Storia di Venezia

Pagina pubblicata 6 Febbraio 2017

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - LXII

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , LXII
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

Vai a pagg. 325 - 335 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 335 - 351 | Vai a pagg. 351 - 363

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

Storia di Venezia, la Corte di Vienna

Il giovane Mozart in visita alla Corte di Vienna nella seconda metà del '700. Mozart morirà a Vienna nel 1791, due mesi dopo la prima rappresentazione de "Il Flauto Magico". Viene sepolto in una fossa comune.

Si tratta dunque ora di informare i Deputati Francesco Donà e Lunardo Zustinian del nuovo livello di autorità loro conferito dal Maggior Consiglio riguardo le trattative con Napoleone.

Vi si provvede con un Dispaccio indirizzato a loro in solido con il Luogotenente di Udine Alvise Mocenigo, il primo Maggio 1797, che Tentori riporta alle pagine 335 e 336.

Si trasmettono ampi elogi per il lavoro svolto affrontando difficoltà e pericoli, unitamente al dispiacere per la mancanza di risultato.

Si comunica la Parte del Maggior Consiglio con la quale i deputati sono autorizzati:

  • a promettere la liberazione di tutti i "carcerati per opinioni politiche dopo l'ingresso delle Armate Francesi in Italia", purché Napoleone stesso ne fornisca l'elenco e le modalità del rilascio.
  • ad aderire alle richieste di "modificazioni, e cambiamenti dell'interna nostra Costituzione". Si affida all'abilità dei negoziatori di fare in modo che tali modifiche siano per quanto possibile meno dannose e funeste per la Patria.

Per quel che riguarda gli assassinii di Francesi, il Governo non sa rispondere, in quanto non risulta ne siano stati commessi nella Dominante, mentre per la Terraferma Egli non può più disporre, essendo questa ormai fuori dalle sue dipendenze.

Sulla rottura della neutralità con gli Inglesi si fa presente il gravissimo pericolo cui Venezia si esporrebbe con tale atto.

Il Governo si dichiara del tutto ignaro sulla questione di un Credito rivendicato "dagli eredi Thierri".1

Si allegano lettere del Rappresentante di Capo d'Istria e la scrittura del Provveditore alle Lagune e Lidi, che mostrano il proseguire delle ostilità dei Comandanti francesi.
Chiedano i Deputati che Napoleone ordini l'immediata cessazione delle operazioni militari contro la Dominante.

-- :: --

Nel frattempo, il giorno 30 Aprile 1797, i Deputati e il Mocenigo avevano nuovamente incontrato Napoleone, a Palma.
Tornati a Codroipo, il primo Maggio indirizzarono all'ormai inesistente Senato il resoconto che Tentori riporta alle pagine 336 - 339.

Nonostante i buoni uffici del Luogotenente Mocenigo, i Deputati non sono riusciti a ottenere un appuntamento da Napoleone. Egli ha mandato a dire, per mezzo del Luogotenente, di essere solo disponibile a leggere una lettera, se questa gli fosse stata spedita nel termine di un'ora.

Segue il breve riassunto della lettera, che tralascio in quanto essa verrà riportata integralmente più avanti. Tra le altre cose, la lettera presenta una nuova richiesta di un incontro nel tempo e nel luogo che Napoleone riterrà più opportuno.

Anche questa richiesta viene negata da Napoleone il quale anzi, sempre per mezzo del Luogotenente Mocenigo, "consiglia" ai Deputati di lasciare la Terraferma, che egli ormai considera di sua appartenenza.

I due Deputati stanno per rassegnarsi, quando li raggiunge una nuova lettera del Buonaparte.
La missiva si qualifica come la risposta alla loro precedente del 26 Aprile da Ernhaugen, in merito ai fatti del Liberateur.

La lettera accusa gli argomenti veneziani di essere solo "un tessuto di menzogne" e in sostanza Napoleone fa sapere che egli rifiuta di riceverli in quanto grondanti di sangue francese. Solo accetterà di parlare quando Venezia gli consegnerà:

  • l'Ammiraglio che ha ordinato il fuoco;
  • il Comandante del Castello (forte di Sant'Andrea);
  • gli Inquisitori di Stato.

Fino a quando fossero state soddisfatte queste richieste, egli intimava ai Deputati di lasciare al più presto la Terraferma.

La lettera si chiude con un invito immediato a colloquio, ma solo se i Deputati hanno ricevuto, con il loro ultimo corriere, specifiche notizie e istruzioni sui fatti del Lido.

Nonostante siano consapevoli che Napoleone esige da loro delle "promesse", mentre al momento essi non sono autorizzati che a fornire "giustificazioni", i Deputati si presentano al colloquio.

Tentano dunque ancora una volta di rabbonire l'interlocutore, dicendo che se vi era stato un comportamento indisciplinato di ufficiali, esso sarebbe stato esemplarmente punito.
Del resto sia il Governo che gli Inquisitori erano del tutto estranei a qualunque decisione tattica sulla difesa del Porto.

Essi ancora auspicano che il Generale voglia dettare le condizioni per una pacifica convivenza della Repubblica, alla quale confidano vorrà donare la pace come già ha fatto con i suoi nemici.

Napoleone non risponde e ribatte che non ascolterà nessuna voce prima che gli siano consegnati gli uomini da lui chiesti.
Appoggiato a viva voce da numerosi suoi ufficiali, egli ripete le ingiurie e le sentenze contro la Repubblica di Venezia che aveva già pronunciato nel colloquio di Graz.

Quanto all'offrire la pace, egli aveva già liberato molti popoli, e ora spezzava le catene di quello veneziano.
Egli sa che ormai il Governo è nelle mani di pochissime persone, e che da tre settimane non si convoca il "Consiglio degli Ottocento". Da quell'organo egli attende di sapere se Venezia vuole la guerra o la pace con lui.
Se vuole la pace, che il Consiglio proscriva tutti quei nobili che hanno fomentato il popolo contro la Francia.

Quando i Deputati, con tutta la discrezione possibile, toccano il tasto della corruzione, Napoleone risponde che nemmeno 100 milioni in oro, più tutto l'oro del Perù, potrebbero dissuaderlo dal vendicare il sangue dei suoi. Ha già scritto al Direttorio perché dichiari formalmente la guerra e nel frattempo egli avrebbe agito nei fatti.

Visto fallire ogni tentativo, i Deputati hanno tentato di far sì che il negoziato non fosse definitivamente interrotto. Hanno dunque promesso di tornare celermente in Venezia per ricevere istruzioni appropriate alle sue nuove richieste.
Napoleone sembra aver gradito questa promessa, ma non ha promesso né escluso un nuovo abboccamento.

Segue, alle pagine 339 - 340, la lettera scritta dai Deputati a Buonaparte prima del precedente colloquio.
È un altro piccolo capolavoro di diplomazia e piaggeria.

Si assicura che ormai nessuna parte della Terraferma è in armi contro la Francia, si auspica che la Francia terrà conto di questo fatto come della disponibilità di Venezia ad addivenire a qualsiasi accomodamento piacerà a Napoleone.
Il tutto condito da sperticati elogi ed ammirazione per le Armi e la Nazione francese...
Da pagina 340:

La Francia nel grado di dignità spezialmente, che ha saputo assumere con ammirazione universale, può trovare un spettacolo degno della sua grandezza negli sforzi volontarj, che sarà per fare la Repubblica di Venezia in riguardo più assai, che non possa contemplare nell'agire ostilmente contro un Governo, che si protesta inerme, e indefesso.

Alle pagine 340 - 341 la brevissima risposta di Napoleone, della quale abbiamo già dato il contenuto poco più sopra.

Nella consecutio Tentoriana figurano adesso tre dispacci dall'Ambasciatore a Vienna Zan Piero Grimani, che occupano le pagine dalla 341 alla 350. Poiché alla pagina 351 figura poi un Dispaccio del Luogotenente di Udine in data primo Maggio 1797, strettamente legato alle vicende dei Deputati, ritengo opportuno anticiparlo.

Per cercare di porre un qualche rimedio alle Patrie angustie, Alvise Mocenigo ha una idea tutta sua.

Ha saputo da alcune lettere degne di fede, che il Generale Baraguey d'Hilliers si trova a Venezia.

Fornisce di questo generale un proprio ritratto, frutto a quanto pare di una salottiera dimestichezza della propria moglie con quella del francese.

Il Baraguey sarebbe simile nei modi al Napoleone solo perché "serve ai suoi ordini" ma sarebbe, si lascia intendere, di tutt'altra più mite indole.
Da pagina 350:

Egli è di gran nascita, egli soffrì le più terribili vicende nel tempo del Terrorismo. Egli gode al presente grande riputazione nell'Armata e in Parigi.

Egli è sì amico del Generale in capo, ma non è una amicizia dei sentimenti, solo una convenzione che lega due uomini di idee simili.

Questo Baraguey ha dunque una moglie "egregia donna" alla quale Alvise si dice debitore di molte "istruzioni" che potrebbero eventualmente aiutarlo a muoversi "nel labirinto immenso" dell'Armata Francese.

Questa "egregia donna" ha un grande potere sull'animo del marito e si è offerta spontaneamente di raggiungerlo a Venezia "... per impiegar tutta la sua influenza, per offrir tutte le sue conoscenze a servizio dell'adorata mia Patria."

Il Mocenigo ha accolto con entusiasmo la proposta. Per prevenire ogni volubilità femminile o un cambiamento di percorso come pare fosse già avvenuto con il fratello di Napoleone, ha pensato di fare in modo che la dama francese sia accompagnata a Venezia dalla propria moglie.

Alvise ritiene che l'aiuto di questa "egregia donna" sarà molto utile alla Patria, solo raccomanda che si usi della sua disponibilità con discrezione e moderazione "onde non compromettere i riguardi di lei, e l'auge di suo Marito.".

Ignorando lo stato delle norme sui forestieri, Mocenigo ha disposto che le due donne si rechino alle Porte del Sile, dove attenderanno che il Corriere Giupponi ritorni con una esplicita autorizzazione d'ingresso. Le due donne sono scortate dal Tenente Casatti, "vestito prudentemente in abito Borghese".
Da pagina 351:

Udine I Maggio 1797
Alvise Mocenigo Luogotenente.
2

-- \\ :: // --

Torniamo quindi alla pagina 341 e ai tre dispacci da Vienna. Due sono indirizzati al Senato, con date del 29 Aprile e del primo Maggio 1797 e uno agli Inquisitori di Stato, con data primo Maggio.

Dispaccio al Senato dell'Ambasciatore a Vienna Zan Piero Grimani, 29 Aprile 1797.

  • Accusa ricevuta il 28 Aprile dei plichi da Venezia datati 8, 15 e 22 Aprile 1797.
  • È gravemente addolorato per le notizie ivi contenute ma il suo spirito è rinvigorito, con l'aiuto di Dio, dalle "tante prove della pubblica leale condotta" delle quali farà l'uso opportuno.
  • Non è riuscito ad avere nessuna notizia sul contenuto dei Preliminari di Leoben. Quel che è peggio, non è riuscito a farsene un'idea nemmeno da voci di corridoio né dagli informatori. I Preliminari sono avvolti dal più arcano riserbo e tutti gli Ambasciatori a Vienna brancolano nel buio.
  • Egli tenta dunque alcune considerazioni alla luce della sola logica:
    • A tutti sembra impossibile che l'Imperatore voglia lasciare i Francesi arbitri del destino dell'Italia.
    • Allo stesso modo, non sembra possibile che tale destino possa essere gestito congiuntamente da Austria e Francia; un tale piano sarebbe contrario sia alla Religione, che alla nota lealtà dell'Imperatore che ai suoi interessi.
    • Al Primo Ministro (Thugut) non può sfuggire che la monarchia non avrà alcun vantaggio fino a quando i Francesi saranno confinati oltre le Alpi e le loro "opinioni" distrutte.
    • Non si può determinare quali ragioni abbiano deciso la pace, il Grimani fa però tre ipotesi:
      • il desiderio dell'Imperatrice;
      • ragioni di Erario;
      • l'opera dell'Ambasciatore di Napoli.
    • Quello che è certo è che il Barone Thugut ha steso un impenetrabile velo di silenzio sui suoi accordi con Buonaparte.
  • Se tacciono le comunicazioni ufficiali e persino le voci di corridoio, nemmeno i fatti sembrano tali da portare una qualche luce.
  • La ratifica dei Preliminari da Parigi è attesa per il 5 Maggio.
  • Da Vienna stanno partendo 31 battaglioni di fanteria, 6000 cavalleggeri e 200 pezzi d'artiglieria inclusi grossi calibri.
  • Mentre scrive, Thugut è in "chiusa conferenza" con il tenente Maresciallo Mack da ore.
  • Mack, assieme a Terzi, è il generale che guiderà in Italia un'Armata "munita d'immense provisioni".
  • Proseguono comunque le opere di ammodernamento e potenziamento delle fortificazioni di Vienna.
  • Thugut ha emesso un Proclama con cui scioglie i Corpi di Volontari, cessato il pericolo per l'Austria Meridionale con il ritiro dei Francesi. Viene mantenuta comunque una riserva per il caso che i Preliminari non vengano approvati da Parigi.
  • A Vienna circola come certa la notizia giunta da Manheim che il giorno 22 Aprile 1797: numerose Colonne francesi hanno passato il Reno e fatti prigionieri alcuni battaglioni austriaci presso Neuwied. Non è sicuro che la nuova dell'Armistizio fosse giunta ai Francesi, ma era certamente a conoscenza degli Austriaci su quel fronte.
  • In un contesto tanto nebuloso, Grimani cercherà ogni possibile lume, anche solo da "disseminazioni, ed anche cenni soli, intesi da persone del Gabinetto in mancanza di positivi propositi...".
  • Cercherà all'indomani un nuovo colloquio con Thugut. Le notizie sulle azioni belliche di Napoleone anche dopo la firma della pace gli sono certo note, ed egli spera che il racconto dettagliato che è in grado di fornire grazie alle Species Facti ricevute da Venezia, soprattutto quelle relative ai colloqui dei Deputati a Graz, muoveranno il Ministro Austriaco a rivelare almeno qualcuno dei suoi segreti.
  • Grazie all'ottimo rapporto che è riuscito a instaurare con Thugut, Grimani potrà sfatare le menzogne che eventualmente Napoleone abbia diffuso su Venezia, e far pervenire al Ministro i fatti "nel loro vero lume" senza bisogno di alcuna ufficiale comunicazione.
  • Spedisce il presente dispaccio al Console di Trieste perché lo inoltri a Venezia, e continuerà a usare quella via postale per ogni altra comunicazione, fino a ordine diverso del Senato.
  • L'ambasciatore di Napoli (Marchese del Gallo) è tornato nella mattinata dal Campo ma Grimani non ha potuto incontrarlo, né spera di poterlo fare nei prossimi giorni in quanto detto Ambasciatore pare sia in partenza per Trieste dove accompagna l'Arciduchessa Clementina, che deve imbarcarsi per Napoli.
  • Il Marchese si trattiene in quanto fa parte del gruppo che dovrà partecipare alla stesura degli accordi definitivi di pace, una volta giunta da Parigi la ratifica ai preliminari di Leoben.
  • Corrono voci incerte sul luogo in cui avverrà questa ratifica. Alcuni sostengono che il Trattato generale sarà discusso in Svizzera, mentre le questioni italiane saranno definite a Trieste o in una città dei Domini Veneti. Altre voci dicono invece che la trattazione si svolgerà per intero in un solo luogo.
  • Da tre giorni a Vienna si è saputo che il Marchese Lucchesini,3 inviato del Re di Prussia, è stato richiamato in Patria e che non farà ritorno.
  • Secondo la voce corrente, il richiamo è dovuto a dissapori del Lucchesini con il signor di Risoffuverder, che lo hanno messo in cattiva luce presso la propria Corte.
  • Voci solitamente più informate sostengono che questa versione copra il vero motivo, che sarebbe da ricercarsi in una decisione invece della Corte viennese, disgustata da "sordi maneggi" praticati dal Lucchesini anche in Italia.
  • L'inviato prussiano avrebbe dunque avuto sorte analoga a quella toccata al signor Gugelstran inviato dalla Svezia un anno prima e a un segretario d'ambasciata spagnolo designato a Vienna nel precedente Ottobre. Entrambi i Diplomatici sarebbero stati respinti dal Thugut perché ritenuti di sentimenti ostili alla Corte austriaca.
  • Al posto di Lucchesini arriverà il Conte Reller, ex Ministro prussiano all'Aja.

-- :: --

Dispaccio al Senato dell'Ambasciatore a Vienna Zan Piero Grimani, primo Maggio 1797.

Spedisce questo messaggio assieme al precedente, perché benefici della rapidità dell'Espresso.

  • Il 30 Aprile Grimani ha potuto incontrare Thugut.
    • È stato subito chiaro che l'Ambasciatore di Napoli, informato dal Bonaparte, aveva riferito una serie di menzogne sugli eventi nello Stato Veneto.
    • Con una chiara e semplice esposizione dei fatti, Grimani confida di avere dissipato quelle menzogne e gli sembra altresì di avere colto dei segni di commozione nella fisionomia dell'interlocutore.
      Da pagina 345:
      Conobbi per la verità, che quel Primo Ministro si era con qualche movimento, e con qualche cenno commosso al mio racconto; ma se tale sensibilità del Baron di Thugut mi parve patente al dettaglio di ciò, che soffre di amaro la Serenissima Repubblica ne' suoi Stati di Terra Ferma, ho cercato di penetrare altresì, se come Ministro degli affari Esteri provava lo stesso effetto.
    • Naturalmente il Thugut ministro non si commuove affatto, e interroga invece Grimani sui fatti di Salò e Verona, interessandosi in particolar modo a sapere se fossero tranquille le Province al di qua del Mincio. Il Veneziano soddisfa le sue domande sulla base delle notizie ricevute da Venezia.
    • Grimani si arrischia dunque a una domanda diretta: "I Francesi, una volta ritirati dall'Austria, attenderanno la pace definitiva accampati nei territori veneti?".
    • Giura che quanto gli verrà detto sarà reso noto solo al Senato di Venezia che si trova nell'evidente necessità di sapere quello che accadrà nelle sue terre nei prossimi dieci o dodici giorni. Fa appello all'amicizia personale oltre a quella per la Serenissima, per ottenere una risposta.
    • Ma il Thugut non si scuce, non è in suo potere dire nulla fino alla ratifica ufficiale dei preliminari, che si presume arriverà tra quindici giorni.
    • Grimani non osa insistere con domande dirette nel timore di far adirare il Ministro ed è dunque costretto a tornare alle proprie congetture.
  • Ha sempre trovato sospetto l'interesse mostrato da Thugut per gli eventi dell'Oltre Mincio sui quali è stato spesso interrogato anche prima di oggi. Curiosità accompagnata tuttavia da una "certa apparente indolenza sulla sorte de' Pubblici Stati, e sulle calamità, che affligono un Potente Vicino in modo non utile a questa Monarchia in ogni rapporto, ...".
  • Trova ancora assai strano che il Thugut abbia rifiutato la sua domanda diretta, quando la risposta sarebbe stata pubblicata quel giorno stesso sul Bollettino Ufficiale di Corte e integrata da una comunicazione dell'Ambasciatore di Napoli.
  • Da questi elementi Grimani pensa di poter dedurre che la pace sia stata firmata frettolosamente, senza avere ben ponderato tutti i fattori, sotto la spinta combinata del timore per il Reno e di quello per la Capitale. La "debolezza, o la confusione ne' consigli" avrebbero fatto perdere di vista gli interessi propri dell'Austria, e dimenticare affatto quelli della confinante Repubblica di Venezia.
  • Gli Austriaci potrebbero inoltre non essere ancora ben sicuri che sia effettivamente avvenuta la pacificazione.
  • Grimani ribadisce come non sia consono agli interessi della Casa d'Austria permettere il consolidarsi di Stati vassalli dei Francesi nelle sue terre di confine. Nemmeno lo sarebbe mirare a espandere il proprio dominio su territori ormai devastati e impregnati di massime anti-monarchiche.
  • Il veneziano è convinto che gli Austriaci si siano fatti un'idea del tutto sbagliata dei movimenti dei sudditi veneti e teme che la sola esposizione verbale della verità da lui fatta a Thugut non abbia l'efficacia che potrebbe avere la lettura della Species Facti per iscritto, che egli non è però autorizzato a fornire al Ministro Austriaco.
    Chiede quindi velatamente al Senato "(I)" di poterlo fare.
    La nota (I) di Tentori a pagina 347 spiega come il Grimani fosse ancora all'oscuro della "spuria Conferenza" che aveva esautorato il Senato.
  • Passa poi a descrivere il Bollettino di Corte del 30 Aprile 1797.
    • È stato deciso che il Tenente Maresciallo Mack non vada in Italia. L'armata austriaca sarà al comando del Generale Terzi, coadiuvato dal Generale Wallis e dal Colonnello Chateler, già impiegato dalla Corte nella definizione dei confini con l'Ungheria.
    • Per dichiarazione dell'Ambasciatore di Napoli, si assicura che l'Armata Francese, uscendo dall'Austria, si attesterà sul Tagliamento mentre quella Austriaca, che ha finito di lasciare Vienna quel mattino stesso, si fermerà all'Isonzo, forte si dice di 60.000 uomini.
    • Il Marchese del Gallo ha inoltre asicurato che il Quartier generale francese sarà posto in Palma, mentre quello austriaco in Gorizia.
  • Nella mattinata del Primo maggio l'Ambasciatore di Napoli è partito per Buda assieme al Medico di Corte Quarin, dal momento che l'Arciduchessa Maria Clementina sarebbe stata colta da un grave attacco del suo mal di petto.
  • Il Marchese del Gallo tornerà però molto presto per raggiungere il Buonaparte a Palma. Non è ancora noto dove giungerà la ratifica dei preliminari da Parigi. Napoleone ha detto che ciò avverrà a Udine, o a Brescia, o a Bergamo, dove forse sarebbero proseguite le trattative per la pace definitiva.
  • Si è ancora saputo che la ratifica da Parigi non giungerà prima del 18 Maggio 1797.
  • Grimani allega al dispaccio:
    • un plico da Londra recapitatogli dal sottosegretario di Stato sig. Hauvnond
    • un dispaccio ai Deputati alla Provvigion del Denaro
    • un dispaccio del Bailo alla Porta Ottomana indirizzato ai Magistrati alla Sanità.

-- :: --

Dispaccio agli Inquistori di Stato dell'Ambasciatore a Vienna Zan Piero Grimani, primo Maggio 1797.

  • Agli Inquisitori Grimani comunica il rapporto di una qualche sua spia, che ha potuto ascoltare una conversazione dell'Ambasciatore di Napoli mentre si trovava "in privatissima società", slegato da obblighi di etichetta. Gli accenni fatti dal Marchese del Gallo sulla situazione dello Stato Veneto trovano riscontro anche in altri discorsi intercettati nella Segreteria di Stato.
    • Tornato dal campo di Buonaparte il Marchese si era espresso molto duramente sul fatto che i Sudditi veneti avessero preso le armi contro i Francesi, basandosi in tutta evidenza sulle informazioni false ricevute da Napoleone.
    • Un suo interlocutore, persona amica del Grimani e della Repubblica di Venezia, riuscì a calmarlo, spiegando come i Veneti si fossero armati per difendersi dai ribelli di Brescia e bergamo appoggiati dai Cispadani, e che il sangue dei francesi era stato versato solo perché questi si erano mescolati a tali ribelli, soprattutto a Verona. Del resto sia il Buonaparte che il Direttorio si erano mostrati persuasi che il Senato veneto avesse preso tutte le misure necessarie a sedare i tumulti.
    • Dopo una pausa di riflessione, il Marchese replicò che il desiderio dei Francesi era democratizzare il Governo Veneto e che se anche essi si fossero disinteressati dei Territori di Venezia dopo realizzato il loro desiderio, la Serenissima si sarebbe trovata in una nuova sciagura, in quanto la Casa d'Austria non avrebbe potuto tollerare che lo Stato Veneto si organizzasse sul modello francese.
  • Messo sulle spine da questi discorsi, Grimani ha tentato con ogni mezzo di scoprire quale fosse la posizione di Thugut su questo argomento.
    • Ha potuto appurare che, in ambienti molto vicini al Ministro austriaco, si ritiene che i francesi abbiano organizzato un partito interno alla Serenissima finalizzato a una rivoluzione da attuare nella Dominante stessa, e che tale partito potrebbe essere forte abbastanza da passare all'azione.
    • Grimani ritiene "falsissima" questa opinione ma teme che possa essere usata come pretesto.
    • Il brano in cui spiega l'uso di questo pretesto è piuttosto confuso, come si può verificare a pagina 349, tuttavia si può capire che il Grimani paventa che l'Austria possa approfittare di "disordini" in Italia per entrarvi come mediatore armato, oppure che si trovi a poter trarre profitto dalla confusione che nascerebbe inevitabilmente in seguito a una "alterazione" del Governo veneto, basandosi sulle stesse ragioni che aveva addotto per la spartizione della Polonia e per la Guerra di Francia.
    • L'ambasciatore veneziano ritiene molto fondata l'ipotesi che effettivamente l'Austria abbia questo progetto, che spiegherebbe sia "l'infelice pace fatta" sia "un Sistema da qualche anno adottato".
    • Tale progetto è inoltre confermato da voci solitamente bene informate sulle decisioni del Gabinetto austriaco.
    • Da un'altra fonte molto attendibile gli è stato comunicato che il piano austriaco verrebbe abbandonato o almeno minimizzato se la Repubblica rifiutasse di cambiare i "suoi antichi Metodi Governativi".

Nota di U.S.

Possiamo credere alla sincerità di Zan Piero Grimani?
Io direi di no, e non per motivi di poco conto.

  1. È assai poco probabile che le congiure veneziane designassero un ignaro all'Ambasciata in Vienna, così vicino a quel Thugut che è, come abbiamo visto, uno dei personaggi chiave di tutta questa storia (cfr. Nota 2 alla pubblicazione XXII): con il rischio che magari per sbaglio, o meglio grazie alla rete di confidenti e informatori costruita e collaudata nei secoli dagli Inquisitori di Stato, venisse a scoprire un qualcosa che lo rendesse non più ignaro e pericoloso.
  2. Si dichiara completamente all'oscuro del contenuto dei Preliminari di Leoben.
    Questo è estremamente improbabile. Come abbiamo accennato, da secoli gli Inquistori di Stato veneziani avevano sviluppato una rete di confidenti e informatori estremamente efficiente.
    Grimani stesso parla di una persona alla quale stanno molto a cuore gli interessi veneziani che si trova ammessa alla "privatissima società" del Marchese del Gallo. Abbiamo visto questi informatori all'opera nelle vicende milanesi dell'Ottolini e l'Archivio di Stato pullula di "Riferte dei Confidenti" da ogni angolo del mondo civile.
    In una corte frivola e variegata come quella viennese è praticamente impossibile che su Leoben non fosse trapelato nulla.
    Tra l'altro, l'olandesizzazione di Venezia compare come altamente probabile nelle comunicazioni diplomatiche da anni ormai.
    Il fatto stesso che i Francesi passino il Reno proprio non appena firmata la pace e che contemporaneamente un enorme Corpo d'Armata austriaco prenda le mosse per l'Italia doveva indurre il Grimani almeno a sospettare che a Leoben quella olandesizzazione stesse diventando attuale.
    Invece egli si affanna a cercare motivi per i quali l'Austria non dovrebbe desiderare i Territori veneti, né essere disposta a lasciarli ai Francesi.
  3. Sostiene di essere in ottimi rapporti con il Barone Thugut.
    Quando lo incontra, sostiene persino di avere colto dei segni di commozione per le sorti di Venezia nel Ministro austriaco. Dal momento che sappiamo come il Thugut sia passato alla storia, oltre che come doppiogiochista, anche con la fama di "belva umana", fama che già possedeva consolidata al tempo dei fatti, la sua "commozione" per le sorti di Venezia appare risibile.
    Sappiamo che era stato arruolato dal servizio segreto francese ancora quando era dragomanno a Costantinopoli: sappiamo anche che nessuna altra potenza europea poteva contare in quella città le strutture, l'efficenza e le amicizie della Repubblica di Venezia.
    È praticamente impossibile che quell'arruolamento, seguito dai cospicui affari in Francia nei quali il Thugut investiva i suoi illeciti guadagni, fosse sfuggito agli Inquisitori veneziani. Ed è altamente improbabile che tale informazione non fosse passata agli Ambasciatori a Vienna.
  4. Da informazioni false sul ritiro del plenipotenziario prussiano Lucchesini.
  5. Invia a Venezia informazioni sull'esistenza di una congiura interna capace di rovesciare il Governo. definisce "falsissima" questa voce, tuttavia non manca di riferirla, contribuendo alla sceneggiata terroristica messa in atto dai Savi felloni per intimorire i Patrizi pavidi e imbecilli.
  6. Quando infine ammette che l'Austria potrebbe essere interessata a sottomettere i Territori della Repubblica, sostiene che ciò sarebbe facilmente evitabile rifiutando di cambiare la forma di governo.
  7. Nemmeno il più piccolo accenno alla possibilità che Austriaci e Francesi siano in un qualche modo alleati per distruggere la Repubblica di Venezia.

-- \\ :: // --

Napoleone intanto, dopo la partenza dei Deputati, ha deciso di dichiarare personalmente guerra alla Repubblica di Venezia con un Manifesto datato primo Maggio 1797, che vedremo nella prossima pubblicazione.


Note

Nota 1 - Quella dell'eredità Thierry sembra essere una questione che si trascinava in Venezia da lunghissimo tempo. Si tratta con ogni probabilità del testamento di Giovanni Thierry, stilato a Corfù nel 1654. Thierry morì a Venezia nel 1676.
Già ricco per eredità, aveva moltiplicato la sua fortuna come "famoso negoziante sul mare".
Il suo testamento rimane negli annali notarili come uno dei più notevoli, sia per la storia del documento, che per l'importanza della fortuna da lui lasciata, sia per l'interminabile coda di contestazioni e rivendicazioni che generò.
Basti dire che si avviarono cause persino nel 1827, senza che si fosse ancora giunti a una soluzione quando dell'atto si occupa "Il Pirata, giornale di letteratura, belle arti, varietà e teatri" nel numero 1 dell'anno III, con data 4 Luglio 1837, da cui traggo queste notizie e che riporta anche un ampio estratto del testamento stesso.

Da quel che possiamo leggere su "Il Pirata", appare chiaro che questo testamento Thierry fu un caso che aveva destato scalpore molto a lungo.
Diventa dunque curiosa la risposta, con cui viene bruscamente liquidata la specifica domanda di Napoleone, nella quale il Governo si dichiara completamente all'oscuro della vicenda.

È una risposta del tutto fuori tono con l'atteggiamento ormai consolidato di accondiscendenza nei confronti del Generale. Ci si aspetterebbe una formula magari dilativa, una promessa di esaminare la faccenda per soddisfarlo il più possibile.
Invece gli si oppone una marchiana e scoperta menzogna.

Ora noi non sappiamo purtroppo che cosa avesse precisamente chiesto Napoleone, né quali dei contestati eredi egli volesse favoriti, ma dopo la sbrigativa risposta del Governo questa richiesta sembra scomparire dai suoi desiderata.

Quello che mi vien fatto di pensare è che dietro la sbrigativa menzogna egli abbia letto un messaggio non del futile e servile Governo, ma di qualcuno a cui lui stesso doveva obbedienza: il messaggio era chiaramente che l'eredità Thierry non era di sua competenza...

Nota 2 - Trovo ben poche notizie sulla moglie di Baraguey d'Hilliers.

Secondo le Memorie di Josephine Beauharnais, si sarebbe chiamata madame Daniel e avrebbe avuto due figli prima di divenire vedova di un ufficiale; i figli sarebbero poi stati adottati amorevolmente dal secondo marito Baraguey.

Più nutrite sono le fonti sul figlio maschio, Achille d'Hilliers, che diverrà Maresciallo di Francia, secondo le quali il nome della madre sarebbe Marie-Eve Zittier.
Questa versione è suffragata anche in vari siti di genealogia (cfr. http://gw.geneanet.org/; http://fr.rodovid.org).
Queste fonti confermano il secondo matrimonio della moglie di Baraguey che sarebbe però divorziata da un medico, suo primo marito. La nascita del primogenito è però segnalata in data posteriore al matrimonio con d'Hilliers, escludendo quindi l'adozione.

A ogni modo la "egregia donna" non sembra aver lasciato grandi testimonianze di sé nella Storia, il che ben poco corrobora l'idea del Mocenigo che essa fosse donna intrigante e con grande influenza sul marito.
Direi che possiamo ascrivere l'iniziativa del Luogotenente di Udine alla volontà di compiacere la propria, di moglie, offrendo a lei e all'amica francese l'occasione di visitare Venezia prima che questa venisse a perdere il carisma di capitale mondiale dell'eleganza, del bel mondo e della ricchezza. O forse la signora d'Hilliers aveva sentito parlare delle cortigiane veneziane, assai più quotate all'epoca di quelle parigine, e voleva sovrintendere di persona al marito?

Nota 3 - Secondo l'accurata biografia pubblicata da Domenico Proietti nel "Dizionario Biografico Treccani", il Lucchesini è una figura di brillante intellettuale passato alla carriera diplomatica.
In tale biografia si annota che fu inviso alla Corte d'Austria, ma che vi rimase confermato come plenipotenziario prussiano fino a tutto l'anno 1800, quando l'imperatore Federico Guglielmo III lo trasferì con il medesimo incarico a Parigi.
Fu congedato e pensionato dalla diplomazia prussiana nel 1807, dopo una serie di insuccessi nelle trattative tra l'Imperatore e Napoleone.
Fu quindi assunto, per intercessione di Talleyrand e Duroc, come gran maestro alla corte toscana della granduchessa Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone, per la quale divenne in seguito ambasciatore a Parigi.
Alla caduta di Napoleone, si ritirò a Firenze, dove tornò ai suoi studi sotto la protezione della contessa d'Albany Luisa Stolberg-Gedern.


Vai a pagg. 325 - 335 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 335 - 351 | Vai a pagg. 351 - 363

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

TOP

   

Edizione HTML e grafiche a cura di Umberto Sartori. Consulenza bibliografica dott. Paolo Foramitti.