Storia di Venezia

Pagina pubblicata 26 Marzo 2017
aggiornamento 28 Luglio 2017

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - LXVII

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , LXVII
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

Vai a pagg. 386 - 399 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 399 - 416 | Vai alle Note conclusive

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

Storia di Venezia, rivolta di popolo contro l'abdicazione

La scena delle cannonate a mitraglia di Bernardino Renier contro il popolo veneziano in rivolta nell'immaginazione di un disegnatore ottocentesco.

Il giorno 11 Maggio 1797 si effettuò l'imbarco di tutte le Truppe Oltremarine presenti nella Dominante e nei Presidi lagunari.

Ciò avvenne con un ordine trasmesso a nome di Zuanne Zusto Provveditore alle Lagune e Lidi (chiaramente attribuibile al suo Luogotenente Condulmer), al Deputato alla Difesa Interna Niccolò Morosini IV.
L'ordine, che si rifà al Deceto del 10 Maggio, è riportato integralmente alla pagina 400.

Si comanda al Morosini di vigilare sulla tranquillità dell'imbarco e del viaggio verso Zara "di tutta la truppa Oltremarina, che qui esiste sulla flottiglia, e negli Appostamenti dell'Estuario.".
Da pagina 400:

Giunto però colà si farà sollecito nel far, che sieno consegnate in que' Pubblici Depositi le Armi tutte, ed ogni altro effetto di Pubblica ragione, formando le più diligenti Note ...
...
Data dall'Offizio del Provveditor alle Lagune e Lidi li 11 Maggio 1797.
Zuanne Zusto Provved alle Lagune e Lidi.

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In un'altra lettera del giorno 11 Maggio, questa sicuramente di sua mano, Zuanne Zusto si dimette dall'incarico di Provveditore alle Lagune e Lidi, in quanto con il disarmo della Flottiglia e dei Presidi tale carica diveniva inutile e illusoria.
La lettera di Zusto, leggibile alle pagine 400 - 402, contiene alcuni dati interessanti.

  • Conferma che l'imbarco degli Schiavoni è stato da lui affidato al Condulmer e al Morosini.
  • Ai reggitori dell'Arsenale è stato comandato di prendere in consegna tutte le imbarcazioni impiegate nelle opere di difesa, con le loro attrezzature.
  • Al Magistrato all'Artiglieria di prendere in consegna armi, munizioni e altri generi di sua competenza.
  • Al Magistrato alle Biave di prendere in consegna le razioni di biscotto.
  • Ha richiamato alla Dominante il Deputato al Litorale di Pellestrina Zan Domenico Almorò Tiepolo e a quello di Malamocco Anzolo Zusto, perché rimasti senza truppe.
  • Non ha invece richiamato, in quanto dipendenti direttamente dal Senato:
    • Zan Battista Contarini Deputato a Chioggia,
    • Augustin Soranzo Deputato al Castello del Lido,
    • Marco Cicogna Deputato a Burano,
    • Zan Pietro Venier Deputato a Mestre, attualmente insediato a San Secondo,
    • Paulo Emilio Canal, Deputato a Fusina, attualmente insediato a San Giorgio in Alga.
    Tutti questi sono adesso senza alcuna incombenza, ma è il Senato che deve disporre di loro.
  • Chiede ancora dove devano essere consegnati i molti incartamenti relativi al suo incarico.

La lettera si chiude con due encomi:
uno è per il Segretario Fedelissimo Vettor Gabriel, che ha servito con molto zelo il predecessore dello Zusto e lo Zusto stesso dal 2 Giugno, senza chiedere alcun emolumento;
l'altro per il Signor Maggior Magnanini, scelto come Aiutante dal predecessore dello Zusto, che si è applicato con diligenza anche molto oltre le sue mansioni.

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Alle dimissioni di Zusto la Consulta risponde immediatamente lo stesso giorno, respingendole con un Damò.

Egli dovrà rimanere in carica per verificare l'esecuzione del Damò sull'imbarco degli Schiavoni e per garantire, assieme al Deputato per la Custodia interna, la tranquillità della Dominante con presidi diurni e notturni.
Per analoghi motivi rimangono in carica tutti gli altri Deputati, a eccezione di quello al Litorale di Pellestrina Zan Domenico Almorò Tiepolo e di quello di Malamocco Anzolo Zusto, che sono invece richiamati.

Alla consegna delle barche e dei generi di proprietà pubblica potranno essere sottratti quelli necessari all'esecuzione del rimpatrio degli Oltremarini.

Riguardo agli incartamenti, si lascia a Zusto "il riconoscere quale potesse essere la più adattata Custodia delle Carte, e principalmente di quelle, che documentano li Pubblici occorsi dispendj, e disposizioni a tutela delle respettive Amministrazioni." (da pagina 402).

Al Fedelissimo Segretario Vettor Gabriel sono riconosciuti 600 Ducati "come un nuovo pegno del nostro costante affetto.".
Per l'abile e benemerito Sergente Maggior Magnanini si concedono 200 Ducati.

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Da pagina 403:

Giunse finalmente il giorno 12 Maggio, giorno il più funesto, che vedesse Venezia dopo la gloriosa sua e felicissima carriera di 14 secoli; giorno in cui avverossi il "Consumatum est" dell'esecranda e turpissima perfidia...

Segue una invettiva di Tentori molto accesa che investe innanzittutto il Direttorio di Francia con i suoi Ministri e Generali, poi i "figli ribelli, sconoscenti e perversi", rei di menzogne, spergiuri, intrighi e fellonia.

NOTA di U.S.

Lo sfogo dell'Abate è molto colorito e sarebbe in tutto condivisibile, se non vi affiorasse una miopia che si fatica ad attribuire alla limitatezza del suo punto di osservazione.
Egli vuol infatti far apparire che "l'orrore e l'amaro pianto di tutti i buoni" sia da attribuirsi a quei "pochi scellerati e Savj, e Patrizj, e Comandanti, e Cittadini, e Popolari, che anelavano alla strage, alle rovine, ed alla desolazione della loro Patria;".

Egli sembra non vedere ciò che appare senza ombra di dubbio dai documenti che ci ha sottoposto, ovvero che l'intero Senato fu fautore della caduta: vuoi per le numerose e diverse congiure che in esso serpeggiavano, vuoi per la pessima amministrazione pubblica ormai secolare, vuoi per ignavia o imbecillità causata dai vizi.
Dimentica altresì che tale Senato altro non era che lo specchio del Popolo da lui stesso descritto come corrotto e vizioso.

Tentori sembra dimenticare quanto da lui stesso affermato in apertura dell'opera sulle ignobili condizioni morali di Venezia nel volgere del secolo XVIII.
Vuole anzi presentarcela come una "vergine immacolata per tanti Secoli" trasformata come d'incanto nella "sventurata prostituta della più infame canaglia, e della più abominevole Nazione dell'Universo.".

Sia pure. Potremmo ascrivere anche questa pagina alla necessità di sfuggire alla censura mostrando una avversità alla Francia che poteva riuscire gradita ai censori Austriaci.
Potremmo, ma riesce difficile proprio per il tono e l'animosità decisamente passionali che traspirano da queste righe, e che mi fanno pensare il Tentori, se non partecipe attivamente, almeno in pectore ingenuamente vicino alla congiura filo-austriaca...

L'Austria doveva per lui rappresentare il minore dei mali, un Impero ancora legato agli antichi valori di religione e autorità, a fronte di una Francia iconoclasta e anarchica.

Ingenuo lui come ingenue alcune di quelle "canaglie" che speravano invece nella Francia come correttore delle ingiustizie e delle nefandezze che si erano installate nelle stanze del potere veneziano.

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La giornata del 12 Maggio 1797 si apre di buon mattino con un biglietto al Doge e ai suoi consiglieri da parte dei due Conferenti Battaja e Donà.

Vi si informa che entrambi i Conferenti, a distanza di un'ora l'uno dall'altro, sono stati svegliati in piena notte da Giovanni Andrea Spada, che doveva loro mostrare una lettera inviata per espresso a Villetard dal "Banchier Haller" in Milano.

Essi affermano di aver visto l'originale su carta intestata della Repubblica Francese. Su loro richiesta, Spada ha ottenuto da Villetard un estratto che riguarda specificamente la questione veneziana. I Conferenti lo producono al Doge perché egli possa leggerlo alla riunione del Maggior Consiglio convocata per quel mattino stesso.

Alle pagine 404 e 405 la copia dell'estratto, datato "Milano 21 Floreal" (10 Maggio) e firmato per copia conforme da Villetard "Venezia 23 Floreal" (12 Maggio).

Secondo Haller: "gli affari (di Venezia) erano disperati al mio arrivo"; la situazione è migliorata quando si è profilata la possibilità di creare un Governo Rappresentativo che permetterebbe di conservare in esistenza lo Stato veneto. Tale governo non gli appare però conciliabile in alcun modo con il mantenimento di diritti ereditari come quelli della Nobiltà veneziana.

I Deputati a Milano (Donà, Zustinian e Mocenigo) non vogliono accettare questa soppressione dei diritti ereditari.
Haller ha loro annunciato che, se l'abdicazione non sarà spontanea, ci penseranno i Francesi ad attuarla. Napoleone non cederà sulla democratizzazione del Governo e ha intenzione di andare per le spicce.
Villetard comunichi a Milano come si stanno svolgendo le cose a Venezia perché Bonaparte possa essere informato sulle decisioni da prendere.

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Il 12 Maggio 1797 viene dunque convocato il Maggior Consiglio, con i "metodi straordinari" già usati per le riunioni del primo e del quattro Maggio.

La Serenissima Signoria, che avrebbe voluto sciogliere la repubblica già il giorno nove, senza convocazione del M.C., "condotta dal suo orgasmo, dal suo avvilimento, e raggirata da' malevoli, e scellerati" si presentò alla riunione nonostante mancasse il numero legale di partecipanti, essendo questi 537 a fronte dei 600 richiesti per le gravi decisioni di Stato; quello del giorno presente era di certo "il Massimo, ed il più importante, che si fosse giammai discusso e deciso in quel Sovrano Consesso" (da pagina 405).

"Sorpassando tutte le Leggi, e calpestando anche le fondamentali, ... non dando riflesso all'intrinseca nullità, ed illegalità dell'atto incostituzionale che proponeva", il Doge aprì la riunione e con voce tremante di agitazione riassunse il contenuto delle scritture del 10 e 12 Maggio prodotte da Donà e Battaja.
Aggiunse "tutto quello che ... poteva ... accrescere il terrore, e lo spavento ne' Membri di quell'adunanza.".

Manin invece tacque del tutto sui dispacci da Vienna, soprattutto su quello del primo Maggio (nel quale si palesava un possibile aiuto dall'Austria se Venezia avesse rifiutato di cambiare forma di governo).

Secondo il nostro ingenuo Abate, la lettura di quel Dispaccio sarebbe in sé stata "sufficiente a far star saldo, ed immobile il corpo Sovrano "ne' suoi Metodi Governativi"" e a far rigettare la Parte proposta dal Doge.

Dopo il discorso di Manin, il Consigliere Giovanni Minotto "con prolissa narrazione intraprese ad analizzare il "Decreto"" che Manin proponeva e che vedremo più sotto.

All'improvviso si udirono delle scariche di fucileria che gli Schiavoni in partenza sulle navi scambiavano come saluto con i Bocchesi ancora di guardia alla zona Marciana in San Zaccaria.
La sparatoria generò il panico nell'Assemblea, ancora sotto l'effetto del racconto della congiura contro i Patrizi appena rinverdito dal Doge.
Da pagina 406:

Si gridò dunque "alla Parte alla Parte", e senza raccogliere nemeno i Voti, si stridò presa con 512 contro 20 e 5 non sinceri.

La Parte, o Decreto, è riportata alle pagine 406 e 407. Consta di soli tre paragrafi.

  • Nel primo si richiamano le Parti del primo e quattro Maggio con cui si conferivano ai Deputati presso Napoleone tutte le facoltà opportune a conseguire "il sommo oggetto di preservare incolumi la Religione, le Vite, e le Proprietà di tutti questi amatissimi Abitanti".
  • Il secondo introduce la necessità di provvedimenti urgentissimi a fronte delle relazione dei due Conferenti che informa del prorompere in Venezia stessa di un "estremo pericolo" per l'oggetto sopra indicato.
  • Il terzo adotta il sistema proposto del Governo Rappresentativo provvisorio "sempre che con questo s'incontrino i desideri del Generale medesimo". Si intende così preservare "il sommo oggetto" e la speranza che saranno "garantiti tanti essenziali riguardi, e con essi quelli troppo giusti verso il Ceto Patrizio, e di altri individui partecipi delle Pubbliche concessioni (ad hoc per lo Spada, si direbbe), non che assicurata la solidità della Zecca, e del Banco...".

Firma il Decreto "Valentin Marini Segretario".

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Sciolta la riunione del Maggior Consiglio, il Doge convocò la Signoria in forma privata "nelle smobigliate sue camere".1
Si presentarono solo i cinque Savj di Terraferma, i Savj del Consiglio Donà e Pisani, il Capo del Consiglio dei X Zuanne Emo e il Cassiere del Collegio Francesco Calbo "per la prima volta chiamato a tali Consulte".

Questo gruppo promulgò vari decreti relativi all'imbarco e alla partenza degli Schiavoni.

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In quella mattina del 12 Maggio 1797 la Piazza San Marco era gremita di popolo che voleva manifestare il suo attaccamento all'antico Governo e la disapprovazione per ogni novità rivoluzionaria.

A una finestra del Palazzo Ducale venne posto il segno che il Maggior Consiglio aveva approvato la propria abdicazione. Tale segnale era stato concordato con il vecchio generale Salimbeni e altri ufficiali "giacobini"; il Salimbeni, senza frenare il suo entusiasmo, proruppe più volte nel grido "Viva la Libertà".
Il popolo riunito in Piazza ammutolì e Salimbeni, temendo quel silenzio minaccioso, si ritirò gridando invece "Viva San Marco".

La gente nella Piazza si illuse a quel grido che la Parte dell'abdicazione fosse stata respinta e rispose "le mille volte" gridando "Viva la Repubblica, Viva San Marco".
Dalle pagine 407 e 408:

... si viddero allora portate per la gran Piazza in trionfo le venerate Immagini del Santo Protettore, ed inalberate le antiche Venete Insegne sopra le tre grandi Antenne, che sono collocate innanzi la Ducale Basilica di S. Marco.

Il rumore dei tumulti raggiunse "le smobigliate camere del Doge": i Savj lì raccolti pensarono dapprima che si trattasse dei famosi congiurati del Villetard e trascurarono di investigare la vera causa della sommossa.
Questa si espanse a macchia d'olio in tutta la città, "e persino Ragazzi e Donne si unirono al Popolo gridando senza intermissione "Viva San Marco, Viva la Repubblica".".

Il Popolo cercava tra i Patrizi chi prendesse il comando per arrestare i pochi sediziosi, ma nessun patrizio accettò quel ruolo.
Tentori non sa dire se questo rifiuto nascesse da viltà o dal "timore di immergere la città nelle stragi e nel sangue. (I)".

Nella sua nota "(I)" a pagina 408, Tentori riporta le riflessioni fatte in merito da uno dei Patrizi, del quale tace il nome. Possiamo immaginare che si trattasse di uno dei Tiepolo, nella cui Casa l'Abate era ajo.
Da pagina 408:

(I) Molti furono i Patrizj ricercati dal Popolo come Capi: ma tutti si scansarono: ecco i riflessi fatti da uno di essi in quell'angustioso momento.
Il timido Doge non si piegherà (rifletteva Egli) a ritornar al Palazzo senza la forza, converrà adunque adoperarla, arrestar almeno alcuni tra gli Avvogadori, Capi del Consiglio de' X, Consiglieri, e distruggere il "Provvisorio Governo".
Sarà d'uopo arrestare il K. Condulmer, e varj Individui tra gli Uffiziali della Flottiglia, il Salimbeni, ed altri Felloni dell'Uffizialità, converrà richiamare gli Schiavoni, e la fede del Morosini sembra assai dubbia; in fine sarà d'uopo di operare da "Dittatore" e manca la legale autorizzazione del Corpo Sovrano.
Questi riflessi lo intimorirono allora, ed adesso prova il dolore, ed il rimorso di non aver sacrificata la propria vita secondando l'impulso del fedelissimo Popolo, che lo supplicava.

Il concorso di popolo aumentava di minuto in minuto ma, priva di capi, la folla diresse il suo odio verso coloro che erano considerati cospiratori e rivoluzionari filo-francesi, le case dei quali furono assaltate e saccheggiate.

Sarebbe stato questo, dice Tentori, il momento per i famosi 16.000 congiurati di apparire sulla scena e difendere le loro case, ma non si presentò nessuno. Villetard, Spada e Zorzi si erano prudentemente rifugiati nell'Ambasciata di Spagna, mentre la folla imperversava cercando loro e i loro complici.

NOTA DI U.S.

Dalla "Raccolta di Carte ... del Nuovo Veneto Governo", possiamo apprendere che anche in quella sommossa il popolo veneziano diede prova dell'abbrutimento in cui era caduto, dedicandosi alle violenze e al saccheggio.

Furono molti gli arrestati trovati in possesso di beni rubati nelle case assaltate ma furono tutti assolti o condannati a pene lievissime, a eccezione di uno solo: un giovane graduato degli Schiavoni, tale Antonio Mangarini, che ebbe condanna capitale e fu giustiziato per fucilazione anche se non aveva personalmente rubato nulla.

Unico tra i concittadini, egli aveva organizzato la sua squadra in modo disciplinato e militare, senza cadere nella volgare criminalità degli altri razziatori.
Era dunque un elemento politicamente pericoloso e questo gli fu fatale (per approfondire si veda "Analisi della Sentenza contro Antonio Mangarini".).

Tentori vorrebbe far grazia al popolo inferocito di aver rispettato la sede dell'Ambasciata Francese.
Disgraziatamente possono esservi motivi assai meno nobili dell'autodisciplina, dietro questa omissione.

Era infatti arcinoto che il Lallement viveva in grande austerità (nelle relazioni agli Inquisitori dell'abate Pedrini il suo stile di vita è definito addirittura "ascetico"): non vi era dunque speranza di trovare alcunché di appetibile nella sua residenza. Inoltre questa era collocata nell'estrema periferia Nord della Città, lontano dal centro dei tumulti scoppiati in Piazza San Marco e nella zona centrale e commerciale di Rialto.

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Dopo il saccheggio di "12 o più case e botteghe appartenenti a decisi Felloni" le notizie di questi eventi raggiunsero infine i membri del Governo Provvisorio, che corsero ai ripari con un brevissimo Damò, riportato da Tentori a pagina 409.

Si da incarico a Bernardino Renier, "al fine di prontamente rimettere la tranquillità nella Dominante" di "far uso di tutta la forza pubblica, ... prendendo immediatamente tutte quelle vigorose, ed opportune misure...".
Bernardino Renier non se lo fece ripetere e, imitando forse il suo idolo Napoleone che aveva sedato i moti di Parigi allo stesso modo poco prima di partire per la Campagna d'Italia, cannoneggiò i veneziani a mitraglia sul ponte di Rialto, facendo dissolvere la rivolta come neve al sole.

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Tra i Decreti emanati dalla Signoria il 12 Maggio dopo lo scioglimento del M.C., uno conferiva incarico al Condulmer di recarsi a Mestre per informare Baraguey d'Hilliers "della Parte presa (come essi dicevano) nell'adunanza del Consiglio Maggiore dello stesso giorno.".

Condulmer relazionò sulla sua missione quella notte stessa, e fece recapitare lo scritto al Governo Provvisorio la mattina del 13 Maggio 1797.
Il documento è trascritto alle pagine 409 e 410.

Baraguey ha espresso apprezzamento per la decisione presa, che certamente ristabilirà la "più perfetta unione, ed amicizia tra le due Nazioni". È però altresì preoccupato dalle notizie sui disordini popolari e si dice disposto, su richiesta del nuovo Governo, a far intervenire una forza francese per aiutare il ristabilimento della tranquillità.

Condulmer ha rassicurato d'Hilliers che il nuovo Governo metterà in atto tutte le misure necessarie a sedare il tumulto.
Il Luogotenente si dice in partenza per Padova e di sperare che al suo ritorno, in Padova o in San Secondo, troverà notizia che ogni cosa si è accomodata, magari con l'aiuto degli amici francesi.
Anche lui, evidentemente, preferisce stare al largo da una Venezia in tumulto, e ne ha ben donde...

I Savj della Signoria però ritengono che sia meglio sedare il tumulto con forze locali senza ricorrere all'aiuto francese (decisione molto astuta perché inasprirà i conflitti interni senza offrire l'elemento unificante di un nemico comune straniero).

Rispondono dunque al Condulmer lo stesso 13 Maggio con una lettera, pubblicata alle pagine 410 e 411.

Dopo il saccheggio di alcune case, la risposta della Municipalità è stata forte, con l'arresto di "oltre quaranta dei più facinorosi e colla morte di alcuni, che osarono far resistenza...".
Gia nelle prime ore della sera del 12 la calma era tornata in città; si è protratta anche nella notte e grazie al rinforzo delle pattuglie di custodia, si può ben sperare che sia definitiva.

Sono stati emessi due Proclami e istituiti servizi di guardia alle Ambasciate, il che dovrebbe rassicurare Baraguey d'Hilliers sull'impegno che il nuovo Governo mette nell'assicurare la tranquillità.

Affinché detta tranquillità si consolidi, occorre secondo i Savj preparare il popolo alla comparsa di truppe straniere in città; si da pertanto mandato a Condulmer di far pazientare il generale francese, soprattutto tenuto conto del fatto che i venti contrari tengono ancora le navi con gli Schiavoni nel porto.
Sono oltre diecimila uomini che, pur ristretti nelle navi, sono tuttavia troppo vicini per non destare gravi preoccupazioni nel caso vedessero la Dominante invasa da truppe straniere.2

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Furono pubblicati alcuni Proclami che avevano, secondo il Tentori, lo scopo principale di tranquillizzare Villetard; ancora in quel 13 Maggio si inviò un dispaccio, accompagnato da un'ultima Species Facti, a tutti i Ministri di Venezia presso le Corti estere.
Da pagina 411:

... "Specìes Facti", in cui v'è alterata la verità degli avvenimenti, ed in cui si tenta di coonestare, se fosse possibile, la turpe tenuta direzione.

Il dispaccio e la Species Facti sono di una stringatezza disarmante, due paragrafi il primo e tre la seconda, riportati entrambi alle pagine 411 e 412.
Da pagina 411:

Dall'unito "Specìes Facti" rilevarete la determinazione presa dal Maggior Consiglio di adottare il proposto "Provisorio Rappresentativo Governo", anche prima di conoscere il risultato delle Negoziazioni de' suoi Deputati presso il General in Capite Bonaparte; non che le nuove moleste sopravenienze occorse nella Dominante nella giornata di jeri, e medianti le vigorose prese misure in ora intieramente calmate.

I Ministri sapranno servirsi della Species Facti nell'ambito diplomatico, se si trovassero a entrare in discorso su Venezia.

Più che un dispaccio ufficiale, sembra trattarsi di una cortesia concessa agli ex-ambasciatori per trarli eventualmente d'imbarazzo nelle conversazioni mondane. Pur non revocando ancora gli incarichi, tuttavia non assegna ai Ministri alcun compito di informare le Corti Estere.

La Species Facti descrive la Parte del M.C. 12 Maggio come presa in anticipo sui colloqui dei Deputati con Napoleone al fine di salvare gli interessi "del Ceto Patrizio ed altri Individui partecipi delle Pubbliche concessioni" nonché di assicurare la solidità della Zecca e del Banco.
Il Governo rappresentativo Provvisorio si ritiene compiacerà i desideri del Bonaparte.
Si afferma che i tumulti di piazza sarebbero stati suscitati da un Corpo di Schiavoni armati che raccolsero una numerosa folla e la guidarono a saccheggiare alcune case.3

Il resto della Species Facti ricalca quasi parola per parola quanto scritto al Condulmer perché lo riferisse a d'Hilliers.

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I giorni seguenti, fino al 16 Maggio 1797 in cui le prime truppe francesi fecero il loro ingresso in città con la scorta di Leonardo Minotto degno luogotenente del Condulmer,4 furono impiegati dal Governo Provvisorio per predisporre l'animo del popolo a ricevere i Francesi e "i Membri, che formar dovevano il mostruoso impasto, che si denominò "Municipalità Provvisoria di Venezia"".

Per la descrizione delle malefatte di tale Municipalità Tentori ci rimanda a due altre pubblicazioni: "Dialogo tra Eraclito e Democrito Redivivi sulla Rivoluzione politica di Venezia" e "Discorso del Cittadino Pandolfo Malatesta di Rimini al Popolo di Venezia".5

Prima di passare ai “Corollari” della terza parte della sua Raccolta, l'Abate conclude l'opera con una citazione presa da un articolo di Mallet Dupan sul Mercurio Britannico n. XIII, "Una falsità sopra Venezia, e li Veneziani”.
La citazione contiene una apologia piuttosto esagerata della “resistenza” dei veneziani al cambio di governo e si presta quindi a introdurre i 15 Corollari, ai quali è molto difficile non solo il credere, ma anche accettare che vi credesse l'Abate stesso.

I Corollari alla Terza Parte

Dalla pagina 413 alla 416 troviamo quelle che, sotto il nome di “Corollari”, dovrebbero essere delle conclusioni sintetiche al lungo lavoro di esame dei documenti d'archivio relativi alla caduta della Repubblica di Venezia.
In realtà sembrano piuttosto la prosecuzione dell'invettiva vista poche pagine addietro, in cui si vorrebbe scagionare Venezia e i veneziani da ogni responsabilità, quasi essi fossero stati bimbi raggirati dal malvagio orco francese.

I
Che sebbene nelle Venete Provincie vi fossero alcuni Sudditi dediti alle massime Francesi, questi erano in così poco numero, che nulla potevano attentare contro il pien delle medesime, ch'erano fedelissime, ed attaccatissime al felice loro Governo.

Sul numero degli adepti filofrancesi fra il popolo possiamo senz'altro concordare con il nostro Abate. Non così sulla seconda sua affermazione.
Negli ultimi decenni le amministrazioni periferiche della Repubblica erano andate in balia di funzionari e appaltatori corrotti che avevano largamente alienato le simpatie dei "sudditi" per la Dominante. I documenti d'archivio di quegli ultimi anni riportano numerosissimi casi di contrabbando e anche alcuni di ribellioni locali. Esistono fascicoli di inchieste anche per foglietti derisori e satirici verso podestà e autorità delle Province.
L'attaccamento al governo vi fu senz'altro, ma è più realistico attribuirlo alla consapevolezza che la dominazione francese sarebbe stata assai peggiore, che a un attaccamento ideale o sentimentale.

II
Che la Rivoluzione di Bergamo, di Brescia, e di Crema, e quindi gli orrori di Verona, di Salò, e delle Valli Bresciane, fu tutto opera de' Comandanti Francesi, i quali operavano di segreta intelligenza, e di ordine preciso del General in Capite Bonaparte.

La "rivoluzione" di Bergamo non sarebbe stata possibile senza la piaggeria imbelle dell'Ottolini, la dabbenaggine del Vincenti Foscarini, il tradimento del Nonveiller e la connivenza o complicità di larga parte della "nobiltà"" bergamasca.
In Brescia, dove Battaja aveva avuto modo di trasformare i suoi uffici in un club "giacobino", la "nobiltà" fu complice e il popolo del tutto assente a una qualsiasi difesa; a Verona, Salò e nelle Valli le responsabilità maggiori ricadono sul Foscarini, sul Giovanelli, sul Cicogna, sullo Stratico e su gran parte delle altre Autorità al servizio di Venezia.
Il raggiro, ordito che fosse da Landrieux o da Napoleone, non sarebbe inoltre potuto andare in porto senza la collaborazione fattiva degli Inquisitori e del Collegio dei Savj in Venezia.

III
Che perfido era perciò questi, mentre dimostrava in apparenza di disaprovare la condotta de' suoi Subalterni, promettendo processi e castighi, che mai ebbero effetto, per calmare le giustissime rimostranze del Senato.

Napoleone era un generale impegnato in una guerra di conquista e fu ben presto chiarissimo che egli intendeva impadronirsi delle ricchezze veneziane. Solo menti profondamente ottenebrate o complici potevano dubitare di questo dopo i fatti di Peschiera. Dunque a che pro chiamarlo "perfido"? Forse che la guerra è una questione di delicatezza? Egli non poteva contare su una vera predominanza di forza, e giocò ampiamente i suoi bluff, alcuni dei quali puerili, ma il tavolo da gioco era praticamente tutto popolato di bari che reggevano il suo gioco.

IV
Che perfido pure deve dirsi il Direttorio Esecutivo di Francia, il quale alle rimostranze del Senato si dimostrava sorpreso, adirato, prometteva soddisfazioni, protestava lealtà, amicizia, ed asseriva spediti ordini di riparazione al General Buonaparte, che o non furono mai spediti, o lasciò, che fossero impunemente violati.

Quale statista o ambasciatore avrebbe mai potuto riporre fiducia in quell'accozzaglia di assassini, voltagabbana e corrotti che costituiva il "Direttorio di Francia"? Quale persona di buon senso avrebbe mai potuto pensare che un simile organismo sapesse concepire valori come l'onore o la fedeltà alla parola data, soprattutto quando quella parola era comperata con maneggi di denaro?.
Forse che non è compito di un buon governo quello di difendere i suoi Cittadini dal sempre possibile insorgere della barbarie o della sete di conquista in un altro Paese? Se perfido fu il Direttorio, e certamente lo fu, quanto più subdolamente perfidi furono quei governanti veneziani che per quasi un secolo permisero alla corruzione di disarmare la Repubblica e di ridurre le sue fortezze a ruderi inermi?

V
Che perfido pure e traditore fu il Ministro Lallement, mentre in vece di coltivare la buona amicizia tra le due Repubbliche, come protestava nelle Conferenze col K. e Procurator Pesaro, e nelle sue memorie al Senato, alimentava segretamente il fuoco rivoluzionario tra quei Membri del Governo, che venduti eransi al partito Francese.

Lallement, come gli altri ministri francesi a Venezia prima di lui, effettivamente fece da tramite per la corruzione di un certo numero di "Savj", ma come lamentarsi di questo a fronte dei documenti che al Tentori stesso provano come il ministro veneziano a Parigi Querini faceva altrettanto con i membri del Direttorio? Al Querini furono concesse spese illimitate, molto superiori alle somme stanziate dai Francesi per corrompere i veneziani.
E non fu solo il Querini autorizzato dagli Inquisitori. Abbiamo visto in questa raccolta quante volte si versarono somme enormi a Napoleone, Saliceti, Haller, oltre a miriadi di altre "donazioni" autorizzate dal Senato al fine di corrompere ufficiali subalterni. Come giustificare il fatto che fosse l'Erario veneziano a mantenere in tutto e per tutto l'armata Napoleonica? Come giustificare che la Dominante permettesse il sistematico saccheggio di tutte le Province di Terraferma adducendo come ragione ufficiale la vuota speranza di salvaguardare se stessa?
Quale più profonda corruttela morale affiora da queste vili decisioni

?

VI
Che ai Savj raggjratori devesi attribuire lo stato d inerzia, in cui giaceva il Senato, che continuarono a tener in abbaglio, ed all'oscuro del vero andamento degli affari, occultandoli tutti quei lumi, che li dovevano provenire dalli Dispaccj, e “Comunicate”, poste nella “Filza Comunicate non lette in Senato”.

D'accordo, vi fu questo occultamento, ho potuto personalmente visionare in Archivio di Stato la "filza delle Comunicate non lette in Senato" (pur se oggi orrendamente mutila), ma questo malvezzo durava ormai da più di vent'anni.
Possibile che a nessun uomo politico, nel corso delle rotazioni degli incarichi, fosse venuto in mente di correggere questo malcostume?
Possibile che, in una città pettegola come Venezia, non fosse mai trapelato nulla sulle relazioni dell'ambasciatore Cappello a Parigi, o sui dispacci da Torino di Rocco Sanfermo?
Potevano effettivamente pochi "Savj raggiratori o felloni" tenere in scacco per decenni un intero Senato e il Massimo Corpo Sovrano senza larghe complicità e connivenze da parte degli altri membri?
Forse che l'essere eventualmente "imbecille" non è un gravissimo peccato in chi sia investito delle responsabilità di governare uno Stato?
Forse l'"inerzia" come risultato di un abbaglio sarebbe da considerarsi una dote dei corpi decisionali dello Stato?

VII
Che la malizia de' medesimi fu quella, che eluse più e più fiate le salutari Deliberazioni del Senato sotto pretesto di prudanziale economia, e di non irritar i Generali Francesi, ed il Direttorio Esecutivo di Francia.

Ma come mai, caro Abate, questo aulico Senato non si ribellò mai all'inadempienza delle sue "salutari Deliberazioni"? Come mai non colse il conflitto tra la "prudanziale economia" e le elargizioni faraoniche concesse a Napoleone e ai suoi? Come mai da quasi un secolo quel Saggio Consesso permetteva a funzionari corrotti di deviare le spese militari a vantaggio delle imperiali ville di Terraferma? Quale ignobile viltà si cela dietro quella frase di "non irritar" quei generali che saccheggiavano e massacravano i "sudditi" della Repubblica?

VIII
Che la Maggioranza de' Savj, raggirata da' Felloni, fu quella, che per eludere le Deliberazioni del Senato, il quale nella sera del 29 Aprile aveva decretato con risoluta fermezza la difesa della Dominante, e delle Lagune, col più insidioso artifizio prese il partito di non più adunarlo, rendendo in cotal guisa inoperose senza opposizione le Sovrane Massime, e Decreti di quel Consesso.

Una "risoluta fermezza" che non trova riscontro né in precedenza né all'attuale, dal momento che quel "Sovrano Consesso" accettò di essere emarginato in ogni momento di grave pericolo per la Patria.

IX
Che la estraordinaria Conferenza nelle private Camere del Doge, sostituita alle legali adunanze del Senato, fu una unione spuria, incostituzionale, e sovversiva delle statutarie Leggi della Repubblica, da cui le materie Politiche erano state sovranamente delegate al solo Senato.

Se ne accorge lei, che era un semplice abate, caro Tentori, come mai tale incostituzionalità non fu rilevata dalla maggior parte dei Senatori? Come mai nessuna voce denunciò tali gravissime irregolarità all'Avogaria da Comun e al popolo? Tra gli Avogadori vi era il Battaja, d'accordo, ma come poté il Senato accettare che un simile notorio libertino e "giacobino" accedesse ai massimi incarichi di tutela repubblicana?

X
Che maliziosa, ed estemporanea fu la Convocazione del Consiglio Maggiore, deluso, e tradito da' raggiratori con falsi rapporti; e quindi atterrito con supposte interne Congiure, e colla falsa asserzione d'impossibile difesa all'esterno.

Quanto poco doveva conoscere il M.C. della Storia e della natura del territorio veneziano, per cadere nei puerili tranelli del Condulmer e del Morosini? Quanto si era staccato il Sommo Consesso dal suo popolo e dalla sua terra?

XI
Che il Corpo Patrizio divenne vera vittima de' Felloni, che lo lusingarono con vane promesse di vitalizio provvedimento, di solidità della Zecca, Banco etc. promesse tutte senza fondamento, e fatte a solo oggetto di carpire le bramate Deliberazioni.

Era certo un "Corpo Patrizio", ma non nell'accezione che vorrebbe questo aggettivo sinonimo di "Nobile" e ancor meno di "Ottimate". Il "Corpo Patrizio" di Venezia era tale solo per le fortune materiali ereditate dai Maggiori o accumulate con il malaffare ai danni della Repubblica. Questo "Corpo" aveva ormai da tempo perduto non solo ogni nobiltà dell'animo e lucidità della mente, ma anche una qualsiasi dignità repubblicana.

XII
Che l'adunanza del Consiglio Maggiore nel giorno 12 Maggio fu illegale, e contraria alle Leggi della Repubblica, perchè non vi fu almeno il numero di 600 Individui, prescritto dalle statutarie Sanzioni; perchè incusso fu grave timore a' Membri di quell'adunanza col supposto imminente scoppio di numerosissima Congiura; ed infine perchè il Decreto non fu nè letto, nè ballottato juxta le Leggi.

Tuttavia nessuno dei 527 partecipanti, nemmeno tra i 5 contrari, ebbe il coraggio di prendere le redini di un popolo ancora disposto alla resistenza per tentare almeno di fermare quelle illegalità. E che dire di coloro che furono assenti a una riunione di tale importanza? Meritavano forse quelli la carica che ricoprivano? O la meritavano forse quelli che fuggirono per aver udito dei colpi di fucile?

XIII
Che alla perfidia inaudita de' Francesi, e de' pochi Membri del Veneto Governo, già indicati, loro cooperatori devesi il merito della grand'opera “della Rivoluzione e caduta della Repubblica”; che perciò i nomi di questi scellerati passeranno con orrore di generazione in generazione.

Abbiamo potuto constatare assieme, caro Abate, che non furono pochi i Membri del Governo a favorire i Francesi, anzi la quasi totalità di coloro che ricoprirono cariche in questo tragico periodo lo fecero, chi attivamente, chi per omissione, chi per favorire attraverso i Francesi gli Austriaci, chi per altri più abietti o più nobili scopi.

XIV
Che nè al Consiglio Maggiore, nè al Senato può con giusto critico discernimento attribuirsi lo scioglimento della Repubblica. Non al Consiglio Maggiore, perchè questo non fu mai a giorno del vero e genuino stato delle cose; non al Senato, perchè sebbene talvolta imprevidente, ed indolente; la di lui imprevidenza, ed indolenza era alimentata dalla maggioranza de' Savj, che li sottraevano a loro piacimento i lumi indispensabili a ben governare: ed in ultimo, perchè deluse furono le sue salutari Deliberazioni, massime quelle del giorno 29 Aprile 1797, dalla spuria Conferenza, unitasi nelle private Camere del Serenissimo Doge.

La verità, caro Abate Tentori, è che il Maggior Consiglio abdicò ben prima del fatidico 12 Maggio. Lo fece quando fu stipulato il Trattato di Sant'Eufemia. E se pure a detto trattato non fu mai data risonanza, certo i suoi effetti non potevano essere ignoti al Senato, dal momento che da quella firma in poi si cominciarono a sborsare somme settimanali ingentissime alla Fraterna Vivante perché provvedesse ogni cosa necessaria all'Armata Francese e dal momento che si riconobbe sempre ai Francesi il diritto di occupare pacificamente ogni fortezza veneziana.

XV
Che la Repubblica di Venezia in fine perì Vittima sfortunata ed innocente della sua lealtà, della generosa sua Ospitalità, e di quella impuntabile ed imparziale amicizia, con cui riguardò, ed accolse nel suo seno Ospiti sconoscenti, ed ingrati, Amici sleali, scellerati, perversi.

Venezia cadde dallo stato di Repubblica per diretta conseguenza della grave malattia morale che il suo popolo aveva contratto e che lei stesso, Abate, non ha potuto evitare di mettere in evidenza nelle prime pagine della sua opera.
Una malattia con radici antiche la quale, dopo aver debilitato e pressoché distrutto il popolo veneziano, oggi attacca anche le sue memorie artistiche e storiche, minacciando di cancellare la città stessa. A seguito delle scelte amministrative e degli interventi idrogeologici dissennati operati dai regimi monarchici prima e da quelli democratici poi, è stata infatti distrutta la perfetta macchina idraulica con la quale gli antichi Veneziani erano riusciti a "fissare le velme", ovvero a fare in modo che la Laguna conservasse una forma stabile, sottraendola ai capricci del mare e dei fiumi. Per approfondire l'argomento del decadimento morale del popolo veneziano si veda Storia Morale di Venezia".

Per una relazione sul presente dissesto idrogeologico e la sua pericolosità si veda invece la "Relazione sui Flussi di Marea in Laguna di Venezia" con la relativa documentazione video.


Note

Nota 1 - Se possiamo dar credito alle Memorie Apologetiche dello Spada almeno su questo particolare, il Doge aveva traslocato la sua mobilia dalle stanze in Palazzo Ducale già il giorno 9 Maggio (Memorie Apologetiche, Vol I pag 35-36).

Nota 2 - Bisogna ricordare che ai Savj imbecilli, al Popolo e, presumibilmente, anche agli Schiavoni si era fatto credere che tutte le operazioni di disarmo erano finalizzate a salvare Venezia dall'invasione straniera...

Nota 3 - Il povero Mangarini farà dunque da capro espiatorio per questa puerile menzogna.

Nota 4 - Il permanere del Condulmer e dei suoi accoliti nelle cariche del Provveditorato Straordinario alle Lagune e Lidi spiega esaurientemente perché la Signoria avesse rigettato le dimissioni di Zuanne Zusto.

Nota 5 - Il primo opuscolo fu pubblicato anonimo nel 1797; da alcuni viene attribuito a Tentori, da altri a Vittorio Barzoni.
Il secondo è opera del Tentori sotto lo pseudonimo di Pandolfo Malatesta, ma non ne trovo copia in rete.


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