Storia di Venezia

Pagina pubblicata 20 Febbraio 2017

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - LXIV

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , LXIV
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

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Storia di Venezia, la brazzara che (forse) salvò il Pesaro dall'arresto

La brazzara che (forse) salvò il Pesaro dall'arresto (immagine per cortesia di http://www.cherini.eu)

La vicenda della fuga di Francesco Pesaro, che fu affrontata nel proseguire della Conferenza del 2 Maggio 1797 tinge quei momenti tragici dei colori della commedia.

E non poteva essere altrimenti visto che la questione fu introdotta da Francesco Battaja che con la sua frivola insipienza abbiamo già visto protagonista tragicomico degli scherzi di Napoleone in occasione delle Pasque Veronesi.

Come si ricorderà, dopo quegli eventi egli era stato richiamato a Venezia a coprire una carica tra gli Avogadori da Comun, ma non è per le ragioni di questa Magistratura che egli propone un mandato d'arresto per il fuggiasco. Il suo primo attacco viene effettuato per ragioni di politica internazionale.
Ragioni pertinenti l'Avogaria da Comun, come vedremo, saranno addotte solo in seconda istanza da Giacomo Grimani.

Con l'ingenua faciloneria che abbiamo visto contraddistinguerlo, il Battaja ci rende edotti che tutti alla Conferenza conoscevano sia la vera meta del Pesaro, sia il modo con cui intendeva raggiungerla, sia il fatto che in realtà le condizioni meteorologiche stavano procrastinando la sua partenza.

Andiamo con ordine.

Presa la parola, Battaja fa osservare "il sommo pericolo" che il Pesaro si rifugi a Vienna e che questa azione faccia infuriare il Bonaparte fornendogli motivo di sospettare una alleanza tra la Repubblica e Casa d'Austria.

Bisogna dunque impedire la fuga e far arrestare Pesaro a bordo della nave dell'"Almirante alle Navi" Leonardo Correr. Il quale Leonardo, apprenderemo più sotto, è nipote del Pesaro stesso.

La proposta è immediatamente appoggiata dai Savi usciti e il Savio in Settimana, Alessandro Marcello, predispone un Damò perché sia approvato dai Savi attuali.
Questi sono al momento tutti presenti a eccezione di Pietro Donà, che ha fatto ritorno dal Lallement, e di Niccolò Erizzo secondo che è malato.
Viene fatto uscire Niccolò Vendramin in quanto cugino del Pesaro e fatto entrare il Savio alla Scrittura Iseppo Priuli al quale si intendeva commissionare l'esecuzione dell'ordine d'arresto.

Ora, osserva il Tentori, molti dei Savi presenti erano amici del Pesaro ma essi si consolavano pensando che il Priuli, a sua volta molto amico del Pesaro, "avrebbe ocultamente reso vano l'ordine".
Pensavano che così si sarebbero acquietati il Bonaparte e i savi a lui favorevoli, senza in realtà impedire la fuga del collega.

Ma di ben altro avviso era il Priuli.
Egli comprese subito che con quel Damò si proclamava il Pesaro colpevole senza processo né difesa.
Comprese anche che, se non avesse eseguito l'ordine, lui e l'Almirante alle Navi si sarebbero esposti al reato di disubbidienza.

Decise quindi di opporsi al Damò, in primo luogo reagendo con indignazione e reclamando a gran voce che lui "non era il capo della sbirraglia".

Battaja tentò di giustificarsi dicendo che egli non intendeva davvero che l'ordine fosse eseguito, solo voleva mettere il Governo in una posizione sicura rispetto ai Francesi.
Poi si dilungò ad accusare l'Almirante Correr, nipote del Pesaro, di avere distaccato una nave della flotta per accompagnare Pesaro oltremare.

Battaja trascurò di rilevare che l'incarico di Correr era precisamente quello di tenere in movimento le navi tra l'Istria e Venezia. Da pagina 364:

... fingendo parimenti d'ignorare quello, che era pubblicamente noto, che il Pesaro dopo qualche ora per la bonaccia era retroceduto, e si trovava a bordo della Nave dell'Almirante.

In soccorso del Battaja si lanciò "con fanatico ardore" (e con più insidiosi e fondati motivi), Giacomo Grimani, che rivolse tre accuse al Pesaro:1

  • era partito nel giorno di riunione del Maggior Consiglio, quando per turno gli spettava la Guardia alla Loggetta;
  • nobile, si era imbarcato senza licenza;
  • aveva abbandonato il ruolo di Conferente col Ministro Francese.

Priuli contestò le accuse:

  • il turno di guardia dei Procuratori alla Loggetta non era sanzionato da leggi precise e la consuetudine era che vi fossero dei supplenti;
  • la Legge che impediva ai Nobili di uscire dallo Stato non si era mai applicata ai viaggi nelle province suddite oltremare;
  • arrestare Pesaro significava darlo nelle mani del Bonaparte "di cui si sapevano le intenzioni". Se il Francese lo avesse chiesto, gli sarebbe stato consegnato, così come si stavano sacrificando i tre Inquisitori di Stato "da tutti riconosciuti innocenti di quelle colpe, che l'imputavano i Francesi.".

Concluse la sua arringa dicendo che i Savj usciti non potevano né dovevano comandare, e che un Damò poteva essere emanato solo dai Savj attuali, per approvazione unanime. Egli negava la sua, quindi il Damò non si poteva fare.

I Savj usciti a questo punto scatenarono una bagarre cercando di convincere gli attuali a costringere il Priuli con "misure di fatto".

Il Savio alla Scrittura approfittò della confusione per lasciare l'aula e incaricare il "benemerito, ed onesto Colonnello di Fanteria Michieli" di inviare una "Brazzara" 2 all'Almirante alle Navi per avvisarlo del pericolo che sovrastava il Pesaro e per suggerire che lo facesse quindi partire subito con una imbarcazione veloce.
Priuli temeva che il giorno seguente si sarebbe potuto spiccare un mandato d'arresto emanato dalla Serenissima Signoria aggirando la Consulta dei Savj attuali.

La questione Pesaro si risolse infine in un modo che Tentori stesso definisce comico. Fu inviata una Ducale all'Almirante alle Navi per chiedergli se avesse notizie del Pesaro. La Ducale è riprodotta dall'Abate a pagina 365:

1797 2 Maggio M. M. S. S.
All'Almirante delle Navi
Absente da due giorni da Venezia il Dilettissimo Nobile nostro Miss. Francesco Pesaro K. e Procurator, ed incerta la direzione da lui presa, se mai ne aveste qualche conoscenza, avanzatela immediatamente a Pubblica cognizione con tutte quelle circostanze, che potessero essere a Voi note.
Camillo Cassina Segretario.

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Scornati sulla faccenda Pesaro (che era forse però solo un ennesimo diversivo) i Savj usciti si applicarono, sempre in quella Conferenza del 2 di Maggio, a invalidare il Damò del Senato del 17 Aprile 1797, che impediva l'ingresso nell'Estuario ai "legni armati di qualunque Nazione".

L'argomento fu sollevato dal Pietro Donà che trattò da insensati e inesperti i Savj di Terraferma, i quali volevano riconfermare il Damò.

Egli convinse molti colleghi col dire che se durante le trattative dei Deputati si fosse verificato un altro episodio come quello del Laugier, non si sarebbe in alcun modo potuto trattenere l'ira dei Francesi né concludere il Trattato di Pace commissionato dal Maggior Consiglio. Aggiunse inoltre che, vigente l'armistizio, non si potevano verificare eventi bellici.

I Savj di Terraferma risposero che a maggior ragione i legni napoleonici non dovevano tentare l'ingresso nel porto, "essendo lo stesso, che durante la trattativa d'una Città, volessero gli assedianti impadronirsi d una Porta della stessa: ..." (da pagina 366).
Quanto al Maggior Consiglio, "aveva detto di trattare, ma non di cedere tutto vilmente, in prova di che erasi riservata la Ratifica.".

"L'astuto K. Donà" aggirò abilmente le obiezioni col dire che i navigli sarebbero stati sottoposti a sorveglianza, che comunque il verificarsi di tali eventi era una possibilità molto remota e che non si poteva rischiare la rottura delle trattative per il caso che una piccola barca, magari spinta dalla burrasca, si presentasse al porto.
Inoltre un singolo naviglio, ben sorvegliato, non poteva essere considerato pericoloso.

L'idea della sorveglianza finì col convincere i Savj riluttanti, che non volevano rischiare di divenire responsabili di una guerra contro il volere del Maggior Consiglio.
Si produsse dunque il Damò che tra poco vedremo.
Da pagina 366:

Fatto questo primo passo da' Corifei Rivoluzionarj al generale disarmo, che macchinavano, diressero i loro sforzi a far allontanare dalle Lagune le Milizie Schiavone.

Gli Schiavoni erano stanziati a Venezia da ormai undici mesi, e avevano sempre dato prova di fedeltà e disciplina impeccabile.

Furono invece sparse voci che essi sarebbero stati in rivolta e che progettavano di saccheggiare la Dominante. I felloni non osarono ancora chiederne l'allontanamento ma avviarono un processo di discredito e calunnia, facendo in modo che il Damò includesse un ordine di sorveglianza speciale delle truppe oltremarine da parte del Provveditore alle Lagune e Lidi.
Da pagina 367:

Tale era l'incredibile malizia de' Savi Rivoluzionarj.

Alla pagina 367 il Damò che avvia il disarmo della Dominante.

... s'incarica il N.H. Provveditor alle Lagune, e Lidi di darsi un'immediata vigile cura per l'effetto che sìeno con tutti i mezzi più cauti, e sicuri sopravegliati li Soldati Schiavoni in tutti i Luoghi della Città, ove esistono ...
Sarà pure del zelante impegno del benemerito Cittadino il diffondere le più efficaci, e sollecite commissioni a tutti quelli, che avessero ispezioni nella custodia de' Porti, e de' Littorali dell'Estuario, a ciò al caso dell'avvicinamento di qualche Legno Armato in guerra ... far conoscere l'intenzion nostra, che non se gli permette l'ingresso nel Porto, e se a queste resistesse, dovrà essere prudentemente sopravegliato, "escludendo l'uso della forza", onde non nascano inconvenienti, che compromettino la Pubblica tranquillità nelle delicate presenti circostanze.

Prima della conclusione, la Conferenza del 2 Maggio prese la decisione di rimandare comunque tutte le questioni alle deliberazioni del Maggior Consiglio, dal momento che questi aveva assunto su di sé ogni decisione con la Parte del primo Maggio. Il Maggior Consiglio si riunirà infatti il 4 Maggio, come vedremo.

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Furono infine emanati alcuni Damò di minore rilevanza:

  • Si consentì l'ingresso a Venezia, dalla parte del Sile, della moglie del generale d'Hilliers, accompagnata dalla moglie del Luogotenente di Udine.
  • Fu accettata la richiesta del Lallement di ammettere a Venezia l'ufficiale francese Dur.
  • Si ordinò il rilascio dell'equipaggio di Laugier; atto col quale, secondo Tentori, "si dimostrava a chiare note l'indecente debolezza della Maggioranza de' Savj, della di cui imbecillità si facevano un giuoco il K. Piero Donà Conferente, e gli Corifei della Rivoluzione." (da pagina 368).

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La confusione e il timore continuavano a essere i principali ingredienti delle Consulte.
Da pagina 368:

... i buoni erano spaventati dagli esagerati rapporti de' Felloni, e questi prendevano ardire dal reo avvilimento, ed indecorosa debolezza de' Buoni.

Si continuò a evitare ogni convocazione del Senato, le cui decisioni non erano del tutto controllabili dai "Corifei della Rivoluzione".
Essi nelle Conferenze facevano agire il loro meccanismo su due perni: "foris pugnae, intus timores".3

Con il valido appoggio del Tommaso Condulmer Luogotenente alle Lagune e Lidi, la difesa di Venezia da un attacco francese veniva spacciata come impossibile, mentre con il rapporto di Niccolò Morosini quarto, Deputato alla difesa interna, si sosteneva l'esistenza della congiura di 16.000 cittadini pronti a versare il sangue dei patrizi se non si fosse cambiato il governo.

A queste menzogne si opponevano i Savj di Terraferma ma le decisioni relative erano "in seguito carpite dalla debole condiscendenza del Doge, Consiglieri, e Capi di 40 al Criminal." (da pagina 368).

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Gli Schiavoni erano stati calunniati come tendenti alla rivolta, quindi si pensò di non aumentarne il numero: il 3 Maggio 1797 si fece un Damò che sospendeva ogni reclutamento e ordinava il rientro di ogni nuova leva che già fosse diretta verso la Dominante.

Nel frattempo il Consiglio del Doge preparava la Parte da proporre al Maggior Consiglio nella riunione del 4 Maggio. In tale Parte si ordinava la punizione di quattro persone.
Tre di queste avevano forse la colpa, di fronte alla Patria, di non aver punito i "Corifei della Rivoluzione", ma erano del tutto innocenti dei reati per i quali i Francesi pretendevano il loro sangue.
La quarta era Domenico Pizzamano, reo soltanto di avere eseguito gli ordini del Senato.

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Il 4 Maggio dunque si riunì nuovamente il Maggior Consiglio, in mezzo agli stessi apparati bellici messi in scena attorno a Palazzo Ducale per la riunione del primo Maggio.

Ancora Manin si presentò "grondante di lagrime, con voce tremula e squallido viso" e propose la Parte come unico mezzo con cui salvare la Repubblica.
Fu appoggiato da Minotto e Bembo, quindi si passò subito alla votazione.

Il testo della Parte è riportato da Tentori alle pagine 369 e 370.

In apertura ci si compiace dell'Armistizio concesso dal Bonaparte, come "primo argomento di fiducia" per appianare "le differenze, che dividono dalla Repubblica di Francia la Repubblica di Venezia.".

Segue l'assegnazione di poteri plenipotenziari ai Deputati Donà e Zustinian, nonché ad Alvise Mocenigo. Essi potranno trattare su ogni argomento, inclusi quelli di Costituzione e Governo dipendenti dall'autorità del Maggior Consiglio, che si riserva di ratificare ogni accordo.

Si conclude infine con gli ordini agli Avogadori da Comun "(1)" di far arrestare e detenere in un'isola i tre Inquisitori di Stato.
Gli Avogadori dovranno istruire il processo contro gli Inquisitori per le loro responsabilità "negli assassinj commessi nello Stato contro Individui Francesi, non meno che nel fatto occorso al Porto del Lido sopra il nominato Bastimento Francese." (da pagina 370).

Sia arrestato dagli Avogadori per il fatti del Bastimento anche il Comandante del Castello di Lido, ma detenuto in luogo diverso.
Nota "(1)" di Tentori a pagina 370:

(1) Tra gli Avogadori di Comun v'era il N. H. Francesco Battaja, la di cui reità, e fellonia era pur troppo nota agli Inquisitori di Stato.
Se questi non fossero stati indolenti, ed avessero adempite le funzioni del loro Tribunale, nè ora sarebbero arrestati, nè molto meno il Processo sarebbesi affidato ad uno de' maggiori Nemici della Repubblica, e degl'Inquisitori medesimi.
Giusto castigo di Dio, e ben giusta tribulazione dovuta ad una falsa clemenza, che lasciò trionfar impune il delitto a danno degl'innocenti.

Copia della Parte sia data ai Deputati perché la presentino al Generale, assieme ai documenti che provano la liberazione dei detenuti. I Savj del Collegio provvederanno a trasmettere la Parte al Ministro di Francia.

La Parte fu approvata con 704 voti favorevoli, 15 contrari e 12 "non sinceri".
Da pagina 371:

I Savj Rivoluzionarj si affrettarono di tosto participarla al Ministro di Francia, il quale non ostante la dichiarazione di Guerra continuava a dimorare tranquillo coll'Arma Francese innalzata sopra la propria abitazione, e continuava quindi le trame, e li raggiri proprj della sua perfidia.

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In quello stesso giorno del 4 Maggio, a Vienna, Zan Piero Grimani scriveva al Ministro Thugut.
La Memoria è trascritta dall'Abate alle pagine 371 -373.

Sostanzialmente non è che la richiesta di far leggere a S. M. l'Imperatore la Species Facti che smentisce le menzogne di Napoleone sui fatti In Italia. Si accenna esplicitamente che il Bonaparte ha abusato della neutralità di Venezia mentre fomentava torbidi e disordini al fine di nuocere alla Repubblica e far prendere piede nei suoi Stati alle massime rivoluzionarie della Francia.

Venezia al contrario ha obbedito alla propria neutralità nonostante ogni pericolo e lusinga.
Una nota di Tentori a pagina 372 ricorda come fu respinta, per amicizia con la Casa d'Austria, la proposta di alleanza anti-austriaca del 1796 con la Porta Ottomana, la Spagna e la Francia.

Unica osservazione interessante su questa memoria è che il Grimani accenna a voci misteriose che i Francesi farebbero correre nel Trevisano e a Ceneda.
Da pagina 372:

... misteriose voci, dirette a far credere ai Popoli, che le occupazioni dì varj Luoghi della Terraferma non sono in vantaggio della loro Repubblica, ma di altre Potenze al momento della conclusione della Pace.

Grimani avrebbe dovuto ricordare che quelle voci correvano nei dispacci diplomatici da anni ormai, ma preferisce la piaggeria.
Da pagina 372:

Insinuazione, che non può essere se non discreditata dalle replicate dichiarazioni di Sua M. Imper., e di questo Imperial Ministero, le quali convincono la Repubblica, che Sua Maestà l'Imperatore non vorrà mai in verun modo concorrere ai tentativi, che venissero da' Francesi promossi a danno di essa. ...

Poteva davvero un ambasciatore della Serenissima essere cosi immemore e ingenuo? Come già esposto nella nota di chiusura alla pubblicazione LXII, non lo ritengo possibile. Grimani non è a mio modo di vedere che un'altra delle maschere nella tragicommedia della fellonia.

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A Venezia intanto continuava la serie delle "clandestine, ed illegali Conferenze" come vedremo nella prossima pubblicazione.


Note

Nota 1 - E' possibile che questo accanimento contro il Pesaro fosse dovuto a beghe interne alle varie congiure, in particolare tra quella che contava su casa d'Austria e quella invece filofrancese, ma lo ritengo poco probabile.
Assai più plausibile che si volesse rafforzare davanti al popolo l'immagine di un Pesaro patriottico odiato dai Francesi, e davanti ai patrizi mostrare il pericolo mortale a cui erano esposti nelle loro stesse persone.
Innegabilmente poi, la diatriba sul Pesaro aiuterà a far passare le ben più gravi decisioni successive.
Annotiamo che nel momento della richiesta d'arresto Napoleone ha già rinunciato a volere "la testa del perfido Pesaro".

Nota 2 -La brazzera o brazzara era una piccola imbarcazione a vela usata in origine per la pesca. Poteva dislocare tra 10 e 100 tonnellate.
Il nome viene dall'isola di Brazza (attuale Brac) nell'Adriatico orientale.
Aveva solitamente due alberi, ma nella versione istriana uno solo. In Italia era chiamata anche "tartana" (fonte:. http://www.theborromeofamily.com

Nota 3 - È una frase di San Paolo: foris pugnae, intus timores, lotte di fuori, apprensioni al di dentro (2 Cor. 7, 5).


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