Storia di Venezia
Pagina pubblicata 4 Maggio 2015
Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
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Storia della caduta di Venezia, Paul François Jean Nicolas, visconte di Barras, immagine per cortesia di http://mesouviens.blogspot.it. Il giorno 17 Aprile 1797 il Senato invia due carte di istruzioni ai Deputati Donà e Zustinian, già in cammino per raggiungere Napoleone. Era Savio in settimana Antonio Ruzzini. La prima è una breve lettera di presentazione dei Deputati a Bonaparte: li descrive "Cittadini forniti di virtù ed esperienza". Sono inviati "alla pregiata di Lei persona, ... ben sicuri, che verranno da lei cortesemente accolte quelle significazioni, ... da essi prodotte della più perfetta amicizia verso la di Lei Repubblica, e di singolar considerazione per l'illustre, e riputata di lei persona.". La seconda trasmette la relazione di un colloquio tra Pesaro e Lallement, assieme alle lettere pervenute quel giorno stesso dai Rappresentanti di Padova e Legnago, affinché i Deputati ne tengano conto nelle trattative con Napoleone. Da pagina 189: Passò quindi il Senato ad altre Providenze, le quali miravano a tutelare le Venete Lagune dall'ingresso di Legni Esteri armati in guerra, ed a far sì che gli Uffiziali Francesi i quali in gran copia giungevano a Venezia, non fossero dalla plebe insultati né con fatti, né con parole, onde con tale misura calmare le lagnanze del Ministro Lallement, che democraticamente erasi querelato col N. H. K. e Procurator Pesaro Conferente. Tali "Providenze" si tradussero in tre "Damò". Il primo decreta che le carte spedite ai Deputati Donà e Zustinian siano fornite in copia al Pesaro, unitamente a una risposta scritta relativa alle questioni poste dal Ministro Francese, perché se ne serva nel colloquio con il Lallement previsto per la sera stessa. Il secondo, "inerentemente alla Massima spiegata dal Senato in precedenti Deliberazioni, (I)" da incarico al Provveditor alle Lagune, e Lidi di "rilasciare gli ordini più precisi, e risoluti, affinché al caso della comparsa di Legni Esteri armati alla foce de' Porti per introdursi nell'Estuario, abbia ad esser loro negato l'ingresso di qualunque Nazione siano. E qualora si volesse ciò effettuare colla violenza, ... sia questa respinta anche colla forza". Nota (I) dalle pagine 189 - 190: (I) Sin dal Luglio 1796 erasi preso in considerazione dal Senato l'affare dell'ingresso ne' porti di Venezia di Legni armati di Estere Nazioni, e dopo letta nella sera del giorno 7 Luglio in Pregadi la scrittura del N. H. Provveditor alle Lagune e Lidi K. Giacomo Nani, era stato preso il seguente Decreto di massima. Il terzo Damò è l'ordine che "tutti indistintamente gli Abitanti di questa Dominante si uniformino nella loro condotta alle solenni Dichiarazioni, contenute nel Proclama di questo giorno, di cui si ordina la diffusione colle stampe, e che venghi impedito, e represso chiunque ardisse in fatti, o in parole contravenire all'espressa Pubblica volontà.". Tale pubblica volontà, formulata per sedare le proteste di Lallement, era che i popolani veneziani smettessero di insultare e malmenare i sempre più numerosi Ufficiali francesi in circolazione nella città. I Damò recano la firma di Andrea Alberti Segretario. -- \\ :: // -- Tentori fa adesso un passo indietro per raccontare le peripezie del Nobile Querini a Parigi attraverso i suoi dispacci dei giorni 8, 17, 22 Aprile e 22 Maggio. L'amor patrio del nostro buon Abate, unito alla larga disinformazione di cui soffriva gli fanno apparire il corruttore professionista Querini come un benemerito patriota alle prese con "la turpe e nefanda condotta del Direttorio esecutivo". Il dispaccio Querini dell'otto Aprile 1797 viene inviato in cifra agli Inquisitori. Si è rivelata falsa la voce che voleva giunti a Parigi i delegati di Bergamo e Brescia. Continuano a Parigi le voci che anche Brescia e Verona si siano dichiarate indipendenti dallo Stato Veneto, mentre Crema sarebbe "in insurrezione". Un corriere ha portato la notizia di una nuova vittoria di Bonaparte, e che al suo passaggio aveva trovate sia Bergamo che Brescia già "rivoluzionate". Per Querini, invece, al momento risulta confermata solo la notizia relativa a Bergamo. Conversando con un Membro del Direttorio, il Nobile veneziano cercava di persuaderlo che, se i Francesi non interferivano con il governo delle città venete, nulla a loro doveva importare se il Governo locale attuava misure repressive nei confronti dei rivoluzionari bergamaschi. Il Direttore replicava deciso che la Francia non avrebbe permesso queste azioni ai Veneti, in quanto i Francesi erano più forti dei Veneziani, quindi toccava loro mantenere la Legge nelle città in cui si venivano a trovare. Querini ribatte che dunque, essendo Venezia più debole della Francia, essa avrebbe così perduto tutti gli Stati Italiani a lei soggetti. Il Direttore rispose seccato che il Querini era troppo insistente, che "non toccava alla Repubblica di Venezia far la Legge alla Repubblica Francese", e che tutti quei discorsi provavano che Venezia non si fidava della lealtà del Direttorio. L'ambasciatore veneziano allora si prodigò per rassicurare che i veneziani avevano piena fiducia degli amici francesi e, miracolo, riuscì a rasserenare l'interlocutore. -- :: -- Posso espandere l'esposizione dei due Dispacci Querini del 17 Aprile e di quelli del 22 Aprile, riportati da Tentori alle pagine 194 - 210, con il carteggio originale che ho ritrovato nella busta 81 delle Deliberazioni Secrete in Consiglio di X all'A.S.Ve, il quale, pur a sua volta mutilo, contiene alcuni documenti non riportati dal nostro Abate. Questi Dispacci, assieme ad altre carte, riguardano come si accennava il travagliato tentativo di corrompere il Direttore Barras1, con la mediazione di un tale Wiscovich, Cittadino veneto residente a Parigi, e con la non ben chiara partecipazione dell'altro Direttore Rewbel nonché del Ministro delle Relazioni esteriori Delacroix (Wiscovich non viene esplicitamente nominato nei dispacci. Vi si parla solo di un "mediatore",la cui identità scopriremo in un successivo verbale di interrogatorio del Querini, riportato da Tentori in una nota alla pagina 213). Il Dispaccio numero 179, indirizzato al Senato in data 17 Aprile 1797 è una lunghissima lettera del Querini al Serenissimo Principe. Comunica di aver tradotto in francese sia la lettera del Pesaro a Bonaparte che lo Species Facti prodotto da Zan Batta Contarini Podestà di Crema. Con questo materiale ha contattato il Direttore Rewbel, il quale si è mostrato fortemente contrariato dai fatti di Crema, imputandoli a nemici della Repubblica intenzionati a seminare il caos e l'anarchia nelle Province venete. Tali operazioni non piacciono al Direttorio anche perché stanno provocando il riarmo spontaneo dei sudditi veneti con evidente pericolo per i Francesi. Rewbel vuol dunque sperare che, disarmati dai Francesi i golpisti, la Repubblica veneta avrebbe preso provvedimenti per fermare il riarmo della Popolazioni di Terraferma. Querini il giorno dopo incontra Delacroix, il quale non vuole addirittura credere ai fatti di Crema così come descritti dal Contarini. Nega anche recisamente che i Francesi siano stati coinvolti nei fatti di Bergamo. Ciononostante informerà il Direttorio della protesta del Querini. Con suo stupore per la tempestività, Querini riceve il giorno dopo una lettera di Delacroix, che ho rinvenuto all' Archivio di Stato e riporto alla nota 2. Querini si dice convinto che il Direttorio abbia rilevato di non poter sostenere la rivoluzione nella Terraferma veneta, e di aver quindi deciso di impedirne il progresso. Querini insiste affinché al più presto siano trasmessi ordini molto precisi al Bonaparte, perché sinora il comportamento delle sue armate è stato del tutto diverso dagli impegni presi dal Direttorio. Il Nobile a Parigi descrive come intende supportare la sua richiesta. Da pagina 200: Per accertarmi dunque delle vere intenzioni del Direttorio ho dovuto servirmi di privato maneggio, e mettere in opera tutti que' mezzi che ho creduto li più opportuni a tal oggetto. Secondo quanto raccontatogli dal Wiscovich, nel Direttorio vi sarebbero due membri favorevoli alle rivoluzioni in Italia e due contrari. Il quinto membro è pencolante. Usando dei poteri concessigli con la Ducale del 21 Agosto 1796, confermati in quella del 29 Novembre 1796, Querini riesce a far tanto pencolare il quinto membro dal lato veneto, che quello gli promette l'estensione di una lettera d'ordini a Bonaparte dove il Direttorio intimerà al Generale:
Quando il giorno dopo il Querini si reca del Rewbel per ritirare copia della lettera d'ordini al Bonaparte, lo trova molto serio e accigliato. Il cipiglio del Direttore si deve al fatto che sono giunte a Parigi voci del massacro di centinaia di Polacchi, Lombardi e Francesi a opera degli abitanti di Salò. Si è saputo anche di un proclama firmato dal Provveditor Battaja che incita alla guerra contro la Francia. Inutili le obiezioni del Querini, che Francesi e Polacchi non avrebbero potuto trovarsi a Salò e che il Proclama non poteva che essere un falso. Il Direttorio sospende ogni decisione fino a quando non avrà avuto relazioni ufficiali dai propri agenti in Italia, e Querini si vede per il momento sfumare i "privati maneggi" con cui sperava di comperare la Pubblica quiete dei Veneziani. I fatti delle valli bergamasche sono stati pubblicati dalla rivista Redacteur nella versione fornita dalla lettera di un Ufficiale Francese in Milano (Landrieux, presumibilmente), ma Querini sa che anche il Duca Serbelloni ha inviato un promemoria a Delacroix. A questo Dispaccio, conservato tuttora presso l'Archivio di Stato di Venezia, troviamo allegate tre carte.
-- :: -- Lo stesso 17 Aprile Querini scrive anche agli Inquisitori di Stato. In questo dispaccio precisa meglio cosa intendesse con l'espressione dei "privati maneggi" che avrebbero dovuto convincere il quinto Direttore, l'indeciso, a sostenere la causa di Venezia. Tali maneggi consistevano nel versargli 600.000 lire tornesi, cui si dovevano aggiungere almeno altre 20-24.000 lire per i compensi ai mediatori dell'affare. Dopo varie discussioni, l'indeciso aveva accettato che tale somma gli venisse corrisposta sotto forma di cambiali pagabili a un mese presso una ditta di Genova. L'accordo era che le cambiali sarebbero state rilasciate a fronte della consegna di una copia della lettera ufficiale d'ordini al Bonaparte menzionata nella lettera di Delacroix. L'intervenire dei fatti di Salò ha mandato a monte questo accordo e la lettera a Napoleone non è stata scritta, ma Querini si dice convinto che questo inconveniente farà solo alzare il prezzo della transazione. Agli Inquisitori Querini confida anche il nome del Membro "incerto" del Direttorio: si tratta di Barras. La concussione era scattata subito dopo che Querini aveva consegnato a Delacroix copia della lettera di Pesaro a Bonaparte in cui gli si concedeva un milione al mese per sei mesi.3 Da pagina 195 (nella "Raccolta" di Tentori si espone prima il Dispaccio agli Inquisitori, e poi quello al Senato. In questo caso ho rispettato invece l'ordine della busta 81): Il giorno dopo, ch'io aveva presentata a questo Governo la mia Promemoria, ed anche quella lettera, una di quelle persone, che maneggiano tal natura d'affari, e che senza ch'io la chiamassi era venuta altre volte ad eccitarmi ad indur l'eccellentissimo Senato a far qualche sagrifizio, onde rimetter in calma li suoi Stati, ed a far in essi terminar la rivoluzione, mi venne a dire che la sorte della Repubblica di Venezia da me dipendeva, che, come ho riferito nell'accluso dispaccio, due Membri del Direttorio erano contro la rivoluzione, due la sostenevano, ed il quinto, /Barras/, si teneva indeciso, e ch'era venuta da me per veder, se voleva far qualche sagrifizio, che in tal caso mi assicurava, che la questione sarebbe stata decisa a favor del mio Governo. Querini tenta di temporeggiare, ma il concussore è talmente perentorio sulla necessità di una immediata decisione, che il Querini cede, affidandosi ai poteri straordinari conferitigli dalla Ducale del 27 Agosto 1796. ... promisi che avrei rilasciate delle Cambiali per l'indicata summa; ma che io non le avrei segnate, se non mi si accordavano le condizioni, che ho già rassegnate nell'accluso Dispaccio, cioè, le Città ribellate tornassero sotto il Governo Veneto, fossero rimessi li Podestà Veneti, disarmati li faziosi, proibita determinatamente ogni ingerenza de' Francesi, e così pure accordata l'evacuazione delle Piazze, e Città non necessarie alle operazioni dell'Armata d'Italia, ed obbligati li Comandanti d'impedir la ribellione in quelle, dove le Truppe Francesi dovessero ancora restare. ".A maggior consolazione, Querini riferisce anche che i privati maneggi non sono sua unica prerogativa. Egli sa che il Ministro del Portogallo, per ottenere la pace, dovrà sborsare alla Repubblica Francese sette od otto milioni ufficialmente, ma in "privati maneggi" dovrà concederne oltre dodici. Anche i rivoluzionari sborsano per i loro, di "privati maneggi". Da pagina 197: Li Milanesi, li Bolognesi, e Ferraresi Deputati spendono qui immense somme di denaro per ottener li primi la loro indipendenza, li secondi l'approvazione dal Direttorio della loro Repubblica, ma sembra ch'ancora non possano riuscirvi... -- :: -- Dispaccio di Querini n. 180 al Serenissimo Principe in data 22 Aprile 1797. I fatti di Salò e il Proclama Battaja sono stati comunicati al Direttorio dal Serbelloni e anche da lettere di Bonaparte. L'indignazione sollevata ha portato il Direttorio stesso sulla soglia di far arrestare Querini come ostaggio, provvedimento poi convertito in sorveglianza di polizia. In un colloquio con Barras questi, si dice impossibilitato dalle nuove circostanze a fornire a Querini la copia ufficiale degli ordini inviati a Bonaparte. Non bastassero le notizie di Salò, infatti, anche il Console francese di Zante ha scritto al Direttorio lamentando che gli era stata bruciata la casa, fornendo forti indizi che l'incendio fosse opera dei Veneziani. Non è dunque il caso che egli si comprometta mostrando eccessiva confidenza con l'Ambasciatore veneto tuttavia, grazie al suo voto, il Direttorio ha confermato la propria inclinazione alla pace e all'amicizia con la Repubblica di Venezia e ha quindi indirizzato gli ordini concordati al Generale Bonaparte. A riprova di questo fatto egli fornisce una dichiarazione ufficiosa, in base alla quale ritiene che il Querini possa procedere a rilasciargli le cambiali promesse. Querini allega la dichiarazione, ma non può esimersi dall'osservare che essa non presenta alcun crisma di ufficialità o autenticità, eccetto un generico timbro del Direttorio. Parigi 1 Floreal l'an 5e (20 Aprile) -- :: -- Anche il giorno 22 Aprile Querini scrive un secondo dispaccio, destinato invece al Supremo Tribunale. In questo più riservato messaggio, egli chiarisce meglio il procedere del "privato maneggio" col Barras. Dal momento che non ha ottenuto la copia degli ordini a Bonaparte, Querini vorrebbe non consegnare le lire tornesi al Direttore corrotto. Tramite il solito mediatore, il Nobile a Parigi propone di concedere delle cambiali a un mese, ma che potranno essere incassate solo dopo che Bergamo e Brescia saranno state domate e altre Piazze venete liberate dei francesi, come promesso. In risposta apprende che il Barras si è molto adirato e potrebbe decidere di farsi nemico di Venezia anziché amico. Prima di risolversi a questo passo, però, il francese sarebbe disposto a produrre non la lettera, che afferma essere stata spedita a Bonaparte, ma una dichiarazione firmata dal Direttorio. Pur presumibilmente del tutto falsi, ovvero mai inviati al Bonaparte, questi ordini sono concepiti in modo formalmente del tutto inefficace, dal momento che, sostanzialmente, lasciano all'arbitrio del Generale decidere come e in qual misura attuarli. Questa "imperfezione stilistica" dei Francesi, del resto, era già stata rilevata in una relazione degli Inquisitori ai Savj in data precedente, ovvero del giorno 8 Aprile 1797. Esaminati gli eventi, e le dichiarazioni dei Comandanti francesi in Verona ed altrove, gli Inquisitori ritengono di riportare anche quanto riferito in data 26 marzo nel dispaccio di Querini da Parigi. Nonostante il sale d'esperienza che i rapporti con i Francesi avrebbero dovuto sedimentare nell'intelletto dei Veneziani, Querini ha ritenuto, dopo molti patemi e scuse per l'esborso che impone all'Erario, di dover acconsentire alle condizioni di Barras, e chiede agli Inquisitori di rilasciare lettere di cambio per quella cifra alla ditta di Nicola Ignazio Pallavicino in Genova. Né sono da meno di lui, in questa dissennata fiducia, il Senato veneto o i savj, come di seguito vediamo. -- :: -- Nella già più volte citata busta 81 dell'A.S.Ve. figura una deliberazione "in Pregadi", ovvero del Senato, in data 26 Aprile 1797 a firma Andrea Alberti segretario, dove si loda il Querini e si approvano i suoi "maneggi", dolendosi che i sopravvenuti fatti di Salò ne abbiano causato l'interruzione. Tentori non riporta questo documento, ma vi accenna a pagina 211, sostenendo che esso fu però stilato dai soli Savj all'insaputa del Senato. L'Abate afferma che i Savj avevano sospeso le consultazioni del Senato ritirandosi nella famigerata "illegale Conferenza", ma da quanto espresso nella nota di Tentori stesso a quella pagina, si evince che tale sopruso entrò in atto dopo il 30 Aprile 1797. Nella copia conservata nell'Archivio del Consiglio di X, comunque, l'intestazione di questo dispaccio lo segnala come emesso dal Senato. Non che faccia per noi una gran differenza, dal momento che ci è ormai chiaro come tale Organo Supremo della Repubblica fosse da tempo in completa balia dei "Savj del Collegio". Dall'esame dei documenti in Archivio di Stato, prende sempre più corpo l'idea che con questo appellativo "Savj del Collegio" o "Savj del Consiglio", ci si riferisse in quei giorni sostanzialmente al Consiglio di X, nel quale confluivano il Minor Consiglio dei sei Consiglieri Dogali, gli Inquisitori di Stato, il capo della Quarantia, l'Avogaria da Comun e il Doge stesso, ovvero i massimi vertici del potere Veneziano. Ecco comunque in sostanza il contenuto del documento: Cercherete in conseguenza sollecita occasione di vedere il Ministro delle Relazioni Esteriori e gli altri Membri del Direttorio Esecutivo e di esponer loro a parte a parte quanto sta contenuto nella Relazione suddetta, con aggiungervi tutte quelle considerazioni che vi verranno dalla vostra esperienza suggerite ... confida il Senato, che convinti i menzionati Soggetti della verità dei fatti, e tolte dal loro animo le male impressioni non vi sia intercluso l'adito di ripigliare le pratiche e destri maneggi, che avevate felicemente istituiti, e che sarà merito vostro il continuare con egual energia, ed impegno, dirigendoli all'ottenimento degli essenziali oggetti propostivi di ricondurre la tranquillità, ed il buon ordine ne' Pubblici Stati. Il documento si conclude con un Damo' di dare cassa aperta al Querini "esigendo che si prendano le più caute misure, onde gli siano coi modi più arcani, sicuri e solleciti recapitate, ed attesa soprattutto l'eminente importanza ... che esigono non solo tutta l'attività del Nobile nostro in Parigi, ma l'uso ancora più pronto dei mezzi tutti che valer potessero...". Le commissioni al Querini saranno affidate alle cure degli Inquisitori, previo invio in copia e in originale delle delibere ai "Capi del Consiglio dei Dieci, che restano ricercati a devenire col loro consiglio per le vie secrete a quelle deliberazioni che parranno proprie della loro prudenza.". Il giorno dopo, 27 Aprile, il Consiglio di X con poche righe dà il proprio nulla osta all'invio del precedente Dispaccio a Parigi. -- :: -- Riprendiamo dunque il filo del racconto di Tentori da pagina 211, dove l'Abate afferma che i Dispacci Querini del 17 e del 22 Aprile raggiunsero Venezia quando ormai "la cabala, e l'intrigo della maggioranza dei Savj avevano sospese le legali adunanze del Senato, come a suo luogo esporremo.". Nella nota a piede di quella pagina, l'Abate precisa: "(I) Lo spirito di vertigine, che regnava nell'illegale "Conferenza" che radunavasi nelle private Camere del Doge dopo il giorno 30 Aprile fece sì che i Dispaccj del N. H. Querini non fossero intesi nel loro vero senso.". -- :: -- La sequenza dei dispacci raccolti da Cristoforo Tentori riprende dunque con quello indirizzato a Querini il giorno 6 Maggio 1797. Tra il Serenissimo Principe, Serenissima Signoria, Eccellentissimi Capi di 40 Superiori, e gli Eccellentissimi Savj, al Nobile in Francia. Nella nota "(I)" di pagina 211 Tentori vorrebbe sgravare Querini dall'aver effettivamente ordinato di emettere quelle cambiali, ma la lettera dei documenti lo smentisce. Dalla nota successiva, che vedremo a pagina 213, sembra comunque che tali cambiali non siano state effettivamente pagate al Barras, anche perché ben prima della loro scadenza i Francesi avevano già messo le mani sulla totalità del rimanente Erario veneto. Resterà comunque il dubbio se tali biglietti non siano poi rimasti appannaggio di questa "Dita Niccola Ignazio Pallavicini di Genova", secondo piani che travalicavano sia il Barras che il Querini che la maggior parte dei Savj. -- :: -- Le cambiali furono comunque tratte, perché pur dopo aver osservato che le Città e le Province della Terraferma si trovavano tuttora in stato di rivoluzione nonché occupate dalle Truppe francesi, e aver raccomandato al Querini "il riscontro dell'effetto delle promesse relative ai sumenzionati maneggi", il Serenissimo Principe e i suoi accoliti quello stesso 6 Maggio inviano al Console Veneziano di Genova, Gervasoni, una Ducale che avalla le cambiali e autorizza il loro pagamento a partire dal 22 Maggio 1797, come si può vedere riportato a pagina 212. -- :: -- Nonostante il lungo e delicato maneggio del Querini, la corruzione non sortì l'effetto sperato, tanto che il giorno stesso della prevista scadenza delle cambiali, o il precedente, il Direttorio Esecutivo decretò l'espulsione di Querini da Parigi e dalla Francia. Giunto a Saint Cloud, un villaggio nelle immediate vicinanze di Parigi, il giorno 22 Maggio 1797, l'ex-Nobile in Francia indirizzò un nuovo Dispaccio a Venezia. In esso accusa ricevuta della ducale del 6 Maggio (che abbiamo visto) e di un'altra dell'11 Maggio, che Tentori non riporta e che non è ancora emersa dalle mie ricerche d'archivio. Possiamo dedurne che il Querini non sapesse ancora con certezza che il Governo a cui egli scriveva aveva abdicato in favore di una Municipalità Provvisoria già da una decina di giorni. Aveva tentato già in precedenza di inviare comunicazioni a Venezia, ma vi erano stati ritardi nel rilascio dei necessari passaporti al suo Corriere Rocchetti. Può adesso servirsi invece del Corriere Ronzoni, che appunto gli ha recato le ultime Ducali. Gli premeva informare il Governo che non era più necessario il forte esborso previsto dalle cambiali, in quanto la situazione dei rapporti coi Francesi era peggiorata a punto tale da far ritenere del tutto inutile quella spesa. Ringrazia però il Governo stesso per l'avallo fornito presso la ditta Pallavicini a copertura dei "biglietti" da lui rilasciati al Barras. Devo per altro esprimere alla Pubblica Autorità li sentimenti li più sinceri d'eterna gratitudine per aver voluto sollevar la mia responsabilità da un impegno, da me preso in esecuzione della Ducale 8 Ottobre prossimo passato, che avrebbe dovuto cader solo a peso mio, e dell'innocente mia Famiglia, se non veniva autorizzato dalla Sovrana loro autorità. Questa frase spazia su quattro pagine in quanto le stesse sono in prevalenza occupate da una lunga nota sugli sviluppi successivi dell'affare delle cambiali, che vedremo tra poco. Nel rimanente del Dispaccio Querini illustra la sua presente situazione. Querini è dunque in procinto di spostarsi a Fontainebleau. Una volta raggiunto dai parenti, nel volgere di una decina di giorni, si dirigerà a Torino, dove attenderà gli ordini del Governo. Ha lasciato tutti i documenti del suo ufficio al Segretario, che rimane a Parigi pur essendo a sua volta gravemente danneggiato economicamente. Trasmette i nomi dei Deputati usciti dai Consigli di Francia il giorno primo di Prairal così come quelli di coloro che li hanno sostituiti. -- :: -- In una lunga nota che copre le pagine dalla 213 alla 217, Tentori vuole ricostruire gli sviluppi dell'affaire dei biglietti e delle cambiali. Ritornato il Querini a Venezia, il giorno 27 Luglio 1797 gli furono presentati i famosi "biglietti" da lui firmati (Tentori non dice da chi fosse richiesto questo pagamento). Alvise Querini rifiuta di onorarli, sostenendo che non erano state soddisfatte le condizioni alle quali li aveva emessi, e la cosa sembra finire lì. Il giorno 3 Dicembre 1797 invece, l'ex-Nobile a Parigi viene improvvisamente arrestato e tradotto prigioniero al Castello di Milano dalla Forza Armata Francese per ordine del Direttorio Esecutivo. Il giorno 3 Febbraio 1798, nella stanza del Castello che ormai lo imprigiona dal giorno 8 Dicembre, riceve la visita di un certo Cittadino Pascalis Ajutante Generale dello Stato Maggiore dell'Armata d'Italia, in compagnia di un suo ajutante. Pascalis si presenta come incaricato dal Generale in Capo dell'Armata d'Italia Berthier per interrogarlo, con un foglio di domande già compilate su fogli intestati del "Ministro della Polizia di Parigi". Le domande sono molto precise, e vertono essenzialmente sul quesito se il Nobile a Parigi avesse o meno tentato di corrompere membri del Direttorio Esecutivo. Grazie a questo interrogatorio veniamo a conoscere il nome del mediatore che aveva proposto l'affare a Querini. Si tratta di un cittadino veneto residente a Parigi, un tale Wiscovich. Querini cerca di sottrarsi alle domande sempre più pressanti scaricando le responsabilità dell'operazione sul Wiscovich, che avrebbe ordito tutto l'affare, nel quale egli si sarebbe venuto a trovare nella posizione del concusso e non del corruttore. In un momento successivo, quando la situazione di Venezia peggiorò ulteriormente, il Wiscovich sarebbe tornato da lui con una nuova richiesta, ma questa volta di sei o sette milioni, per raddrizzare le sorti dello Stato Veneto, ma ormai era troppo tardi. Dopo l'interrogatorio Querini rimase prigioniero a Milano sino alla fine di Marzo 1798, quando gli fu comunicato un prossimo trasferimento a Parigi. Da pagina 217: ... fortunatamente però nella giornata 30 Marzo gli riuscì di sottrarsi all'iniqua persecuzione, e di far ritorno alla Patria. Terminata la vicenda del Querini a Parigi, Tentori ci riporta al filo degli eventi di Verona, in quel fatidico 17 Aprile 1797 che vide il generale Balland far tuonare i cannoni dei Castelli veronesi contro la Città che lo ospitava, come apprenderemo nella prossima Pubblicazione. Umberto Sartori NoteNota 1 - Paul François Jean Nicolas, visconte di Barras. Personaggio già molto noto in Francia per la sua tendenza ad arricchirsi a mezzo di corruzione e malversazioni. Aveva avuto un certo ruolo nell'ascesa di Napoleone, in particolare nominandolo capo della Piazza di Parigi e in seguito favorendo il matrimonio del Buonaparte con la Beauharnais. Nota 2 - Lettera del Ministro Delacroix ad Alvise Querini 12 Aprile 1797: Parigi 23 Germinal, anno 5 della Repubblica Francese Nella stessa busta dell'Archivio di Stato, trovo allegata a questi dispacci un'altra dichiarazione senza firma, in data 14 Aprile 1797 (25 germinal anno V), che sembra essere la bozza di lettera d'ordini a Bonaparte richiesta dal Querini: Il Direttorio Esecutivo si pronuncia nella sua saggezza sia per ristabilire la tranquillità negli Stati Veneziani, occupati dalla truppe francesi, che per fare allo stesso tempo rispettare la neutralità della Repubblica. (Archivio di Stato di Venezia, Fondo Consiglio di X/Deliberazioni Segrete/Filze/Busta 81. Traduzione dall'originale francese di U. Sartori.) Nota 3 - Si assiste al replay di ciò che accadde quando furono Erizzo e Battaja a regalare al Bonaparte tre milioni con l'accordo a Roverbella. L'apertura del borsellino veneziano aveva quella volta solleticato l'avidità del Saliceti (vedi pubblicazione XV). Vai a pagg. 178 - 188 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 188 - 218 | Vai a pagg. 218 - 227 || Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||
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