Storia di Venezia

Pagina pubblicata 30 Aprile 2014

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799, XXIX

INDICE || Tomo Primo 1788-1796 || Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , XXIX
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE SECONDA
Del Progresso della Rivoluzione dal Primo Giugno 1796 al 12 Marzo 1797 (pagg. 173 - 396)

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Storia di Venezia - Discesa in Italia di Alvinzi e Davidowich, Novembre 1796

La discesa in Italia di Alvinzi e Davidowich nel Novembre 1796: le frecce bianche indicano i movimenti degli Austriaci, le rosse quelli Francesi (courtesy of Google Maps).

Da pag. 333:

Si avvicinava in tanto il momento di nuovi avvenimenti guerrieri fra le due belligeranti Potenze in Italia, i quali, come li precedenti, dovevano riuscire funesti alle Venete Provincie inermi, e senza la minima difesa.

Questo aggiornamento del Tentori sugli scontri Austro-Francesi è assai più confuso del precedente. l'Abate non ci fornisce le fonti delle informazioni che trasmette come fece invece in occasione della calata di Wurmser. Non ci riporta, per esempio, dati precisi sul numero e la destinazione dei feriti.

Mi sembra che si possa ipotizzare che le notizie in questa sezione provengano da quelle a disposizione dell'opinione pubblica dei contemporanei, magari a mezzo del famoso "Foglio del Graziosi" e delle voci circolanti.

L'immagine degli eventi, resa da pagina 333 a pagina 335 è tuttavia abbastanza ampia e tale da permettere di delineare l'andamento generale di quel frammento di Storia.

Non siamo più di fronte a un tentativo di "colpo di mano" di Napoleone su Mantova come quello neutralizzato dalla discesa di Wurmser. I Francesi adesso adottano la tecnica del drago, ovvero della terra bruciata.

Non sembra che essi siano effettivamente in grado di impedire le sortite della cavalleria nemica: ve ne furono infatti di frequente, e tra queste furono celebri quelle del 10, 11 e 12 Ottobre 1796.

Wurmser è rinserrato in Mantova, con il "presidio estraordinario" di 14.000 uomini, per la maggior parte di "Cavalleria la più scelta, la quale unita alla naturale guarnigione formava un Corpo d'Armata rispettabile".

L'alto numero di difensori crea il problema dei generi di prima necessità.

Le sortite dagli assedi hanno solitamente come obiettivo lo sfondare l'accerchiamento per il tempo sufficiente a razziare risorse dai territori circostanti.

La situazione di Mantova è però peculiare. Non ci si limita a voler difendere una sola fortezza impenetrabile, come a Milano, si estende la protezione militare a tutta la città, la quale per di più è affollata di una guarnigione in estremo soprannumero. Queste considerazioni logistiche avranno a mio modo di vedere abbastanza a che fare con una comprensione organica degli eventi. (1)

Attorno a Mantova i mesi di saccheggio continuato da parte dei Francesi avevano creato una zona di "terra bruciata" dalla quale le sortite rientravano presumibilmente a mani vuote.

Si profilava dunque una caduta della Piazza per fame, quando sul Friuli si affaccia una nuova Armata Austriaca, al comando del Generale Alvinzi.

Questa avanza di gran passo, e in brevissimo tempo passa l'Isonzo e il Tagliamento. giungendo a presentarsi sul Piave.

Solo a questo punto i Francesi accennano a movimenti di difesa. Spostano forti truppe a Bassano per guardare il Piave, aumentano la fortificazione di Legnago per l'Adige "e poi verso Mantova riempiono tutto di Ridotti, e di Fortini, e di Picchetti stabili, e volanti.".
In direzione di Verona rinforzano la guarnigione di Peschiera.

(N.d.R. È legittimo pensare che per effettuare queste manovre essi siano costretti ad allentare non poco la pressione su Mantova.)

Al generale Dubois in Trento viene affidato il presidio delle valli da Nord.

Proprio lui subisce il primo assalto, da parte di una seconda colonna Austriaca che scende dal Tirolo al comando del Generale Davidowich, mentre Alvinzi passa il Piave con 30.000 uomini.
Dubois è travolto, e viene richiamato a Sud da Napoleone.

Gli Austriaci sloggiano anche Massena con le "forti truppe" francesi fatte convergere su Bassano, e lo rintuzzano per tutta la strada fino a Scaldaferro, dove Massena e Dubois si riuniscono a Napoleone.

Sanguinosa battaglia al Villaggio ""delle Nuove" ": Napoleone si ritira prima a Montebello e poi pianta il Quartier Generale a Villafranca.

Dopo la battaglia delle Nuove gli Austriaci hanno dunque ribaltato all'indietro l'immensa curva della linea di difesa Francese, e il 5 Novembre 1796 passano il Brenta dirigendosi su Vicenza.

Nuova sanguinosa battaglia ""allo Spedaletto" ", dopo la quale i Francesi arretrano a concentrare le loro forze sull'Adige.

I giorni 6 e 7 Novembre Davidowich è ancora all'attacco e fa arretrare il Corpo Francese al comando del Generale Vaubris fino a Corona dove si attesta il giorno 8.

Nel frattempo l'Armata di Alvinzi occupa Vicenza, Montebello e San Martino, con l'intento prevedibile di passare l'Adige a Verona.

Ancora una volta, dunque, gli Austriaci quando si muovono fanno il vuoto davanti a sé.

E ancora una volta, quando sono in condizione di netto vantaggio, cominciano a perdere, invece, per errori tattici e strategici che sono evidenti anche agli occhi di un profano.

Per comprendere un plausibile perché di queste illogicità rimando alle note in Pubb. XXV e a quelle in calce a questa Pubblicazione.

Il giorno 11 Novembre 1796 Napoleone muove il Corpo d'Armata che ha raccolto sull'Adige a Verona e alle tre del pomeriggio si scontra con l'Avanguardia dell'Alvinzi tra San Martino e San Michele. La mattina seguente i Francesi più volte scalzano gli Austriaci dalle loro posizioni sull'altra riva dell'Adige.

Il giorno 14 da Verona esce un grosso contingente francese che durante la notte getta un ponte di barche sul fiume che la mattina del 15 viene attraversato da 15.000 uomini, "col disegno di tagliar fuori la retroguardia Austriaca, che era a Villanova".

Gli Austriaci arretrano su "Arcolo" (Arcole), ma dopo un "fierissimo combattimento" lasciano la località in mano francese.
"Con non poca perdita de' Tedeschi", scrive il Tentori a pagina 335, ma ancora a noi mancano le testimonianze di dove finissero queste "perdite de' Tedeschi".

Un'altra domanda che non trova risposta è la seguente: se l'11 Novembre i Francesi incontrano l'Avanguardia Austriaca e ancora al 12 sono da questa costretti a rimbalzare di qua e di là dell'Adige, sarebbe logico aspettarsi che entro breve quella Avanguardia fosse raggiunta dal grosso delle Truppe Austriache per un contrattacco in forze, da Est l'Alvinzi e da Nord il Davidowich (in proposito, si veda anche questa ulteriore ricostruzione dei fatti).

Invece dobbiamo aspettare ben il 16, perché gli Austriaci "abbandonate tutte le posizioni innanzi Verona" marcino ancora una volta da una sola direzione contro i Francesi.

Altra battaglia "sanguinosissima" in seguito alla quale i forse 40.000 Austriaci, dopo avere "invano tentato" di attraversare l'Adige, arretrano sul Brenta.

L'Alvinzi si fortifica in Padova e in Bassano, mentre Davidowich, conclusa la gita, si riavvia verso il Tirolo.

Scrivendo il Tentori a pagina 335 che "Il General Davidowich ... abbandonò la sua posizione a Bussolengo e Perona, e si ritirò di nuovo verso il Tirolo", viene fatto di pensare che lo fece seguendo quella strada lungo il lago di Garda che avrebbe dovuto percorrere in senso inverso per accerchiare veramente i Francesi.

Il Tentori descrive questi eventi come conclusisi a favore dei Francesi, ma noi vediamo invece il Napoleone tra due fuochi sempre più stretti, gli Austriaci adesso tengono, oltra a Mantova, sia Trento che Bassano e Padova; Mantova, che Tentori dice "non soccorsa" si mostrerà in condizione di resistere ancora per i tre mesi necessari allo stabilizzarsi del Fronte Renano a vantaggio dell'Austria.

Sappiamo del resto che la stampa ufficiale veneziana da cui presumibilmente l'Abate trae le sue informazioni in questo caso, e segnatamente il "Foglio" del Graziosi, era apertamente schierato su posizioni filo-francesi già dal 1789, come abbiamo visto nella Nota 3 della Pubblicazione precedente.

Storia di Venezia - Il campo di battaglia di Arcole in una incisione di di De Norvins e Perrot del 1833

Il campo di battaglia di Arcole in una incisione di di De Norvins e Perrot del 1833 (courtesy of Trippini Stampe).

Mentre nello Stato veneto si svolgevano queste grandi manovre belliche, il giorno 3 Novembre 1796 il Nobile a Parigi Alvise Querini aveva indirizzato un Dispaccio in cifra al Senato: per la sua grande importanza e segretezza ne aveva affidato la consegna al Tribunale degli Inquisitori, incaricato delle decrittazioni.

Ma gli Inquisitori deviarono il messaggio ai Savj del Collegio, e questi lo archiviarono nella ormai consueta Filza senza darne comunicazione al Senato.

Da pag. 335:

1796 24 Novembre.

In questo messaggio si comunicano le informazioni raccolte in una conversazione tenuta dal Querini col Cittadino Rewbel (vedi in Pubb. XX) "in materia riguardante delicati oggetti, e degni della maggior secretezza, e riserva, oltre a quelli relativi a principj politici, ripetuti tante volte da quel Governo".

Da pag. 336 scrive il Querini:

SERENISSIMO PRINCIPE.
Trovandomi l'ultimo giorno del decorso Mese alla consueta pubblica udienza del Direttorio Esecutivo, il Cittadino Direttore Rewbel mi chiamò in disparte, e mi ricercò, se aveva ricevute recentemente notizie di Venezia; io gli risposi che le ultime notizie da me ricevute portavano la data degli 8 dl quel Mese;

"

Rewbel elenca una serie di notizie secondo lui susseguenti a quella data:

  • ... ne' Bossoli del Maggior Consiglio erano stati posti dei biglietti, che censuravano la condotta del Governo passato perchè era stato indifferente, e non abbastanza contrario a tutto ciò, che riguardar poteva li Francesi;
  • ... nel Consiglio di Dieci erano stati introdotti quegli Individui, che si conoscevano come attaccati per sentimento agli Austriaci, ed intieramente opposti ai Francesi;
  • ... già chiaramente si manifestava l'odio, che avevano li Veneziani contro li Francesi e nella Dominante e nella Terra-ferma;
  • ... gli dispiaceva il veder, che il Governo in qualche parte fomentasse il fanatismo contro li Francesi, mentre aveva in questi ultimi tempi fatto eseguire un Triduo per liberare lo Stato dalli stessi.

Querini definisce quelle notizie come parto di chi voglia turbare "quella buona armonia, e quella amicizia" che i Veneziani hanno saputo mantenere con la Francia pur "in mezzo a così difficili circostanze". Poi risponde in dettaglio:

  • È in effetti possibile che siano stati inseriti biglietti nei "Bossoli" del Maggior Consiglio, ma è altamente improbabile che si sia potuto sapere cosa vi fosse scritto, stante che tali biglietti per legge non potevano essere letti pubblicamente e che sul loro contenuto le Autorità del Maggior Consiglio erano tenute al più rigoroso riserbo;
  • Per la questione dei membri antifrancesi che sarebbero stati eletti nel Consiglio dei X, Querini si sente di escludere che i suoi concittadini, e in specie quelli degni di essere nominati in tale Consiglio, siano capaci di coltivare simpatie per una Nazione piuttosto che per un'altra. A riprova, egli riassume le norme di nomina e la contumacia di due anni proprie di quella Carica.
    Può dunque provare a Rewbel che i nuovi Membri del Consiglio "erano per la maggior parte li stessi, che furono scelti tre, sei, e fino nove anni sono, eccettuate quelle poche variazioni, che l'eventualità potessero aver causate;".
  • Tridui e processioni fanno parte delle normali procedure di controllo sociale della Serenissima. Essi servono a "calmare e vincere l'intolleranza, che la continuazione delle disgrazie deve naturalmente far nascere ne' Popoli...". In questo caso, ai cinque mesi di guerra che stanno travagliando i Popoli veneti, si aggiunge la disgrazia di una forte siccità.

Rewbel dichiara di prendere per buone le parole del Querini, le quali certo sfatano informazioni inesatte giunte al Direttorio, tuttavia, pur con grande affabilità, cambia forma alle sue recriminazioni.

Egli è convinto "che il Governo di Venezia era stato sempre prudente, e Saggio", ma si deve convenire che "li Veneziani non erano niente amici de' Francesi", e lo dimostrerebbe il fatto che si era giunti a proibire ai sudditi veneti di parlare dei Francesi, sia in bene che in male.

Querini si schermisce sostenendo che i Veneziani sempre ebbero più inclinazione per la Francese che per qualsiasi altra Nazione, ma che il comportamento delle truppe e degli ufficiali negli ultimi cinque mesi di guerra rendono sempre più difficile al Governo veneziano mantenere questa simpatia viva nella Popolazione.

Segue un lungo brano in cui Querini elenca i disastri e i soprusi patiti dalla Repubblica a causa dell'invasione.
Rewbel risponde scusandosi e affermando che tutto ciò avviene a causa della Guerra. Per alcuni particolari episodi, come l'esorbitante numero di soldati che Massena vorrebbe far mantenere alla sola Verona, dichiara di essere all'oscuro, e chiede al Querini una "Promemoria" da presentare al Direttorio perché questo invii disposizioni disciplinari ai Generali più prepotenti.

Dopo aver accennato che i Veneti non dovrebbero risentirsi, se le milizie francesi alzano le loro proprie bandiere sulle fortezze neutrali della Serenissima, in quanto appunto le due nazioni sono tra loro più amiche di quanto lo siano Venezia e l'Austria, Rewbel rilancia la proposta di alleanza:
da pag. 339:

... il ... Governo (Veneto) era abbastanza illuminato, che era più facile, che li Francesi fossero di Lui Amici più tosto, che gli Austriaci, e che la conservazione dei di Lui Stati sarà per essere da quella più facilmente, che da questi garantita: che non sapeva comprendere, come che non volesse Egli unirsi alla Repubblica Francese per togliere alla Casa d'Austria qualunque influenza in Italia; e che per tal oggetto non volesse entrare con Essa nell'Alleanza, che l'era stata proposta unitamente alla Porta, ed alla Spagna.

Querini ribatte chiedendo se Rewbel si senta di assicurare, che i Francesi saranno capaci di "scacciar gli Austriaci dall'Italia in modo che la Repubblica di Venezia non avesse mai più in seguito da pentirsi d'aver abbandonata la sua Neutralità;".

Il Francese incalza che la sua Nazione cercava in ogni maniera di ottenere quel risultato, ma che in ogni modo "Egli credeva che neppur la "Neutralità salverebbe la Repubblica" dalle ambizioni dell'Imperatore, al quale non sarebbero mancati i pretesti per una aggressione a fine di conquista. (2)

Querini osserva che Venezia rischierebbe assai di più se offrisse agli Imperiali delle ragioni, anziché dei pretesti, e conclude la discussione rimandando alla decisione del Senato già comunicata al Direttorio per mezzo del Lallement e del Verninac, alla quale lui come ambasciatore non può che attenersi.

A questo punto il Rewbel compie una vera evoluzione. Il Direttorio e lui stesso sono convinti che Venezia non debba schierarsi con la Francia contro l'Austria, e il suo ingresso nell'Alleanza viene dai Francesi inteso non come un fatto legato al presente e contingente stato di guerra, ma in funzione di una difesa futura dalle pretese che l'Imperatore potesse in seguito avanzare.

Querini risponde a "questa nuova proposizione in un modo affatto evasivo" e si congeda richiamando l'interlocutore a impartire quegli ordini che tengano a freno le truppe francesi nello Stato Veneto, con la promessa di produrre al più presto la "Promemoria" richiestagli dal Rewbel a quel fine.

Mentre a Parigi si svolgevano questi colloqui, le Armate belligeranti si erano attestate sulle posizioni già descritte, e "nonostante le illusorie promesse del Direttore Rewbel, la mano de' Francesi continuava ad aggravarsi sopra le Venete Provincie, e sopra il Pubblico Erario, a peso del quale ricadeva il totale mantenimento dell'Armata Francese, ed in parte pure di quella degli Austriaci." (da pag. 341).

Si aggravava dunque l'infelicità dei Sudditi sottoposti a tale flagello, ma non scemava l'attenzione e la vigilanza dei "Pubblici Rappresentanti ... sugli andamenti di alcuni Individui, e de' Francesi medesimi, i quali andavano disponendo le cose sotto mendicati pretesti per dar esecuzione alla meditata invasione di tutto lo Stato, che risoluto avevano di ollandizzare in premio della leale e generosa ospitalità usata dal Senato verso i medesimi.".

Agli Inquisitori giungono dunque di continuo i rapporti dei Pubblici Rappresentanti dalle varie Province. Tentori riporta quello dell'ormai consueto Ottolini da Bergamo in data 10 Dicembre 1796, dal quale secondo il nostro Abate ben si può arguire il livello di vigilanza in atto, e noi lo vedremo nella prossima Pubblicazione.

Umberto Sartori

Storia di Venezia - Napoleone ad Arcole

Un episodio celebre nella mitizzazione di Napoleone. Dopo vani tentativi delle sue truppe di attraversare il ponte di Ronco, il Buonaparte avrebbe raccolto la bandiera di un alfiere caduto e si sarebbe lanciato da solo al galoppo sul ponte sotto la mitraglia nemica, poi seguito dalle sue truppe. L'episodio è qui rievocato in un quadro di Horace Vernet del 1826 (courtesy of Wikipedia).


Note

Nota 1 - Mantova era dunque in pericolo di un immediato crollo per fame.

E su questo pericolo l'Austria nuovamente si muove. L'inizio della Campagna replica quella del Wurmser.
Avanzata fulminea di ingenti truppe, questa volta da due diverse direzioni, contemporaneamente da Nord e da Est.

Ancora vediamo gli Austriaci penetrare la linea di difesa Francese come burro per i primi giorni: Alvinzi arriva di corsa da Est fino al Brenta con 30000 uomini e da lì sbaraglia il campo fulmineamente fino all'Adige.

In perfetta sincronia, Davidowich attacca da Nord e rispedisce Dubois da Trento giù in pianura da Napoleone fin dal primo scontro.

Qui gli Austriaci cominciano a diventare di nuovo illogici.

La logica più elementare sarebbe che queste due colonne puntassero alla semplicissima e immediata conseguenza di prendere i Francesi tra due fuochi, anzi, tre, se contiamo che a Sud c'era ancora Wurmser a capo di una armata di forse 18.000 e più uomini della "più scelta" cavalleria Austriaca e Piemontese, tra l'altro disperati per fame e quindi assai temibili.

Potremmo addirittura dire tra quattro, fuochi, dal momento che a Nord-Est nelle Valli Bergamasche covavano 30.000 armati non certo ben disposti verso il Bonaparte.

Ben che gli fosse andata di sfilarsi attraverso Milano, Napoleone si sarebbe trovato come ciliegina sulla torta le imboscate dei diecimila guerriglieri Barbet sulle montagne Liguri, a salutarlo prima di rivedere il suolo Francese.

L'attacco a Massena in Bassano avrebbe dovuto secondo ogni elementare logica essere condotto dal Corpo dell'Alvinzi, limitandosi il Davidovich a tappare la Valsugana a Nord. Massena sarebbe stato, a volerlo, imbottigliato e annientato.

Scendendo il Davidowich senza scontri lungo il Garda liberato dalla ritirata di Dubois, si sarebbe trovato in posizione di attaccare dal fianco e da dietro, i Francesi che Napoleone faceva accorrere da Sud e da Sud Est verso il Corpo principale Austriaco in discesa da Bassano. Napoleone si sarebbe trovato, appunto, tra due fuochi, e una sortita in massa da Mantova lo avrebbe praticamente accerchiato e annientato al pari di Massena.

Invece, il Davidowich si infila nella Valsugana.

È lui che espugna Bassano da Nord e, come un cane da pastore, spinge Massena a riunirsi col beneamato Napoleone.

Poi avanza in parallelo a Nord dell'Alvinzi, ma più veloce di lui, nella zona pedemontana in direzione Est-Ovest.

Questa manovra di affiancamento, se trasforma gli Austriaci in un duplice martello, permette però a Napoleone di "fare incudine", puntando piedi di Verona su Peschiera e Villafranca, nonché di tenersi aperta una via di fuga "anulare" lungo l'itinerario Garda-Valsugana, lasciato sguarnito dagli Austriaci.

Così infatti avviene in parte sotto il primo impatto nella zona pedemontana del Davidowich. I Francesi arretrano tout de suite fino a Peschiera e risalgono il Garda fino alla zona del Santuario di Madonna della Corona.
Davidovich si attesta a Bussolengo e Parona.

Invece di un accerchiamento. si viene a creare un Fronte lineare, gli Austriaci del Davidowich con le spalle alle montagne, quasi dovessero difendersi da un tentativo del tutto impensabile di un attacco Francese verso il Tirolo, mentre l'Alvinzi sembra traccheggiare con poca convinzione verso l'Adige.
Dovrebbe teoricamente puntare su Mantova, e lo vediamo invece insidiare maldestramente Verona.

Napoleone resta libero di manovrare su tutta la Pianura Padana, con l'unico, fastidioso foruncolo di Mantova.
Erano manovre piuttosto redditizie, non dimentichiamo che solo un paio di settimane prima si era pasciuto, in barba al patto caldeggiato e promosso dal mediatore Azara, le "Pubbliche Casse" del Ducato di Modena...

E opinione diffusa di quasi tutti i testi che ho letto, nonché del Tentori stesso, che l'operazione dell'Alvinzi non sia riuscita nell'intento di recare soccorso a Mantova.

A questa generale concordanza mi sento di opporre una osservazione:
Nonostante le condizioni d'inedia che ci sono descritte, in seguito all'intervento Alvinzi-Davidovich, Mantova resisterà ancora tre mesi.

Può sembrare una breve e insignificante procrastinazione, ma non lo è affatto, quando si voglia considerare che si tratta di tre mesi per forse 20000 soldati e molte decine di migliaia di Cittadini in condizione di pressocché totale inedia.

Non serviva del resto, come già ho cercato di spiegare, "salvare Mantova" per un futuro più lungo di quello necessario al consolidamento degli equilibri sul Reno e nei Paesi Bassi, e questo scopo fu raggiunto.

Per rintuzzare l'offensiva da Nord ed Est, Napoleone è stato costretto ad assottigliare di molto il cordone attorno a Mantova, e questo può avere permesso sortite più lunghe, fuori dai margini della "terra bruciata" circostante, permettendo di rifornire la città di almeno l'indispensabile per una resistenza che era ormai allo stremo.

Vorrei adesso introdurre un altro livello di possibile comprensione degli eventi, soprattutto riguardo alle ipotesi di rimpiazzi dei soldati dell'Armata Napoleonica con prigionieri austriaci, falsi o veri, riarruolati sotto il Tricolore.

A sostegno di questa ipotesi ricordo le principali argomentazioni.

  • I Francesi non ricevono da mesi alcun rinforzo significativo dalla Francia;
  • le loro campagne di arruolamento locale non hanno ancora alcun successo;
  • le popolazioni locali sono generalmente loro ostili;
  • abbiamo notizie certe di un altissimo numero di feriti francesi e delle disposizioni necessarie al loro trasporto e ricovero;
  • non abbiamo invece alcuna evidenza né accenno a problemi collegati con feriti di parte austriaca;
  • altrettanto non abbiamo spiegazioni plausibili sulla sorte delle migliaia di prigionieri Austriaci arresisi al "nemico";
  • Se solo in seguito alle sanguinose battaglie di Castiglione e Lonato sono stati contati circa 6000 feriti Francesi, nelle precedenti e seguenti, come vedremo tra poco Arcole, o in passato Lodi, Mantova etc. devono esservene state molte altre migliaia, e l'Armée dovrebbe essere ormai ridotta a un numero assai sparuto di combattenti, forse poco più di 20.000 uomini, ma presumibilmente assai meno.
  • Invece Napoleone si vede manovrare sempre con un numero di almeno 30.000 o addirittura superiore, se si vogliono contare i Presidi che doveva lasciare nelle numerose Piazze occupate e sui confini delle Potenze che ancora teneva "sotto minaccia".

Se la mia ipotesi è corretta, l'Intera Armèe sta subendo una "muta" dei suoi componenti. Periscono negli scontri i banditi, gli scervellati, gli straccioni, i sanguinari avidi e gli "imbestialiti" di cui si era composto il corpo di spedizione ordalico alla partenza, e i reparti si rimpinguano con militi di scuola Austriaca, addestrati all'ordine e alla disciplina.

Ecco dove mi sembra si possa divisare un nuovo livello di significato di questa operazione di "muta".

Ci si avvicina a quelli che saranno dimostrati essere i veri obiettivi di questa campagna, ovvero Venezia, Mantova Firenze e Roma.
Che cos'hanno in comune queste città?

Il fatto di presentare, una volta violata la cerchia delle loro mura, una indifesa disponibilità d'accesso alle maggiori ricchezze artistiche e finanziarie d'Europa.

I bocconi più grossi sono anche i più preziosi. Le strade di queste città non possono essere lasciate in balia di un'orda di saccheggiatori peggiore di quella che imperversò a Costantinopoli per una settimana prima che si potesse ristabilire l'ordine.

Qui il saccheggio deve essere selettivo, specializzato e accurato. Si devono effettuare "prelievi" e trasporti molto delicati, in queste città deve vigere un rigoroso regime militare di ordine e obbedienza, non l'anarchia di un'orda in gozzoviglia.

Mi sento di fare un'ultima osservazione sulla ricostruzione di questi eventi fornitaci dal Tentori.

C'è una incongruenza tra la realtà dei fatti e la loro percezione da parte dell'Abate.
Nella sua ricostruzione, infatti, vediamo succedersi l'avanzata Austriaca e una forte riscossa Francese.

Quando la situazione si riassesta, il racconto del Tentori ci lascia con la sensazione che si sia ristabilito l'equilibrio precedente, e che Napoleone abbia riaffermato la sua supremazia tattica, ma in realtà non è affatto così.

Al contrario, egli ha perduto non solo la presa di Mantova che si profilava prossima, ma anche le posizioni di Trento e Bassano e naturalmente migliaia di uomini. Gli Austriaci, occupando Padova, si interpongono inoltre tra lui e Venezia.

Praticamente il suo controllo territoriale è stato ridimensionato e non di poco: gli Austriaci hanno le montagne e lui si trova in pianura.

Alle spalle ha circa altri 20.000 nemici annidati in una fortezza. Egli è quanto mai tra due fuochi, due fuochi che non sembrano però avere intenzione di bruciarlo.

Tuttavia Tentori lo vede come vincitore, e questo è un altro argomento che supporta la già accennata ipotesi che l'Abate tragga questa descrizione dal "Foglio" del Graziosi, formalmente organo ufficiale d'informazione ma in realtà strumento di propaganda filofrancese.

Alla luce di quanto si stabilirà a Leoben, e sarà mostrato dai fatti, potremmo anche tener presente che aumentare il prestigio e l'alone mitologico di cui si stà rivestendo il Buonaparte è funzionale anche agli scopi dell'Austria, anzi, ancor più ai suoi che a quelli dei Francesi, che useranno lo Stato Veneto solo come merce di scambio per i Paesi Bassi.

Venezia è una potenza molto temuta da tutte le forze in gioco. Alla luce di quanto noi abbiamo appreso, essa è incomparbilmente più temuta di quanto sia in effetti temibile; ma l'effetto del prestigio di non essere mai stata significativamente sconfitta da alcuna altra Lega di Potenze Europee per oltre mille anni non può non pesare sui tavolini degli Stati Maggiori.

Forse è solo un mito ormai, ma per sconfiggere un mito ne serve un altro, così si comincia a crearne uno nella figura del Napoleone "Nume della Guerra", destinato a sconfiggere la "Regina della Pace".

Nota 2 - A prescindere dal fatto che Rewbel più volte avrebbe dichiarato il mancar di parola e d'indirizzo secondo le convenienze come un metodo lecito e consigliabile al Direttorio per conseguire i suoi fini, in questo particolare discorso è forse possibile credere che non dica del tutto il falso.
Forse, nella porzione ristretta della regia generale degli eventi nota ai Direttori Francesi, era ancora possibile pensare a una alleanza con Venezia per tentare un completo annichilimento dell'Austria.


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