Storia di Venezia
Pagina pubblicata 5 Novembre 2014
aggiornamento 7 Dicembre 2014 Umberto Sartori
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Per mezzo degli antichi amici di suo padre, dopo varie ammissioni successive Jean arriverà a trovare una collocazione nella corte del Conte di Provenza, fratello del Re, futuro Luigi XVIII. La vita e la carriera di Landrieux come specchio della Francia del suo tempoLa biografia del Landrieux elaborata da Lèonce Grasilier sul finire dell'Ottocento è estremamente dettagliata (consulta su Gallica || scarica PDF, 44,6 mb). Il più delle volte giocherà a suo sfavore dal momento che, a tempo debito, Landrieux salterà al volo dal carro del Conte di Provenza alle Armate repubblicane, ma gli sarà anche di vantaggio proprio in occasione degli eventi che mi hanno fatto incontrare questo personaggio nei Dispacci veneziani: il complotto che Landrieux ordirà, di concerto col suo superiore Kilmaine, ai danni contemporaneamente dei giacobini milanesi e della Repubblica di Venezia nel Marzo del 1797. Racconterò tra poco di cosa si trattò, e degli effetti che l'intrigo del Landrieux ebbe su quei fatti tragici per l'Italia e per Venezia in particolare. Voglio però prima spendere ancora qualche parola sull'importanza storica di questa figura che, pur moralmente infida, seppe tuttavia lasciare sincera ed esaustiva testimonianza di sé e del suo tempo. La vita del Landrieux è tra le meglio documentate di tutta l'epoca e ben si presta a fornircene un paradigma molto preciso. Ciononostante, o forse proprio per questo motivo, egli è generalmente negletto e quasi dimenticato dalla Storia ufficiale. Dalla ricostruzione del Grasilier, dagli scritti autobiografici lasciati dal Landrieux stesso e dalla quantità di rapporti burocratici che egli generò nel corso della sua carriera, risulta una straordinaria descrizione dei personaggi e degli usi che caratterizzarono non solo l'Armata Napoleonica ma la Francia tutta negli anni a cavallo della "rivoluzione". La biografia del Grasilier, pubblicata assieme alle Memorie autobiografiche del Landrieux nel 1893, è un testo capace in sé da solo, tra le altre cose, di fugare ogni dubbio su cosa fu realmente la "Rivoluzione Francese" e su quale ruolo vi giocò il "popolo". È un racconto dettagliato e dall'interno, che illustra e conferma quanto già avevamo appreso dalle relazioni dell'Ambasciatore Veneziano a Parigi Cappello (cfr. Pubb. II). Con Landrieux a incarnarle, emergono nitide le figure degli arruolatori prezzolati di medio e basso livello che ingaggiavano il sottoproletariato nella "rivoluzione" in cambio di denaro, vettovaglie e libertà di saccheggio. Landrieux avrebbe dovuto ricevere 800 lire per ogni uomo da lui arruolato, e le vicende relative a contestazioni su questi pagamenti riempiono alcuni dei rapporti burocratici cui abbiamo accennato. Egli trasformò in militi rivoluzionari tutti i bracconieri della Seine-et-Marne, costituendoli in un corpo di cavalleria che gli consentisse, oltre che sui denari per l'ingaggio, di speculare poi sulle forniture. Dai rapporti e dalle Memorie apprendiamo anche come l'ambiente del generalato francese fosse impregnato di forti rivalità personali.
Sin da prima della "rivoluzione", gli attivisti delle "nuove idee", futuri quadri dirigenti del nuovo assetto sociale, erano in gran parte avventurieri. A loro si aggiunse, dopo la "rivoluzione", una miriade di altri avventurieri provenienti dalle file monarchiche, come appunto il Landrieux. Approfittando della vicinanza del suo Distretto con Parigi, egli combatté una sua personale ascesa al potere, mescolando i vantaggi e gli appoggi che riusciva a trarre al contempo dalla sua origine monarchica, dal titolo di Avvocato al Parlamento e dall'efficacia della sua attività come arruolatore di milizie repubblicane. La minuziosa biografia pubblicata dal Grasilier descrive inoltre efficacemente il rapporto d'interesse tra i dirigenti locali e chi si trovava più vicino al governo centrale. Cito un episodio particolarmente significativo che ci avvicina al periodo in cui Landrieux venne a interferire direttamente e personalmente con la Storia di Venezia. A pag. 204, Grasilier ci racconta come vi fosse un antico rancore di Murat verso il Landrieux. Questo rancore, o volontà di rivalsa, risaliva a quando il Murat era stato ufficiale sottoposto al Landrieux. Secondo il Botta, all'epoca vi erano due funzionari militari francesi noti per la loro onestà e per il ribrezzo che manifestavano verso i soprusi e i saccheggi perpetrati dalla loro stessa Armata: il Lahoz appunto e tale Laharpe (Botta, Storia d'Italia, IV, p. 255). A fronte delle marchiane irregolarità rilevate, Lahoz minaccia di arrestare Landrieux, e questi, in una lettera a Kilmaine, esplicitamente minaccia di "cambiare Armata" se non verrà liberato dell'incomodo ispettore. Nonostante Kilmaine sia malaticcio e prossimo a una sedentarizzazione, riesce a proteggere Landrieux. Il legame di malaffare che si era creato tra i due era molto forte, come vedremo. Capo dell'Ufficio Segreto di NapoleoneA pag. 188 della biografia che precede le Memorie, troviamo Landrieux in un momento "fortunato" della carriera. Dietro suggerimento di Kilmaine, con l'approvazione di Napoleone e di Saliceti, egli viene nominato Capo dello Stato Maggiore Generale della Cavalleria in Italia alle dirette dipendenze di Kilmaine, e di lì a poco riceverà dal Bonaparte l'incarico di riformare il Servizio Segreto, che fino ad allora si era basato sull'ingaggio saltuario di singole spie da parte di questo o quel comandante. Il primo ordine diretto che Landrieux riceve da Kilmaine porta la data del 27 Aprile 1796 e riguarda lo scioglimento del Corpo franco di Ussari (13mo) di cui era al comando. In cambio, gli si promette la scelta fra il comando del 1mo o del 7mo Cavalleria. Cito queste notizie sia perché essenziali al ruolo che Landrieux giocherà nei fatti dei primi colpi di Stato nelle Province Venete, sia perché contengono un accenno che viene a confermare quello che già abbiamo scoperto con la disamina dei Dispacci del Tentori, ovvero che l'Armata Napoleonica compensava le immense perdite dei suoi uomini con il riarruolamento massivo dei "prigionieri" austriaci (cfr. Pubb. XXXIII). Come si accennava, poco dopo aver ricevuto il comando dello Stato Maggiore, Landrieux sarà incaricato da Napoleone di riformare l'Ufficio Segreto dell'Armata. "Il lavoro di questo ufficio segreto non aveva alcuna specie di rapporto, eccettuato che a Parigi, con le opinioni repubblicane o monarchiche. Era solo necessario sapere ciò che accadeva attorno al Direttorio a questo riguardo, a quale partito tenessero gli ufficiali e i comandanti che i Direttori ci inviavano a Milano a ogni movimento della bascula". Era necessario sapere chi erano e cosa facevano tutti i generali, sorvegliare le loro esazioni e i loro saccheggi, in una parola, esercitare attività di polizia segreta interna, assai più che dirigere una vera organizzazione di spionaggio contro il nemico.
Come comandante in capo, solo Napoleone aveva il potere di usare efficacemente le informazioni raccolte da Landrieux e Kilmaine, cosa che risultava invece impossibile ai due subordinati, che si sarebbero trovati in conflitto, nell'uso ricattatorio, con loro pari-grado o addirittura superiori. Per lo spionaggio vero e proprio Bonaparte si abbeverava a ben altre fonti. Non dimentichiamo che lo stesso Ministro della Guerra Austriaco, il Barone Thugut, era stato arruolato dai Francesi come doppiogiochista già ai tempi del suo incarico diplomatico a Costantinopoli (vedi Nota 2 a Pubb. XXII). A pag. 195 del Grasiler, apprendiamo che già nel Giugno 1796 Landrieux aveva comunque così bene organizzato il suo ufficio Segreto da avere infiltrato i suoi agenti, sotto coperture di commercio, in tutte le città veneziane, austriache e sarde. Vi erano agenti anche nell'armata nemica, a Napoli, Roma, Genova e Trento. La maggior parte di questi agenti erano mantovani. Questa rete esterna non svolse che mansioni secondarie nel disegno Napoleonico, ma Landrieux seppe, come vedremo, volgerla a proprio personale vantaggio. Pur escluso dal grande complotto internazionale in atto, il Landrieux riuscì a indovinare alcune delle intenzioni del suo Generale in Capo, e a servirsene per i suoi scopi di lucro. Sarà Landrieux a informare Napoleone della prossima calata del Wurmser il 21 Giugno 1796 (cfr. Pubb. XXV). Napoleone ufficialmente non gli vorrà sulle prime credere, ma è ragionevole pensare che recitasse per nascondere le sue più alte intese con l'Austria. A noi la soddisfazione di scoprire adesso chi era il mandante dell' "esploratore fuggito da Mantova" che con le sue "notizie" aveva portato lo scompiglio negli uffici del Provveditor di Terraferma nel Luglio 1796 (cfr Pubb. XIX). -- :: -- A pagina 201 Grasiler accenna come Napoleone usasse dei servizi informativi e logistici del Landrieux anche per prelevare i bottini accumulati "privatamente" da alcuni suoi generali, nello specifico Massena. "Bonaparte voleva giocare un tiro al proprio luogotenente Massena, facendo prelevare a Landrieux i tesori che quel generale aveva depositato a Casalmoro e Carpenedoli. L'ordine viene trasmesso da Berthier. Proprio in quel periodo, Landrieux comincia a scrivere sistematicamente le sue Memorie. Lo scopo del proprio arricchimento personale, in lui come in moltissimi suoi contemporanei, è incommensurabilmente superiore a ogni forma di fedeltà e onestà. Tuttavia il lucro derivante da queste speculazioni è infimo, rispetto agli illeciti guadagni che altri ufficiali francesi vanno realizzando nella Prima Campagna d'Italia. Dalle considerazioni sull'esiguità del proprio bottino in sì grandi occasioni, egli trarrà la grande idea truffaldina che nei nostri documenti veneti vede coinvolto il Vice Podestà di Bergamo Alessandro Ottolini e il suo Segretario Stefani (vedi Pubb. XXXVI). Storia della Caduta di Venezia: la grande truffa di Landrieux ai danni dei "rivoluzionari" e dei "conservatori"In data 14 Ventoso anno V (4 Marzo 1797), Kilmaine propone ufficialmente la promozione di Landrieux ad Aiutante Generale, per sanare una incongruenza gerarchica tra gli incarichi che ricopriva e il suo attuale grado militare. Landrieux ringrazia il superiore con una lunga lettera (Mss. B, folio 249), riportata dal Grasilier da pag 214 a 219. In essa, Landrieux scrive a Kilmaine lamentandosi esplicitamente del fatto che Kilmaine e lui stesso sono quelli che hanno ricavato meno guadagni personali nei saccheggi: "Voi e io, generale, ci ridurremo ancora infangati alla Porta di Lussemburgo, a fianco delle brillanti vetture di quelli che qui (in Italia) avranno fatto fortuna. Noi passeremo per degli imbecilli. Loro saranno considerati persone di spirito, loro saranno reimpiegati come gente degna di credito, e noi affatto. Saremo anzi molto fortunati se, nei grandi pranzi che essi potranno offrire, non ci accuseranno di aver saccheggiato più di loro ma di non essere stati capaci di conservare le nostre ricchezze.". Kilmaine e Landrieux, come abbiamo visto, non disponevano che di relativamente pochi uomini, e malissimo equipaggiati, che Napoleone aveva impiegato appunto nei servizi segreti e nella guardia ai magazzini nelle aree più insalubri, come le paludi mantovane dove era dislocato il Landrieux. Tali incarichi tenevano i due nei luoghi più lontani dai benefici dei saccheggi, e il loro margine di lucro si limitava a creste su miseri traffici di maiali e altre derrate; in questi loschi traffici dovevano inoltre affrontare la rivale e abilissima avidità delle "basse figure" installate dopo il colloquio di Roverbella tra Napoleone, Battaja ed Erizzo; ovvero le figure degli approvvigionatori e accaparratori, segnatamente e precisamente descritti anche dal Landrieux nella persona del Vivante (cfr. Pubb. XIII, con riferimento a Nota 1). Landrieux, promettendo al superiore di scagionarlo da qualsiasi responsabilità in caso di fallimento e dopo già essersi accordato con lui verbalmente, prosegue la lettera illustrando la sua grande idea per l'arricchimento proprio e del compare Generale. Si tratta di inserirsi autonomamente in un segmento della grande congiura che da decenni si sta tessendo in Italia ai danni dei Principati locali, forzando i tempi delle "insurrezioni" in Bergamo e Brescia. Per ottenere i suoi scopi, Landrieux precisa che nella realizzazione del suo piano si avvarrà anche delle grazie muliebri della Contessa Albani, compagnia gradita sia all'Ottolini che alle "teste calde milanesi". Sarà infatti nelle stanze di Palazzo Albani che si svolgerà gran parte della trama di questo intrigo. Landrieux descrive al Superiore, con la certezza di riceverne approvazione, la sua intenzione di attuare una doppia truffa. Da un lato egli si sarebbe spacciato per un rivoluzionario, e dall'altro per un conservatore. -- :: -- Egli era già introdotto, con la copertura di un incarico diretto dall'Armata Napoleonica, nei circoli giacobini dell'Oltre-Mincio, e soprattutto in quelli di Milano. A queste "teste calde" locali, Landrieux svelò quel poco che aveva scoperto o intuito dei disegni del Napoleone ancora prima di Leoben, ovvero che il loro futuro previsto dal Liberateur non era affatto la Libertà di una Italia repubblicana sorella della Francia, ma una nuova servitù all'Austria, che certo non avrebbe amato né perdonato i "rivoluzionari". Egli convinse questi suoi complici di essere membro di una fazione repubblicana francese avversa al Napoleone, pronta a giocargli un tranello d'anticipo approfittando dei suoi impegni in Tirolo, per impedirgli di proseguire il suo cammino verso la Monarchia cui evidentemente ormai aspirava. Perdendo il controllo dell'insurrezione italiana, Napoleone si sarebbe trovato senza merce di scambio con gli Austriaci, e sarebbe stato emarginato dal potere (cfr. i Preliminari di Leoben, dove le Venezie saranno cedute in cambio dei Paesi Bassi). Libere dall'aspirante tiranno, le restanti truppe francesi non avrebbero mancato di proteggere i nuovi Stati indipendenti italiani. Per ottenere questo brillante risultato, era necessario che gli straricchi "notabili" insurrezionali italici si facessero carico di armare decentemente quei 3-4000 uomini agli ordini del Kilmaine, i quali presentemente erano fatti languire tra le febbri del Mantovano e nei depositi di Monza, Lodi e Cremona. Landrieux nella lettera a Kilmaine si dice convinto di poter raccogliere dai "notabili rivoluzionari" ben più del necessario ad armare le truppe, almeno per la scena teatrale che avrebbero dovuto recitare. -- :: -- Sull'altro fronte della sua truffa, Landrieux aveva incontrato il Vice Podestà veneto di Bergamo Alessandro Ottolini in un colloquio segreto a Palazzo Albani di Milano, spacciandosi per un ufficiale lealista francese, intenzionato a salvare l'onore di Francia dalle aberrazioni Napoleoniche. Sarà ancora a Palazzo Albani che noi Lettori dei Dispacci veneti faremo la conoscenza del Landrieux, in occasione di un suo successivo incontro con il segretario di Ottolini, Guglielmo Stefani. Stefani lascerà quella casa con il terribile presentimento di essere vittima di un raggiro, ma in tutta evidenza né lui né Ottolini né il Battaja compresero quale fosse. A Ottolini, l'agente francese creava un'esca diversa. Approfittando dei propri trascorsi monarchici e dell'alone di sospetta rivalità col Napoleone che avvolgeva il Prode Kilmaine, fatti certamente non ignoti al Servizio Segreto veneto, nella cena a Palazzo Albani si propose come un tutore dell'ordine e dell'onore, e fece breccia nelle diffidenze di quei poveri funzionari abbandonati dal proprio governo. A loro veniva promesso l'intervento di quei medesimi soldati francesi, che sarebbero comparsi in occasione dei prossimi colpi di Stato, ma con funzione di pacificatori, arrestando innanzittutto gli insorti e affiancando poi le Autorità Venete nel mantenimento dell'ordine, in attesa del prossimo, inevitabile crollo del Napoleone. Ciò, naturalmente, a patto che i Veneziani sborsassero a loro volta il necessario per rimettere in ordine di battaglia le magre compagini del Kilmaine. Anzi, ovviamente, Landrieux contava sulle proprie abilità "amministrative" perché anche dai Savj fosse sborsato ben più del necessario. -- :: -- Il vero copione sarebbe stato tale da riservare colpi di scena a entrambe le vittime della truffa. Intervenendo infatti coi suoi uomini al momento dei colpi di Stato, Kilmaine avrebbe agito dapprima da pacificatore e fatto arrestare i capi locali della "rivolta", liberandosi così della metà dei suoi creditori-complici. Contestualmente avrebbe espulso le Autorità Venete vicine all'Ottolini, ormai del tutto indifese, scaricando anche l'altra metà dei creditori. Avrebbe quindi assunto la funzione di mediatore diretto tra le Province insorte e il Senato Veneto, per mezzo del Residente a Milano Vincenti Foscarini, grazie alle intercessioni della contessa Albani di cui quest'ultimo era invaghito. Con il Foscarini, Landrieux avrebbe proseguito la commedia dell'anti-Napoleonico già avviata con Ottolini. Ma io vi rispondo che per mezzo della principessa Albani, mia ospite, bella donna e nulla più, io farò credere al Residente Foscarini, fortemente innamorato di lei, e a Ottolini, suo parente, governatore di Bergamo, che noi siamo leali al Senato, che minacceremo apertamente sia i ribelli che i Francesi, che li avessero soccorsi vuoi per ordini segreti (di Napoleone), vuoi per spirito patriottico; non cesserò di vedere il Foscarini fino a quando avremo bisogno di lui... Nei suoi rapporti ufficiali, soprattutto al Lallement in Venezia, Landrieux insinua il sospetto che l'Ottolini sia segretamente a capo di una rivolta armata antifrancese in deroga alle disposizioni del suo Governo, preparando le basi per l'inchiesta che il Senato aprirà sul Rappresentante di Bergamo al suo rientro in Venezia, come vedremo alla Pubb. XXXVIII. Landrieux contava anche di ottenere da Foscarini una lettera che lo avrebbe aiutato, se necessario, a disarmare Ottolini. Da una lettera della Albani in data 14 Aprile 1797 apprendiamo che infatti ancora a quel giorno Landrieux godeva della piena fiducia del Foscarini come miglior intercessore per la causa veneta presso i Francesi. Nel frattempo, Landrieux avrebbe avuto cura di trattare segretamente con altri esponenti del malcontento locale, invitandoli a prendere le distanze dai primi insorti e ad epurarsi dagli estremisti, al fine di qualificarsi per la creazione di governi misti italo-francesi. Grazie a questi Governi Landrieux contava di appianare ogni contrasto possibile col Napoleone, consegnandogli, per così dire su un vassoio d'argento, governi-fantoccio già composti degli elementi più inclini al compromesso e al lucro personale, come conveniva al piano generale del Liberateur e dei suoi registi. Kilmaine accetta l'affare e concede a Landrieux la "carta bianca" che quegli richiedeva, diramando un ordine di stato di Guerra contro la Repubblica di Venezia. Si ordina per conseguenza, a tutti i generali e altri comandanti ai miei ordini, di raddoppiare la vigilanza, di considerarsi in stato di guerra con la Repubblica di Venezia e di tenersi pronti a eseguire gli ordini che loro perverranno da me o per tramite dei miei Aiutanti Generali. Kilmaine -- :: -- Questo "complotto nel complotto", che Landrieux e Kilmaine porteranno a segno con qualche piccola variante, avrà come effetto collaterale lo spiazzamento di alcuni savj della grande congiura veneziana, che si vedranno sorpresi da una rivolta in anticipo rispetto a quella da loro e da lungo tempo ordita. In particolar modo il Battaja, che abbiamo visto in forte apprensione per non conoscere il nome dell'informatore di Ottolini (vedi Pubb. XXXVI), sbotterà in un improvviso voltafaccia. Vistesi sfuggire le redini del complotto, tenterà di porvi rimedio scatenando quelle forze che sino ad allora era stato il più accanito a trattenere. Egli improvvisamente inciterà alla rivolta anti-francese e anti-giacobina i Sudditi Veneti. Risposero in particolar modo i Veronesi e i montanari delle Quadre Bergamasche, ma le loro file si erano di molto assottigliate dai tempi del Bidasio e del Piano Nani per la difesa. L'inettitudine e la manifesta malafede delle massime Autorità venete avevano molto indebolito gli spiriti patriottici. Fu il Battaja stesso a dare loro il colpo di grazia, con questo inattendibile improvviso voltafaccia e con un altro di segno opposto, una volta appurato che il Napoleone, con Leoben alle spalle, ritornava in controllo della situazione. -- :: -- Al di là di quel che espone Landrieux, attribuendosi la paternità e i rischi dell'operazione, non possiamo escludere che il suo piano fosse stato segretamente concordato con il Bonaparte, o addirittura ordito da quest'ultimo al fine di confondere ulteriormente le acque prima della dichiarazione ufficiale di guerra, nonché di destabilizzare i congiurati locali, pur suoi alleati. Altre notizie interessanti per i Lettori della Storia della Caduta di Venezia.Con la mia pur rapida scorsa alle memorie raccolte e organizzate dal Grasilier, sono incappato in alcune altre informazioni pertinenti lo studio dei Dispacci esaminati da Tentori. A pag. 193 Landrieux racconta di come la campagna mantovana si fosse del tutto spopolata, per la fuga dei contadini dentro i confini dello Stato Veneto, e come fosse praticamente impossibile procurarsi ogni genere di vettovaglia senza ricorrere ai servigi delle "basse figure" degli approvvigionatori approvati dal Napoleone di concerto con i Savj veneziani. Qui come in altre occasioni nelle memorie di Landrieux compare la figura della "Fraterna Vivante". Landrieux sostiene che i Vivante obbligarono i profughi dell'Oltre-Mincio a vendere i loro beni sottocosto ai Veneziani, per poi rivendere le stesse derrate, soprattutto il bestiame, a caro prezzo ai Francesi. (Nella nota 1 a pag. 196 si accenna a una forte diffidenza di Kilmaine nei confronti di Vivante, rifiutando di fornirgli il numero dei suoi effettivi, nonostante il Vivante dovesse provvederlo del vitto per i medesimi). La conclamata disonestà del Nostro non ci consente di prendere per oro colato le sue affermazioni in materia di dati reali, sugli effettivi, i caduti e i fabbisogni, né le pezze d'appoggio che egli produce per sostenerli. Dove però non sia in gioco il suo profitto immediato, Landrieux appare spietatamente sincero, quindi ritengo opportuno riportare alcune altre notizie ricavate dalle sue Memorie. A pag. 203 del Grasilier, si accenna a un soggiorno veneziano del Saliceti (2) per tutto l'inverno 96-97, durante il quale il commissario si occupa dell'organizzazione del partito giacobino in questa città, appoggiandosi sulle preesistenti logge di Liberi Muratori. Questi reclutamenti preparano il terreno alle conquiste di Bonaparte. In merito Léonce Grasilier cita la Raccolta Cronologica del Tentori alle pagine 14 e 15. Landrieux affianca l'opera di Saliceti recandosi in segreto a Venezia nel Brumaio (Ottobre/Novembre) 1796, per affiliare a Club i neofiti e preparare il colpo di stato grazie alla loro attività propagandistica. Salvatori viene così descritto nel rapporto di un agente francese da Genova: "È un imbroglione provocatore ben noto in Italia per mille infami ruberie ben prima della Rivoluzione. Durante il regno del terrore, si è coperto di sangue" (Affaires étrangères, Génes, vol. CLXX, pièce 173 fol. 301). Secondo il Botta, Salvatori finirà la sua vita suicida per miseria (Storia d'Italia, II, p. 356). A pag. 206 per contestualizzare le pessime condizioni fisiche di Landrieux e Kilmaine, Grasilier cita un rapporto del 7 Maggio 1796, conservato agli Archives de la guerre, dove si informa che nelle campagne in Italia una "prodigiosa quantità di uomini" cadeva vittima di epidemie, e non riusciva a ristabilirsi. Kilmaine stesso morirà a Parigi delle malattie contratte in quella Campagna, meno di due anni dopo, all'età di 48 anni. Questa notizia aumenta ancora il numero delle perdite francesi, già valutabile in decine di migliaia d'uomini caduti o feriti in combattimento, e pone ancora una volta in luce la necessità di riarruolamento di "prigionieri" austriaci, per spiegare il numero costante di soldati portato in campo da Napoleone nel corso della campagna, prima che giungessero significativi rinforzi dalla Francia, ovvero prima della Battaglia del Tagliamento, agli inizi del '97. Per ulteriori notizie su Jean Landrieux, e sullo sviluppo del suo Piano, si vedano anche Umberto Sartori NoteNota 1 - L'irlandese Charles Edward Saul Jennings, nato a Dublino nel 1751 e morto a Parigi nel 1799, si naturalizzò francese a undici anni con il nome di "de Kilmaine", una Baronia nell'Irlanda Orientale. Una volta ammalato, nell'ultimo anno di vita Kilmaine fu sovraccaricato di oneri e responsabilità nell'organizzazione di una poi fallita invasione francese dell'Irlanda, finché fu chiaro che i suoi giorni volgevano al termine. Nota 2 - Antoine Christophe Saliceti. Considerato oggi uno dei precursori del moderno spionaggio, il Saliceti, oltre al ruolo di Commissario del Direttorio, svolse numerose operazioni di infiltrazione, alcune anche nello Stato Pontificio. In una lettera da Torino del de Vial, Aiutante Generale di Bonaparte, a un suo corrispondente nel Consiglio degli Anziani a Parigi, intercettata il 21 Settembre 1796 dal Servizio Segreto Veneto, troviamo questa osservazione su Saliceti: Da Pubb. XXVI: Ogni sorta di malcontentamento, e tutti li germi di disorganizzazione travagliano la nostra Armata. Saliceti è Buonaparte non vanno mai d'accordo; questionano sempre sopra le loro prerogative; l'uno fà e l'altro disfa; l'uno ruba con imprudenza, l'altro con destrezza. In varie altre occasioni, nei dispacci riportati dal Tentori, Saliceti compare in prima linea, a fianco o appena dietro Napoleone, nelle concussioni alla Repubblica di Venezia in cambio di promesse intercessioni presso le truppe saccheggiatrici e il Direttorio. Entrambe le "contessine" dovevano avere forte disposizione ai doppi-giochi del controspionaggio, perché, pur stimate dalla "Repubblica" come agenti patriottici, esse in realtà procacciavano malaffare favorevole agli invasori e diffondevano le loro false notizie terroristiche (cfr. Pubb. XV). Torna alla Pubb. XXXVI | In questa pubblicazione: Approfondimento di Jean Landrieux | Vai a pagg. 13 - 29 Va al Trattato di Sant'Eufemia || Va all'Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||
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