Storia di Venezia

Pagina pubblicata 6 Maggio 2014

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799, XXX

INDICE || Tomo Primo 1788-1796 || Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , XXX
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE SECONDA
Del Progresso della Rivoluzione dal Primo Giugno 1796 al 12 Marzo 1797 (pagg. 173 - 396)

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Napoleone immaginato da un grafico contemporaneo

Napoleone immaginato da un grafico contemporaneo (courtesy of http://www.videogiochiperpassione.it).

Il dispaccio di Alessandro Ottolini da Bergamo del 10 Dicembre 1796 nell'intestazione ormai ossequia apertamente la congiura che esautora il Senato in favore del Collegio:
da pag. 341:

"Illustrissimi ed Eccellentissimi Sig. Sig. Padroni Collendissimi". Umilio a VV. EE. il Dispaccio per l'Eccellentissimo Senato, il quale prima, che cada sotto i riflessi Sovrani, bramo sia assogettato alle supreme loro considerazioni.

Il Vice Podestà richiama come in precedenza abbia già dato notizia dei discorsi che comunemente i Francesi fanno circolare a Milano, sull'intenzione di vendicarsi di Venezia, da loro considerata parteggiare per l'Austria, con l'invasione formale dello Stato Veneto.

Tale invasione viene vista come facile impresa, dal momento che detto Stato sarebbe "privo d'ogni difesa".

Allo stato presente queste voci sparse si sono fatte assai più serie, in quanto pronunciate dallo stesso Napoleone, "General in Capite dell'Armata Francese".

Ottolini dichiara di riferire rapporti ricevuti dalle "confidenti, e scaltre persone, che io tengo a Milano, le relazioni delle quali non rilevai mai alterate".

Gli agenti segreti da Milano riferiscono dunque che Napoleone, tornato a Milano dal campo di Battaglia con l'Alvinzi, rimprovera e insulta aspramente i Milanesi, rei di tardare nel corrispondergli una nuova imposta di 3 milioni di Lire Tornesi.

Si riporta un brano pronunciato dal Bonaparte nel "riscaldo dei rimbrotti":
da pag. 342:

"... che se non l'avessero lasciato sprovveduto di denaro, e che i suoi soldati non fossero stati senza scarpe, e senza calze, avrebbe disfatta l'Armata Austriaca, fatti ad essa 14 mila Prigionieri, e presa Mantova ... che erano, e saranno sempre indegni di quella libertà, che i suoi soldati combattevano per loro mantenere..."(1)

Dalla caduta di Mantova Napoleone fa dipendere il possesso di Verona, Brescia Bergamo e Crema e prosegue con il brano che tanto preoccupa l'Ottolini:

"che nel modo con cui aveva tagliate le ali all'Aquila, avrebbe fatti levar da terra i piedi al Leone, e poco glieli avrebbe lasciati nell'acqua;"

L'arringa di Napoleone si conclude con una terribile minaccia ai Milanesi:

"ma che per ciò fare volevansi de' rinforzi, e che di loro troppo vili, ed infinguardi, perchè ancora troppo grassi, non poteva di nulla compromettersi: minacciando in fine, che se dovrà soffrire un rovescio deciderà del totale loro esterminio."

Oltre a questo, Ottolini riferisce che nei discorsi a Milano si ritiene per certo il fatto che il Governo Veneto eserciti forti pressioni affinché non sia costituita la Repubblica Lombarda.

Il Capitano di Bergamo non azzarda riflessioni su questa notizia, rassegnandole alla "maturità" delle Loro Eccellenze in Venezia.

Storia di Venezia - Illustrazione dai Cahiers d'un volontaire de 91

Illustrazione dai "Cahiers d'un volontaire de 91" (courtesy of http://gallica.bnf.fr).

Pochi giorni prima di questo dispaccio da Bergamo, e precisamente il 4 Dicembre 1796, Antonio Marin Priuli, Capitano e Vice Podestà di Verona, rimasto sola Autorità Veneta in quella città dopo il richiamo a Venezia del Procuratore di Terra Ferma Niccolò Foscarini, nel tentativo di lenire le sventure della sua Gente, aveva indirizzato una "energica lettera al General Buonaparte".

Cristoforo Tentori la riporta integralmente, da pagina 343 a pagina 346.

Priuli apre il suo discorso giustificando la sua lettera come possibile argine ai mali subiti dai Cittadini delle Venete Province a causa delle truppe Francesi.

A tal fine egli cita altre precedenti missive, indirizzate al General Massena e al General Berthier, che avrebbero prodotto un pur temporaneo alleviamento dell'oppressione militare sui Cittadini di uno Stato neutrale.

Rivolgendosi adesso direttamente al Supremo Comandante di quelle truppe, il Priuli impetra e spera provvedimenti che siano più duraturi ed efficaci di quelli concessi dai suoi subordinati.

Pur nella prolissità delle querimonie, nella lettera di Priuli possiamo identificare dati interessanti.
Da pag. 344:

... basterà gettare lo sguardo sugli avvenimenti occorsi dalla Battaglia di Fontaniva in poi.
Quasi come da striscia di fuoco devastatore, tutti i luoghi, che da quel punto sino a Verona ad Arcole, Ronco, Tomba, ed Isola Porcarizza, a Villlafranca, Castelnuovo, e da di là tra l'Adige ed il Lago, in cui o stanziavano, o furono di passaggio le Truppe Francesi, più o meno rimasero soggetti alle più crudeli oppressioni. ...
Campagne intieramente devastate, granai, cantine saccheggiate, cavalli, bovi, animali d'ogni spezie rapiti, mobili, case distrutte, o abbrucciate, Vergini violate, Santuarj profanati, Vasi Sacri asportati, Abitanti alcuni uccisi, innumerabili spogliati, e ridotti ad errare raminghi, mendicare con i teneri lor figli asilo, e sussistenza.

Dati interessanti in quanto confermano, pur alla rinfusa, l'itinerario della precipitosa ritirata e del breve contrattacco dei Francesi descritto dal Tentori nella pubblicazione precedente.

Il resto della lunga lettera altro non è che un ripetere e un ampliare l'elenco dei soprusi già inviato a Parigi con i vari "Promemoria".

Il Governo Veneto rispetta l'amicizia per la Francia e la propria neutralità e impedisce in ogni maniera ai suoi sudditi di cercare difesa e giustizia nella propria spontanea iniziativa, ma a questo impegno non corrisponde l'Autorità che gli Ufficiali francesi sanno esercitare sulle loro Truppe.

Certo, secondo il Priuli, Napoleone e i suoi Generali sono all'oscuro del pessimo comportamento dei loro sottoposti, ma ora che il Capitano di Verona ha loro elencato dettagliatamente le bestialità da quelli commesse, non mancheranno di meglio far applicare gli ordini di moderazione già impartiti e caldeggiati dal Direttorio stesso (N.d.R. Il Priuli mente sapendo di mentire, dal momento che Ufficiali e Generali a loro volta rubano ed estorcono a man salva senza alcun pudore).

Sfugge "l'energia" che Tentori vuole attribuire a questo scritto, a meno che si voglia rilevare una velata minaccia in un accenno a possibili rivolte spontanee della Popolazione, delle quali però si pone come controllore e nemico il Priuli stesso, per mezzo dell'Apparato repressivo della Repubblica.

Da pag. 345:

... le oppressioni sono giunte al colmo, la disperazione de' Sudditi tocca ormai l'ultimo confine. E chi mai risponder potrebbe delle sue conseguenze?
Le misure che il Governo ha disposte, perchè si mantengano nella dovuta moderazione, sono efficaci. Egli mira, e mirerà sempre con ogni studio la buona armonia con la Repubblica Francese.
...
Veglierà, lo promette, il Capitanio Vice Podestà con ogni cura, come ha fatto finora per rendere costante in questi Abitanti, e negli abitatori delle Campagne un moderato contegno;

In buona sostanza, si tratta di una lettera di querula lamentela, atta forse solo a far sorridere con disprezzo il Buonaparte. Quasi si direbbe intesa a rassicurarlo sul fatto che ci pensa Venezia stessa, con il proprio apparato inquisitivo e repressivo, a tenerlo al sicuro da ribellioni spontanee verso le sue malefatte.

Da pagg. 346 - 347:

Queste rimostranze caddero tuttavia, come tante altre, infruttuose: poichè essendo stata l'Armata Francese accresciuta da quanti Malviventi, ed uomini facinorosi v'erano nella Francia, e nell'Italia, i quali s'ingaggiavano tratti dallo spirito di rapina, non v'era possibile frenare i loro latrocinj.
E' ben vero per altro, che i Comandanti Francesi, i quali rubavano all'ingrosso, non avevano nè volontà, nè coraggio di castigare i soldati conscij de' loro furti grandiosi, laonde si pubblicavano Proclami, s'imponevano Regolamenti; ma non si curava la lor osservanza, nè si castigavano i colpevoli, beffandosi in così crudele maniera de' lamenti de' Veneti Sudditi, e delle rimostranze del Governo.

Storia di Venezia - Illustrazione dai Cahiers d'un volontaire de 91

Illustrazione dai "Cahiers d'un volontaire de 91" (courtesy of http://gallica.bnf.fr).

Gli Austriaci, intanto, mantenevano le loro posizioni in Padova, Bassano e ai confini del Tirolo.

Il Tribunale dell'Inquisizione, però, verrebbe a conoscenza di un presunto tentativo dell'Alvinzi di accordarsi "segretamente col Rappresentante di Verona, con li principali Uffìziali Veneti, e con i Cittadini sulla maniera d'introdurre le sue truppe in quella Città sorprendendo i Francesi; e minacciava in caso diverso di bombardarla per costringere col fuoco i Francesi a sloggiare da quell'importante posto.".

Già l'incipit di questa comunicazione degli Inquisitori ce ne svela il carattere puerilmente fittizio. Come può uno accordarsi "segretamente" con l'intera Popolazione di una città?
Non solo: a questo fine, il "Sig. di Homburg Ministro Cesareo in Venezia (2) avrebbe domandato al Governo un "Conferente"."

Nelle due comunicazioni su questo argomento, in data rispettivamente 19 e 22 Dicembre 1796 riportate dal Tentori dalla pagina 347 alla 350, emerge a chiare lettere la malafede degli Inquisitori stessi, che non fanno che raccomandare "il più geloso secreto", quando era ormai loro ben noto che ogni parola pronunciata nelle secrete Istanze veneziane rimbombava direttamente non solo a Parigi, ma persino alla Porta Ottomana.

A ogni buon conto anche queste comunicazioni, formalmente dirette al Senato ma sottoposte alla valutazione dei savj, finirono prematuramente il loro iter nella solita filza delle occultate al Senato.

Del resto non è difficile intuire che esse avessero sostanzialmente lo scopo di "puntare un riflettore" sul fatto che Venezia "aborriva" allearsi con l'Austria, a uso e consumo degli "ascoltatori" francesi.

Sarebbe dunque giunto un ufficiale con ordini straordinari per il Ministro Homburg, di richiedere un "conferente" veneziano, così come il Lallement aveva avuto assegnato il Pesaro.

Questo ufficiale, assieme all'Homburg stesso, avrebbe svolto indagini sul Capitano delle Armi di Verona e sul Vice Podestà presso "nota persona" (eufemismo per un agente del controspionaggio veneziano), in ordine a conoscerne l'indole e l'inclinazione politica.

Sempre alla "nota persona", il Ministro Austriaco e il suo Ufficiale avrebbero confidato essere nelle intenzioni dell'Alvinzi il prendere possesso di Verona, ma di volerlo fare risparmiando il bombardamento alla città, seguendo invece la via delle "più arcane intelligenze con i Comandanti Veneti di quella Piazza". A tal fine appunto egli avrebbe richiesto anche l'assegnazione di un "Conferente".

Nella seconda comunicazione, del 22 Dicembre, si riporta di una seconda visita dell'Homburg alla "nota persona".

Il Ministro avrebbe esordito giustificando il ritardo nel chiedere il "Conferente" con il fatto che le istruzioni trasmessegli dall'Ufficiale erano solo verbali e di averne richieste di scritte prima di agire.

Ribadisce e precisa però l'intenzione del suo esercito di impadronirsi di Verona "facendo degli oscuri cenni su gli arcani modi di favorire le armi Austriache, e risparmiare li danni della Città e de' suoi abitatori.".

Una conferma di questi tentativi, gli Inquisitori la trarrebbero anche da una fonte molto confusa:
da pag. 349:

... che da persona di Estero luogo finitimo al Veronese, si sia fatto intendere di commissione d'un Generale Austriaco, non nominato, ad un suddito di Nobile condizione, ... perchè comunichi al Governo essere intenzione loro di bombardar Verona, qualora i Francesi pensassero di sostenervisi, ...

A tale "suddito di Nobile condizione" si sarebbe raccomandato di far comprendere al suo Governo la disponibilità dei Generali Austriaci a soprassedere al bombardamento, a fronte di un aiuto dei Veronesi dall'interno.

Al "suddito di Nobile condizione" sono offerti in premio non meglio specificate "migliori combinazioni, e l'aspetto di non piccolo proprio vantaggio".

Decisamente, la corruzione era assai di moda, nella Venezia tardo-settecentesca, tanto che senza di lei le azioni di un veneziano sarebbero apparse poco credibili.

Gli Inquisitori ipotizzano dunque che sia intenzione dell'Alvinzi impadronirsi di Verona, e avvertono che i Francesi non sono in grado di opporre una valida resistenza.
Tuttavia, essendo perfettamente avveduti di non godere simpatia fra gli abitanti, vi è da temere che, prima di essere sconfitti, essi possano mettere in atto crudeli rappresaglie sulla Popolazione inerme.

Da pag. 349:

... vi sarebbe anche luogo a sospettare, che sebbene non fossero in istato di fare una valida e lunga difesa, potessero farne per altro una qualunque, e per li oggetti loro, e per uno spirito di vendetta, al quale sembrano per li esempj, e per incuter terrore, inclinati.

Gli Inquisitori temono dunque che queste ripetute proposte degli Austriaci possano compromettere la "custodia impenetrabile del segreto" e nuocere pertanto alla luminosa e serenissima Neutralità tanto cara al Governo.

Dal momento che noi sappiamo, dalle precedenti comunicazioni, che essi erano perfettamente avveduti di come i segreti di Venezia fossero trasmessi in tempo reale alle maggiori Corti europee e a quella Turca, non possiamo non vedere in questa vicenda una puerile quanto improbabile captatio benevolentiae presso i Francesi.

Una sorta di contromisura alle voci di complicità Austro-Veneziana che la propaganda francese non cessava di spargere.
Non fu infatti nominato alcun Conferente con il Ministro Homburg (non sembra sia mai stato ufficialmente richiesto, d'altronde), e la "presa di Verona dall'interno" sortì in un nulla di fatto, formalmente per il rifiuto di Venezia di contravvenire alla sua Neutralità, preferendo di lasciare le sue Province in balia dei saccheggianti "amici" Francesi.

La Prussia nel 1876

La Prussia fu uno Stato soggetto a grandi variazioni territoriali, che la portarono in alcune epoce a espandersi sulla Polonia o a contrarsi in una sorta di confederazione di piccoli Stati. L'assetto in questa mappa del 1876 rispecchia a grandi linee quello che la porterà a trasformarsi nell'attuale Germania (courtesy of http://www.probertencyclopaedia.com).

Da pag. 350:

Diveniva in fatti di giorno in giorno vieppiù precaria l'esistenza della Repubblica, affatto isolata, senza appoggio, senza amici, e senza alleanze, come fu preveduto dal K. Antonio Cappello nel suo Dispaccio 14 Luglio 1788.

In tale tragica situazione di Venezia, per motivi che al momento non mi sono ben chiari, ma che forse arriveremo a comprendere con l'evolversi degli eventi, "nel Gabinetto Prussiano si suscitò l'idea di accorrere alla di lei salvezza con una possente Alleanza.".

Latore di quest'ancora di salvezza è il "Baron di Sandoz-Rollin Ministro Plenipotenziario di S. M. Prussiana", che ne da confidenziale comunicazione al Nobile in Parigi Alvise Querini, il quale non tarda a trasmettere "al Senato la notizia di sì importante e salutare apertura" con un Dispaccio in data 23 Dicembre 1796.

Dispaccio naturalmente di competenza del Senato, ma che per "sicurezza" il Querini inoltrerà attraverso i canali degli Inquisitori i quali, come ormai è noto, conducono nella palude dei Savj di Collegio e quindi al naufragio nella Filza delle Non Lette al destinatario finale, ovvero il Senato, Principe della Repubblica.

Troviamo il Dispaccio di Querini tra le pagine 350 e 352.

Il barone di Sandoz-Rollin (3), pochi giorni prima, ha approcciato il Querini "familiarmente" e senza alcuna formale ufficialità, per manifestargli il suo "dispiacere" per la "dolente posizione" in cui si vengono a trovare le Province Venete a causa della "più disastrosa guerra".

Taglierò breve sulle finezze diplomatiche del Prussiano, che riconosce la grande saggezza del "Senato" nel volersi tenere amiche tutte le Potenze in conflitto, in nome della sua Neutralità, nonostante le ripetute gravi violazioni di questa perpetrate dai Francesi.

In buona sostanza, la sua non è che una reiterazione delle motivazioni già addotte dal Turco e dalla Francia per smuovere Venezia da tale posizione.

Egli paventa al Querini non già la presente e reale minaccia francese, ma una futura da parte dell'Austria.

Comprende anche che sia stata saggia Venezia a non accettare una diretta alleanza con la Francia, stante che questa non poteva garantire una permanenza in armi sul suo Territorio tale da tutelare da eventuali rappresaglie Austriache a guerra ultimata.

Ecco dunque lui venire a proporre in forma confidenziale, ma da rendere pubblica in caso di accettazione, una alleanza con il suo Paese, dal quale, stante la distanza, Venezia non avrebbe nulla da temere in futuro.

L'Austria, a suo dire, non potrebbe trovare alcunché da eccepire in tale alleanza e si vedrebbe anzi nella condizione di temere maggiormente ogni azione ostile verso la Serenissima, la quale potrebbe contare su un amico alle spalle dell'Austra stessa.

Querini comunica di avere risposto a tale confidenza tenendosi sulle linee generali finora seguite dal Senato, ovvero di "non meschiarsi nelle Politiche differenze, che fra le Potenze andavano insorgendo".

Il Sandoz, in fase di congedo, continua a ricalcare, mutati i soggetti, la falsariga della proposta già avanzata dal Rewbel che abbiamo visto nella precedente Pubblicazione, concludendo con la fosca profezia che l'Austria avrebbe potuto ben trovare ogni pretesto di rivalsa contro Venezia, sulla base dell'acquiescenza dei Veneziani durante le scorrerie Francesi.

Querini non ha dunque occasione di rispondere anche a quest'ultima velata minaccia, né si azzarda a riflettere sulle ragioni di tale proposta nel suo complesso.
Da pag. 352:

Io non azzarderò di presentar riflessioni a V.V. E.E. sopra li motivi, che possino aver indotto quel Ministro a tenermi un siffatto discorso, mentre la somma sapienza di V.V. E.E. sa tutte prevenirle, e la mia insufficienza ... , non potrebbe indicarne che di poco adeguate.(4)

Vedremo nella Nota 4 quali potessero essere quei motivi, ma per certo possiamo osservare che il Tentori in questo caso fu vittima della sua ingenuità, dal momento che egli vede nell'offerta Prussiana "l'ancora della speranza in mezzo all'orrenda tempesta, che minacciava di subbissare la Repubblica", e incolpa gli Inquisitori, forse in "segreta intelligenza co' Savj", di non aver offerto alla "Sovrana autorità del Senato" l'occasione di aggrapparvisi.

Di fatto i Savj, con una lettera del 7 Gennaio 1797, diedero esplicito mandato al Querini di sottrarsi elusivamente a qualsiasi altra profferta di parte Prussiana e di rifiutare di farsene eventualemte portavoce presso il proprio Senato.

Il Ministro prussiano tornerà effettivamente alla carica in data 7 Marzo 1797 con una visita personale al Querini, il quale "in obbedienza a' comandi del Tribunale Supremo, (cui diede ragguaglio di tutto nello stesso giorno) si sottrasse con frasi generiche ed inconcludenti.".

Da pag. 353:

In questo stato erano le cose, quando dopo la metà di Dicembre 1796 il General Buonaparte decretò, che "armata manu" fossero occupate la Città, e la Cittadella di Bergamo.

"Un affare di tanta rilevanza...", che lo affronteremo nella prossima Pubblicazione.

Umberto Sartori

Un ricevimento di Elisa Bonaparte

Giuseppina Beauharnais doveva aver fatto buona scuola alle sorelle di Napoleone. Nel brano citato dei Cahiers di Xavier Vernère abbiamo visto la Beauharnais e Paolina rabbonire con un ricevimento gli Ufficiali del Sambre-et-Meuse, in questa più tarda immagine è invece raffigurato un ricevimento di Elisa Bonaparte (courtesy of https://napoleoneeilsuotempo.wordpress.com).


Note

Nota 1 - Pur nota la passione francese per la moda, non è pensabile che dopo aver requisito tessuti e cuoiami per oltre centomila uomini a Torino, Milano e Verona, Napoleone lamenti ancora di avere truppe scalze.

In qualche modo questo particolare mi sembra rafforzare, ove ve ne fosse bisogno, la tesi che usasse queste stoffe e cuoi solo per rivestire le nuove truppe che assorbiva dai "prigionieri" austriaci, o che addirittura le conservasse per il momento in cui avrebbe potuto permettersi un "esercito di rasppresentanza", lasciando i primitivi desperados nelle condizioni in cui erano partiti, o sommariamente rivestiti con gli abiti fuori ordinanza razziati per la via. Possiamo vedere questa abitudine della "soldataglia rivoluzionaria" francese ben descritta da Xavier Vernère nei già citati "Cahiers d'un volontaire de 91" quando racconta il rientro delle truppe dalla spedizione oltre il Reno.

I membri originari dell'Armata d'Italia muoiono a migliaia, ma i loro abiti raffazzonati e pittoreschi non sono evidentemente "riciclati", come purtroppo sappiamo si è dovuto fare anche in guerre ben più recenti.

Napoleone a mio modo di vedere sta trasformando l'orda in un vero esercito, di veri soldati con vere uniformi, che farà la sua comparsa ufficiale dopo la prima tappa del suo cammino verso l'Impero, ovvero la presa di Venezia.

Mentre scrivo questa nota, "scopro" dai già citati "Cahiers" che la Francia aveva bensì alfine inviato consistenti rinforzi all'Armata d'Italia, ma che questi sono, al momento della nostra narrazione, ancora lontani, nella Savoja.
Si tratta del contingente di 20.000 uomini distaccati dall'Armata del Reno e di un altro di consistenza simile, che lo segue, inviato dalla "Sambre-et-Meuse" di cui fa parte l'Autore dei Cahiers. Xavier Vernère raggiungerà Napoleone il 7 Marzo 1797 sotto Mantova, senza ancora aver mai combattuto in suolo italiano.
L'unione con la vera e propria Armata d'Italia avverrà però solo dopo complessivi ottanta giorni di marcia, nei fatti successivi al 15 Marzo 1797, in occasione della Battaglia del Tagliamento

Dal punto di vista della mia tesi sul bilanciamento di equilibrio al Nord necessario perché ai Francesi sia concessa Mantova, questa notizia è molto rilevante, dove dimostra che i Francesi diminuiscono la vigilanza sul Reno appunto, e sui Paesi Bassi di loro recente occupazione. I veri rinforzi non vengono dunque dalla Vandea, come comunemente si pensa.

Questo spostamento di truppe, a detta dello Xavier, avviene molto a rilento a causa dell'estrema povertà in cui versa la zona della Savoja, ora sotto controllo francese, e quindi della necessità di diluire la pressione sulle risorse locali causata dal passaggio di un alto numero di soldati.
La via della Savoja era stata aperta grazie alla demolizione della fortezza di "La Brunette", eseguita dai Piemontesi stessi in ottemperanza agli accordi con Napoleone al tempo delle recenti battaglie di Montenotte, Millesimo e Mondovì.

Nota, dagli stessi Cahiers, la "dotazione" di "uniformi" dell'armata del Reno, vediamo che Napoleone avrà modo ancora fino alla fine della Campagna d'Italia di comandare numnerose truppe di scalzi "descamisados", oltre ai reparti più "scelti" che secondo la mia visione và allestendo, grazie alla selezione dei suoi e all'eventuale apporto di "migranti" dall'Esercito Austriaco.

Nota 2 - Non trovo in Rete alcun riferimento a questo "Sig.d'Homburg". Sappiamo dalla Pubblicazione XXIII che aveva preso il posto in Venezia del precedente Ambasciatore Austriaco, defunto, con la qualifica però di "Incaricato d'Affari".
Non sembra appartenere a una Famiglia della "Nobiltà", se si esclude quella favolistica a cui si riferirà, pochissimi anni dopo (1810), Heinrich Von Kleist nel celebre dramma "Il Principe di Homburg", ambientato nella metà del Seicento, ovvero quando fu creata la provincia dell'Assia-Homburg.
Favola inserita quindi nell'ambito degli Elettorati Prussiani. Dal Compendio di Geografia di Adriano Balbi, 1824, a pag. 108, apprendiamo che la Signoria di Homburg apparteneva "al principe di Sayn Witgenstein Berleburg". Un ambito, quello dell'Assia-Homburg molto vicino e caro agli amici della lucente e occulta Rosa Croce sbocciata nell'Assia-Kassel.

Conferma della qualifica di "Incaricato di Affari" la si trova nel Vol. XXIII della "Gazzetta universale: o sieno notizie istoriche, politiche,...".

Quasi automatico, per me, il sospetto che non solo la Francia, avesse richiesto la creazione di "basse figure" per trattare gli affari scabrosi della corruzione in Venezia (cfr. discorso di Napoleone in Pubb. XIV).
"Basse figure" che, quasi in ossequio al Principio Ermetico, potrebbero essere più "alte" di quelle in evidenza sui palcoscenici della Gloria.

Nota 3 - Come accennavo, una luce sulle possibili vere ragioni di questa proposta di alleanza si può cominciare a delineare già dalla figura del proponente, il barone Sandoz, David Alphonse de Rollin.
Egli era stato infatti molto probabilmente fra i protagonisti della defezione della Prussia dall'Alleanza anti-Francese, che seguiva di pochi giorni il ritiro dall'Alleanza della Corte Spagnola, dove il Sandoz si trovava come Plenipotenziario prussiano fin dal 1784. Il suo trasferimento a Parigi nel 1795 potrebbe essere un altro indizio di una sua particolare inclinazione verso quel Paese.

A titolo marginale, osserviamo che anche il Sandoz rientra in quella particolare categoria di persone passate alla storia anche per la loro propensione alle arti, nel suo caso anche come disegnatore, oltre che come mecenate; una categoria nella quale ritroviamo altri protagonisti di queste nostre vicende, come lo Zuliani "padre di tutte le nullità", il "mediatore" Azara, il Marchese Maurizio Gherardini, Rappresentante Austriaco a Torino...

Nota 4 - Possiamo dunque tentare noi, oltre duecento anni dopo, di vedere quali potessero essere quei motivi: per quel che mi è dato di capire, riesco a vedere due possibilità.

La prima è quella già accennata nella pubblicazione precedente, ovvero che la Francia e i suoi alleati sperassero di realizzare, unendosi a Venezia, un blocco tale da poter davvero annichilire la Potenza Austriaca.
Le Forze Armate le risorse e il prestigio della Serenissima, infatti, in mano ad altri generali e comandanti rispetto a quelli che il Collegio metteva in campo, avrebbero costituito un enorme apporto bellico, terrestre e soprattutto marittimo.
Venezia era la sola Potenza navale dell'epoca in grado di competere con la Marineria inglese.
Far uscire anche solo parte della Flotta Veneta dall'Adriatico avrebbe potuto disturbare non poco le manovre Britanniche nel Tirreno, mentre una belligeranza nell'Adriatico avrebbe gravemente colpito i traffici e i rifornimenti alle truppe terrestri Austriache.
Nonostante mi sia capitato più volte, nella disamina di questi documenti, di scorgere e indicare una "regia generale" dietro il "fenomeno Napoleonico", è assai poco probabile che tale regia, pur volgendole a proprio vantaggio, avesse potuto completamente sedare le rivalità e le conflittualità tra gli Stati europei e all'interno delle loro Dinastie.
Quindi, pur personalmente propendendo per la seconda ipotesi, non mi sento di trascurare del tutto questa prima, anche perché essa potrebbe coesistere almeno in parte con la seconda.

La seconda possibilità prevede un postulato: ovvero che l'Impero Austriaco fosse vincolato a una sorta di protocolli d'Onore che non poteva o voleva ufficialmente trasgredire.
Rispetto a questi protocolli la proclamata Neutralità di Venezia la rendeva inattaccabile da un esercito regolare.
A supporto di questa tesi, vediamo che gli Austriaci, salvo in rari casi, non praticano né saccheggi né espropriazioni sul suolo Veneto, almeno fino a questo momento, anzi, obbediscono alle limitazioni imposte da Venezia, come abbiamo visto rispetto all'uso dei porti di Venezia e Chioggia.
Napoleone, con la sua orda resuscitata, potrebbe avere proprio la funzione di aggirare questi protocolli, conquistando Venezia piratescamente, per poi cederla "legalmente" all'Austria.
Ma il Napoleone è visto giocare su un tavolo "più alto" non solo del Direttorio, ma delle Nazioni europee stesse, e per certo il suo servizio non sarà gratuito.
In quest'ottica, l'Austria potrebbe aver avuto un forte interesse a che Venezia facesse un "passo falso" legandosi d'alleanza con una qualsiasi delle Nazioni in guerra con lei.
Ciò le avrebbe permesso di annettersi Venezia in proprio, senza perdere la faccia dal punto di vista dell'Onore.
Certo questa ipotesi richiede che la Prussia facesse un doppio gioco, ma viste come abbiamo visto le personalità coinvolte nelle dinamiche dei "Gabinetti", questo potrebbe essere più certo che probabile, anche tenuto conto che il legame etnico-culturale tra Prussia e Austria è assai più significativo sia di quello della Prussia con Venezia che di quello con la Francia.


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