e decimazione della guarnigione.

Queste notizie sono a mio modo di vedere solo in parte vere. Comunque, il Maresciallo Wurmser consegna al Generale Serurier una proposta di "Capitolazione in 15 Articoli" che viene prontamente accettata nel giorno 2 Febbraio 1797.
Caso più unico che raro in cui le condizioni di una resa sono dettate da chi si arrende.

La presa di Mantova, quali che fossero le condizioni, conferma Napoleone nelle conquiste in Italia sino ad allora effettuate, e gli spiana la strada per concentrarsi nella conquista dei rimanenti Territori sottoposti al Veneto Governo nel Nord Italia.

Proseguendo, vediamo che il 12 Febbraio 1797 era giunto un Dispaccio del 25 Gennaio dal Querini in Parigi, che i Savj si affrettarono a occultare nella "Filza delle non lette in Senato", e che noi vedremo nella prossima Pubblicazione.

Umberto Sartori

Storia di Venezia - La fortezza Veneziana di Palmanova in Friuli

La fortezza Veneziana di Palmanova in Friuli (courtesy of Google Earth).


Note

Nota 1 - Peggiorativo di "bisca", losco luogo di gioco d'azzardo.

Nota 2 - Pietro Verri fu un nobile Milanese, fondatore di Accademie (celebre quella "dei Pugni") e di una delle prime riviste modernamente intese, "Il Caffé".
Egli fu anche uomo di fiducia della Corona Austriaca per il riordino del sistema economico e fiscale del Granducato di Milano. Verri scoprì e in parte corresse le malversazioni degli esattori fiscali i quali, oltre a vessare il Popolo, truffavano la Corona stessa.
Tale zelo finì col farlo mettere in disparte dalla vita pubblica Milanese, fino a quando la sua figura di onesto innovatore fu richiamata dal Napoleone.

Lo vediamo nel racconto del Tentori cercare di reprimere i malversatori anche nella Municipalità giacobina, ma senza troppa fortuna. Sarà anche un caso, ma il buon Pietro morirà circa un anno dopo i fatti qui raccontati, e proprio nel corso di una riunione della Municipalità Milanese, "Congresso delle Bestie", come pittorescamente la definisce il nostro agente a Milano.

Nota 3 - Località tra Pastrengo e Sant'Ambrogio in Valpolicella, ci si riferisce dunque alla strada lungo la valle dell'Adige.

Nota 4 - Presumibilmente la Valsugana, lungo il corso del Brenta. Praticamente Napoleone vorrebbe una ufficializzazione da parte veneziana della sua "conquista" in tutto il basso Garda, spostando la sovranità territoriale della Serenissima più a Est.


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