Storia di Venezia

Pagina pubblicata 21 Luglio 2020

Krutika Haraniya
Il Singolare Legame del Ducato Veneziano con l'India

Titolo originale: "The Venetian Ducat’s Quaint India Link"
traduzione e note di Umberto Sartori

   
Tempio Padmanabhaswamy a Thiruvananthapuram, Kerala

Il Tempio Padmanabhaswamy a Thiruvananthapuram, Kerala, tra i cui immensi tesori sono state trovati numerosi zecchini Veneziani (image courtesy of www.ixigo.com).

Mentre oggi il cambio di valuta significa solitamente convertire il tuo contante duramente guadagnato in valuta straniera per prenderti una vacanza alla tua portata, l'operazione era un affare serio ai tempi del Medio Evo.
Quando nuovi Territori vennero scoperti e le loro risorse bramate, per il pagamento di quei beni le valute straniere si intrecciarono sulle rotte commerciali del mondo.

Tempio Padmanabhaswamy, Porta del settimo caveau

La porta della settima camera blindata del Tempio Padmanabhaswamy. Le altre sei, protette da sistemi di porte e grate con ingegni, sono state aperte tra il 2010 e il 2014. Questa non presenta traccia di meccanismi di apertura. La Tradizione collegata dice che solo il suono del Mantra di Garuda cantato da un Rishi può azionare l'invisibile serratura. Il Rishi non è un comune mortale ma una speciale incarnazione del Divino che non sempre è manifesta al Mondo. Né si sono trovati mezzi alternativi per aprire questa porta. Che resta ancora chiusa. (image courtesy of https://postcard.news).

Tra quelle valute c'era il Ducato veneziano 1, che trovò il modo di spingersi persino in India. Ebbe molto successo soprattutto nell'India Meridionale: quella valuta era così apprezzata che quando una delle "cripte segrete" del Tempio Padmanabhaswamy a Thiruvananthapuram fu aperta nel 2011, tra altri tesori saltarono fuori anche i Ducati d'oro.
Ma perché fu stimato così tanto, il Ducato veneziano?

Le Crociate, tra il XI e il XIII Secolo, videro cambiamenti drammatici nelle fortune in Europa, che risultarono nel sorgere degli Stati italiani marittimi e mercantili.
I mercanti veneziani erano già allora finanzieri influenti nell'Europa. La città fu anche luogo natale di grandi esploratori europei come Marco Polo, un vantaggio cruciale ai tempi in cui viaggio e commercio andavano mano nella mano.
Così, sul finire del XIII Secolo, la città-stato indipendente di Venezia controllava il commercio nell'intero Mediterraneo.

I Veneziani sapevano che per consolidare e incrementare il loro potere e la loro influenza sul commercio globale avrebbero dovuto provvedersi di una moneta che fosse accettata in tutte le Nazioni. Tale moneta sarebbe diventata uno standard, consentendo al commercio di scorrere liberamente grazie alla grande facilitazione nel pagamento delle merci. Quella moneta fu il Ducato.2

Il successo del Ducato presto si diffuse ampiamente e lontano: conquistò i mercati d'Europa, del Medio Oriente, di India, Egitto e Africa. Il peso costante, l'altissimo titolo dell'oro e la finezza del conio permisero a ogni Nazione del mondo transazioni commerciali sicure con tutte le altre, costituendo quindi un metodo di pagamento unificato. Non passò molto tempo prima che il Ducato Veneziano diventasse la moneta internazionale privilegiata.

Venezia coniò il primo Ducato aureo nel 1284 con il peso di 3,5 grammi e il titolo a 986/1000 3. Uno standard di peso, purezza e finitura che sarebbe stato mantenuto fino alla caduta di Venezia dallo stato di Repubblica nel 1797. Queste specifiche del Ducato - che fu poi battuto in frazioni e multipli dell'originale - sarebbero rimaste le stesse per 500 anni.

La parola "Ducato" è derivata dal latino "ducatus", che significa "relativo a un Duca". Tradotto liberamente, significa "moneta del Duca". Il Ducato veneziano, sul dritto, mostra il Doge (capo-magistrato, governante, o "Doge")4 di Venezia che, inginocchiato di fronte a San Marco Patrono di Venezia, tiene stretto a sé un Vangelo. Sul rovescio, Cristo in piedi in un campo di stelle con cornice ovale.5 La legenda sul rovescio recita: "Sit tibi, Christe, datus, quem tu regis iste ducatus", che significa: "Oh Cristo, ti sia dedicato questo Ducato che Tu sostieni".

Il Ducato veneziano fu una moneta estremamente robusta, che mantenne la sua influenza di standard valutario internazionale fino all'invasione di Napoleone Bonaparte nel 1797, che pronunciò la fine di Venezia come Repubblica e del suo Ducato con lei.6

Storia di Venezia - Zecchino di Giovanni Soranzo 1312-1328

Dritto di uno dei più antichi zecchini, quello del Doge Giovanni Soranzo, 1312-1328 (courtesy of www.numisbids.com).

Storia di Venezia - Zecchino di Giovanni Soranzo 1312-1328

Retro di uno dei più antichi zecchini, quello del Doge Giovanni Soranzo, 1312-1328 (courtesy of www.numisbids.com).

Molto tempo prima di questo epilogo, fra il XIV e il XVIII Secolo, il commercio fra Venezia e l'India Meridionale aveva portato il Ducato aureo, emesso dai Dogi Francesco Loredan, Paolo Renier e Pietro Grimani, nel Kerala e nel Tamil Nadu. Queste monete veneziane erano molto ambite nel Kerala medievale e i Governanti indiani le compravano per donarle a sacerdoti e studiosi.

Per il fatto di portare la figura di San Marco, queste monete erano viste come sacre dai Siriaco-Cristiani del Kerala e molte donne fedeli di quella Religione indossavano collane di monete veneziane. Per questo motivo molti Ducati ci sono giunti bucati o con estensioni applicate per legarli e indossarli. Anche in India il Ducato era usato nella gioielleria e spesso cambiava di mano con le doti nuziali.

Si trovano monete d'oro veneziane anche in altre località dell'India. Nel 1981, il Direttorato pe l'Archeologia e i Musei nel Karnataka ha acquisito un gruzzolo di 39 Ducati veneziani di ben nove diversi Dogi, da Bartolomeo Gradenigo (1339-1341) a Tommaso Mocenigo (1414-1423).

Più recentemente, nell'Ottobre 2018, il Ducato veneziano è stato esposto in una mostra dal titolo : "Arte sulle Monete - L'India e il Mondo", tenutasi allo NCPA di Mumbai, assieme ad altre interessanti monete e valute.

Potrà oggi essere considerato solo un oggetto per collezionisti, ma il Ducato veneziano ha lasciato una eredità di cui l'India farà sempre tesoro.


Note

Nota 1 - La moneta aurea veneziana fu ed è meglio nota con il nome di Zecchino, un nome che a sua volta per secoli divenne appellativo corrente per l'oro al massimo titolo di purezza disponibile: "oro zecchino" appunto.

Nota 2 - I Veneziani, e i Popoli Marittimi che li generarono, disponevano sin dalla più remota antichità di una "moneta franca" accettata in ogni porto: il sale. I popoli marinari stanzializzatisi nella Laguna non avevano implementato l'agricoltura ma la raccolta del sale marino. Per dirla con Cassiodoro: "facevano girare i rulli delle saline anziché la falci".
Con l'evolversi quantitativo e qualitativo dei mercati il sale, voluminoso e deperibile, divenne inadatto a servire ogni transazione e si passò dunque all'oro.

Nota 3 - Il titolo più alto raggiungibile con i mezzi di affinamento dell'oro allora noti.

Nota 4 - Il titolo di "Doge" con ogni probabilità non deriva da "Dux", Latino per "condottiero" come l'altro titolo italiano di "Duca"; il titolo veneziano deriva dal verbo latino "doceo" cioè "insegnare": "docet" significa: "egli insegna". Questa sottile ma significante differenza trova conferma nell'intera struttura e nel Cerimoniale delle Magistrature nella Repubblica di Venezia.

Nota 5 - La forma del campo stellato non è precisamente un ovale. E' l'intersezione acuta di due archi che danno la forma di una mandorla, tipica iconografia Cristica dai paleoCristiani al Medio Evo. La mandorla è una allegoria della vulva: Cristo è raffigurato in uno spazio a forma di vulva, il più semplice ed essenziale fra gli archetipi del femminile.
Il Cristianesimo infatti, soprattutto quello veneziano, si pone come Religione sincretica che fonde l'antichissimo culto agricolo della Dea Madre con quello più nuovo e guerriero della Divinità maschile, per formare una nuova Umanità con una visione industriosa della vita, orientata a battaglie più nobili di quelle cruente.

Nota 6 - Il rapporto di Venezia con l'orda Napoleonica è molto più complesso di quanto solitamente si ritenga, come si evince dalla disamina dei documenti diplomatici dell'epoca conservati presso l'Archivio di Stato di Venezia. Ho collazionato e contestualizzato questi documenti sulla base della "Raccolta Cronologica..." dell'abate Cristoforo Tentori.
La realtà documentale è molto diversa dall'opinione sui fatti comunemente diffusa come pubblica dalle scarse e superficiali produzioni accademiche in merito.
Basti qui dire che Napoleone, prima di sopprimerlo, fu grande appassionato dello zecchino, riuscendo a ottenerne in dono dalla cricca del "doge" Lodovico Manin almeno quattro milioni in tre tranche come "doni di benevolenza": di un milione la prima (Battaja-Erizzo) e di uno e mezzo ciascuna le due seguenti (fornite rispettivamente per mezzo di altre due coppie di Ambasciatori straordinari: Corner-Pisani e Donà-Zustinian). Di queste transazioni ho potuto personalmente osservare le Ducali e i mandati di pagamento originali presso la sala di studio dell'ASVe.
Non che fosse un venale, Lui. Tutta la sua vita e le sue scelte mostrano che non era avido d'oro ma di potere politico, in ordine a fondare e avviare quella Riforma Generale del Mondo Moderno nella quale fortemente credeva. Se ebbe peccati, questi probabilmente si dovrebbero cercare nell'ambito dell'orgoglio personale e tribale ma penso sia opportuno ben meditare la valutazione e finale assoluzione espressa nel Faustus da Goethe.
Non era venale, Napoleone e nemmeno ebbe il potere da dio in terra che si vuol far credere. Prima dei suoi ultimi Cento Giorni ebbe sempre di fianco e di fronte a sé co-piloti nel medesimo progetto. E "Superiori" cui sottomettere le proprie decisioni in cambio di quella fama di invincibile divinità. Fra gli altri, un "consigliere" assai importante, un certo Haller, banchiere svizzero. Fu quest'ultimo a gestire l'oro e l'argento dei doni veneziani.
Quattro milioni di zecchini a 3,5 grammi d'oro ciascuno fa 14 milioni di grammi, ovvero 14 tonnellate del prezioso metallo. Versato in numerario, non in valuta, ovvero sotto forma d'oro sonante.
Per racimolarne quella quantità, oltre alle risorse erariali, Manin requisì e fece fondere in verghe la stragrande maggioranza delle oreficerie e argenterie dai tesori di Schole grandi e piccole, Chiese, Conventi e varie Istituzioni benefiche (vedi Venezia-ori-argenti-1797.php e allegati). Oltre all'oro, Haller ricevette anche circa 21 tonnellate d'argento, da impiegarsi nel conio di monete premio per i valorosi soldati Francesi, "liberatori dell'Italia".
Al Bonaparte, di suo, assai probabilmente interessava molto di più l'altro dono degli ospitali veneziani, ovvero la piena sussistenza della sua armata per tutta la prima campagna d'Italia sin dal momento che varcò i confini della Serenissima. Piena sussistenza moltiplicata mediamente per cinque dall'avidità dei commissari d'armata e dei mediatori.
Più forte che nel Buonaparte la passione per gli zecchini ardeva in molti dei suoi Generali e in alcuni membri del Direttorio a Parigi, cui grazie alle manovre del Legato Veneziano Alvise Querini venivano fatti pervenire altri milioni in zecchini. L'ultima farsesca partita fra i corruttori veneziani e i concussori francesi fu di dodici milioni di zecchini, proprio in quei primi giorni del fatidico maggio '97. Accreditati però ormai in cambiali presso un banchiere genovese. Non mi è stato dato di scoprire che fine fece quella mazzetta che il governo veneziano si era impegnato formalmente a onorare... Cadde Venezia, ma di quelle cambiali si parlò ancora, poi spariscono dal mio orizzonte documentale.

TOP
   

Edizione HTML a cura di Umberto Sartori