Storia di Venezia

Pagina pubblicata 16 Febbraio 2017

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - LXIII

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , LXIII
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori
Il Manifesto di Palmanova

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

Vai a pagg. 335 - 351 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 351 - 363 | Vai a pagg. 363 - 373

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

Storia di Venezia, la Torre di Marghera in un dipinto di Canaletto

La Torre di Marghera in un dipinto di Canaletto.

Detto fatto, Napoleone il primo Maggio 1797 dichiara la guerra in proprio, del tutto illecitamente come vedremo, per mezzo di un Manifesto passato alla Storia come il "Manifesto di Palmanova", anche se non si è mai potuto ben appurare dove effettivamente egli lo avesse pubblicato.

Tentori ne riporta la traduzione dalla pagina 351 alla 354. Il nostro Abate ritiene che non metta conto di confutarlo perché completamente menzognero.
Da pagina 351:

... pieno delle più atroci calunnie, ed imposture, che la perfidia Francese seppe inventare.
Noi non ci fermeremo a confutarlo, poichè dalla ingenua serie delle cose, sin ora esposte, apparisce la nera falsità delle accuse, e l'innocenza della Repubblica di Venezia.

Noi che abbiamo ampliato la documentazione di Tentori alle memorie di Landrieux (cfr. Jean Landrieux), ai dispacci "segreti" degli Inquisitori macchiati di vino nell'accampamento francese di Balland (cfr. pubblicazione XLVI), alla relazione del Tenente Spiridion Zapoga da Salò (cfr. pubblicazione XLVIII) e a numerose altre prove documentali, possiamo ben confermare l'opinione dell'Abate.

Sappiamo oltre ogni ragionevole dubbio che i moti della Terraferma veneta furono espressamente voluti e organizzati da interessi francesi (e austriaci) al preciso scopo di creare il casus belli.
Il Manifesto di Palmanova è quindi positivamente l'enunciazione di una serie di calunnie e menzogne che non meritano ulteriore disquisizione.

Mi distacco invece dalle considerazioni dell'Abate su quel che riguarda l'affermata "innocenza" della Repubblica di Venezia.

Certo la Repubblica considerata come ente astratto fu innocente, ma non certo lo furono il Governo, il Senato e il Maggior Consiglio di detta Repubblica.
Furono questi Enti, al contrario, complici, conniventi, principali finanziatori e forse anche tra i mandanti delle atrocità commesse da Napoleone in Italia nel corso di quella sua prima campagna.

Chi abbia letto con attenzione questa serie di pubblicazioni non potrà che convenire, mentre all'Abate dobbiamo dar credito di avere avuto a disposizione una documentazione e un punto di vista assai più limitati di quelli oggi a nostra disposizione.

Il Manifesto di Palmanova è articolato in XV capi, nessuno dei quali effettivamente merita confutazione agli occhi di chi abbia seguito questa Raccolta, a eccezione del quindicesimo che si segnala per la particolare efferatezza della menzogna e per il falso riferimento alla propria stessa Costituzione.

Il Liberateur d'Italie, il suo affondamento nel Porto di Lido, "il giovane, e interessante Laugier Luogotenente di Vascello ... montato sul ponte, esposto ad una grandine di mitraglia..." (da pagina 353) non sono effetto della perfidia o dell'ignavia veneziane.
È precisamente Napoleone, il suo piano ordito con Berthier, Kilmaine, Landrieux e chissà chi altro, ad avere sacrificato il giovane comandante e la sua nave per creare il pretesto finale, e soprattutto per sviare emotivamente l'attenzione da una grave scorrettezza in quello steso capo quindicesimo.
Da pagina 354:

In vista dei mali sopra espressi e autorizzato dal titolo 12 articolo 128 della Costituzione della Repubblica e in vista delle urgenti circostanze Il General in Capo commette al Ministro di Francia presso la Repubblica di Venezia di sortire dalla Città; ordinando pure, che in 24 ore sia evacuata la Lombardia, e Terraferma Veneta dagli Agenti della Repubblica stessa.
Comanda ai diversi Generali di Divisione di trattar qual nemici le Truppe Venete, e di far atterrare in tutte le Città della Terraferma il "Leone di San Marco".
Domani all'ordine del giorno riceverà cadauno una particolar istruzione sulle ulteriori operazioni militari.

Vi è un refuso nella pubblicazione di Tentori, l'articolo a cui Napoleone si riferisce è il 328, non il 128, del Titolo 12 della Costituzione della Repubblica Francese promanata il 22 Agosto 1795 (5 Fruttidoro Anno III): quell'articolo, e altri, comunque non lo autorizzano affatto a fare ciò che fa, come vediamo in dettaglio nella nota che segue.

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NOTA DI U.S.

Costituzione francese 1795, Titolo 12, Relazioni Estere

Art. 328
– In caso di ostilità imminenti o cominciate, di minacce o di preparativi di guerra contro la Repubblica francese, il Direttorio esecutivo è tenuto ad impiegare, per la difesa dello Stato, i mezzi messi a sua disposizione, a patto di prevenirne senza indugio il Corpo legislativo. – Può anche indicare, in questo caso, gli aumenti di forza e le nuove disposizioni legislative che le circostanze potrebbero esigere.
Art. 334
–Ambedue i Consigli legislativi deliberano sulla guerra e sulla pace solo in comitato generale.

Napoleone non è dunque affatto "autorizzato" a dichiarare guerra dall'articolo costituzionale che cita.
Le deliberazioni su guerra e pace sono esclusiva pertinenza dei due Corpi legislativi, in riunione congiunta nel Comitato Generale. In caso di grave emergenza, il Direttorio può intraprendere azioni belliche, comunque dopo averne informato i Corpi Legislativi. Il Direttorio ha questa facoltà, non un qualsiasi Generale.

Con il suo Manifesto, Napoleone del resto viola altri articoli di quel Titolo 12 della sua Costituzione:

 
Art. 326
– La guerra non può essere decisa che con un decreto del Corpo legislativo, in seguito a proposta formale e necessaria del Direttorio esecutivo.
Art. 327
– I due Consigli legislativi concorrono, nelle forme ordinarie, al decreto col quale la guerra è decisa.
Art. 329
– Solo il Direttorio può mantenere delle relazioni politiche con l’estero, condurre i negoziati, distribuire le forze di terra e di mare, come lo giudica conveniente, e regolarne la direzione in caso di guerra.

Come vediamo dal primo costrutto dell'Articolo 329, anche il ritiro del Ministro francese a Venezia Lallement esulava dalla mansioni del Buonaparte.

Aveva del resto già trasgredito in Leoben anche ai dettami:

  • dell'Articolo 331, trattando i Preliminari senza le credenziali necessarie da parte del Direttorio, che erano in quel momento affidate al Clarke, il quale Clarke non era presente né risulta firmatario dei Preliminari.
  • dell'Articolo 332, in quanto il primo degli articoli segreti del Patto distrugge quanto disposto nel settimo degli articoli palesi.
Art. 331
– Il Direttorio esecutivo conclude, firma o fa firmare con le potenze straniere tutti i trattati di pace, di alleanza, di tregua, di neutralità, di commercio, e altre convenzioni che esso giudica necessarie al bene dello Stato. Questi trattati e convenzioni sono negoziati, a nome della Repubblica francese, da agenti diplomatici nominati dal Direttorio esecutivo, e muniti di sue istruzioni.
Art. 332
– Nel caso che un trattato racchiuda degli articoli segreti, le disposizioni di questi articoli non possono essere distruttive degli articoli palesi, né contenere alcuna alienazione del territorio della Repubblica.

Ciò detto e precisato, effettivamente non è necessario confutare punto per punto il manifesto di Palmanova, è però il caso di proporre alcune osservazioni su questo atto napoleonico.

Del "Manifesto di Palmanova" come documento in sé si è occupato approfonditamente il dottor Paolo Foramitti nel suo "Bonaparte e la Serenissima", Edizioni del Confine, Udine, 2003. Ecco i dati raccolti dall'amico ricercatore.

Tale dichiarazione fu data manoscritta a Berthier il primo Maggio 1797 perché la diramasse come Ordine del Giorno agli ufficiali e ai reparti delle Divisioni.

Esiste una lettera di Napoleone allo stesso Berthier, datata "Palmanova 13 Fiorile Anno V" (2 Maggio 1797) con la quale Bonaparte ordina allo stesso Berthier di far stampare in mille copie il Manifesto quella stessa notte. Berthier avrà quindi cura di trasmetterne una copia anche a Milano, dove sia tradotto in italiano, stampato e diffuso ovunque (cfr. Correspondance de Napoléon Ier. Tome 3, pag. 21).

D'altro canto, il 2 Maggio Napoleone non era affatto a Palmanova ma in viaggio tra Treviso e Padova via Mestre. In tale trasferimento era accompagnato dal destinatario di quella sua lettera, ovvero il Generale Berthier.

È certo possibile che Bonaparte scrivesse la lettera, a una persona con la quale poteva parlare direttamente, come autorizzazione formale alla stampa, per quanto Berthier disponeva di tutta l'autorità sufficiente a far eseguire anche un semplice ordine verbale del Generale.

Il fatto è però che, nonostante le strenue ricerche del dott. Foramitti, non è mai stato possibile trovare anche una sola copia delle mille che Berthier avrebbe dovuto far stampare in francese la notte del 2 Maggio.

La prima testimonianza d'epoca sull'affissione di tale Manifesto nei territori Veneti è stata trovata da Foramitti nelle "Notizie Giornaliere" dell'abate padovano Giuseppe Gennari, che il 12 Maggio 1797 scrive:

Addi 12 ... Si è veduto il manifesto della Repubblica di Francia contra i viniziani ai quali intima la guerra per le ragioni in esso esposte. ...

Una seconda notizia è stata trovata in un diario, attribuito a Pietro Donà, che con data 14 maggio 1797 dice che la dichiarazione di guerra era stata "intimata a' Deputati a Graz, a Palma, a Marghera, promulgata con la data di Palma a Milano il giorno 8 Maggio.".
Questa data dell'otto Maggio è anche quella della spedizione ufficiale del documento a Parigi, dove viene ricevuto il 16 Maggio dal Direttorio, che si incarica di comunicarlo ai Corpi Legislativi (Consiglio dei Cinquecento e Consiglio degli Anziani).

Fin qui le notizie raccolte dal dott. Foramitti sui documenti primari relativi al Manifesto di Palmanova.

Tentori non specifica da dove tragga il testo che traduce, tuttavia, come vedremo nelle pagine seguenti, ai Savi in Venezia il suo contenuto e l'ufficialità della guerra furono ben noti sin dal 2 Maggio.

La domanda che mi pongo è: "Perché Napoleone scrisse quel documento?".

Egli non aveva affatto bisogno di una dichiarazione di guerra formale per aprire le ostilità, dal momento che le sue armate già da mesi compivano azioni belliche contro la Repubblica di Venezia; se le prime erano state sommariamente coperte da vari pretesti, con l'invasione di Vicenza Padova e della gronda lagunare questi erano stati del tutto abbandonati.
Sappiamo inoltre da molte testimonianze dirette come egli fosse estremamente restio a rilasciare ai veneziani promesse e ordini scritti.

La dichiarazione formale presentava per lui almeno due importanti controindicazioni:

  1. lo esponeva al biasimo ed eventualmente alla punizione da parte dei suoi superiori a Parigi;
  2. formalizzava e provava oltre ogni dubbio le sue menzogne di fronte ai posteri e alla Storia. Il che, per una persona mossa anche dalla sete di gloria come egli era, non è una controindicazione da poco.

Mi sembra d'altro canto che sia possibile identificare tre considerazioni tali da indurlo a redigere comunque quell'atto formale.

La prima e più importante è di ordine politico.
Con quella illecita dichiarazione di guerra Napoleone infliggeva un secondo duro colpo al prestigio e all'autorità del Direttorio dopo quello di aver trattato a Leoben senza le credenziali ufficiali (la terza, se vogliamo prendere in considerazione anche l'invio a Parigi di Augereau con un corpo militare per "tutelare la Repubblica" dopo che le recenti elezioni avevano segnalato un viraggio delle Assemblee verso elementi dell'ancien régime).
Si sta costruendo il mito di Napoleone come salvatore della Patria, unico elemento capace di garantirne la sopravvivenza e la grandezza contro lo sfacelo e la miseria della democrazia.
Inviando a Parigi la sua dichiarazione di guerra come fatto compiuto, Napoleone usa il Direttorio come il suo portavoce presso i Consigli. Lui ha deciso, lui ha agito, lui vincerà i nemici di fuori e di dentro. Il Direttorio non è che una sua interfaccia verso la Nazione.
Sono i primi passi di un cammino le cui mosse principali saranno:
  • il colpo di Stato del 4 settembre 1797 (18 fruttidoro anno V), che defenestra de Barthélemy, Carnot e i moderati dal Direttorio;
  • l'esasperazione del conflitto tra repubblicani e realisti;
  • l'affare d'Antraigues-Pichegru;
  • la spedizione in Egitto dove cresce l'aura magico-epica della figura individuale del condottiero mentre la Francia sotto il comando del Direttorio incontra sconfitte su sconfitte in Europa.
Un cammino che porterà Napoleone al colpo di stato del 9 novembre 1799 (18 brumaio anno VII) col quale seppellirà definitivamente il Direttorio e sottometterà con le armi al suo volere di primo Console le Camere stesse della Repubblica.
Cinque anni dopo trasformerà la sua carica di dittatore in quella di Imperatore dei Francesi.
La seconda compete la guerra psicologica contro quelle parti del patriziato veneziano che non erano coinvolte nelle varie congiure.
Un tocco in più all'atmosfera di paura e disgregazione che si è creata nella Dominante con i grandi apparati scenici della congiura dei 16.000 pugnali, le cannonate a Fusina, le micce accese in Piazza San Marco, la fuga del Pesaro, la pusillanimità del Manin. Con quella dichiarazione adesso egli toglie a Savj imbecilli e ignavi ogni speranza di trattativa, li fa sentire personalmente in pericolo, nei loro beni, nella loro carne stessa. Non possono più offrirgli oro, perché egli lo prenderà tutto con la forza.
La terza è di ordine tattico, ma non per questo poco importante.
Le milizie francesi sono adesso di fronte alle "Sacre Mura di Venezia", alla insormontabile laguna. Ogni ufficiale sa che quelle mura sono rimaste inviolate per oltre mille anni. Che nemmeno le forze riunite di tutte le Potenze europee sono mai riuscite a espugnarle.
Anche il semplice soldato, privo di nozioni storiche, è impregnato dal mito di invincibilità che Venezia aveva saputo diffondere nel mondo.
Di fronte ai chilometri di paludi sconosciute da attraversare in qualche modo sotto il fuoco incrociato di batterie galleggianti e innumerevoli navigli nemici popolati di marinai esperti e perfetti conoscitori di quel territorio, basta un minimo di buon senso a capire che si tratta di una operazione impossibile.
Ecco dunque che Napoleone gioca la sua carta.
Da un lato vuole galvanizzare i suoi soldati, riempirli di sete di vendetta travasando nelle loro menti le menzogne sulla perfidia antifrancese dei veneziani.
Dall'altro con la sicumera del tono vuole indurre la sicurezza della vittoria. Forse che non ha già vinto battaglie impossibili? Forse che con 25.000 uomini scalzi e senza cannoni non ha sconfitto le fortezze piemontesi? Forse che non ha sconfitto imponenti armate austriache rintuzzandole fin quasi a Vienna?
Con quell'Ordine del Giorno egli fa giungere ai suoi reparti la sua certezza della vittoria, l'amuleto prodigioso con cui sconfiggere il fantasma pauroso delle Lagune...

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Dopo aver tradotto l'ignobile Manifesto, Tentori riprende a descrivere l'atmosfera di sciagura che si va costruendo in Venezia.
Da pagina 354:

... il terrore, e 1'orgasmo, originato dall'ingrate notizie, che a Venezia giungevano, fomentato, ed accresciuto dagli empj cospiratori, andavasi vieppiù diffondendo, e che dagl'Individui trasfuso agli Offizj, indi a' Corpi numerosi, era pur pervenuto nel Corpo Sovrano del Maggior Consiglio, il quale con tale artifizio fu dall'atterrito Doge condotto alla già trascritta Deliberazione del giorno 1 Maggio; ...

Tra le "ingrate notizie" che giungevano a Venezia, l'Abate colloca anche quella del Manifesto: Da pagina 354:

... furibondo il Generale Bonaparte ... divulgato a Palma stessa il suo incendiario Manifesto si diresse frettoloso verso Treviso.

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Nota di U.S.

Questa affermazione di Tentori è suffragata anche dalla testimonianza di Frédèric Guillaume, che era stato presente come aiutante di campo ai colloqui di Palmanova tra i Deputati e il Bonaparte.

Una frase delle sue Memorie è riportata nella citata opera di Foramitti "Bonaparte e la Serenissima". Il riferimento è a una edizione 1833 che non trovo in rete e che sostituisco con la seconda, disponibile sui Gallica:
Da "Frédèric Guillaume de Vaudoncourt, "Campo-Formio", in "Dictionnaire de la Conversation et de la Lecture", II edizione, Paris, Aux Comptoirs de la Direction 1853-60, Tomo IV, pagina 314:

Bonaparte arriva in questa città (Palmanova) il 2 Maggio. Quel giorno l'autore di questo articolo svolgeva presso di lui il servizio di aiutante di campo straordinario. Egli assiste all'incontro (con i deputati Donà e Zustinian).
Da subito Bonaparte apostrofa i deputati rimproverando le loro perfidie, i massacri di Verona e le loro altre malefatte. I deputati, abbattuti, da veri mercanti azzardano qualche parola su un risarcimento pecuniario.
A questa offerta insolente la collera del generale non conosce più limiti: "Voi potreste coprire - grida - la spiaggia di Venezia con un piede d'oro, senza con ciò pagare la vita di un solo soldato francese; non ci sono più risarcimenti possibili: voi avete colmato la misura. Io ho cancellato la repubblica di Venezia dal catalogo delle Potenze d'Europa. Andatevene!".
I deputati uscirono rinculando, quasi prosternati, e senza osare rispondere nemmeno una parola.
L'indomani apparve il manifesto, sotto forma di un ordine del giorno, con il quale il generale in capo dell'esercito d'Italia, vista l'urgenza delle circostanze e in virtù del Titolo XII, articolo 328 della Repubblica Francese, dichiarava guerra alla repubblica di Venezia.
Essa cessa di esistere il 16 Maggio, giorno nel quale una divisione francese, agli ordini del generale Baraguey d'Hilliers, prende possesso della capitale.

(Bonaparte arriva dans cette ville le 2 mai.
Ce jour-là l'auteur de cet article faisait près delui le service d'aide-de-champ extraordinaire. Il assista à l'entrevue.
Dès l'abord, Bonaparte apostropha les députés en leur reprochant leurs perfidies, les massacres de Vérone et leurs autres méfait.
Les députés, atterrés, hasardèrent, en véritables marchands, quelques mots de dédommagement pécuniaire.
A cette offre insolente la colère du général ne connut plus de bornes: «Vous couvririez, s'écria-t-il la plage de Venise d'un pied d'or, que vous ne payeriez pas le sang d'un seul soldat français; il n'y a plus de dédommagement possible: vous avez comblé la mesure. J'ai rayé la république de Venise du catalogue des puissances de l'Europe. Allez!»
Et les députés sortirent à reculons, presque prosternés, et sans oser répondre un mot.
Le lendemain parut le manifeste, sous la forme d'ordre du jour, par lequel le général en chef de l'armée d'Italie déclarait la guerre à la république de Venise.
Elle cessa d'exister le 16 mai, jour où une division française, sous les ordres du général Baraguey d'Hilliers, prit possession de la capitale.
)

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In Treviso Napoleone fu subito contattato dal Provveditore Straordinario Anzolo Zustinian che chiese un colloquio per mezzo dell'Alfiere Giovanni da Riva: il colloquio fu accordato gentilmente.

Il Provveditore Zustinian era scarsamente informato degli sviluppi delle vicende della sua Patria, sia perché da Venezia aveva sempre ricevuto "nozioni ... scarse, ed imperfette", sia perché da due giorni era completamente isolato a causa dell'occupazione francese della gronda lagunare.

Si presentò dunque a Napoleone cercando di presentargli i "sentimenti amichevoli" della sua Repubblica verso quella francese ma il generale, troncando i convenevoli, gli disse che le due repubbliche erano in guerra, che egli avrebbe in pochi giorni distrutto la Veneta e che gli intimava di partire immediatamente pena la fucilazione.

Ma Zustinian non era, dice il Tentori, "della classe de' membri palpitanti della gran Conferenza".
Il Provveditore era un uomo coraggioso e non temette di rispondere al Bonaparte che avrebbe lasciato Treviso solo per ordine del proprio Governo, cui esclusivamente doveva obbedienza.

Napoleone rispose con indifferenza che lo avrebbe dunque fatto fucilare; nemmeno questa prospettiva scoraggiò Zustinian, che anzi ebbe la fermezza di smontare punto per punto le menzogne che l'avversario poneva a giustificazione della guerra con sempre maggiore ferocia.

Nel turbolento colloquio con il Provveditore il generale aggiunse altre due pretese a quelle già manifestate ai Deputati. Egli voleva adesso anche la testa di Francesco Pesaro 1 e di dieci Inquisitori di Stato, sotto la "minaccia di por tutto a ferro e fuoco.".

Zustinian si rifiutò di essere latore di tali inique richieste presso il proprio Governo e si offerse invece di placare la sete francese di sangue veneziano offrendo il proprio in sacrificio per salvare la Patria. Si offrì sia come vittima sacrificale che come ostaggio fintantoché alla luce dei documenti di fatto fosse comprovata la lealtà di Venezia verso la Francia.

Tentori riporta che Napoleone fu colpito dal coraggio e dall'abnegazione dello Zustinian, così insoliti nei melliflui e servili rappresentanti che Venezia di volta in volta gli aveva mandato.

L'Abate sembra implicitamente attribuire all'effetto di questa sorpresa il fatto che il Provveditore non venisse né fucilato né imprigionato né accompagnato fuori dai Territori invasi. Egli fu invece lasciato libero.

Non è difficile immaginare che il Bonaparte volesse proprio che Zustinian riportasse a Venezia le sue parole di guerra, rinforzando ulteriormente la campagna di guerra psicologica verso il Maggior Consiglio. Così infatti farà lo Zustinian nonostante a parole si fosse rifiutato.

A suo dire, il Provveditore ritenne "indispensabile di rendere a cognizione del suo Governo, quanto era avvenuto..." tanto più che egli era all'oscuro dei risultati della missione dei due Deputati, in merito ai quali Napoleone aveva taciuto.
Così il Provveditore, dopo aver ottenuto dai "Provveditori della Città di Treviso la riconferma del loro giuramento di fedeltà alla Repubblica Serenissima di Venezia", partì per la Capitale.

Giunto a Marghera, scoprì con sorpresa che Napoleone, invece di recarsi a Mantova come aveva falsamente dichiarato in Treviso, lo aveva preceduto verso Venezia, e che proprio a Marghera si trovava a colloquio con i due Deputati Donà e Zustinian.

Questi, di ritorno a Venezia dopo i colloqui di Palmanova, erano stati raggiunti a Mazzorbo (isola della laguna nei pressi di Burano) dall'ordine di tornare ancora dal generale per comunicargli la Parte del Maggior Consiglio del primo Maggio. Tornati in Terraferma, avevano trovato Napoleone appollaiato a Marghera che guardava Venezia col suo cannocchiale.

Incurante del rischio, anche il Provveditor Zustinian si fece annunciare, e fu ricevuto.
Apprese con grande sorpresa che Napoleone aveva concesso ai deputati un armistizio di cinque giorni.

È questa dell'"armistizio" un'altra indicazione che Bonaparte volesse confermata a ogni veneziano la sua dichiarazione di guerra formale.

Il generale aveva inoltre ridimensionato le sue richieste. Saputo della scomparsa del Pesaro, non chiedeva più la sua testa, né quella dei dieci Inquisitori, limitandosi a chiedere l'arresto dei tre attualmente in carica insieme a "quello del da esso chiamato Ammiraglio del Lido, e che non sapeva indicare chi intendesse." (da pagina 357).

A questo punto, Zustinian voleva tornarsene a Treviso affidando ai due Deputati il compito di riferire a Venezia, ma questi ritennero necessario "che venisse a renderne conto di persona".

Giunto il terzetto nella Dominante, Zustinian fu chiamato alla "Conferenza" della sera del 2 Maggio 1797.
Da pagina 357:

Non è abbastanza espremibile lo squallore di questa notturna Consulta del 2 Maggio, che ad ogni occhio un poco avveduto presagiva imminente lo scioglimento della Repubblica.
Tutto pallore nei volti, tremante gemito nelle voci, amaro pianto negli occhi erano li caratteristici principali de' più pavidi di quel Congresso, e vivace interno dolore traspirava nell'animo ai più veri amatori della lor Patria.

La guerra psicologica aveva avuto l'effetto sperato.

All'ordine del giorno della Conferenza c'erano:

  • La relazione del Provveditore Straordinario di Treviso sul suo colloquio col Bonaparte;
  • la relazione dei Deputati;
  • la Memoria del Ministro francese Lallement presentata quel giorno stesso.

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Il Provveditore Zustinian presentò una stringata esposizione dell'incontro di Treviso, omettendo solo la richiesta della testa del Pesaro, in quanto essa non era stata reiterata dal Bonaparte a Marghera.

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Dalla pagina 357 alla 359, Tentori riporta la Memoria dei due Deputati Donà e Zustinian.

Essi sono stati raggiunti dalla "Sapientissima eroica Deliberazione del Serenissimo Supremo Maggior Consiglio" (la Parte decretata il primo Maggio) quando si trovavano già a Mazzorbo.

Prima di ripartire per il nuovo incarico, vollero portare a conoscenza dei Savj "che in ora così tarda trovammo ancora raccolti" le ultime nuove del colloquio a Palmanova, per ricevere "norme, rischiarazioni, e consigli".

Si mossero quindi decisi a incontrare Napoleone a Treviso, od ovunque si trovasse.
Lo incontrarono subito, a Marghera, "alla testa di due Corpi di Truppe".

Il Bonaparte li ricevette, ma non fu del tutto convinto dalla Parte del Maggior Consiglio.
Tale Parte non gli chiariva se fossero effettivamente stati liberati i prigionieri, né se i deputati fossero investiti di poteri plenipotenziari, che egli riteneva indispensabili per trattare con loro; espresse il sospetto che la decisione del Maggior Consiglio fosse formulata in modo equivoco e ingannevole ai suoi danni.
Da pagina 358:

Ma non si tosto, troncato già anche questo discorso, si disse inflessibile ad ogni trattazione, quando non fossero vendicati gli assassinj di tanti Francesi, del Capitano, e degli altri sul fatto del Lido con la morte dei tre Inquisitori di Stato, e del Governator del Castello, del Grand'Ammiraglio sotto il qual nome intendeva il Governator della Galera,...

Altrimenti, nello spazio di 15 giorni egli si sarebbe impadronito di Venezia, i cui Nobili si sarebbero sottratti alla morte solo diventando dei fuggiaschi come era successo ai Nobili di Francia. Tutte le loro sostanze e possedimenti in Venezia e Terraferma sarebbero stati confiscati.

Egli non era intimorito dalle lagune, che aveva studiato e trovato conformi ai suoi piani.
Da pagina 358:

... e cento altre cose ancor più dolenti.

Inutile ogni argomentazione addotta dai Deputati, Napoleone richiese che entro 24 ore lo raggiungessero a Mantova con i chiarimenti necessari della Parte e muniti delle credenziali di plenipotenziari.
Soddisfatto in questo, egli avrebbe reintegrato alla Repubblica i propri Stati, li avrebbe anzi ampliati e fortificati garantendo la calma sotto la protezione della Francia.

Richiesto di mettere per iscritto le sue promesse, Napoleone rifiuta, e contrappone una domanda trabocchetto: "... intanto, chi governa Venezia?".

I Deputati ben ricordano che Napoleone ha deciso di dettare la Legge con la forza delle armi, che non vuole Senato né Inquisitori, che vuole riformare il Governo. Rispondono, con notevole abilità, di non saperlo, ma che essendo in gioco l'esistenza della Repubblica, ogni autorità restava subordinata a questo scopo.

Infine Bonaparte accetta di scrivere, ma solo in merito all'armistizio e senza menzionare alcuna promessa.

Dopo breve i Deputati ricevono uno scritto, firmato da Berthier e non dal Bonaparte, che presenta quattro cambiamenti rispetto all'accordo verbale:

  • invece che la pena di morte, per i rei dei "crimini antifrancesi" viene chiesta una "punizione esemplare";
  • per i fatti del Lido, si chiede la condanna di una sola persona invece che due;
  • sono tralasciate le altre richieste
  • l'Armistizio è concesso per soli quattro giorni anziché sei.

Soddisfatti dalla riduzione delle richieste, i Deputati valutano i quattro giorni sufficienti "alle Pubbliche Deliberazioni".

La chiusa della Memoria dei Deputati al Maggior Consiglio è tale da far pensare che essi fossero passati a sostenere la guerra psicologica di Napoleone.
Da pagina 359:

Le imploriamo sollecite ... onde assicurare sopra tutto le vite, e le sostanze de' nostri adoratissimi Concittadini, e del buon Popolo, ma senza abbandonar prima ogni tentativo, ogni esperimento per preservare quanto più si possa la Libertà, gli Stati, e la sempre Venerabile nostra Costituzione. Grazie
Venezia 2 Maggio 1797
Francesco Donado Deputato.
Lunardo Zustinian Deputato.

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Segue, alla pagina 360, la lettera di Berthier il cui contenuto abbiamo già esposto con la Memoria dei Deputati.

La lettera si chiude con l'assicurazione che Napoleone impartisce ordini "affinchè non sia fatta alcuna ostilità contro la Repubblica di Venezia, (I) durante quattro giorni a contare da domani.".

Nota (I) di Tentori a Pagina 360: A dispetto di questo promesso Armistizio, Bonaparte in quei giorni continuò a "rivoluzionare il Polesine, il Friul, il Cadorino, il Bellunese, il Feltrino, e la Marca Trevigiana; sicchè all'ombra delle trattative, e dell'Armistizio terminò la Repubblica di perdere le Provincie d'Italia. Lealtà Francese!".

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Alla pagina 361 la Memoria del Ministro Francese Lallement, con la quale questi abbandona la maschera di uomo dolce e onesto per assumere un tono di minaccia aperta, "essendo egli sicuro di essere secondato da' perfidi Felloni, che dominavano nella Conferenza, e di atterrire vieppiù i deboli, ed imbecilli, onde unirli per questa via al partito de' malvaggi, che seco lui lavoravano alla caduta della Repubblica.".

Dopo una veemente richiesta di vendetta per il sangue francese sparso sotto i suoi occhi e malgrado le sue proteste, Lallement esige che tale vendetta cada sugli Inquisitori stessi, sul comandante della galera che ha affondato il Liberateur e persino sul suo equipaggio; conclude quindi la Memoria con un ultimatum. Da pagina 361:

Vostra Serenità e VV. EE. vorranno far in guisa, che la loro risposta pervenghi al Ministro della Repubblica Francese dentro quarantotto ore, ed al General in Capite dell'Armata d'Italia a Mantova dentro novantasei ore dalla data di questa.
Venezia li 13 Floreal anno 5 della Repubblica Francese a quattro ore dopo mezzodì
Lallement.

Annoto una curiosa incongruenza nel testo del Lallement. Da un lato egli infatti esige che la vendetta sia presa "non sopra i miserabili esecutori dell'atrocità degl'Inquisitori, ... non sopra oscuri Satelliti dell'Ammiragliato...", dall'altro vuole punito l'equipaggio della galera come se questo appunto non fosse che l'ultimo dei "miserabili esecutori"...

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Dopo la lettura di queste carte alla Conferenza, tutti i "Savj usciti" 2 presero la posizione di accordare al Bonaparte tutto quello che chiedeva.

Quattro di loro furono particolarmente decisi, "ad occhio asciutto", senza nemmeno cercare di occultare il desiderio di sciogliere il Governo Veneto che "manifestamente appariva sui loro volti":
Il K. Dolfin,
il Procurator Pisani,
il N.H Giacomo Grimani,
il N.H. Francesco Battaja.

Fu dunque immediatamente emanato un Damò indirizzato al Provveditore alle Lagune e Lidi con il quale si ordinava l'arresto del Sopracomito Pasqualigo, che si supponeva essere l'Ammiraglio del Lido richiesto da Napoleone.

L'arrivo in Conferenza del nuovo Conferente Pietro Donà fu provvidenziale per il Pasqualigo, in quanto Donà specificò che i Francesi intendevano invece il Comandante del Castello del Lido Domenico Pizzamano.
Fu allora prodotto un secondo Damò per liberare il Pasqualigo e arrestare invece il Pizzamano.

La Conferenza proseguì occupandosi dell'allontanamento da Venezia del Francesco Pesaro, come vedremo nella prossima pubblicazione.


Note

Nota 1 - Viene da chiedersi il perché di questa richiesta di Napoleone riguardante Francesco Pesaro.
In quanto "Conferente" Pesaro si trovava nella qualifica di diplomatico, e come tale doveva godere di una immunità che i Francesi non avrebbero avuto ragione alcuna di voler violare.
I suoi rapporti con il Lallement erano sempre stati più che cordiali, amichevoli addirittura. A Gorizia aveva portato in dono a Napoleone ben 1 milione e mezzo di zecchini oro.
Sappiamo ancora che Pesaro era un uomo di Thugut, e che ci sono buone probabilità che fosse anche alla greppia di Berthier ( cfr. nota 4 alla pubblicazione LXI).

Non può passare inosservata la concomitanza esatta della richiesta di Bonaparte con il momento in cui Pesaro fugge da Venezia.
Ritengo estremamente probabile che Napoleone fosse al corrente di questa decisione del Conferente. Pesaro poteva averla confidata al suo amico Lallement e anche non fosse, aveva dichiarato l'intenzione di fronte ai Savj già il 30 Aprile; sappiamo come molti dei Savj fossero estremamente permeabili verso i Francesi.

Lallement aveva del resto un sistema molto rapido per far giungere le sue informazioni al Quartier Generale.
Ecco il suo metodo, come lo ho trovato in alcune buste dell'Archivio di Stato di Venezia.

La busta 622 del fondo Inquisitori di Stato contiene numerosi fascicoli di referte dell'Abate Ganantonio Pedrini. Pedrini era uno di quei letterati, confidenti degli Inquisitori, che avevano il compito di frequentare i salotti e i ridotti dei diplomatici nella veste di socievoli e servizievoli uomini di mondo.

Pedrini fu particolarmente attento ai movimenti dei nuovi incaricati francesi fin dalla prima rappresentanza del Giacobbi (Jacob).
Dalla referta del 15 luglio 1793, apprendiamo che il Noel, non appena giunto a Venezia e prima ancora di essere riconosciuto come Ministro ufficiale di Francia, pretese di avere residenza alla Madonna de l'Orto, in un palazzo con giardino e porta d'acqua sulla laguna detto "Palazzo di Francia" in quanto era già stato sede dell'Ambasciatore francese ai tempi della Monarchia.

La cosa gli fu accordata e, in considerazione dell'antica consuetudine dei francesi in quel luogo, si derogò al decreto che proibiva alle residenze di diplomatici stranieri di avere porte acquee con diretto accesso alla Laguna.

Noel si fece subito premura di affittare una serie di case contigue al Palazzo di Francia per raccogliervi una combriccola di connazionali, creando una vera e propria enclave che circondava e proteggeva la sede diplomatica (referta del 21 Luglio 1793).

Dopo l'arrivo di Lallement, Pedrini divenne assiduo frequentatore di quella casa e finì con l'essere conquistato dal fascino del francese (o dai franchi di Berthier?), tanto da diventare suo amico personale e descriverlo nei suoi ultimi rapporti del 1796 come un asceta e una persona degna di fiducia, dalla quale nulla si doveva temere.

Abbiamo dunque il palazzo con accesso diretto alla laguna. Come se ne servisse il Ministro francese ci è illustrato dalla referta anonima di un altro informatore degli Inquisitori, che troviamo nel primo fascicolo della busta 1252 del medesimo fondo, a carta 403.
L'informatore segnala di vedere spesso qualcuno gettarsi in acqua dal pontile della casa del ministro francese, raggiungere una palude distante "quanto è san Giorgio Maggiore da Venezia" e da lì, in piedi, gridare parole in francese a gente sopra un altro pontile. La cosa è stata notata da lui e da altri battellieri della Madonna dell'Orto, dal che l'informatore evince che gridasse verso la Terraferma.

Chi abbia dimestichezza con gli specchi d'acqua calmi, sa che una voce anche solo sussurrata a pelo dell'acqua può essere udita chiaramente a molte centinaia di metri da chi si metta in ascolto alla stessa altezza.

Una volta giunta alla gronda, ogni notizia poteva raggiungere il Quartier generale in brevissimo tempo, grazie alle comunicazioni semaforiche o a veloci staffette.

Si potrebbe allora pensare che il Bonaparte richieda la testa del Pesaro quando sa che questi sta per fuggire, per poter aggiungere un'altra accusa ai veneziani, ma non è così, perché non appena la notizia della fuga è confermata, la richiesta viene abbandonata dal generale.

Il motivo va forse ricercato in quello stesso che probabilmente aveva spinto Pesaro alla fuga: proteggerlo dall'ira del popolo qualora questo avesse deciso di ribellarsi alla Conferenza.
Dichiarandolo suo nemico, Napoleone in una qualche maniera "riabilita" il Conferente dal ruolo di traditore e collaborazionista.

Naturalmente poi, chiedendo la testa del Pesaro, Napoleone rafforza ulteriormente la sua guerra psicologica verso i savj pavidi e imbecilli. Se vuole il Pesaro che gli ha fatto regalare gli zecchini, quanto più egli sarà impietoso verso gli altri patrizi?

C'è un altro pericolo che sovrasta Francesco Pesaro. Egli ha abbandonato la Repubblica mentre ricopriva una carica e questo, per le leggi veneziane, poteva costargli il bando capitale.
Qualora la fuga fosse fallita, con la sua richiesta Bonaparte sottraeva il reo a quelle leggi, arrogando a sé il suo destino. Questo spiegherebbe perché, a fuga avvenuta, la richiesta fosse abbandonata.

Pesaro subirà infatti un processo-farsa in contumacia, come vedremo nella prossima pubblicazione.

Nota 2 - Interessante osservare come i principali Savj felloni, nei momenti finali della tragedia, avessero fatto in modo di trovarsi nella posizione di "Savj usciti". Tale posizione consentiva loro di partecipare alle riunioni dei Savj in carica, ma li metteva al sicuro da ogni responsabilità diretta. Se si fossero dovuti impiccare degli Inquisitori, tale sorte non sarebbe toccata a loro. Dai prossimi sviluppi, vedremo anzi che si manovrò in modo che tra i Savj in carica si trovassero quelli che meno erano favorevoli ai cedimenti e alla resa.


Vai a pagg. 335 - 351 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 351 - 363 | Vai a pagg. 363 - 373

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