Storia di Venezia

Pagina pubblicata 14 Novembre 2011

Citazioni sulla Repubblica di Venezia dal dialogo
"Del Reggimento di Firenze" di Guicciardini, 1525

Citazioni || Rettifiche alla figura di Guicciardini || Venezia nella "Storia d'Italia"

   

Bernardo Del Nero mentore di Venezia

Al fine di inquadrare il testo che esaminiamo nella sua corretta portata storica, consiglio di leggere per prima cosa le rettifiche all'immagine di Guicciardini.

La lettura delle rettifiche è necessaria per correggere l'idea deviata dello Storico fiorentino diffusa dalla "Storia della Letteratura Italiana" di Francesco De Sanctis e da opere analoghe o a quella informate, che da oltre un secolo stampano le loro aberrazioni nella memoria della quasi totalità degli studenti.

A causa delle sue opinioni sui monarchi, sulla Repubblica e su Venezia, infatti, Guicciardini è fra i bersagli della campagna denigratoria antirepubblicana inscenata dalle monarchie dinastiche europee nella Restaurazione.

Quanto il malintendimento del Guicciardini e del suo pensiero sia radicato nella letteratura post-ottocentesca, risulta chiaro nella presentazione tratta da una recente monografia pubblicata su filosofico.net, sito collegato o collegabile all'Università San Raffaele di Milano e su altri siti didattici come www.atuttascuola.it.

Quella presentazione riguarda proprio il dialogo "Del Reggimento di Firenze", che intendo pubblicizzare con questo articolo traendolo dalle nebbie di confusione in cui si tenta di tenerlo avvolto.

L'Autore, il sig. Diego Fusaro, così descrive il Dialogo nella prima pagina dedicata alla vita e alle opere di Guicciardini:

"Guicciardini immagina una discussione svoltasi a Firenze nel 1494, due anni dopo la morte di Lorenzo il Magnifico. Gli interlocutori sono il padre dello scrittore, Piero, Paolantonio Soderini e Pier Capponi, tutti ferventi repubblicani, a cui si contrappone il vecchio Bernardo del Nero, legato al partito mediceo.

Storia di Venezia - Francesco Guicciardini, Del Reggimento di Firenze, frontespizio

Il frontespizio di una delle prime edizioni (1858) del dialogo "Del Reggimento di Firenze, di Francesco Guicciardini. (courtesy of GoogleBooks)

Quest'ultimo, partendo da un'impietosa analisi dei fatti e non da idee preconcette, dimostra ai tre amici quanto illusoria sia la loro fede repubblicana, sostenendo che il regime democratico presenta più numerosi e gravi difetti di quello monarchico.

Bernardo ammette tuttavia la difficoltà di restaurare il potere mediceo nelle circostanze presenti, proponendo in alternativa alla costituzione democratica un governo misto, che preveda un gonfaloniere a vita, un Consiglio Grande per l'elezione dei magistrati, un senato per la preparazione delle leggi e per la trattazione degli affari di maggiore importanza.
Emerge sin d'ora la convinzione che in politica non si possono dare delle regole assolute, teorie generali o dottrine sistematiche valide in ogni tempo ed in ogni luogo.
" (vedi screenshot filosofico.net).

La falsa luce che questa descrizione proietta sul dialogo è manifesta anche da una sola citazione, perché quel protagonista che l'autore vuol spacciare per fazionista mediceo, Bernardo, è invece fervente repubblicano. A lui il Guicciardini assegna il compito di trarre la figura conclusiva del Dialogo dopo aver ascoltato i pareri dei suoi interlocutori. A lui fa dire:

Parmi bene che in genere il Governo sia buono e che abbia quelle parte principali che si ricercano in una republica libera, ed ha grandissima similitudine col Governo viniziano, il quale, se io non mi inganno, è il più bello ed il migliore Governo non solo de' tempi nostri, ma ancora che forse avessi mai a' tempi antichi alcuna città, perchè participa di tutte le spezie de' governi, di uno, di pochi e di molti, ed è temperato di tutti in modo che ha raccolta la maggiore parte de' beni che ha in sè qualunche Governo e fuggiti la più parte de' mali.

Storia di Venezia - Leone veneziano di San Marco

Bernardo è qui la voce di Francesco Guicciardini stesso, quella voce che vedremo sempre attenta a cogliere i lati positivi del Governo Veneziano anche attraverso i venti Volumi della "Storia d'Italia".

Può essere indicativo sapere che in "Del Reggimento di Firenze" riscontriamo 11 volte la parola "Vinegia", e 30 volte la parola "viniziani/o/a"; 49 volte la parola "Firenze" e sei volte "fiorentini/o/a".

In effetti il Guicciardini scrive di Venezia quasi quanto di Firenze, con la differenza che parlando di questa ne compiange l'infelice faziosità, mentre in Venezia addita l'esempio da imitare.

Nel dialogo non appare alcun comportamento contrappositivo fra gli interlocutori, che sono invece tesi a trovare una soluzione condivisibile procedendo per giustapposizione. L'accordo sarà raggiunto nell'indicare Venezia e la sua Repubblica come modello per ogni Buon Governo.

Diego Fusaro non scorge l'evidenza, ed evita accuratamente di nominare la Repubblica di Venezia, che pure è il modello cui lo statista fiorentino esplicitamente e ripetutamente riferisce la sua speranza di poter dare a Firenze un Governo stabile e sicuro.

Oltre a falsificare sommariamente la figura del principale protagonista, Bernardo, omette dunque anche l'asse portante delle argomentazioni, rendendo l'idea di un'opera inconcludente e sostanzialemnte antipolitica e antirepubblicana.

Confronti il lettore se "la convinzione che in politica non si possono dare delle regole assolute ..." estrapolata dal Fusaro non sia piuttosto sua propria, che del Guicciardini, leggendo anche solo questo brano della prima Prefazione al libro, scritta da Giuseppe Canestrini, curatore degli inediti guicciardiniani, per l'edizione del 1858:

"Fine supremo della scienza politica presso tutti i popoli e in tutti i tempi fu quello di costituire gli Stati indipendenti e sicuri, e di determinare i diritti politici dei cittadini a conservazione e guarentigia dei liberi ordinamenti; se non che a raggiungere 1' effetto fa di mestieri che dal pubblicista vengano profondamente meditate, e con esattezza definite le funzioni del Governo e le facoltà dei cittadini non solo nei loro principii, ma anche e molto più nel loro esercizio e nei loro limiti, per i quali di fronte ai diritti emergono i reciproci doveri.
Ed é appunto di questa parte più importante e più difficile delle politiche Costituzioni, e di cui alcuni hanno taciuto o non a sufficienza parlato, che principalmente discorre il Guicciardini nel presente volume; ove con profonda dottrina e con efficace evidenza trattasi specialmente dei doveri dei cittadini, del posto che essi debbono occupare nella sociale gerarchia, dei gradi a cui possono aspirare, e in una parola dei limiti che una Costituzione bene ordinata impone ai governanti e ai governati.
Nel che sta a parer nostro il pregio principale della scuola politica italiana, e sopra ogni altro del Guicciardini, il quale si fa a svolgere completamente e magistralmente questo difficile tema in quel suo mirabile trattato del Reggimento Di Firenze e in alcuni dei suoi Discorsi, che noi siamo lieti di offrire per la prima volta alla meditazione degli Italiani, dei loro statisti e dei regnatori.
".

Se Diego Fusaro può essere considerato un giovane laureando o neo-laureato, la sua denigrazione ideologica di Guicciardini ha ascendenti assai più noti e divulgati. Vediamo all'opera la denigrazione enciclopedico illuminista contro i servitori della Repubblica nel "Dizionario Biografico degli Italiani" online sul sito treccani.it.
Il redattore V.Arrighi, volendo delineare la figura di Bernardo Del Nero, sceglie questa citazione dal Guicciardini.

"Con il D. (Bernardo Del Nero N.d.E.) la famiglia raggiunse il culmine dell'influenza politica, principalmente in conseguenza del costante sostegno dato alla politica medicea. Tale fatto non sfuggì ai contemporanei: Francesco Guicciardini, facendo del D. uno dei protagonisti dei suoi Dialoghi..., p. 11, gli fa dire: ...Ho infinite obbligazioni a quella casa per mezzo della quale, non essendo io nobile né cinto di parenti... sono stato beneficato ed esaltato e fatto pari a tutti quegli che ordinariamente mi sarebbono andati innanzi negli onori della città ... Stando a questa fonte il D. non doveva avere neppure una grande cultura: ... voi avete da vantaggio le lettere con - dove (sic) le quali avete potuto imparare da' mortil (sic) io non ho potuto conversare se non co' vivi, né vedere altre cose che de' miei tempi ..." (vedi screenshot treccani.it).

L'ultima parte della citazione è masticata, quasi a dare l'idea di un uomo che si esprime a fatica: nell'originale la frase fila così:

"avete davantaggio le lettere con le quali avete potuto imparare da' morti gli accidenti di molte età; dove io non ho potuto conversare se non co' vivi, nè vedere altre cose che de' miei tempi.".

La citazione è stata avulsa dal contesto per ribaltarne il significato e confermare l'immagine deviata e denigrata di Bernardo come fazionista mediceo di gretta cultura.

Ma non è un ruolo da uomo di fazione che Guicciardini designa per Bernardo Del Nero nel Dialogo, bensì quello di Uomo di Stato, di servitore della Repubblica, di politico pratico puro, capace di ammaestrare con la sua esperienza i dotti interlocutori. Questa funzione gli viene riconosciuta esplicitamente nelle battute con cui si conclude l'Opera:

CAPPONI:
Io credo che sia bene fatto, perchè vorremo andarcene verso Firenze, dove per grazia vostra ritornereno sì instrutti, che areno causa di avere sempre memoria di questa venuta.
GUICCIARDINI:
Questa obligazione arete in parte a me che proposi il ragionamento.
SODERINI:
Ed a te, se tu vuoi, ma a Bernardo la abbiamo tutti infinita, che ci ha letto jeri ed oggi una lezione sì bene ordinata, sì savia, che ci farà lume in queste cose importantissime tutto il tempo della vita nostra. Così dessi Dio grazia ed a lui ed a noi che le potessimo fare capace a tutti i nostri cittadini, acciò che innanzi alla nostra morte vedessimo introdotto nella patria nostra tanto ornamento e tanto bene.

Il rapporto di Bernardo con i Medici è fatto spiegare dal Guicciardini a Bernardo stesso, con l'intera pagina 15 del Libro I: ne riporto una citazione inequivocabile:

"... perché fui prima fiorentino e obbligato alla patria, che amico o obbligato a' Medici, ... quando Firenze starà male, non possono i Medici e ogni altro che reggerà, stare che male. Ma può ben essere Firenze grande sanza i Medici; ...".

Né il Guicciardini vuol dargli dell'ignorante come suggerisce il maligno Arrighi, anzi fa dire al proprio stesso padre:

"Siamo tutti certissimi che non manco vale la prudenza vostra che nelle faccende, seguitiamo il parlare di prima, il quale, io non dirò tra amici, ma più tosto tra padre e figlioli come ci riputiamo esservi noi, non solo non sarà molesto, ma bisogna sia piacevolissimo.
Io per me non so che maggior diletto mi potessi avere, che udire parlare delle cose pubbliche e civili un uomo di grande età a di singulare prudenza, che non ha imparato queste cose in su' libri dei filosofi, ma con la esperienza e con le azioni, che è il modo vero dello imparare.
".

Storia di Venezia - Marsilio Ficino

Questo particolare da un quadro di Leonardo da Vinci potrebbe raffigurare Marsilio Ficino.
Il sapiente pensatore neoplatonico (e quindi repubblicano) esercitò grande influenza sulle famiglie degli statisti fiorentini come i Del Nero. Piero Guicciardini fu suo discepolo, e il figlio Francesco lo ebbe addirittura come padrino di battesimo. (courtesy of www.rosicrucian.org).

La frase malevolmente interpretata dal redattore di Treccani, e chissà da quanti altri a lui simili, ben lungi da voler sminuire il Del Nero, come vediamo è intesa da Guicciardini a esaltare l'innata modestia e la buona disposizione al colloquio costruttivo dell'uomo Bernardo Del Nero.

Una persona pratica, forte e decisionale ma aperta a correggersi alla luce proiettata dalla teoria, umile e cordiale; questa è l'immagine che Guicciardini dà di Bernardo del Nero.

Né lo vuol descrivere digiuno affatto di lettere, perché dal contesto apprendiamo che tra i vivi oggetto delle conversazioni di Bernardo vi fu nientemeno che Marsilio Ficino, a interloquire non già del tempo ma sui sistemi di governo dello Stato:

"Non dicono i vostri filosofi, se messer Marsilio Ficino con chi qualche volta n'ho parlato, mi ha riferito il vero, che essendo tre le spezie dei governi, di uno, di pochi e di molti, il migliore di tutti è quello di uno, il mediocre quello di pochi, il manco buono quello di molti?".

Nonostante questa domanda provocatoria, con cui si avvia il Dialogo, l'Uomo di Stato Bernardo parla troppo bene della Repubblica, e in particolare della Repubblica di Venezia, per sfuggire alla censura calunniosa della Restaurazione "monarchica" che ancora oggi, come stiamo vedendo, impregna Enciclopedie e opere divulgative.

Storia di Venezia - Stemma di Podestà Del Nero 1473 sul Palazzo Pretorio, Firenze

Stemma di Podestà Del Nero 1473 sul Palazzo Pretorio, Firenze (image courtesy of Wikimedia Commons).

La figura storica di Bernardo del Nero è dunque lontana dall'immagine che ce ne vogliono dare sia la monografia traviante di filosofico.net sia la Treccani.

La famiglia Del Nero è molto simile a quella del Guicciardini, sono Famiglie di statisti e fedeli servitori dello Stato, confermati da generazioni nel governo della città non per la loro appartenenza a fazioni ma per la loro capacità e affidabilità umana.

Famiglie di Magistrati onesti e rispettati sia dalla Repubblica che dalla Signoria che si alternano al comando di Firenze in quegli anni.

Diverse sono le estrazioni sociali fra Guicciardini e Bernardo, figlio di umanisti e letterati il primo, proveniente dall'arte minore dei rigattieri il secondo, ma i due uomini sono accomunati dall'amore per la Patria e dalla capacità di servirla con intelligenza e devozione.


Lo spunto dell'Opera è preso proprio dalla domanda di chiarimenti da parte di Bernardo a Piero Guicciardini, diretto discepolo di Marsilio Ficino, sul significato da attribuire al concetto di Monarchia nel pensiero politico del Maestro rinascimentale neoplatonico.

Il chiarimento di questo concetto rivela in Ficino una visione della Monarchia assai diversa da quella feudale e dinastica imperante nel mondo di allora.

Il Saggio neoplatonico disegna infatti un'ideale di Repubblica che si identifica in uno, Capo dello Stato per elezione unanime basata sui suoi meriti.

Compresa questa definizione, Bernardo si assume, nel dialogo del Guicciardini, il ruolo di adattatore dell'ideale neoplatonico di Repubblica alla realtà fiorentina, basandosi sul modello già realizzato della Repubblica di Venezia. Modello che Bernardo-Guicciardini assume pressocché in toto, proponendo solo una modifica tecnica nel sistema di ballottaggi ed estrazioni a sorte nell'elezione del Doge.

Dedico particolare attenzione a Bernardo del Nero perché, come accennavo, svolge nel dialogo il ruolo di deus ex-machina, o di elaboratore di output per usare un termine più moderno.
Guicciardini gli assegna il ruolo principale di stimolatore e di portavoce dei risultati del dialogo per almeno due motivi: i meriti passati della sua famiglia che fin dal 1386, pur di umili condizioni, aveva dato a Firenze ben 27 Priori; il merito proprio di Bernardo di essere nominato tre volte Gonfaloniere di Giustizia della Repubblica Fiorentina.

Bernardo ha infatti modo di sperimentare il governo di quella Repubblica, e per tre volte ne sarà nominato Gonfaloniere, finché la sua vita verrà troncata dalla stessa repubblica fiorentina che, col recidersi in lui la testa, tornò in signoria dei Medici.

Comprendere Bernardo Del Nero, figura centrale del Dialogo, richiede di meditare sul fatto che, se fu esaltato dai repubblicani per ben tre volte alla massima carica dello Stato, rimase saldo nell'ossatura dello Stato anche nei periodi di caduta della Repubblica.

Era infatti persona capace di riscuotere, oltre a quella del Popolo, anche la fiducia dei Medici che, pur esautorandolo dal Comando, sempre gli riconobbero ruoli importanti nelle loro amministrazioni.

Bernardo conclude la sua vita come vittima del clima calunnioso mantenuto in Firenze dall'inesausta ostilità delle fazioni, che egli era riuscito a mitigare ma non a sopprimere.

Quando la debolezza dello stato provvisorio e fazioso di cui era Gonfaloniere si vide di fronte l'imponente attacco mediceo supportato dai Pontifici, la città cadde in una psicosi autodistruttiva. L'uccisione con processo sommario di Del Nero tolse a Firenze l'ultimo grande uomo d'azione repubblicano e laico, e con esso ogni speranza di resistenza e di libertà.

Una sentenza che può trovare spiegazione solo nel campo dell'alienazione mentale di gruppo, perché vi incorre un uomo dopo che questi ha sconfitto proprio coloro con cui viene accusato di congiura.

Firenze, sotto il saldo comando di Bernardo, oppone all'assedio una difesa così serrata che Piero de' Medici, con tutti i suoi militi pontifici, se ne torna a Roma con la coda bassa. La coda è bassa, ma nasconde forse un aculeo di scorpione.

Se il repubblicano Del Nero è un avversario troppo ostico da battere con coraggio e virtù, egli viene abbattuto con l'inganno e la calunnia cui il suo popolo purtroppo perniciosamente indulge.

Storia di Venezia - Stemma su Palazzo Torregiani Del Nero, Firenze

Stemma su Palazzo Torregiani Del Nero, Firenze. Si noti sopra lo stemma l'emblema neoplatonico del leone solare che emana dalla bocca il ciclo del Logos (image courtesy of Wikimedia Commons).

A chi, se non a un Medici ansioso di reinstallarsi in Signoria, poteva giovare il rendere acefala una repubblica già intrinsecamente debole?

Chi, se non quello stesso Medici, aveva la maggiore facilità di far circolare la calunnia di un Del Nero congiurato con lui?

Comunque diffusa, a mio modo di vedere la calunnia fece presa sulla cattiva coscienza del fazionismo fiorentino. Tale coscienza colpevole era portata allo stato paranoide dal reiterarsi di pesanti stress collettivi, morali e fisici, accompagnati dal costante senso di grave pericolo incombente.

Del Nero fu ucciso per quella evidente calunnia, e ancora lo uccidono oggi coloro che alla calunnia dell'epoca danno un qualche confuso credito nei libri di testo.

Al tempo in cui scrive il Dialogo (1521-26), per Guicciardini la Repubblica di Savonarola e Del Nero è un ricordo vecchio di trent'anni, ma egli non smette di ammirare e proporre la persistenza di un ben migliore esempio: La Serenissima Repubblica di Venezia. Come paladino di questa apologia risuscita Bernardo Del Nero proprio perché è un eroe e martire recente dell'idea repubblicana, assassinato dal vizio cieco di follia del suo stesso popolo, abbrutito per abiezione morale.

Storia di Venezia - Il Doge Andrea Gritti ritratto da Tiziano

Andrea Gritti, il Doge che impresse la svolta di Venezia dalla forza del cuore intelligente alla strategia della mente astuta (image courtesy of Wikimedia Commons).

Il dialogo "Del Reggimento di Firenze" non è tuttavia una commemorazione personalistica o un capriccio letterario.

Il testo è scritto mentre il Guicciardini, commissario pontificio, vede evolversi la situazione italiana verso il Sacco di Roma che i Lanzichenecchi perpetreranno nel 1527.
Non inganni dunque il lettore il clima di serena armonia dell'Accademia interiore in cui si svolge la conversazione. Il presente fisico del Guicciardini lo investe, mentre scrive il libro, con ben altri umori.
L'Italia è quasi completamente a sacco degli Stranieri con la complicità dei Veneziani rintanati nel loro Nord-Est dietro sempre più lunghi e fragili aculei.
Lo stesso Stato Pontificio è occupato, e l'onda lambisce minacciosa le mura di Napoli.

Non è quindi il Dialogo una mera disquisizione accademica o un ideale piano di difesa d'emergenza. È un grido d'invocazione a Venezia, all'unica musa che il Guicciardini vede compagna reale della sua vita, pur senza mai poterla toccare se non in effige.

Dal Parnaso del Dialogo di Guicciardini esce un richiamo indirizzato alle orecchie dei sempre più diplomatici e lontani Senatori Veneti, perché siano memori della generosa virtù repubblicana dei loro Padri. Senatori che il Guicciardini non ha cessato di ammirare anche quando, nella sua personale Storia d'Italia, li ha visti iniziare la virata verso il vizio che porterà alla caduta e che oggi si conclama con la distruzione stessa della città dei Padri.

Penso che questa brusca conclusione in cui la macchina del tempo balza in avanti di 500 anni debba suggerire importanti riflessioni sul profondo legame che avvince la quotidianità operativa dell'amor di Patria alla conoscenza della Storia.

Veniamo quindi alle principali citazioni di Venezia nel dialogo "Del Reggimento di Firenze" di Francesco Guicciardini, una delle opere in cui il grande fiorentino illustra la sua limpida e precisa dottrina politica repubblicana.

Pur dall'inferno della sconfitta in cui si trova a scriverlo, Guicciardini sà ambientare il dialogo nel 1494, epoca in cui Firenze tentava esperimenti repubblicani e i suoi statisti cercavano le vie migliori per organizzare tale forma di Stato.

Egli vuole forse così rammentare al Senato Veneto che i loro semi sono sparsi in ogni città d'Italia, che in ogni aspirante Comune Repubblicano vi sono le voci degli uomini migliori che lodano Venezia e sperano nell'aiuto della più grande e gloriosa Repubblica della Storia...

Ma il cuore dei senatori veneziani è ormai già ottuso del grasso diplomatico che in quegli anni, proprio sotto lo sguardo attento del Guicciardini, diviene il pane di una repubblica sempre più vigliacca e viziosa. Il grido di Guicciardini non raggiunge quei cuori che avevano vibrato forse un'ultima volta nell'Orazione del doge Loredan in difesa di Padova. Non riesce a drizzare la rotta del grande vascello dei suoi sogni; la lunga virata iniziata allora dai viniziani li vede oggi infrangersi sugli scogli, sotto i miei stessi occhi.

Umberto Sartori

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Discorso su Venezia e il suo Governo nel dialogo "Del Reggimento di Firenze" Libro II

Edizione di Riferimento: Opere Inedite di Francesco Guicciardini illustrate da Giuseppe Canestrini, Firenze 1858. scansione || Testo Continuo

BERNARDO (pag. 135 e seg.):

E certo se le città si potessino reggere con la larghezza e col fare che ognuno participassi in uno modo medesimo delle faccende e degli onori, e che i magistrati ed autorità girassino di tempo in tempo parimente in ognuno, sarebbe forse Governo ingiusto, non vi si faccendo distinzione delle virtù e delle qualità degli uomini, pure sarebbe dilettevole alla maggiore parte, ed almanco leverebbe forse la ambizione.

Ma perchè questo non si può fare, non essendo gli uomini tutti atti a governare, anzi avendo bisogno quasi tutti di essere governati, però è necessario pensare che le deliberazione importanti si ristringhino in minore numero, e perchè lo scambiare spesso i magistrati è cosa necessaria e sustanziale alla libertà, e da altro canto quando gli uomini sono proposti a una cura per poco tempo, la stracurano e non vi usano la diligenzia debita, in modo che le cose importanti (che si può dire che quelle che attengono al Governo di una città siano tutte importanti) che hanno bisogno di diligenzia e pensiero assiduo, così stracurate e neglette se ne vanno in ruina.

Però a me pare che a questo punto abbino provisto meglio i Viniziani che facessi mai forse alcuna republica, con lo eleggere uno Doge perpetuo, il quale è legato dagli ordini loro in modo che non è pericoloso alla libertà, e nondimanco, per stare quivi fermo nè avere altra cura che questa, ha pensiero alle cose, è informato delle faccende, e se bene non ha autorità di deliberarle, perchè questo sarebbe pericoloso alla libertà, vi è pure uno capo a chi riferirle e che sempre a' tempi suoi le propone e le indirizza.

...

E però ci bisogna uno padrone, non dico che sia signore e che domini, ma che per stare fermo abbia a avere alle cose della città quella cura e pensiero che hanno i padroni alle cose proprie, e per dire forse meglio, sia come uno fattore amorevole e fedele.

E' Romani ed i Lacedemòni pensorono a questo, ma a judicio mio non ci provederono bene come hanno fatto i viniziani; però i lacedemòni feciono i re che erano perpetui ed andavano per successione nella medesima famiglia, e ne creorono dua; i Romani eleggevano i consuli che erano dua e duravano uno anno, che è tempo troppo brieve allo effetto che io ho detto di sopra. ...

GUICCIARDINI (pag. 138):

... E se bene i Viniziani l'hanno usata a vita ed è stato modo utile per la republica sua, sono tra noi e loro molte diversità, perchè il Governo loro non è Governo meramente populare, ma più presto di nobili o di ottimati, ed il sito di Vinegia, dove non possono correre i cavalli ed empiersi così facilmente di forestieri come noi, gli difende dalla ambizione de' Dogi e di tutti quegli che aspirassino alla tirannide.

BERNARDO:(pag. 138 e segg.)

Queste sono considerazioni belle e che importano e ricercano buone esamine, e però io ne dirò il parere mio forse più lungamente che il tempo non patisce; e perchè il modo di questo Gonfaloniere a vita io l'ho imparato da' viniziani, ragioneremo prima se il Governo loro può avere tale conformità con gli altri governi liberi e spezialmente col nostro, che l'uomo possa valersi di quelli esempli; di poi se il modo loro circa a questo capo sia migliore che quegli de' Romani e degli Spartani.

A me pare che il Governo viniziano per una città disarmata sia così bello come forse mai avessi alcuna republica libera; ed oltre che lo mostra la esperienzia, perchè essendo durato già centinaia di anni florido ed unito come ognuno sa, non si può attribuire alla fortuna o al caso, lo mostrano ancora molte ragioni che appariranno meglio nel ragionare di tutta questa materia.

E se bene ha nome diverso da quello che vogliamo fare noi, perchè si chiama Governo di gentiluomini ed il nostro si chiamerà di popolo, non per questo è di spezie diversa, perchè non è altro che uno Governo nel quale intervengono universalmente tutti quegli che sono abili agli uffici, ne vi si fa distinzione o per ricchezza o per stiatte, come si fa quando governano gli ottimati, ma sono ammessi equalmente tutti a ogni cosa, e di numero sono molti e forse più che siano i nostri; e se la plebe non vi participa, la non participa anche a noi, perchè infiniti artefici, abitatori nuovi ed altri simili, non entrano nel nostro consiglio.

Ed ancora che a Vinegia gli inabili siano abilitati con più difficultà agli uffici che non si fa a noi, questo non nasce perchè la spezie del Governo sia diversa, ma perchè in una spezie medesima hanno ordini diversi; perchè sta molto bene insieme che il Governo sia medesimo e non siano sempre gli ordini medesimi, come si può considerare infiniti particulari loro.

Hanno saputo tenere in questo in riputazione il suo reggimento, ed anche sono stati magnifici in porre nome a' suoi cittadini, in modo che se bene quegli che loro chiamono gentiluomini non siano altro che cittadini privati, il nome pure abbaglia chi ode e gli fa parere maggiore cosa che cittadini; e però se noi chiamassimo gentiluomini i nostri, e questo nome appresso a noi non si dessi se non a chi è abile agli uffici, troveresti che il Governo di Vinegia è populare come il nostro e che il nostro non è manco Governo di ottimati che sia il loro.

Pagolantonio è stato dua volte imbasciadore a Vinegia, e credo dirà il medesimo che dico io.

SODERINI (pag. 140):

Tutto è verissimo; e se bene universalmente sono più ricchi che noi, pure vi sono ancora molti poveri, ed al Governo non sono ammessi più i ricchi che gli altri; nè nasce la ricchezza loro dalla diversità del governo, ma dalla grandezza del Dominio e dalla amplitudine ed opportunità della città.

BERNARDO (pag. 140 e segg.):

Sèguita la altra abusione molto vulgata che la unione loro sia causata dal sito, il quale io confesso che è molto a proposito per conservare la città dalle guerre e da i prìncipi forestieri; però fu posta dove è, da quelli che vollono fuggire le inundazione de' barbari; ma a tenerla senza sedizione civile credo che importi poco o niente.

Però si legge nelle istorie loro che ne' primi tempi della republica, innanzi che fussi fermo il governo, ebbono tra loro molte discordie e vennono spesso alle arme, e pure era il medesimo sito che ora; e ne' tempi sequenti non è mancato Dogi ed altri che abbino aspirato alla tirannide, ma per gli ordini buoni del Governo sono stati oppressi presto.

Difficilmente può uno cittadino privato, anzi è quasi impossibile, riducere una città libera in servitù, se non ha seco parte de' cittadini medesimi; e questo con difficultà è potuto essere quivi, perchè il Governo è ordinariamente amato da quelli che ne participano, e gli ordini vi sono vivi e bene intesi da opprimere presto qualunche comminci a surgere a questa via.

E queste sono le cagioni della concordia loro, non la difficultà di conducervi i cavalli, perchè a mutare gli stati sono così buoni i fanti come i cavalli, e questi si possono conducere a Vinegia come negli altri luoghi e forse con più commodità, perchè almanco a mettergli drento o di dì o di notte non bisognano le chiave delle porte.

Il Governo nostro populare è adunque della spezie medesima che quello di Vinegia, e lo essere noi in terra ci debbe fare più temere delle forze degli inimici forestieri, ma non già disperare di poterlo ordinare in modo che ci conserviamo senza sedizione civile.

...

Ma questa misura ed ordine che ha partorito in loro (viniziani) la lunga continuazione del Governo e forse la natura de' loro cervelli più quieta, non si potrebbe sperare in noi di qui a molti anni; ...

E questa pratica sarà a imitazione di quello che i Viniziani chiamano consiglio de' dieci con la aggiunta, in chi si riduce il nervo del governo; perchè dodici o quindici o venti cittadini i più savi e più pratichi saranno sempre o de' dieci o della pratica, e non solo interverranno sempre in questo consiglio stretto, ma per essere di più prudenzia e di più autorità saranno quegli che nel consiglio di mezzo, indirizzeranno communemente le cose a buono cammino.

...

CAPPONI (pag. 170):

In verità io sono stato cheto e con grandissima attenzione, perchè mi pare che voi abbiate considerato ogni cosa molto bene; ed ancora che io vi abbia sempre cognosciuto savissimo, reputo per miracolo che non avendo voi veduto mai a' vostri dì in questa città libertà, anzi allevato e vivuto in uno vivere tirannico, che abbiate tanto bene pensato e disegnato uno Governo libero.

SODERINI (pag. 170):

Il medesimo dico io; e parmi ora molto più che sia vero quello che voi dicesti nel principio, che se i nostri cittadini non avessino nome diverso da quegli de' viniziani, che uno Governo come il vostro parrebbe il medesimo che quello di Vinegia, perchè non ci è una diversità sustanziale; e però se quello è ottimo come ognuno confessa, e lo pruova la ragione e lo mostra la esperienzia, questo sarebbe almanco buono.

Così ci dessi Dio grazia di poterlo vedere e lasciare questa eredità a' nostri figliuoli, che sarebbe il maggiore tesoro, il più bello, il più sicuro, il più onorevole che noi gli potessimo lasciare.

BERNARDO (pag. 180 e segg.):

...

Parmi bene che in genere il Governo sia buono e che abbia quelle parte principali che si ricercano in una republica libera, ed ha grandissima similitudine col Governo viniziano, il quale, se io non mi inganno, è il più bello ed il migliore Governo non solo de' tempi nostri, ma ancora che forse avessi mai a' tempi antichi alcuna città, perchè participa di tutte le spezie de' governi, di uno, di pochi e di molti, ed è temperato di tutti in modo che ha raccolta la maggiore parte de' beni che ha in sè qualunche Governo e fuggiti la più parte de' mali.

Il doge, i pregati, quegli magistrati principali scelti hanno seco quella cura, quella vigilanzia e quello essere ridotte le faccende in mano di chi le intende, che ha uno principe ed uno stato di ottimati; da altro canto sono legati di sorte che non possono diventare tirannide.

Il consiglio grande ha seco quello bene che è principale nel Governo del popolo, cioè la conservazione della libertà, la autorità delle legge e la sicurtà di ognuno, ma è contrapesato in modo dal doge, da' pregati e magistrati che discendono da quegli, che le deliberazione importanti non vengono in arbitrio della moltitudine, e cessa il pericolo che le cose si resolvino in quella licenzia populare perniziosa.

Però vedete che poi che quello Governo prese piede, si è mantenuto tante centinaia di anni in una medesima forma e senza mai cognoscere sedizione e discordie civili, e questo non procede perchè tra loro non sia degli odi e delle inimicizie come nelle altre città, che si vede quando hanno occasione di scoprirle giustificatamente, o perchè non vi sia degli animi ambiziosi e male regolati che se avessino facultà disordinerebbono; ma gli ordini del Governo sono tali che a loro dispetto gli tengono fermi.

Considerate i governi delle republiche di Grecia ed in spezie quello de' Romani che fece tanti effetti: lo troverete pieno di sedizione, pieno di tumulti e mille disordini, i quali se non fussi stata la vivacità delle arme che avevano, con la quale sostenevano ogni errore, arebbono, se fussino vivuti così, precipitato mille volte quella republica.

Sarebbe adunque il Governo vostro simile al Governo loro; ed essendo il suo ottimo, il vostro almanco sarebbe buono e sarebbe senza dubio quale non ha mai veduto la città nostra.

...

dirizzandosi a uno Governo tale, potremo sperare ogni bene e goderemo la libertà vera, la quale, a non si ingannare, non ha mai veduta nè cognoscinta insino a oggi la città nostra.

...

SODERINI (pag. 183):

Voi dite il vero: così volessi Dio farci questa grazia! Ma in verità che ne credete voi? sperate voi che noi abbiamo a arrivare a tanto bene? Voi ne parlasti jeri, ma più presto disputando che affermando, però vi prego ne riparliate.

BERNARDO (pag. 192):

... è molto a proposito che vi siano più gradi reputati che si può, che siano come scale l'uno a l'altro; e però fanno saviamente i Viniziani che non manderebbono fuora in uno officio minore chi già ne avessi avuto uno maggiore. ...

SODERINI (pag. 223 frase conclusiva dell'opera):

... acciò che innanzi alla nostra morte vedessimo introdotto nella patria nostra tanto ornamento e tanto bene.


Dopo aver letto anche solo queste citazioni, vi sarà ancora chi reputi degne presentazioni del dialogo "Del Reggimento di Firenze" quelle che non vi nominano neppure di striscio la Repubblica di Venezia? O chi possa dubitare del limpido pensiero repubblicano di Francesco Guicciardini e Bernardo Del Nero?

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Note

Nota 1 - Screenshot di http://www.filosofico.net/guicciardini.htm, 12 Novembre 2011 ore 10:00

Screenshot di http://www.filosofico.net/guicciardini.htm, 12 Novembre 2011 ore 10:00

Nota 2 - http://www.treccani.it/enciclopedia/bernardo-del-nero_(Dizionario-Biografico)/, 12 Novembre 2011 ore 12:00

Storia di Venezia - Screenshot di http://www.treccani.it/enciclopedia/bernardo-del-nero_%28Dizionario-Biografico%29/, 12 Novembre 2011 ore 12:00

Nota 3 - "Del Reggimento di Firenze", testo dalle pagine 14 e 15 del Libro I. Edizione di riferimento Barbera, Bianchi e Comp., Firenze 1858

BERNARDO:
Io sono contento avere con voi questo ragionamento, non meno per imparare che per insegnarvi, perchè quello poco che io intendo di queste cose, lo so solo per esperienzia, della quale nessuno di voi manca, avendo già più e più anni sono, atteso alle cose dello Stato; ed oltre a questo ed il naturale buono, avete davantaggio le lettere con le quali avete potuto imparare da' morti gli accidenti di molte età; dove io non ho potuto conversare se non co' vivi, nè vedere altre cose che de' miei tempi.

Vi dico dunche che, come voi sapete, io ho avuto lunghissima amicizia co' Medici, ed ho infinite obligazioni a quella casa, per mezzo della quale, non essendo io di stirpe nobile, nè cinto di parenti come siate tutti a tre voi, sono stato beneficato ed esaltato e fatto pari a tutti quegli che ordinariamente mi sarebbono andati innanzi negli onori della città.

Però non direi che la ruina di Piero non mi sia dispiacciuta, perchè direi il falso; e se lo dicessi, mi parrebbe potere essere notato di troppa ingratitudine.
Ma sappiate che molto più dispiacere ho avuto de' modi che sono stati causa di questa ruina, la quale io prevedendo e giudicandola perniziosa non solo a lui ed agli amici ma ancora alla città, se io non mi inganno, cercai di rimediarvi col consigliarlo, col riprenderlo, co' l'adirarmi; pure ha potuto più la disposizione de' cieli e quello che era destinato che avessi a essere, che i consigli miei e di alcuni altri che lo consigliorono sempre bene.

Ho adunque amato ed amo quella Casa, e nondimanco, Dio mi sia testimonio, se io credessi che questa mutazione fussi in parte alcuna utile alla città, io la arei cara quanto alcuno altro; perchè fui prima fiorentino ed obligato alla patria, che amico o obligato a' Medici, e cognosco che quando Firenze starà male, non possono i Medici ed ogni altro che reggerà, stare altro che male.

Ma può bene essere Firenze grande senza i Medici; e che questo sia lo animo mio, non ne voglio dare altro testimonio, perchè parlo con persone che credo che oramai mi cognoschino.

Ma per non fare lungo il parlare nostro più che si bisogni, non voglio in principio convincervi con altre arme che con le vostre medesime.
Non dicono i vostri filosofi, se messer Marsilio Ficino, con chi qualche volta ne ho parlato, mi ha riferito il vero, che essendo tre le spezie de' governi, di uno, di pochi e di molti, il migliore di tutti è quello di uno, il mediocre quello di pochi, il manco buono quello di molti?

Storia di Venezia - Del Reggimento di Firenze, pagg. 14-15
Storia di Venezia - Del Reggimento di Firenze, pagg. 16-17
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Edizione HTML a cura di Umberto Sartori