Storia di Venezia

Pagina pubblicata 6 Luglio 2015

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - LVI

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , LVI
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

Vai a pagg. 252 - 262 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 263 - 282 | Vai a pagg. 282 - 294

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

Storia di Venezia, i Martiri fucilati dai Francesi a Verona

Storia della caduta di Venezia, i Martiri fucilati dai Francesi a Verona. A sinistra lo stemma del conte Emilj, al centro un cappuccino, ordine a cui apparteneva Giovanni Battista Malenza, a destra lo stemma del conte Verità. Immagini per cortesia di http://www.fraticappuccini.it e http://www.heraldrysinstitute.com.

Tentori riprende dunque il filo degli avvenimenti di Verona con il dispaccio del Provveditor Giovanelli del 23 Aprile 1797.

La lettera si apre con la descrizione di una grande attività da parte francese. Bombardamento e sortite dai Castelli, con attacchi dall'esterno a opera del Generale Chabram.

Anche qui Giovanelli, nonostante deva comunicare che tutti i tentativi francesi sono stati sconfitti con lievissime perdite da parte dei Veronesi, non perde occasione per essere disfattista.
Secondo lui, infatti, l'allontanamento dalle "Pubbliche Massime" di neutralità sarebbe fatale a Verona.
Da pagina 263:

... sulla situazione, in cui si trova questa sfortunata Città, essa è assai infelice, e l'allontanamento delle Pubbliche Massime verso i Francesi, dal dover nostro con tutto lo sforzo sin ora sostenute, non farebbe che più fatale, e sollecito sviluppare il destino sulla sua politica esistenza.

Passa quindi a sostenere che il riarmo dei Veronesi era stato inteso solo per rintuzzare "pochi insorgenti Bergamaschi e Bresciani", ed era dunque inadatto a confrontarsi con l'esercito regolare francese.

Evidente la malafede del Giovanelli anche quando afferma che sia "non sempre costante in questi Abitanti l'ardore di prestarsi alla comune difesa": basta ricordare i 35.000 volontari rispediti a casa da Battaja...

Il Provveditore si sente confortato dalle Ducali con le quali il Senato loda la sua attività, e promette nuovi abboccamenti con il Generale Balland, al quale ha scritto, di concerto con Erizzo e i Rappresentanti dei Corpi, una nuova lettera.

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Con un secondo dispaccio nello stesso 23 Aprile, alle ore 21:30, Giovanelli vede "un raggio di luce" che lenisce le sue angustie: Balland ha risposto alla sua lettera e si mostra amichevole e disponibile.

Il Generale ha ricevuto la notizia che Napoleone e l'Austria hanno firmato la pace. Giovanelli ipotizza che la gentilezza del francese sia dovuta al fatto che in tale pace, certamente a suo dire, la Francia restituirà la Lombardia all'Austria, dunque Balland potrebbe venirsi a trovare in una posizione piuttosto scomoda.

I due avviano un reciproco scambio di messaggi finalizzati a organizzare una nuova "conferenza di pace". Trattandosi di "cose militari", Giovanelli ha affidato la cosa al "Generale conte Stratico", che agisce di concerto con Erizzo.
Per il momento, Balland ha concesso un armistizio fino al mezzogiorno del 24 Aprile.

È chiaro che un armistizio non porta alcun vantaggio ai Veronesi. La sospensione del combattimento serve solo a far guadagnare tempo ai Francesi, che al momento si trovano isolati e assediati al centro di una città e di un territorio ostile. Il tempo necessario a Victor per giungere in soccorso attraversando in sordina Padova e Vicenza.

Se nel frattempo i Veronesi fossero riusciti a espugnare i Castelli, Victor si sarebbe trovato a dover affrontare un compito ben diverso e problematico, sia dal punto di vista militare che politico, ovvero quello di assediare ed espugnare una città che si difendeva in armi.
Era indispensabile al piano napoleonico, invece, che i Veronesi si venissero a trovare tra due fuochi e potessero esser fatti passare per "ribelli" agli occhi dell'opinione pubblica mondiale.

Infatti Giovanelli si dà immediatamente da fare per far cessare le ostilità da parte del Popolo veronese.
Dalle pagine 265 - 266:

In tanto ricevuta appena la Lettera del Generale, abbiamo sul fatto stesso reso pubblico l'interinale armistizio, rilasciati gli ordini in conseguenza alla Truppa, ed ai Villici per far cessare l'incessante fuoco, e per maggiormente assicurarne l'osservanza, i Nobili, gli Uffiziali, e le persone influenti sul Popolo furono da noi sparse nella Città per mantenerlo calmato, ed attendere l'esito della Negoziazione.

Il Provveditore si preoccupa di rassicurare il Francese specificando, in una delle lettere interlocutorie di preparazione all'incontro (pagina 267), che egli è in grado di far cessare le operazioni su larga scala, ma che è possibile il permanere di qualche sporadico atto ostile da parte di frange popolari che ormai sfuggono al suo controllo.
Tali azioni non potranno però essere tali da mettere in pericolo le Guarnigioni dei Castelli ed è importante che i Francesi non reagiscano, perché questo potrebbe riattivare alle ostilità la Popolazione ubbidiente.

Nella risposta Balland promette di diramare gli ordini necessari a far cessare del tutto il fuoco francese, e invita un parlamentare veneto per il mattino seguente al fine di "ristabilire tra noi quella buona armonia, che precedentemente esisteva.".

La negoziazione si dovrà svolgere al mezzogiorno del 24, tra tutti i Generali francesi da un lato e il solo Stratico dall'altro.

Allo Stratico, le Autorità venete avrebbero affidato una proposta di pace in otto punti preparata il 22 Aprile 1797, che Tentori riporta alla pagina 268.

  1. Il numero dei soldati francesi nei Castelli non sia aumentato, e si accetti la guardia mista alle mura di Francesi e Veneti.
  2. I Francesi rimangano confinati nel perimetro dei Castelli, e attendano un nulla osta dei Rappresentanti veneti per uscire in città.
  3. Ai Francesi si continuerà a fornire ciò di cui abbisognano.
  4. Verranno reciprocamente liberati gli Ufficiali, i soldati e i Villici fatti prigionieri, in numero eguale da entrambe le parti.
  5. Questo quinto punto ci rende evidente che vi erano molti più prigionieri francesi che veneti. Si propone infatti che il soprannumero di questi rispetto a uno scambio paritetico, sia liberato in maniera discreta, sfuggendo agli occhi della Popolazione "si faranno al primo momento passare fuori della Città di Verona, e saranno consegnati a qualche Corpo di Truppa Francese ... come sarà opportunamente convenuto.".
  6. Le Truppe francesi non passeranno più per Verona, ma su un nuovo ponte appositamente costruito fuori città.
  7. Le Truppe francesi non potranno avvicinarsi a meno di dieci miglia da Verona senza autorizzazione.
  8. Le Truppe francesi non potranno proteggere e spalleggiare i ribelli nel Dominio Veneto.

Anche questa "piattaforma" risulta in tutta evidenza come composta al fine di ingannare un'ultima volta il Popolo di Verona, mostrando che i Rappresentanti intendevano far valere i diritti dello Stato Veneto sugli ospiti-invasori.

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Nel Dispaccio che Giovanelli invia a Venezia il 24 Aprile 1797, infatti, egli stesso mostra di non credere possibile "una conveniente definizione degli affari molestissimi, che turbano gli animi nostri, la Pubblica, e privata tranquillità".

Il Rappresentante di Padova ha infatti comunicato che il generale Victor è transitato con 6000 fanti, 1000 cavalleggeri e 20 cannoni.

Giovanelli lamenta che le forze veronesi sono troppo deboli per reggere l'assalto di questo nuovo contingente 1 e sostiene di riporre ormai le sue (false) speranze nell'ipotesi che tra le condizioni della Pace firmata a Leoben "vi possa essere la restituzione della Lombardia a Sua Maestà Cesarea".

In questo dispaccio egli conferma che i rapporti dal territorio riportano il disarmo completo della maggior parte dei villici.
Questa notizia non può che apparirci come un definitivo "via libera" per Victor.

In una breve frase Giovanelli liquida la sua stessa proposta in otto punti da lui stesso inviata poche ore prima a Balland.
Da pagina 269:

Si studierà il possibile perchè le condizioni sieno le migliori alle circostanze; ma certo non è nemeno sperabile, se non che possibile l'accettazione di quelle rassegnate a V.V. E.E. in jeri sera.

In chiusura del dispaccio la notizia che il Generale Stratico deve ritirarsi dalla funzione di intermediario con i Francesi, a causa di un provvidenziale attacco di gotta.

Al suo posto sono inviati i capri espiatori veronesi: il conte Francesco Emilj e il dottor Garavetta, che saranno accompagnati dall'ineffabile Circospetto Rocco Sanfermo come rappresentante della Serenissima Repubblica.

Questo dispaccio, oltre a quelle del Giovanelli e del Contarini, porta la firma anche di Niccolò Erizzo I.

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A questo punto Tentori sposta l'attenzione su Venezia per riferire le attività del nuovo "Deputato all'interna custodia della Città", notizia che ho preferito accorpare alla Pubblicazione precedente.

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Il racconto degli eventi in Terraferma riprende con il dispaccio del 24 Aprile 1797 che Zan Francesco Labia, Capitanio e Vice Podestà di Padova indirizza al Senato e, verosimilmente, anche al Provveditor Giovanelli.

Nelle notte tra il 23 e il 24 Aprile è giunta in Padova l'intera Divisione del generale Victor.
In ossequio alle Ducali ricevute la notte precedente, Labia ha provveduto alloggi e sussistenze, nonché diffuso un Proclama e prese altre misure per intimare la tranquillità ai Sudditi.

Anche i Francesi dal canto loro sono diventati ospiti educati.
Da pagina 271:

... regna sin ora una quiete singolare, e per la Città non sembra nemeno, che siavi una così incomoda Divisione.

Labia ha avuto un doloroso abboccamento con Victor in persona, che dopo averlo ringraziato per l'ospitalità, senza mezzi termini gli ha dichiarato che era ormai deciso che la "vendetta" della Francia per i soprusi e gli assassinii commessi contro i soldati francesi si sarebbe inevitabilmente abbattuta su Verona.

A sostegno di questa vendetta i soliti ingredienti del Piano Landrieux: Venezia non ha avuto il coraggio di dichiarare ufficialmente guerra alla Francia, ma avrebbe svolto una attività ostile subdola e strisciante, culminata con i recenti episodi di Salò e di Verona.

Consueti quanto inutili anche gli argomenti e le prove tangibili che Labia tenta di opporre.

Victor passerà da Padova e da Vicenza senza nuocere più del necessario, e da Legnago piomberà su Verona per una punizione esemplare.

Il Vice Podestà di Padova ne informa il Senato e i rappresentanti delle Città sul cammino dell'invasore.
Da pagina 272:

Padova 24 Aprile 1797
Zan Francesco Labia Cap. V. Podestà.

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Il mezzogiorno del 24 Aprile 1797 dunque, Emilj, Garavetta e Sanfermo salgono al Castello di San Felice per sottoporre la già esposta bozza di accordo in otto punti a Balland.

I Francesi, avveduti ormai che il contado era disarmato, che Padova e Vicenza lasciavano passare Victor con tutti gli effetti di una gradita ospitalità, non vollero nemmeno prendere in considerazione una qualsiasi possibilità di accordo e pretesero invece una completa capitolazione della città secondo condizioni provvisorie imposte da Balland e Landrieux in attesa della ratifica di Kilmaine.

Tentori ne riporta gli "articoli preliminari" alle pagine 273 e 274.

Un Commissario Francese, accompagnato dal suo Segretario, e da due Corpi di Granatieri, preceduto, e seguito da Truppa Veneta a piedi e disarmata entrerà in Verona per la Porta di S. Zeno, che sarà consegnata ad un Battaglione di Granatieri Francesi.

Evidente quanto i Francesi ancora temessero le armi veronesi, al punto di coprirsi con truppe venete disarmate che a tutti gli effetti appaiono come "scudi umani".

L'atto di capitolazione prosegue sulla stessa falsariga. Questo corpo di spedizione libererà tutti i Francesi attualmente in Verona e li condurrà fuori da Porta San Zeno.
I Veneziani inchioderanno tutte le loro artiglierie "affinché i Villici non possano servirsene dal momento presente sino a quello, in cui ne prenderanno possesso i Francesi ..." .

Alla Cittadella saranno consegnati sedici ostaggi, tra i quali i Capi della Città, i conti Erizzo e Giovanelli, il Vescovo, i fratelli Miniscalchi, i conti Emilj, il condottiere Maffei, i signori Filiberi e Garavetta.

Nessuna vettura, cavallo o abitante di Verona dovrà uscire dalla città, sotto pena di rottura del trattato.

Entro la sera tutte le truppe regolari di ogni specie dovranno radunarsi nella pianura, alla distanza di 500 passi dal "gran campo" della Croce Bianca.

Ulteriori condizioni saranno impartite all'arrivo in Verona del generale Kilmaine, che ha dettato anche questi articoli.
Da pagina 274:

La risposta deve arrivare nella Fortezza a 4 ore di Francia.
Balland Divisionario
Landrieux Capo dello Stato Maggiore
della Cavalleria dell'Armata d'Italia,
e del Campo sotto Verona.
Per copia conforme
Saint Servin.

Sanfermo, Emilj e Garavetta furono congedati dal Castello con l'incarico di portare queste condizioni alla firma delle massime autorità venete.

I Provveditori le sottoscrissero ma, osservando che non vi era alcun accenno alla "salvezza della vita e delle proprietà degli abitanti", premisero alla firma un articolo sulla questione.
Da pagina 274:

Accordato da' sottoscritti: essi abbandonansi alla generosità Francese. "La Vita, le Proprietà degli Abitanti, delle Truppe, e de' lor Capi" sono poste sotto la salvaguardia della lealtà della Nazione Francese, de' suoi Capi, e delle sue Truppe.

Tornati al Castello con questa firma, i tre parlamentari videro del tutto trascurata la clausola, e ricevettero direttamente da Kilmaine la Capitolazione definitiva.
Da pagina 275:

ARMATA D'ITALIA. Dal Quartier General della Cittadella di Verona li 5 Floreal alle ore 5 dopo il mezzo giorno anno 5 della Repubblica Francese una ed indivisibile.
Il General Divisionario Kilmaine Comandante in Capo la Cavalleria dell'Armata, la Lombardia, ed il Mantovano.
Dietro l'adesione del Governator di Verona alle condizioni preliminari, che gli furono imposte oggidì, è stato convenuto ciò, che segue per la lor esecuzione.

Riassumiamo le condizioni dettate da Kilmaine.

  • Tutti i Civili francesi usciranno dalla Città per porta San Zeno tra la mezzanotte e le due, scortati da Truppa veneta che rientrerà poi subito in Città.
  • Dopo quella operazione, gli ostaggi richiesti saranno accompagnati al Castello da metà delle Truppe venete, che deporrà le armi e si consegnerà al campo francese.
  • I Provveditori e gli altri ostaggi saranno preannunciati di mezz'ora da un trombetta.
  • "Gli ostaggi sono i Signori provveditori Giovanelli, Erizzo, Giuliari, Emilj, il Vescovo, Maffei, quattro Fratelli Miniscalchi, Filiberi, due Fratelli Carlotti, Sanfermo, e Garavetta."
  • Se Maffei e i Miniscalchi risultassero irreperibili, verranno sostituiti da altri cinque notabili della Città.
  • I Villici evacueranno Verona a piedi entro le ore 9 della sera dell'indomani, consegnando armi e munizioni.
  • Fino a nuovo ordine, si farò fuoco su chiunque tentasse di uscire dalla città.
  • Il Governatore collaborerà in tutto per far sì che tutte le armi, le munizioni, le vettovaglie e ogni congegno bellico siano consegnati all'Armata francese.
  • Porta San Zeno sarà consegnata subito dopo l'evacuazione dei Villici.
  • Per facilitare queste operazioni, vigerà una sospensione delle ostilità fino alle ore 9 dell'indomani.2

I parlamentari dovettero firmare questa capitolazione e, trattenuti nel Castello, furono in seguito forzati a scrivere una lunga lettera ai Provveditori. Lettera che diverrà poi nota come "Lettera dal Castello di San Felice", e sarà attribuita al Circospetto Sanfermo, anche se firmata in solido da Emilj e Garavetta.

Ricevuta la Capitolazione, i Provveditori e le altre Cariche venete non la controfirmarono e, ben lungi dall'accettare la condizione di ostaggi, per la seconda volta scelsero la via della fuga, abbandonando Verona, Sanfermo, Emilj e Garavetta al loro destino.

Singolare annotare che lo Stratico dovette in quelle ore essere miracolato della sua gotta che, se gli aveva impedito i pochi passi per portarsi al Castello, non gli impedì affatto di fuggire come una lepre fino a Padova. Era la notte del 24 Aprile 1797.

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Da Padova Giovanelli, Erizzo e Contarini spediscono un primo dispaccio il 25 Aprile 1797.

Si tratta sostanzialmente di un riassunto degli eventi già descritti dal 22 al 24 Aprile e delle condizioni della Capitolazione.

Come novità abbiamo l'osservazione di Giovanelli sul fatto che non furono richiesti in ostaggio né il Capitanio e Vice-Podestà Contarini né il generale Stratico.

Per Contarini, il Provveditore ipotizza che fosse intenzione dei Francesi fare in modo che venisse sommariamente giustiziato come traditore dal Popolo veronese stesso che, sempre a dire del Giovanelli, era del tutto alieno dal voler accettare la resa firmata dai Rappresentanti veneziani.
Da pagina 277:

Quanto scabroso, e malagevole sarebbe stato il tentativo d'indurre il Popolo Veronese, divenuto entusiasta per effetto di Patria, ... ad accogliere le dette condizioni la Pubblica Sapienza può agevolmente comprenderlo; come anche a qual pericolo, incorso dalla tregua d'un giorno accordata da' Francesi per la trattativa, si esponeva la Popolazione, lasciando penetrare alla stessa il tirannico giogo, che si voleva imporgli, giacchè senza riserva inveito avrebbe e contro i Pubblici, e li Rappresentanti Civici, e contro gli stessi Francesi.

Giovanelli era dunque perfettamente consapevole che la tregua "accordata da' Francesi" era in realtà funzionale a loro, e non certo al Popolo veronese. E consapevole parimenti era che questo fatto non era passato inosservato ai Veronesi, dei quali infatti temeva la vendetta.

Quanto allo Stratico, i Francesi gli avrebbero assegnato il compito di sovraintendere alle operazioni della resa e in particolare del disarmo delle Milizie dei Sette Comuni al seguito del colonnello conte Nissaro. Il che lo avrebbe posto con i Veronesi in una posizione ancora più scabrosa e malagevole del Contarini.

Dal Dispaccio apprendiamo ancora che la capitolazione definitiva dettata da Kilmaine non era stata affidata ai parlamentari Sanfermo, Emilj e Garavetta. Essi erano invece stati trattenuti al Castello come già ostaggi.

Il Dispaccio si conclude con il racconto della fuga.
Da pagina 277:

Confusa dall'aspetto terribile delle circostanze la ragion nostra... ci siamo determinati a render nullo il nostro assenso alle prime condizioni, e di porre nelle piena libertà del Popolo il deliberare sulla propria sorte.

Una libertà che per un mese egli si era alacremente adoperato per demoralizzare e disarmare.

Ma la sicumera del Provveditore non si ferma a questo. Egli sostiene di essere stato costretto alla fuga in quanto non aveva l'autorità di "cedere a discrezione una Piazza, e tantomeno a' Francesi Neutrali.".
Come se egli non la avesse già ceduta il giorno prima, firmando i preliminari.

Le Cariche sono dunque fuggite da Porta Vescovo alle 4 del mattino del 25 Aprile con l'aiuto del conte Giuliari, del marchese Pellegrini e del Sindico Pandini, sotto scorta di "60 e più soldati a cavallo, diretti dal Capitan Filiberi, unitamente al N. H. Capitanio, Sargente generale Co: Stratico, e al Segretario Pagan, e al Tenente Scotti ...".

La fuga assume quasi toni eroici a fronte di un triplo pericolo cui i topi che abbandonano la nave devono sottrarsi: essere trucidati dal Popolo, fucilati dai Francesi o inseguiti dalla cavalleria di Kilmaine, che essi temono possa tentare di raggiungerli anche in Padova.3

La chiusura del Dispaccio è puerilmente paradossale.
Da pagina 278:

Non fu timore di prigionia, nè di morte, che condotti ci abbino a tal risoluzione, ma il riflesso, che mancavaci la più lontana lusinga o di moderare la feroce fermezza de' Francesi, o lo egualmente feroce furore del Popolo Veronese.

In pratica: "Non siamo fuggiti per paura della morte, ma per paura che ci ammazzassero".

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Il giorno 26 Aprile 1797 Giovanelli e Contarini inviano al Senato quello che sarà l'ultimo Dispaccio della loro reggenza.

Il dispaccio si apre con una nuova dichiarazione sullo stato di confusione mentale in cui le Cariche di Verona si sarebbero venute a trovare.
Si tratta con tutta evidenza di un espediente per coprire contraddizioni e incongruenze nella loro versione dei fatti.

L'intero dispaccio è in realtà una raccolta di scuse e di mezze verità volte a coprire il loro tradimento della Repubblica e di Verona, culminato in un gesto anche troppo rivelatore della loro indole e natura, la fuga.

Subito dopo, si passa a scaricare ogni responsabilità sui Veronesi e sui Villici che sarebbero stati pochi di numero, inaffidabili e stanchi. Giovanelli li incolpa persino della perdita del cannone sul monte di San Lunardo.
Da pagina 279:

L'opera de' quali non era, che di poca utilità nel corso del giorno, e di niuna durante la notte, avendo persino abbandonati lì Posti loro affidati, specialmente quello importantissimo del Monte S. Lunardo che batteva il Castello S Felice.

Nota di U.S.. Come se non avessimo visto in tutti i dispacci precedenti essere i Veronesi sempre vincenti sui Francesi, e niente affatto demoralizzati, piuttosto anzi inclini a estendere la loro bellicosità contro il Giovanelli e il suo disfattismo.
E se il loro numero era ormai relativamente esiguo, ciò non si dovette certo a loro, ma al rifiuto delle Cariche veneziane di tenere in servizio le decine di migliaia di volontari. Per la questione del Monte San Lunardo e il suo cannone, si veda la nota 2 a Pubb. LIV.

Giovanelli invoca poi lo Stratico come sostegno dell'affermazione che Verona era indifendibile.

Tutto questo per giustificare il fatto di avere firmato l'indegna capitolazione.

Si azzarda anche in una analisi sociologica della Popolazione, la quale sarebbe per la maggior parte di sentimenti fedeli alla Serenissima. Vi sarebbero però anche molti Cittadini "di genio austriaco".
Arriviamo al paradossale quando Giovanelli dichiara che negli undici mesi di angherie subite dai francesi una significativa porzione del Popolo avrebbe sviluppato una inclinazione verso di loro.

Una inclinazione che abbiamo visto chiaramente all'opera nei primi giorni delle "Pasque"...

Per sancire l'ineluttabilità della sconfitta, Giovanelli tira infine in ballo i Comandanti Francesi.

Beaupoil "aggiunse francamente, che la Repubblica di Venezia aveva sussistito bastantemente per quatordici Secoli: che conveniva adattarsi alle circostanze".
E Giovanelli infatti aveva perfettamente adattato alle proprie tasche i 300.000 franchi di Berthier...

Inoltre, non bisognava illudersi che la caduta di Bergamo e di Brescia fossero solo un effetto collaterale, o una iniziativa di Landrieux o anche di Kilmaine. Dietro tutti questi fatti era la stessa volontà strategica di Napoleone. E parimenti dal genio del "dio della guerra" il destino anche di Verona era già segnato da tempo.
Da pagina 281:

... anche prima, che giungesse il risultato della intervista de' N.N. H.H. innoltrati dall'Eccellentissimo Senato a quel Generalissimo sopra questo proposito, Verona avrebbe dovuto suo malgrado cedere alla forza.

A fare in modo che fosse debole a sufficienza per questo ineluttabile cedimento, Giovanelli non si era certo risparmiato.

In chiusura invoca ancora "il generoso compatimento del Senato" se le cose che ha raccontato anche a nome del Contarini possono apparire poco chiare, ma si deve comprendere che essi sono uomini sconvolti dalle "luttuosissime combinazioni che li sovrastano".
Da pagina 281:

Padova li 26 Aprile 1797
Iseppo Giovanelli Prov. Estraordinario in T.F.
Alvise Contarini Cap. V. Podestà di Verona.

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Il Senato, a firma di Andrea Alberti Segretario, risponde il 26 Aprile 1797 stesso indirizzando la lettera, oltre ai due precedenti, anche al Provveditor Erizzo.

Il Senato si duole amaramente delle notizie, ma la risposta tratta l'argomento come se si trattasse solo di una momentanea defaillance; istruisce i Provveditori come se fossero ancora delle Cariche effettive, con poteri e competenze efficienti.

Istruzioni del resto molto laconiche. Attendano in Padova la decisione del Senato che potrebbe rimandarli a Verona o richiamarli alla Dominante.
Si tenga in sospeso lo sbando delle Milizie dei Sette Comuni e di quelle Pedemontane.
Si faccia affidamento sui consigli dello Stratico per "quegli espedienti, che riputerete li più adattati alle circostanze, ed al miglior nostro servizio.".

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Ciò detto, il Senato passò quella sera stessa a occuparsi di nuove misure per la salvaguardia della Dominante e dell'Estuario, come vedremo nella prossima Pubblicazione.

Nota di U.S.

Venendo a cessare, con la fuga delle Cariche e l'imprigionamento del Sanfermo, la corrispondenza diplomatica da Verona, nella "Raccolta Cronologica..." di Cristoforo Tentori viene meno il racconto degli eventi di quella Città.
Posso però aggiungere per i Lettori un breve riassunto di quel che avvenne agli ostaggi ricavandolo dal racconto che Rocco Sanfermo ne fece nella sua già citata "Condotta Ministeriale...".

Sanfermo racconta dunque che, quando essi si recarono in Castello per offrire l'accettazione della Capitolazione, a patto che i Francesi aggiungessero la clausola sulla salvaguardia della vita e dei beni degli abitanti, il generale Kilmaine era disposto ad accettarla e firmarla in quei termini.

Si intromise però il Beaupoil, che con veemenza voleva dissuadere Kilmaine da tale concessione, sostenendo che i Veneziani erano traditori e che le Cariche richieste in ostaggio avrebbero approfittato della clausola per fuggire.
Beaupoil richiese, in caso di accettazione, che fossero posizionati due pezzi di artiglieria a mitraglia per battere Porta Vescovo e di far presidiare le vie esterne a quella Porta, che ancora rimaneva in mano ai Veronesi, da 150 fanti e 150 cavalleggeri.

Indignati dalle parole di Beaupoil, i tre parlamentari si offersero di rimanere da subito in condizione di ostaggi. A fronte di questo gesto, Kilmaine accettò la clausola di salvaguardia e firmò l'accordo.
I Veneziani allora mandarono questa nuova capitolazione al Giovanelli accompagnandola con una lunga lettera, e invitandolo a mandare nuovi parlamentari per ogni ulteriore discussione.

Il clima di fiducia instaurato con Kilmaine fu distrutto dalla notizia della fuga delle Cariche, portata in Castello da una comunicazione del conte Giuliari.
Da pagina 234 della "Condotta Ministeriale...":

Li Nobili Signori Conti Emilj, Sanfermo, ed Eccellente Sig. Dottor Gravetta, restano avvertiti, che verso le ore cinque della scorsa notte sono emigrati gl'Eccellentissimi Signori Proveditori Estraordinarj e l'Eccellentissimo Capitanio.
In vista di ciò si è fatta un'unione di tutti gl ordini della Città, e provisionalmente sono state destinate dieci persone rappresentative la municipalità. È seguita anche l'elezione di quattro soggetti per trattare, e stabilire le cose necessarie relative all emergente col General Kilmaine; e già si sono incominciate le negoziazioni.
Addi 25 Aprile 1797
Bortolo Co: Giuliari Proveditor.

I modi dei Francesi verso gli ostaggi divennero ostili e insultanti, Sanfermo e i suoi compagni furono separati e imprigionati come criminali.

Dopo alcuni giorni Sanfermo fu trasportato dal Castello all'abitazione di un nobile veronese; da lì dopo poche ore, in piena notte e febbricitante fu nuovamente tradotto in una prigione, dove incontrò come compagni di sventura il Vescovo di Verona, il conte Verità, il marchese Giona, il marchese Maffei, Pandini e molti altri.

All'alba il gruppo fu trasferito ancora in Castello, dove reincontrò Garavetta ed Emilj (Sanfermo lo chiama Emilej).

Alcuni giorni dopo Sanfermo fu nuovamente separato e condotto in custodia presso una abitazione in città. Dopo qualche altro giorno fu portato davanti al Consiglio di Guerra francese.
Seduto al banco degli accusati, Sanfermo non fu processato, ma dovette assistere al processo-farsa contro Maffei, Giona, Auregio, Malenza, Emilj e Verità. Per gli ultimi tre la sentenza fu capitale.

Alla sera Sanfermo fu riportato agli arresti domiciliari.
Li ebbe notizia di oltre sessanta Cittadini tenuti in stato di arresto o in prigione.

Il 18 Maggio 1797 ricevette dallo stampatore camerale Carettoni l'avviso che i Francesi gli avevano richiesto copie dei proclami firmati da lui, in particolare quelli che invitavano i Cittadini a recuperare le palle di cannone e a consegnare la polvere da sparo in loro possesso per sostenere l'attacco ai Francesi.

Quella stessa notte però alle ore una del mattino, l'ufficiale di guardia lo fece uscire dal letto e lo condusse in una locanda, dove incontrò due Deputati della Municipalità di Venezia. Solo in quel momento Sanfermo seppe che la Serenissima Repubblica era caduta con l'abdicazione del Maggior Consiglio.

I Deputati erano latori di una proposta. Se Rocco avesse accettato l'incarico di essere uno dei Segretari del Comitato di Salute Pubblica, egli sarebbe stato liberato e condotto a Venezia.

Pur tra grandi turbamenti del suo animo, Sanfermo accettò, con il pensiero del bene della sua famiglia (aveva sette figli).
Da pagina 66 della "Condotta Ministeriale...":

Sparito il governo chi avrebbe vegliato a' miei giorni? Il sentimento di natura poteva io sopprimerlo? La mia vita non dovevo io apprezziarla? L'Emilej, il Verità fucilati potevano esser forse soggetti indifferenti alle mie riflessioni.
La nuova accusa che si studiava addossarmi dal Comitato di Vigilanza era forse poco importante? Tutto considerato risposi, che lorquando più non esista l'antico Veneto Governo non avrei rifiutato di servire il nuovo.

All'alba del 20 Maggio 1797 Sanfermo lascia Verona per Venezia con un lasciapassare di Augereau e scortato da un Ufficiale francese.

Si apre così per l'ineffabile Circospetto una nuova stagione di impegni e di angustie, delle quali parleremo al tempo della sintesi complessiva di quest'opera.

Il giorno 21 Maggio 1797 venivano scarcerati dai Francesi il Vescovo, Garavetta e molti altri.

Umberto Sartori


Note

Nota 1 - Giovanelli dimentica di rilevare che la debolezza delle difese in Terraferma era stata accuratamente preparata da lui e dai suoi complici, a partire dal rifiuto di armare i bergamaschi del Bidasio. I numeri posti in campo da Victor ancora ci raccontano di quanto fosse intrinsecamente debole la posizione bellica dei Napoleonici in Italia. Se lo Stato Veneto avesse voluto difendersi, l'Armata non avrebbe mai varcato i confini. Anche a fronte di una decisione tardiva, con i 40.000 volontari di Verona congedati da Battaja, Napoleone sarebbe stato annientato in Tirolo, stante la debolezza con cui aveva protetto le proprie retrovie. Ma abbiamo ormai ragionevole e documentata certezza che la prima avventura Napoleonica in Italia non si evolse per gesta militari. Tutto era già stato deciso, la partita si giocò nei Gabinetti di governo e in quelli dell'alta finanza.

Nota 2 - Questa versione di Giovanelli è in conflitto con il racconto di quegli eventi riportato da Sanfermo nella sua "Condotta Ministeriale...". Kilmaine aveva infatti accettato la clausola di salvaguardia a fronte dell'offerta di Emilj, Garavetta e del Sanfermo stesso di trattenersi come ostaggi da subito. La clausola fu invece revocata in conseguenza della fuga delle Cariche che avrebbero dovuto offrirsi a loro volta in ostaggio.

Nota 3 - A questo paragrafo Tentori dedica una nota in pagina 278 che ha come argomento lo scarico di ogni responsabilità sul Circospetto Sanfermo. Egli mira a difendere le Cariche dicendo che la loro firma sulla Capitolazione era subordinata all'accettazione della clausola sulla salvaguardia delle vite e dei beni dei Cittadini. Dimentica però di associare la dichiarazione di Giovanelli sulla sua incompetenza a tale firma, che pure egli aveva apposto il giorno prima. Ci si riallaccia in questa nota alla versione dei fatti fornita da Rocco Sanfermo nella sua "Condotta Ministeriale". In occasione dei fatti relativi all'"Offizio di Sopraveglianza", istituito in Verona da Battaja e Contarini (cfr. Pubb. XXXIX) avevo ipotizzato che Tentori non conoscesse questa pubblicazione. Sono smentito con mio dispiacere, perché questo diverso uso della difesa del Sanfermo non depone a favore del nostro Abate. Egli era forse troppo intento a restringere il campo dei traditori della Patria, e si adagiò forse un poco nella demonizzazione di Sanfermo avviata e sostenuta da certa libellistica del tempo, e in particolare da quella dell'Agdollo.


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