Storia di Venezia

Pagina pubblicata 29 Ottobre 2014

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799, XXXVI

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , XXXVI
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

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|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

Storia di Venezia - Frammento di una lettera di Landrieux a Kilmaine

Frammento di una lettera di Landrieux a Kilmaine: "Voi e io, generale, ci ridurremo ancora infangati alla Porta di Lussemburgo, a fianco delle brillanti vetture di quelli che qui (in Italia) avranno fatto fortuna. Noi passeremo per degli imbecilli. Loro saranno considerati persone di spirito, loro saranno reimpiegati come gente degna di credito, e noi affatto. Saremo anzi molto fortunati se, nei grandi pranzi che essi potranno offrire, non ci accuseranno di aver saccheggiato più di loro ma di non essere stati capaci di conservare le nostre ricchezze.".
Questa lettera è molto importante poiché in essa si rivelano sorprendenti retroscena dei colpi di stato in Bergamo e Brescia (vedi Nota (3). Courtesy of http://gallica.bnf.fr.

Cristoforo Tentori apre questa Terza Parte della sua Raccolta con un breve riassunto degli eventi relativi ai Dispacci che esamineremo, e che raccontano gli ultimi due mesi di esistenza della Repubblica di Venezia e dello Stato Veneto.

Mentre il Senato Veneziano si cullava ancora nell'illusione di poter far uscire indenne la propria Repubblica a mezzo di corruzioni e maneggi, sopravvennero gravi eventi a Bergamo, Brescia e Crema, provocati proprio da quei Francesi e filo-Francesi che si era pensato di rabbonire con favori e donazioni in danaro.

Da pag. 3:

Divenute queste Città un focolajo di rivoluzione, si strinsero tosto in alleanza co' rivoluzionarj Milanesi, e non paghe della loro sorte s'accinsero alla conquista non solo di quelle loro Provincie ma delle Provincie all'intorno.

(N.d.A. - Queste sommosse, se furono preparate e mosse sulle prime solo da "Cittadini scellerati, ed imbroglioni", finirono ben presto col trovare appoggio anche tra una parte significativa delle Popolazioni cittadinesche, che si erano viste abbandonare dal Veneto Governo nelle mani di milizie straniere.
Come apprendiamo dalla Memorie del Capo dell'Ufficio Segreto dell'Armata d'Italia, Jean Landrieux, egli innescò eventi che provocarono una totale perdita di faccia ad alcuni Savj congiurati, soprattutto il Battaja, che si vedrà costretto per alcuni giorni a diventare, lui "paladino" della neutralità, sobillatore e istigatore dei sudditi Veneti alla rivolta.
Sarà solo per pochi giorni, come si può leggere esaurientemente in questa pubblicazione, ma l'improvviso voltafaccia, e l'abbandono definitivo degli insorgenti di Verona e delle Valli bergamasche non poterono certo sfuggire a quei Cittadini che ancora guardavano a Venezia come a una speranza, uccidendo ogni loro residua confidenza. Chi non passò a Napoleone si abbandonò alla disperazione.

Sappiamo da dispacci già precedentemente esaminati, che persino uno dei fautori del riarmo delle Quadre Venete, Defendente Bidasio, finì col disgustarsi del Governo Veneto, e aderire alle false speranze repubblicane di Napoleone. Cfr. nota (1) alla Pubb XVIII).

Si videro dunque Lombardi, Veneti e Francesi marciare assieme contro quelle Popolazioni rurali che avevano tentato di organizzarsi a difesa: "Si sparse del sangue, seguirono rappresaglie, devastazioni, incendj".

Le difese offerte dalla Dominante si limitarono a sempre più inutili richiami al Direttorio ed elargizioni ai Bonapartisti, fino a quando questi dichiararono all'improvviso la guerra.

(N.d.A. - Le dichiarazioni di guerra, apprendiamo dalle memorie di Landrieux, furono in realtà due, in quanto il Landrieux stesso, in sodalizio con il general Kilmaine, assai prima che Napoleone consegnasse la sua tanto discussa, ne avevano stabilita e messa in atto una di privata dal canto loro, facendo leva su alcune delle frange della grande cospirazione anti-veneziana.).

Nel frattempo le cospirazioni che da anni si erano attestate nelle principali Magistrature Veneziane riuscirono nel loro intento di disarmare Venezia e la Laguna, e giunsero a sciogliere la Costituzione Repubblicana in favore di una Municipalità Provvisoria, che si instaurò "coll'opera degli imbecilli, raggirati dai felloni ed iscellerati.".

Da pag. 4:

... videsi nel giorno 16 Maggio sorgere un mostruoso Governo, che "Municipalità Provisoria" si denominò. Questa è la disgustosa serie de' sorprendenti avvenimenti che anderemo sviluppando in questa terza ed ultima Parte seguendo l'ordine dei tempi.

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Tentori riprende dunque la disamina dei Dispacci occultati al Senato, richiamando alla memoria che già dai primi giorni del mese di Marzo, Ottolini da Bergamo aveva comunicato al Provveditor Battaja il piano generale di una rivolta che i Francesi intendevano appoggiare nella sua città.

Vediamo adesso la risposta che ricevette da quello che, ormai lo sappiamo bene, era un agente filo-francese insediato ai massimi vertici del potere veneziano.

Il Dispaccio del Battaja da Brescia porta la data del 9 Marzo 1797. Non contiene alcuna istruzione in merito alla rivolta generale paventata dall'Ottolini. Si limita ad autorizzarlo nella repressione di eventuali atti isolati, indipendenti "dalla gran rivolta di cui si parla".

Dove il Battaja è chiaro e perentorio è con la richiesta che l'Ottolini gli fornisca il nome di chi lo ha avvertito della rivolta stessa.

Nella sua risposta, il Vice Podestà di Bergamo rifiuta di confidare il nome dell'informatore, dichiarando di avere assunto il sacro impegno di non rivelare ad alcuno l'identità del suo agente. Chiede invece al Battaja che venga rinforzato il debole presidio ai suoi ordini.

Battaja replica il 10 Marzo, lamentandosi dell'impegno di segretezza preso da Ottolini, e tenta di giustificare la propria insistenza con l'opportunità per lui di verificare se tali gravissime notizie non fossero che allarmismi da parte di persone intimorite dagli eventi, come avrebbero potuto essere, per esempio, membri della Famiglia Albani.

(N.d.A - Battaja indovina il luogo degli incontri segreti, Palazzo Albani, ma sbaglia nei sospetti, in quanto gli informatori non saranno membri di quella Famiglia che, ben lungi dall'essere timorosa, risulterà avere un ruolo attivo nel complotto del Landrieux, come vedremo nella Pubblicazione a lui dedicata.

Battaja nega ogni possibilità di potenziare il presidio di Bergamo, e al contempo esorta Ottolini a inviare suoi agenti a Milano per scoprire se gli alti Ufficiali Francesi siano al corrente di questi piani di rivolta, e in che misura vi siano coinvolti.
Ottolini non trascura di inviare suoi uomini a Milano, ma suggerisce che anche il Provveditore, per canto suo, faccia altrettanto.

In un nuovo laconico dispaccio in data 11 Marzo, Battaja conferma di essere in procinto di inviare anche i suoi uomini nella Capitale lombarda.

Tentori definisce inutile questo ulteriore sopralluogo a Milano, in quanto Ottolini proprio dai suoi agenti in quella città, aveva ricevuto la terribile notizia che andava segnalando al Provveditore Generale in Terra Ferma.

Tale notizia era appunto quella che i Francesi si accingevano ad approfittare della limitatezza di poteri delle Autorità Venete locali, e dell'assoluta mancanza di volontà difensiva da parte del Governo centrale, per "rivoltare lo Stato Veneto scacciandone i Pubblici Rappresentanti, i quali ... non avrebbero opposta la menoma resistenza." (da pag. 6).

Non appena avvisato di questo grande pericolo, Ottolini aveva informato gli Inquisitori e, per obbligo gerarchico, anche il Battaja, mantenendo però con quest'ultimo, di cui ovviamente sapeva di non potersi fidare, il riserbo sul nominativo dei suoi informatori.

Le risposte da Brescia furono, come abbiamo visto, inconcludenti, mentre il Supremo Tribunale nemmeno rispose.

Mentre attendeva tali risposte dai suoi superiori, Il Capitano di Bergamo aveva inviato a Milano il proprio segretario privato Guglielmo Stefani, con l'incarico di incontrare in casa Albani una persona che gli avrebbe riferito i più recenti sviluppi del piano francese.

Ottolini decise quindi di inviare a Venezia lo Stefani stesso, con la dettagliata relazione di quello che era riuscito a scoprire a Milano.
Non riuscì però lo Stefani a essere ricevuto dagli Inquisitori. Per tramite del "Segretario Circospetto" Soderini gli fu ordinato di consegnare una relazione scritta, il cui testo Tentori ci riporta da pagina 7 a pagina 12.

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Questa relazione è il racconto dettagliato del viaggio milanese dello Stefani.

Egli giunge a Milano alle ore 22 del 9 Marzo 1797 e prende alloggio all' "Albergo del S. Marco".
Li si appunta alla giacca una coccarda francese "onde evitar i pericoli" e si avvia alla volta del Palazzo Albani, dove giunge alla mezzanotte.
Trova la porta aperta ed entra nell'edificio. Subito un servitore, che evidentemente lo attendeva, lo porta per alcune scale segrete fino a un appartamento all'ultimo piano dove lo fa attendere.

Dopo un quarto d'ora viene raggiunto dall'avvocato Serpieri (1).
Segue tra i due un reciproco riconoscimento in base alle indicazioni rispettivamente ricevute al fine di identificare il corretto interlocutore.

(N.d.A. -Dalle memorie del Landrieux apprenderemo che Ottolini aveva già incontrato lui, e alcuni capi del complotto milanese personalmente, in occasione di una cena a palazzo Albani il 27 Gennaio 1797; in quell'incontro Landrieux aveva posto le basi di quella parte della sua personale macchinazione che si proponeva di truffare le Autorità Venete.).

Accertatosi di essere effettivamente di fronte al "contatto" indicatogli dal Vice Podestà di Bergamo, lo Stefani rivela lo scopo della sua missione, ovvero incontrare l'ufficiale francese disponibile a fornire le informazioni sul progetto di rivoluzione nelle Venezie.

Nel colloquio preliminare col Serpieri, Stefani cerca di farsi spiegare i motivi che spingono l'ufficiale francese al tradimento, e anche di comprendere cosa muova l'Avvocato Serpieri stesso, "di Nazione Romano e senza rapporti col Veneto nostro felicissimo Governo", a fare da mediatore in tale affare.

Il Serpieri fornisce solo generiche assicurazioni sul carattere onesto e sulle pure intenzioni del Francese e proprie, lasciando però intravvedere che la speranza di un generoso regalo da parte della Serenissima non era l'ultima delle ragioni a muovere sia il francese che lui stesso.

Serpieri quindi insiste perché lo Stefani lasci l'alloggio all'Albergo per trasferirsi nel Palazzo Albani.

Pur valutando il pericolo di mettersi completamente nelle mani della ben nota malafede francese, lo Stefani si risolve ad accettare nell'interesse della sua missione, e torna al S. Marco per prelevare il proprio bagaglio. Per non destare sospetti con un così rapido soggiorno, racconta all'albergatore di trovarsi a Milano per una "avventura amorosa".

Ritornato a casa Albani, nel medesimo appartamento Stefani incontra l'ufficiale francese Landrieux(2), capo dello Stato Maggiore della Cavalleria Francese in Italia, anch'egli ospite degli Albani.

Segue una minuziosa descrizione dell'aspetto fisico del francese: pur vestito nella sua uniforme, egli risulta piccolo, di gracile costituzione e di aspetto complessivamente insignificante.

Landrieux si profonde sulle spiegazioni del suo gesto: egli si dice persona onesta, convinto avversatore di ogni rivoluzione. Si vanta di avere già contribuito a sventarne una in Spagna, e di voler svolgere ora lo stesso servizio per la Serenissima.
Si dichiara difensore dell'onore francese vilmente calpestato da Napoleone, dal Direttorio e dai Consigli.
Egli vuole aiutare la Repubblica Veneta spinto dalla gratitudine per i grandi benefici da questa concessi all'Armata Francese e dalla speranza di una Pace con l'Austria realizzabile in forse un mese, qualora si fossero impedite le mire del Bonaparte di impadronirsi dell'Italia a mezzo delle sedizioni locali.

Temendo che si possa trattare di una trappola, lo Stefani si schermisce, adducendo che le direttive del Governo Veneto, desideroso di mantenere con la sua neutralità i migliori rapporti con il Governo Francese, gli proibiscono di ascoltare discorsi tanto eversivi.

Landrieux è pronto a rispondere che le trame rivoluzionarie non coinvolgono direttamente il suo Governo. La cospirazione farebbe capo a un Club di Milano, guidato da un certo "Cittadino Porro".
A tale Club partecipano molti sudditi veneti, di cui il francese citerà per esteso i nomi.

Per entrare in gioco, i Francesi attendono che le sommosse avvengano con successo, per poi intervenire in loro difesa su invito dei rivoluzionari locali.
Ribadisce che la sua delazione è intesa solo a salvare Venezia dalla totale rovina, la Francia da una ulteriore infamia e l'Europa intera dal proseguire di una guerra catastrofica.

A questo punto Stefani loda i suoi sentimenti e gli promette onori e ricchezze da parte della Serenissima; Landrieux però ricusa ogni immediata mercede. Egli chiede che il suo nome rimanga segreto e si dice disponibile ad accettare ricompense dai Veneti solo dopo che l'Armata Napoleonica sarà stata respinta oltre le Alpi.

(N.d.A. - Il lucro personale che il Landrieux si riprometteva dall'operazione era di ben altra portata da quella di una semplice liberalità, per quanto ingente, come possiamo vedere in Nota (3)).

Il francese prosegue dichiarando di essere, proprio lui, incaricato dal Club milanese per dirigere la "Rivoluzione", e che per tale motivo gli sono noti nel dettaglio i nomi dei congiurati, le loro interconnessioni, le loro trame e la consistenza delle loro forze.

Descrive dunque il piano sedizioso.
Le riunioni del Club si tengono in ore notturne in una località a due miglia da Milano. Vi partecipano oltre duecento persone, tra le quali fanno spicco i nomi bresciani di Lecchi, Gambara e Beccalossi, i bergamaschi Alessandri, Caleppio e Adelasio e tanti altri di cui fornirà completo elenco.
La rivolta scoppierà in Brescia, per poi subito estendersi a Bergamo e a Crema.
Nelle valli sono già stati disseminati emissari con denaro e coperture. I gruppi più numerosi si costituiranno in Forza Armata e cattureranno di sorpresa le Autorità Venete, bloccando al contempo nelle caserme la poca truppa a disposizione di queste ultime.

Landrieux produce anche un certificato, in possesso di ogni partecipante al complotto, che lo qualifica come impiegato francese.
Si tratta di un certificato in tutto eguale a quello dei veri funzionari francesi, eccetto il fatto che l'angolo superiore destro è ripiegato e porta un piccolo segno (nella riproduzione non è chiaro se si tratti di una "alfa" greca o di una "d").

Da pag. 10:

Questa carta serve al doppio oggetto e di conoscersi reciprocamente fra essi, e di farsi rispettare qualunque volta si tentasse per parte del Governo di arrestarli.

Il piano di sedizione non è ancora completo, e scatterà solo tra otto o dieci giorni, dopo una riunione plenaria dei capi nel Bresciano.

Landrieux chiede quindi allo Stefani di trattenersi in Milano per raccogliere e trasmettere a Brescia e Venezia, via corriere, le ulteriori notizie e nominativi che egli stesso continuerà a fornirgli. Stefani sarà a sua volta munito di un certificato come quello descritto.

Nel frattempo, le Autorità venete dovranno evitare qualsiasi arresto. Landrieux avvertirà per tempo del luogo e dell'ora dell'incontro dei capi, in occasione del quale si potrà procedere a stroncare radicalmente il complotto.

Stefani rivolge varie domande per saggiare la congruenza del racconto appena ascoltato, e le risposte del francese risultano concordanti a quanto già aveva raccontato.

Il Segretario interroga anche sullo stato della macchinazione riguardo a Verona, Vicenza e altre città venete, ma secondo Landrieux non esistono ancora disposizioni per i possedimenti Veneti oltre il Mincio.
Si conta di annettere all'Italia francesizzata le province limitrofe a Milano, per poi con maggiore facilità occuparsi di quelle più lontane, dove non mancano gli aderenti al progetto, ma il loro numero non è ancora tale da garantire un successo insurrezionale.
A suo modo di vedere, una volta stroncato l'incipit della rivolta in Brescia, l'intero castello cospirativo collasserà su se stesso.

Stefani a questo punto ricusa di trattenersi a Milano come richiesto da Landrieux. Per ordine di Ottolini, egli deve far ritorno a Bergamo e riferire personalmente. Organizzerà in modo che sia un altro agente veneto a raccogliere le quotidiane confidenze del francese.

Landrieux acconsente con molta difficoltà a questa richiesta di Stefani, e cerca di ottenere che questi almeno si rechi direttamente a Brescia e non a Bergamo, per informare in prima istanza il Provveditor Battaja.

Stefani ribadisce di dover obbedire agli ordini ricevuti da Ottolini, suo superiore, assicurando che la trasmissione delle informazioni da Bergamo al Battaja e al Tribunale degli Inquisitori sarebbe stata immediata.
Chiede quindi il lasciapassare e l'ordine per i cavalli di posta al fine di rientrare alla sua sede.

È necessario il nulla-osta del general Kilmaine, e Landrieux intende accompagnare Stefani da tale Ufficiale, al quale sarà presentato come un mercante di cavalli. Stefani obietta di non avere alcuna nozione su quell'argomento e teme di essere facilmente scoperto dal Kilmaine.
A questo punto Landrieux gli lascia intendere che anche Kilmaine è a parte del loro "affaire", e che non sarà indiscreto, volendo anch'egli impedire la rivoluzione nello Stato Veneto.

Kilmaine risulta però essere occupato a teatro, così Stefani e Landrieux fanno ritorno in casa Albani, dove "si tennero varj discorsi politici, e guerrieri relativi allo stato delle cose presenti".

Landrieux condanna le scelte della Repubblica Veneta, in particolare il disarmo e la fiducia accordata alla Nazione Francese, da sempre nemica degli italiani.
Ritiene inoltre che la stanchezza della Francia, i suoi interessi e la diffidenza necessaria verso il Bonaparte richiedano una pronta fine della guerra. A questo fine è molto importante impedire la "macchinata Veneta Rivoluzione".

Fallito il suo tentativo di trattenere a Milano Stefani, il francese insiste però per un suo pronto ritorno in quella città, volendo continuare le sue delazioni e confidenze più con lui che con chiunque altro.

Dopo quattro ore Stefani parte per Bergamo, in stato di forte diffidenza "di quanto viddi, ed ascoltai" accompagnato dal sospetto di servire di mezzo e forse da vittima a una "rea macchinazione".

Stefani conclude dichiarandosi angustiato dall'idea della pubblica difficilissima situazione.

Da pag. 12:

Bergamo 10 Marzo 1797
Umiliss. Div. Ossequioss. Servitore
Guglielmo Stefani.

Umberto Sartori


Note

Nota 1 - La rete non riporta notizie di questo avvocato Serpieri. Trovo però il nome Serpieri citato dal Nunzio rappresentante il Pontefice al Congresso di Vienna, Severoli, che lo indica come uno degli organizzatori di un congresso della Massoneria Romana da tenersi in spregio al decreto di proibizione delle sette promulgato da Pio VII (cfr.: R.P. Ilario Rinieri S.J.: "La Massoneria, il Congresso di Vienna e la S. Sede". Sta in: La Civiltà Cattolica, anno LIV, serie XVIII, vol. XII, fasc. 1283, pag. 513 - 535, 25 novembre 1903, Roma 1903).

Nota 2 - La figura di Jean Landrieux è tra le meglio documentate di tutta quell'epoca. Il Landrieux stesso lasciò Memorie scritte molto dettagliate della sua vita, alle quali si aggiungono innumerevoli procedimenti burocratici che lo vedono protagonista.

Un Autore francese più tardo, Léonce Grasilier, sul finire dell'Ottocento raccolse e analizzò i rapporti burocratici conservati negli archivi, collegandoli ai manoscritti e alle stampe delle Memorie autografe del Landrieux (consulta su Gallica || scarica PDF, 44,6 mb). Ne risulta una straordinaria descrizione dei personaggi e degli usi che caratterizzarono non solo l'Armata Napoleonica ma la Francia tutta negli anni a cavallo della "rivoluzione". È un testo capace in sé da solo di fugare ogni dubbio su cosa fu realmente la "Rivoluzione Francese" e su quale ruolo vi giocò il "popolo".

Nelle Memorie, Landrieux è spontaneamente sincero sulle proprie intenzioni e moventi esistenziali. Lo scopo del proprio arricchimento personale, in lui come in moltissimi suoi contemporanei, è incommensurabilmente superiore a ogni forma di fedeltà e onestà.
Egli non sembra avere pudori di sorta. Si autoinveste del diritto di lucrare falsificando i dati delle Amministrazioni di cui è incaricato.
Come vediamo anche solo dal frammento di lettera riportato in testa a questa Pubblicazione, egli si duole persino col suo Superiore, il General Kilmaine, del loro essere troppo in disparte rispetto ai grandi saccheggi messi in atto da altri Generali.
Dalle considerazioni sull'esiguità del proprio bottino in sì grandi occasioni, egli trarrà la grande idea truffaldina che nei nostri documenti vede coinvolto l'Ottolini e il suo Segretario Stefani.

Non è questo il luogo per una esegesi completa del Grasilier e del Landrieux, ma l'importanza che quest'ultimo ebbe negli eventi esposti dai documenti del Tentori consigliano un separato approfondimento del loro racconto almeno nel frammento che a tali eventi a sua volta riferisce.

Ai fini di questa nota, è intanto opportuno sapere che il Landrieux, oltra al grado di Capo di Stato Maggiore della Cavalleria, rivestiva anche l'incarico di Capo dell'Ufficio Segreto, un organismo che Napoleone utilizzava come polizia segreta nella sua armata, oltre che per l'ingaggio di spie nel campo nemico.

Nota 3 - Riportiamo qui brevemente qual'era il piano di arricchimento personale del Landrieux, come egli stesso lo aveva proposto al generale Kilmaine in una lunga lettera dei primi di Marzo 1797, riportata da pagina 214 a pagina 218 della biografia del Grasilier già citata a Nota 2.

Landrieux, promettendo al superiore di scagionarlo da qualsiasi responsabilità in caso di fallimento e dopo già essersi accordato con lui verbalmente, scrive la proposta di attuare una doppia truffa. Da un lato egli si sarebbe spacciato per un rivoluzionario, e dall'altro per un conservatore.

Egli si era già introdotto, con la copertura di un incarico diretto dall'Armata Napoleonica, nei circoli giacobini dell'Oltre-Mincio, e soprattutto in quelli di Milano.
In quell'ambiente, aveva selezionato i "rivoluzionari" più impazienti e i più danarosi, nonché quelli che più si erano esposti con il complotto, e che maggiormente avrebbero rischiato nel caso di un abbandono d'Italia da parte dei Francesi.

Kilmaine e Landrieux, per ragioni che meglio spiegheremo nella specifica Pubblicazione di approfondimento, non disponevano che di relativamente pochi uomini, e malissimo equipaggiati, che Napoleone aveva impiegato appunto nei servizi segreti e nella guardia ai magazzini nelle aree più insalubri, come le paludi mantovane dove era dislocato il Landrieux.

Tali incarichi tenevano i due nei luoghi più lontani dai benefici dei saccheggi, e il loro margine di lucro si limitava a creste su miseri traffici di maiali e altre derrate; in questi loschi traffici dovevano inoltre affrontare la rivale e abilissima avidità delle "basse figure" installate dopo il colloquio di Roverbella tra Napoleone, Battaja ed Erizzo; ovvero le figure degli approvvigionatori e accaparratori, segnatamente e precisamente descritti anche dal Landrieux nella persona del Vivante (cfr. Pubb. XIII, con riferimento a Nota 1).

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Landrieux rivelò dunque alle teste calde locali quel poco che intuiva dei disegni del Napoleone, e li convinse del fatto che il loro futuro previsto dal Liberateur non era affatto la Libertà, ma una nuova servitù all'Austria, che certo non avrebbe amato né perdonato i "rivoluzionari".
Al contempo, li convinceva di essere membro di una fazione repubblicana francese avversa al Napoleone, al quale si sarebbe potuto giocare un tranello d'anticipo approfittando dei suoi impegni in Tirolo, impedendogli di proseguire il suo cammino verso la Monarchia cui evidentemente ormai aspirava.

Bastava che gli straricchi "nobili" insurrezionali si facessero carico di armare decentemente quei 3-4000 uomini agli ordini del Kilmaine, i quali presentemente erano fatti languire tra le febbri del Mantovano. Landrieux nella lettera a Kilmaine si dice convinto di poter raccogliere dai "nobili rivoluzionari" ben più del necessario ad armare le truppe, almeno per la scena teatrale che avrebbero dovuto recitare.

Questa scena consisteva nel far comparire i soldati a protezione dei colpi di Stato che i "rivoluzionari" avrebbero attuato in proprio, certi di essere soccorsi tempestivamente dal supporto dei militi francesi da loro armati.

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A Ottolini e alle Autorità Venete, invece, Landrieux, con la stessa ricetta, creava una pietanza diversa. Approfittando dei trascorsi monarchici propri e del Kilmaine certamente non ignoti al Servizio Segreto Veneto, Landrieux, nella cena a Palazzo Albani si spacciò per un tutore dell'ordine e dell'onore, e fece breccia nelle diffidenze di quei poveri funzionari abbandonati dal proprio governo.

A loro veniva promesso l'intervento di quei medesimi soldati francesi, che sarebbero comparsi in occasione dei prossimi colpi di Stato, ma con funzione di pacificatori, arrestando innanzittutto gli insorti e affiancando poi le Autorità Venete nel mantenimento dell'ordine, in attesa del prossimo, inevitabile crollo del Napoleone.
Ciò, naturalmente, a patto che i Veneziani sborsassero a loro volta il necessario per rimettere in ordine di battaglia le magre compagini del Kilmaine. Anzi, ovviamente, Landrieux contava sulle proprie abilità "amministrative" perché anche dai Savj fosse sborsato ben più del necessario.

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Il vero copione sarebbe stato tale da riservare colpi di scena a entrambe le vittime della truffa.
Intervenendo infatti coi suoi uomini al momento dei colpi di Stato, Kilmaine avrebbe agito dapprima da pacificatore e fatto arrestare i capi locali della "rivolta", liberandosì così della metà dei suoi creditori-complici.

Guadagnatosi in tal modo la fiducia dei Veneziani, li avrebbe convinti ad allontanare le residue truppe ai loro comandi per sostituirle con le sue milizie, dopo di che avrebbe espulso le Autorità Venete, ormai del tutto indifese, liberandosi anche dell'altra metà dei creditori.

Nel frattempo, Landrieux avrebbe avuto cura di trattare segretamente con altri esponenti del malcontento locale, invitandoli a prendere le distanze dai primi insorti e ad epurarsi dagli estremisti, al fine di qualificarsi per la creazione di governi misti italo-francesi. Con questi Governi Landrieux contava di appianare ogni contrasto possibile col Napoleone, consegnandogli, per così dire su un vassoio d'argento, governi-fantoccio già composti degli elementi più inclini al compromesso e al lucro personale, come conveniva al piano generale del Liberateur e dei suoi registi.

Questo piccolo "complotto nel complotto" avrà come effetto collaterale lo spiazzamento di alcuni savj congiurati, che si vedranno sorpresi da una rivolta in anticipo rispetto a quella da loro e da lungo tempo ordita.

In particolar modo il Battaja, che abbiamo visto in forte apprensione per non conoscere il nome dell'informatore di Ottolini, sbotterà in un improvviso voltafaccia.
Vistesi sfuggire le redini del complotto, tenterà di porvi rimedio scatenando quelle forze che sino ad allora era stato il più accanito a rattenere. Egli improvvisamente inciterà alla rivolta anti-francese e anti-giacobina i Sudditi Veneti.

Risposero in particolar modo i Veronesi e i montanari delle Quadre Bergamasche, ma le loro file si erano di molto indebolite dai tempi del Bidasio e del Piano Nani per la difesa.
L'inettitudine e la manifesta malafede delle massime Autorità venete avevano molto indebolito gli spiriti patriottici.

Fu il Battaja stesso a dare loro il colpo di grazia, con questo inattendibile improvviso voltafaccia e con un altro opposto, una volta appurato che il Napoleone, con Leoben alle spalle, ritornava in controllo della situazione. Allora i "Savj" nuovamente abbandonarono gli insorgenti al loro triste destino e si prepararono a migrare nelle Municipalità Provvisorie.


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