Storia di Venezia

Pagina pubblicata 16 Luglio 2014
aggiornamento 17 Luglio 2014

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799, XXXV

INDICE || Tomo Primo 1788-1796 || Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , XXXV
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE SECONDA
Del Progresso della Rivoluzione dal Primo Giugno 1796 al 12 Marzo 1797 (pagg. 173 - 396)

Vai a pagg. 380 - 391 | In questa pubblicazione, pagg. 391 - 396 | Vai al Tomo Secondo

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Storia di Venezia - Il Castello di Brescia

Il Castello di Brescia, "conquistato" dal Conte Pietro Caleppio con 150 insorti bergamaschi il 18 Marzo 1797, grazie alla complicità del Provveditor Estraordinario di Terraferma Francesco Battaja (courtesy of http://www.panoramio.com).

"Il N. H. Francesco Battaja, Provveditor Estraordinario, che risiedeva in Brescia, attorniato da una Corte corrotta", inoltra ripetute lagnanze agli Inquisitori contro il Vice Podestà di Bergamo Ottolini, sostenendo che questi sfugge alla sua Autorità, e procede con troppo rigore contro i "malintenzionati" che si trovano in Bergamo.

In data 23 Febbraio 1797, il Supremo Tribunale scrive dunque all'Ottolini "con sensi così misteriosi che scossero quel benemerito cittadino" e lo spinsero a rispondere con due lettere di autodifesa, una il 25 Febbraio 1797 e l'altra il primo Marzo.
Cristoforo Tentori riporta integralmente quest'ultima da pagina 391 a pagina 392.

Ottolini espone le ragioni delle sue difficoltà nel comunicare con il "Provveditor Estraordinario".
Da pag. 391:

... se i miei rapporti a quella Carica saranno assai circospetti in così delicata materia, ciò proviene unicamente da un compatibile non infondato timore, che da quel Ministero non sia custodito con gelosia, proporzionata alla qualità dell'argomento e de' tempi, quel segreto, ch'è l'unico che invita alla apertura, e che teneva tranquillo il mio cuore ne' miei rapporti in seno di codesto Augusto Sacrario.

La completa confidenza che Ottolini ritiene di aver dimostrato nei suoi precedenti rapporti al Tribunale era fondata sulla certezza che i destinatari delle sue missive segrete non avrebbero fatto trapelare tale segretezza, mettendo a rischio la "tranquillità" del Residente e a repentaglio la sua rete di informatori.

Da quando però tali comunicazioni sono rese palesi al nuovo Provveditore Straordinario, si sono verificati episodi dai quali risulta evidente che tale Carica ha violato la sicurezza delle comunicazioni, riportando le informazioni riservate e la loro origine sia agli Ufficiali dell'Esercito occupante che ai complici di coloro che in seguito a tali informazioni vengono arrestati.

Ottolini vede questo come un grave rischio personale .
Da pag. 391:

... mi trovo ora nell'amarissima situazione di veder compromessa la mia quiete per rea Opera di coloro, che mal soffrendo il castigo di quelli, le di cui massime e professano e seguono, resi ora arditi dalla comparsa di forze straniere, declamano contro le mie direzioni a loro riguardo...

D'altro canto, il Vice Podestà ritiene suo dovere continuare gli arresti dei sediziosi, anche perché questo è l'unico conforto e incentivo che egli possa offrire ai "Cittadini, che nelle attuali luttuose combinazioni con purità d'intenzione, e con illimitato zelo servono alla Patria.".
Da pag, 392:

... ma non posso negare di non trovarmi per questo conto assai disanimato.
Mi è noto per asserzione degna di fede, che di alcune delle mie Lettere Pubbliche, dirette alla Carica Estraordinaria, fu dall'arbitrio di qualcuno di quei Ministri spedita copia a questa parte a nominato Soggetto...

Ottolini si dice anche convinto che il richiamo (o la richiesta di richiamo, non è chiaro) di "una mezza Compagnia di Cavalleria" da Bergamo, rovinoso per l'Ordine Pubblico in città, sia stata causata dai "secreti maneggi" della Corte del Batttaja, più che dalle ragioni di economia ufficialmente addotte.

Sappiamo che i timori dell'Ottolini riguardo il Battaja, più che fondati, erano reali, e meglio di noi certo lo sapevano Savj e Inquisitori, dal momento che già il 20 Ottobre 1796 (cfr Pubb. XXVIII) avevano emesso una reprimenda al Battaja a causa del Club Giacobino con cui aveva sostituito la sua Magistratura.

Tuttavia la loro risposta, stringatissima quanto apparentemente ambigua, vanifica ogni speranza di protezione per l'Ottolini. La lettera, del 4 Marzo 1797, lo elogia, e loda il suo comportamento, ma gli scriventi si dichiarano "amareggiati" dalla sua diffidenza verso la Suprema Carica di Terraferma.
Da pag. 392:

... ci amareggiano le intese rappresentazioni, e la spezie di diffidenza, che fà apparire in Essa intorno la custodia del Segreto nel di lui Ministero.

Il breve seguito della lettera è un rimbalzo di apparenti contrordini.

Da un lato le Eccellenze si dicono "amareggiate" dalla sfiducia dell'Ottolini verso il "Nobil Homo" che loro hanno designato a guidare le sorti della Provincia. (1)

Immediatamente più sotto, si incita Ottolini ad aprirsi completamente con gli Inquisitori, separando con la sue doti di Virtù, onore e zelo, "il grande oggetto di Stato da tutto ciò, che potesse aver servito a disturbar così necessaria intelligenza".

Può sembrare che si riconosca a Ottolini il diritto di comunicare in segreto con il Tribunale, evitando il Battaja, ovvero quello che Ottolini esplicitamente chiedeva.

Invece, alla luce della frase successiva, si comprende che il messaggio è che l'Ottolini smetta di insinuare la sua diffidenza, e abbandono le fonti che gliela suggeriscono.
Infatti, da pag. 393:

Le si è commesso al 23 di cooperare, di comunicar con Lui (il Battaja), ed a Lui solo: ed anche quest'avvertenza la usi, e consacri tutto alla Patria.

In chiusura della missiva, si assegna a Ottolini il compito di recapitare un invito a comparire del Tribunale, da consegnare al "Co. Pietro Collepio" (conte Pietro Caleppio).

Non gli si chiede di arrestare il pericoloso rivoluzionario, solo di "ingiungergli" di presentarsi a Venezia qualora, come si ritiene, il Conte Pietro stia per essere di ritorno in Bergamo.

Su questo incarico non può che pesare il pesante dubbio del sarcasmo, dal momento che, solo 8 giorni dopo la data di questa lettera, il 12 marzo 1797, sarà il Caleppio stesso a ingiungere a Ottolini di abbandonare la sua carica e allontanarsi da Bergamo in nome della "rivoluzione popolare" di cui si diceva a capo.

L' "amarezza" delle Loro Eccellenza aveva evidentemente "dato gli otto giorni" al Vice-Podestà veneziano in Bergamo.

Firmano la stringatissima e micidiale lettera del Tribunale, a pag. 393:

Agostin Barbarigo Inq. di Stato
Cattarin Corner Inq. di Stato
Anzolo M. Gabriel Inq. di Stato.

Storia di Venezia - Da pagina 34 della Lettera ingenua ad un amico, di Nicolò Erizzo

Da quanto si ricava da pagina 34 della "Lettera ingenua ad un amico" di Nicolò Erizzo, quello stesso Caleppio il 18 Marzo andrà ad appiccare il fuoco a Brescia con 150 "rivoluzionari".
Caleppio si impadronirà anche di Brescia grazie all'ordine perentorio imposto dal Battaja al Presidio veneto (circa 2000 uomini), di non fermare quel piccolo manipolo di invasori (courtesy of Google Books).

Prima di concludere anche la Seconda Parte del Tomo Primo con altri sette "Corollari", Cristoforo Tentori riprende il filo della narrazione sui nuovi eventi bellici in Italia.
Da pag. 393:

Si avvicinavano in tanto nuovi guerrieri avvenimenti, il funesto effetto de' quali doveva essere, come lo fu di fatto, che i Francesi divenuti occupatori di tutto lo Stato della Veneta Terraferma in Italia, la malmenassero da capo a fondo a loro talento.

Dopo la ritirata di Alvinzy, l'Esercito austriaco, "quasi disorganizzato", occupa la riva del Piave, con centro dietro il Cordevole e l'ala destra appoggiata sull'Adige nei pressi di Salurno.

A rianimare il morale delle Truppe giunge improvvisa dal Reno una visita lampo del "Giovane Eroe R. Arciduca Carlo", che dopo aver ispezionato il Fronte tornò subitaneamente a Vienna, dalla quale città tornò nuovamente in breve tempo all'Armata in Italia.
A questo suo ritorno fece ritirare le sue Truppe dal Piave per attestarle sul Tagliamento, lasciando al Piave solo alcuni "Corpi di Cavalleria" come osservatori.

Da pag. 393:

Era fama costante, che il prode Reale Arciduca attendesse colà de' grossi rinforzi promessi dall'Augusto suo Sovrano e Fratello.

Napoleone, nel frattempo, non solo aveva "domato" il Papa a Tolentino, ma al suo ritorno in Nord Italia aveva avuto la gradita sorpresa di veder finalmente arrivati gli uomini di rinforzo dalla sua Patria, sotto forma dei 20.000 uomini della Sambre-et-Meuse e di altri reparti distolti dal fronte renano, tra i quali il "nostro" referente Vernère con i suoi "Cahiérs".(2)

Egli dunque, il 10 Marzo 1797, muove Massena all'attacco di Feltre, mentre gli Austriaci si ritirano senza combattere dalla linea del Cordevole fin sopra Belluno.

Sempre senza combattere Sérurier occupa Asolo e passa la Piave a Vidor il 12 Marzo.

Lo stesso giorno anche Guieux passa la Piave, e si attesta allo Spedaletto (vista la posizione di Ospedaletto sulla mappa, si legga probabilmente che passò la Brenta).

Il 16 marzo le due Armate sono riunite a fronteggiarsi dalle opposte sponde del Tagliamento.

Tentori ci dice pochissimo di questa Battaglia:
da pag. 394:

Fu fierissimo il combattimento, in cui i Tedeschi inferiori di numero fecero prodigj di valore.
Il R. Arciduca, conosciuta l'evidente inferiorità della sua armata, col favore della notte si ritirò versò Gradisca, e Gorizia.

Ci dice poco, ma alla luce degli approfondimenti sulle precedenti battaglie, anche il "R. Arciduca" sembra cadere vittima della "sindrome da cretinismo" che già abbiamo visto affliggere il Beaulieu, il Wurmser e l'Alvinzy nelle precedenti Battaglie.

Egli infatti, pur consapevole della propria inferiorità numerica, non ingaggia il nemico nelle valli montane, dove tale fattore diminuirebbe di rilevanza, ma accetta il combattimento in campo aperto e in pianura, salvo poi ritirarsi col favore della notte.

Napoleone naturalmente lo insegue (o, assai più plausibilmente, lo segue). Il 18 Marzo vi è un nuovo scontro a Gradisca, che viene presa dai Francesi. Questi occupano anche la Fortezza veneziana di Palmanova senza trovare resistenza, e si impadroniscono delle sue armi e munizioni.

Intanto Massena inoltra i suoi uomini nelle gole montane attraverso San Daniele, Osoppo e Gemona.

Si impadronisce della Chiusa e di Pontebba, dove fa 600 prigionieri.

I Tedeschi evacuano Gorizia, dove subentrano i Francesi.

Così, "non ostante la totale disfatta dell'armata del Tirolo, comandata dal General Joubert, Buonaparte inseguindo il R. Arciduca Carlo, s'internò nella Carintia, e giunse ad impadronirsi di Clangerfurt.".

Da pag. 394:

Sembrava, che Buonaparte minacciasse la Capitale dell'Imperio, da cui ritrovavasi 9 sole poste distante.
Quì dovette egli però arrestar le sue marcie, e qui per l'appunto si vidde costretto a dimandar la Pace, sottoscrivendo i Preliminari della medesima.
(3).

Vediamo che, nonostante le inconcepibili "ingenuità tattiche" che abbiamo evidenziato nelle Battaglie in Italia, gli Austriaci non si esimono dall'attirare Napoleone nel cuore delle loro montagne, circondato da decine di migliaia di "bersaglieri locali" (tutt'altro che impastoiati come i montanari bergamaschi dalle moine del Governo veneto), prima di addivenire alla firma di un Trattato(4).

Storia di Venezia - I luoghi dell'avanzata Napoleonica verso Leoben

I luoghi dell'avanzata Napoleonica verso Leoben (courtesy of Google Earth).

Smobilitati completamente gli Austriaci dal suolo italico, e soprattutto da quello Veneto, divenne facile gioco per il Buonaparte "consumare la rivoluzione e caduta dei Veneziani, da tanto tempo preordinata, e colla più nefanda perfidia condotta a segno ...".

Tentori promette di sviluppare a fondo questa "verità" nella terza parte della sua "Raccolta", che troveremo nel Tomo Secondo dell'Opera.

Concludono dunque la Seconda Parte della "Raccolta Cronologico-Ragionata" sette nuovi "Corollari" che Tentori espone richiamando alla memoria del "riflessivo lettore" tutta la serie dei fatti che in questa Raccolta di documenti gli sono stati presentati.

Secondo l'Abate, quindi, dall'esame dei documenti e degli eventi di questa Seconda Parte si può dedurre quanto segue:
Da pagg. 395 - 396:

I

Che poco plausibile fu la condotta della maggioranza de' Savj del Collegio nel continuar a sostenere "il chimerico Sistema di Neutralità disarmata" a fronte degl'immensi Sacrifizj e pubblici e privati, delle umiliazioni, e delle soprafazioni, alle quali era esposta tutto dì la Repubblica da chi non riconosceva altra legge che quella "del più Forte."

II

Poco plausibile parimente la non curanza delle opportunità favorevoli a correggere il primo errore, giacche la posizione delle Armate Austriache nelle quattro spedizioni del VVurmser, e dell'Alvinzi presentarono l'apertura ad accrescere senza ostacolo l'armamento, incominciato nelle Lagune nel mese di Giugno 1796

III

Poco plausibile altresì la politica con cui continuarono ad occultar al Senato tante "Comunicate degl'Inquisitori di Stato", e tanti Dispaccj interessanti de' Ministri alle Corti, i perfidi disegni de' Francesi, le giuste querele de' Sudditi abbandonati, e le spontanee lor obblazioni di armarsi a pubblica, ed a propria difesa.

IV

Poco plausibile finalmente la debolezza degl'Inquisitori di Stato, i quali vedevano a fronte serena il continuo abuso, che si faceva di tante lor importantissime "Comunicate", celate alla cognizione Sovrana del Senato, il quale rimaneva all'oscuro di quei lumi ch'essi si affrettavano con tanta sollecitudine di proccaciar al medesimo, senza che a vista di un tanto incostituzionale scandalo reclamassero.

V

Che turpe ed esecranda fu la direzione del Direttorio Esecutivo di Francia, il quale con profumate, e continue lusinghiere promesse tradiva i Veneziani, dimostrando dispiacenza de' disordini, che non voleva impedire, lusingando di pagare i debiti dell'armata, quando presa "aveva la massima di nulla pagare", e di far cadere a solo carico dei Veneziani il totale mantenimento dell'armata d'Italia.

VI

Che turpe ed esecranda fu pure la di lui direzione, fingendo sempre d'aver a cuore gl'interessi della Repubblica, di cui ricercava l'Alleanza nel tempo stesso, che pose i di lei Stati nel urna dei compensi, autorizzando il General Clark ad esibirli aIl'Augusta Casa d Austria.

VII

Che non meno turpe e nefanda fu la condotta de' suoi Generali in Italia, dediti a' latrocinj, alle depredazioni sconoscenti ed isleali nel tempo, in cui il General in Capite fingeva d'essere grato ai Veneziani, e prometteva ad essi ingrandimento di Dominio ec. a fine di poter senza ostacolo preordinare le cose alla totale rivoluzione, e perdizione de' medesimi.

Che dire al caro Abate, 215 anni dopo?

"Lei fu indulgente nel chiamare "poco plausibili" le malefatte dei Savj veneziani, che appaiono inequivocabilmente, nei documenti da lei raccolti, come esecrabili traditori della Patria o, nella migliore delle ipotesi, come infiltrati al servizio di una diversa Patria.

D'altro canto è relativamente facile per me imputarle questa indulgenza, non trovandomi come Lei in una situazione di costante grave pericolo. Un pericolo che non investiva tanto lei come persona (sappiamo qual genere di tempra la animasse) ma la sopravvivenza del suo Lavoro di studioso e cercatore della Verità.

Ottima dunque la sua ellissi finale come quelle adottate in apertura dell'Opera, che sono risultate efficaci a che il libro vedesse le stampe (aggirando la superficialità dei censori) e ci fosse tramandato con il suo chiarificante contenuto.

A questo scopo voglio attribuire anche l'eccessiva severità con cui invece si esprime nei confronti dell'orda napoleonica.

Voglio vedere anche questo eccesso come un espediente volto a favorire la sopravvivenza della "Raccolta". Con i "Corollari" lei seppe da un lato captare benevolenza dei nostalgici della Serenissima, e al contempo soddisfare i censori Austriaci che governavano Venezia al tempo della pubblicazione.

È tuttavia opportuno ricordare che costituisce non-sense rimproverare a un barbaro di essere barbaro. Napoleone portò in Italia la feccia di Francia, anche con il preciso scopo di liberarne la patria dopo gli eccessi della cosiddetta "rivoluzione".

Ma se tale feccia si era formata, e se fu possibile la sinergia tra tante potenze che sostenne Napoleone nella distruzione di Venezia e dello Stato della Chiesa, è nella morale di queste ultime che bisogna cercare le vere ragioni della loro catastrofe.

Imputarne il solo Napoleone come si usa fare, e come sembra voler apparire dai "Corollari", non spiega i fenomeni, anzi ne obnubila la comprensione."

Ma questo è un argomento che affronterò a fondo se e quando addiverrò a una presentazione complessiva di quest'Opera di Cristoforo Tentori.

Da pag. 396:

Fine della Seconda Parte, e del Tomo Primo.

Umberto Sartori


Note

Nota 1 - "Ci amareggiano": chiunque abbia preso dimestichezza con le formule di cortesia dell'epoca ben comprende quanto grave e profondo fosse il "dolore" arrecato, per essere amaro, e quanto subdolamente pericoloso fosse, amareggiare le Loro Eccellenze.

Se è infatti falso che Venezia, pur nei suoi ultimi anni, fosse uno scenario di omicidi segreti, singoli e collettivi, perpetrati arbitrariamente dal Consiglio dei Dieci, è vero altresì che erano all'opera pugnali e veleni molto più sottili.

Scadere dalle grazie delle Loro Eccellenze poteva significare per chiunque la morte sociale, la rovina professionale, economica e morale.

Questo ricatto, pur potendo colpire "di striscio" (ma letalmente, vedi vicenda Contarini) anche membri della cosiddetta Aristocrazia, era particolarmente efficace sui "nobili di toga", ovvero su quelle famiglie per tradizione al servizio della Repubblica. Come, appunto, l'Ottolini.

L'Antica Repubblica aveva protetto per secoli l'integrità di queste figure, essenziali alla salute del Bene Pubblico, contro ogni tentativo di subornazione a interessi privati o di fazione.
Da qualche decennio questo non accadeva più.

Di questa mancanza di difesa si era avuta una prova eclatante già sul finire degli anni '70 con la vicenda del Segretario di Stato Pierantonio Gratarol, che aveva dovuto soccombere, assieme al Cancellier Grando Colombo, alla macchina del malaffare gestita da Andrea Tron.

Ovviamente questo accadde anche per grave responsabilità del Gratarol stesso e di tutti gli altri individui del Popolo veneziano che avevano "dimenticato" molte delle virtù necessarie alla dignità di un Cittadino e di un Popolo repubblicano.

Questo è però un discorso molto lungo, e rimando chi sia interessato a "Storia Morale di Venezia" e "Strategia di Lavoro per la Repubblica", dove ho affrontato specificamente il tema.
Qui basti per dire quanto potesse pesare sull'animo di Ottolini l'aver "amareggiato" le Loro Eccellenze.

Nota 2 - Visto l'avanzare delle trattative segrete del Clarke, che sfoceranno nei Preliminari di Leoben infatti, ai Francesi non era più necessario presidiare in forze i Paesi Bassi, e d'altra parte dovevano garantire l'Austria indebolendo la propria difesa sul Reno.

Nota 3 - Sui "Preliminari di Leoben", sulle trattative segrete che li precedettero e sull'avanzata di Napoleone nella Carinzia vediamo in apposita Pubblicazione.

Nota 4 - Da "Annali d'Italia dal 1750" compilati da A. Coppi: "Dal 1793 al 1797", Volume 2, 1832, pag. 180:

Nel tempo stesso Joubert da Trento era penetrato a Botzen ed a Brixen, e pel Pusterthal si era unito al centro dell'armata presso Villach.
Allora gli austriaci proseguirono la loro ritirata verso il Mur; e Bonaparte, dopo di averli nuovamente battuti a Friesach sul principio di aprile, penetrò arditamente col centro sino a Kniteifeld e a Indenburg, luoghi distanti non più di cento miglia da Vienna.
Quivi però l'arciduca coi rinforzi ricevuti poteva ormai arrestarne la marcia di fronte, e allora gli ungari e i tirolesi armati in massa ai due lati, ed i veneziani sollevati alle spalle, ne avrebbero resa la situazione molto pericolosa. Ma di già i governi di Austria e di Francia erano disposti alla pace; ...


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