Storia di Venezia

Pagina pubblicata 6 Marzo 2017

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - LXVI

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , LXVI
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

Vai a pagg. 373 - 386 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 386 - 399 | Vai a pagg. 399 - 416

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

Storia di Venezia, coniugi D'Antraigues

Il conte d'Antraigues di cui Villetard chiede l'arresto per impadronirsi dei suoi documenti. Con quelle carte Napoleone farà scoppiare in Francia l'affare Pichegru, altro passo nella sua scalata all'Impero. D'Antraigues era un agente al servizio di molte potenze europee e abile libellista che abbiamo già incontrato nella vicenda del conte di Lilla a Verona. Dopo una vita avventurosa sarà assassinato assieme alla moglie a Londra il 22 Luglio 1812, da un suo vetturino italiano di nome Lorenzo Stelli, probabilmente per rancori di ordine personale (image courtesy of https://www.geriwalton.com).

La sera del giorno 8 Maggio 1797, sciolta la Gran Conferenza, i Savj si ritrovarono, con atto contrario alla Costituzione in casa del Savio Supplente in Settimana Alvise Pisani.

Questi era ormai deciso di cedere ai Francesi su tutta la linea, suggestionato dai pericoli che Dolfin e Battaja avevano esagerato in merito alla permanenza degli Schiavoni in Venezia.

Battaja intendeva stilare un atto formale di protesta, al quale "si sarebbero sottoscritti quelli del suo partito" da presentare al Segretario della Legazione di Francia. 1

Tornato in casa Pisani dopo due ore di assenza, Battaja convoca Piero Donà in un'altra stanza e gli manifesta "l'orditura dei suoi disegni".

Si tratta di far giungere, con la complicità del Morosini, notizie false nelle stanze private del Doge: per questo e altri compiti simili si scelgono "tre ribelli dell'ordine popolare ...".
Da pagina 386:

... vale a dire Tommaso Gallini Ipocrita Avvocato, Giovanni Andrea Spada, uscito il giorno quattro da' Piombi, ossia Prigioni di Stato, e Piero Tommaso Zorzi, il quale, deposto il Basto, di suo Padre faceva il mestiere di Speziale da Grosso.2

Zorzi riceve il primo incarico quella notte stessa. Egli si reca "alle ore sette della notte" (cioé verso le due del giorno 9 Maggio) alla Procuratia n. 6 dove ottiene dal Morosini un lasciapassare alle stanze del Doge "per fargli nota cosa della massima importanza".

Zorzi racconta al Morosini e al Doge di essere stato quella sera a cena dal Segretario della Legazione Francese Villetard, dove si trovavano numerosi altri francesi. Li ha uditi dire, fingendo di non comprendere il francese, che la rivoluzione sarebbe scoppiata il giorno 9, e che l'albero della libertà sarebbe stato alzato in Piazza San Marco dagli stessi Schiavoni, metà dei quali, compresi molti ufficiali, erano ormai filo-francesi.

Rimasto solo con il Villetard, questi gli avrebbe promesso di ritardare di un giorno la rivoluzione, per dargli il tempo di avvisare il Doge per far sì che le cose si svolgessero con tranquillità.

Tentori si stupisce che lo Zorzi non sia stato immediatamente arrestato, e che anzi il Doge e il Morosini, atterriti o fingendosi tali, lo incaricassero di tornare da Villetard e "di procurarsi le di lui intenzioni in iscritto."
Da pagina 387:

Scrisse allora il N.H. Morosini un Viglietto al K. Piero Donà; venne questi in Procuratia, e concretarono fra loro il Piano della Veneta Rivoluzion, ma passiamo ad altro.

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I Dispacci del Grimani da Vienna del 29 Aprile e Primo Maggio erano giunti a Venezia il 6 Maggio e vi si risponde con una Ducale il giorno 8 Maggio 1797, che Tentori riporta alle pagine 387 e 388.

È un dispaccio insignificante, dove si loda l'operato dell'Ambasciatore e lo si esorta a fare ogni sforzo per correggerele errate impressioni prodotte su Venezia alla Corte di Vienna da Napoleone.
Gli si allega una Species Facti con le ultime novità e il rimborso per le spese degli ultimi espressi.

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Se la risposta al Grimani fu insignificante, secondo l'Abate fu invece il dispaccio dell'Ambasciatore del primo Maggio, a essere di grande utilità ai Savj filo-francesi.

Ponendo infatti l'accento sull'importanza per i piani napoleonici di ottenere un cambiamento nel governo della Serenissima, li convinse della necessità di accelerare la "rivoluzione" della Serenissima in modo che essa scoppiasse prima che i Deputati concludessero un qualsiasi Trattato con il Bonaparte in Milano.

Tornano dunque in scena le figure dei "due traditori Spada e Zorzi".
Essi si presentano alla Consulta della Signoria con i Savj attuali il giorno 9 Maggio 1797, "annunziando di aver una interessantissima Carta da presentar a Sua Serenità."
Da pagina 388:

Ritrovavasi colà, nè si sà come (non faceva infatti parte dei Savj Attuali) anche il N.H. Francesco Battaja; questi col K. Piero Dona fu destinato a parlamentare collo Spada, e col Zorzi, e quindi ritornati ambidue dal Serenissimo Principe lessero le seguenti Carte.

Si tratta di una relazione dello Zorzi sul suo incontro con il Villetard dopo che era stato inviato a richiederne le istruzioni per iscritto come abbiamo visto più sopra.

Villetard ha dichiarato che Napoleone arroga a sé ogni potere decisionale sulla questione di Venezia.
Egli può solo dare verbalmente dei consigli attraverso la mediazione dello Spada e dello Zorzi "per garantire il Governo stesso dai mali, che gli possono repentinamente succedere per la prolungazione del blocco, per l'insurrezione degli Schiavoni, ed altro a lui noto.".

Il primo e più impellente consiglio è di andare incontro ai desideri del Bonaparte "prontamente, e pacificamente cambiando entro d'oggi le forme Aristocratiche del Governo.".
Affida inoltre ai due mediatori una lunga lista dei modi e delle condizioni di questo cambiamento.
Da pagina 389:

"Condizioni contemplate dal Villetard e rilevate dallo Spada e Zorzi da farsi illico".

  • Arresto a sorpresa di "d'Entragues" (D'Antraigues) per impadronirsi di tutti i suoi incartamenti. Egli sia poi rilasciato e le sue carte depositate presso il Ministro di Francia. Tali carte saranno poi portate al Direttorio dal nuovo Ministro che Venezia invierà a Parigi.
  • Si liberino altri tre prigionieri attualmente detenuti ai piombi, e tutti gli altri politici da ogni prigione, fornendoli anche di denaro.
  • Si lascino aperte al pubblico le prigioni dei pozzi e dei piombi.
  • Abolita la pena di morte, si prometta anche a tutti i detenuti comuni la revisione del processo.
  • Siano congedati tutti gli Schiavoni, dopo averli pagati.
  • Le pattuglie di guardia alla città, gli arsenalotti e i rinforzi di mercanti siano posti sotto il comando del Comitato provvisorio composto da "Tenente General Salimbeni, Morosini, Antonio Buratti. Segretario Pietro Spada.".

Da pagina 389:

"Da prepararsi dentro oggi per eseguirsi domani".

  • Erezione dell'Albero della Libertà in Piazza San Marco.
  • "Municipalità Provvisoria di 24 Veneti con riserva dell'Invito da farsi alle Città di Terra Ferma, Istria, Dalmazia, e Levante per unirsi alla Madre Patria, che sarà Venezia."
  • Diffusione di un Manifesto che annuncia al Popolo la Democrazia e che sarà lui a eleggere i propri rappresentanti.
  • Si bruceranno sotto l'Albero della Libertà le insegne del vecchio governo.
  • Si darà amnistia per tutti i reati politici e d'opinione.
  • Si proclami la libertà di stampa.
  • Si proibisca di parlare del passato contro le persone o il Governo.
  • Fatto questo, la Municipalità provvisoria si rechi, seguita dal Popolo, in Chiesa di San Marco dove sarà esposta la Beata vergine e si canterà un Te Deum.
  • Si faccia lo stesso in tutte le chiese della città.
  • Si invitino in città 4000 francesi cui si affiderà la custodia:
    • dell'Arsenale;
    • del Castello di Sant'Andrea;
    • del Castello di Chioggia;
    • di tutte le Isole che il Comandante francese riterrà opportune;
    • del Palazzo Ducale;
    • della Zecca;
    • degli altri luoghi interni e delle postazioni della Guardia Civica.
  • Dopo l'ingresso dei Francesi in città, si richiami la Flotta Veneta e la si ponga sotto il comando congiunto dei Francesi e della Municipalità.

Da pagina 389:

"Presidenti della Municipalità Provvisoria".

  • L'Ex Doge Manin, ed Andrea Spada.
  • Si inviino a Napoleone Francesco Battaja e Tommaso Pietro Zorzi.
  • Si richiami il Querini da Parigi e si invii in sua vece Tommaso Gallini, con Sordina come segretario.
  • "Indrizzo, e Ministro alla Repubblica Batava, e Traspadana". (?)
  • Richiamo di tutti gli altri Ambasciatori e loro sostituzione.

Di seguito, alcuni altri "consigli".

  • Si assicuri ai Nobili poveri un vitalizio statale, magari finanziandolo con una lotteria;
  • Si rassicuri il Popolo mantenendo la solidità della Zecca e del Banco a carico della Nazione;
  • Napoleone si riserva di stabilire ciò che spetterà alla sua Armata e alla Repubblica Francese con il Trattato di Pace.

Sempre a mezzo dello Zorzi, Villetard promette di intercedere presso il Bonaparte in favore degli ex-Inquisitori, a patto che sia lasciata a tutti i Cittadini la libertà di comunicare e far società con tutto il Corpo Diplomatico.

Tentori fa notare che l'ultimo "consiglio", il seguente, risulta scritto da una mano diversa da quella dei precedenti:
Da pagina 390:

Specificate, che nella Municipalità non si possa contare più d'un terzo di Ex-Nobili, che scieglierete fra i veri Patriotti illuminati.

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Queste carte furono lette "non senza orrore de' Buoni, e raccapriccio de' pusillanimi".

Mentre tra il terrore e la confusione si cercava di stabilire come comportarsi, giunse un altro messaggio destabilizzante da Niccolò Morosini quarto, Deputato alla Custodia Interna, datato 9 Maggio 1797.

Fingendo il tono della più nera disperazione, il Morosini comunica che le sue truppe sono troppo poche e troppo stanche per sostenere il "vicino attacco (I)" che si ritiene avverrà la notte stessa
Nota di Tentori alla pagina 391:

(I) Si riferisce al diabolico ritrovato dell'interna Congiura, che non vi fu mai.

Dopo la lettura di quel messaggio, con "scaltre riflessioni", Piero Donà e Francesco Battaja riuscirono a spingere lo sgomento della Consulta dei Savj fino al parossismo di accettare in toto i "consigli" che si diceva provenissero dal "sedizioso ed incendiario Giuseppe Villetard Segretario della vacante legazione Francese.".

Furono inutili le vive proteste di due Consiglieri e dei cinque Savj di Terraferma, che mettevano in evidenza l'illegalità della carta presentata dallo Zorzi e l'incongruenza del discutere proposte di figure "incompetenti" mentre a Milano erano in corso trattative condotte da rappresentanti ufficiali.

Aggiunsero che dal dispaccio di uno di quei Deputati, appena giunto, si era certi che Napoleone aveva concesso un prolungamento dell'armistizio per altri otto giorni.

Nonostante queste "sensate riflessioni", Piero Donà riuscì a ottenere che una Commissione, formata da lui e dal Battaja, fosse autorizzata a recarsi dal Villetard per "convenire sopra tutti gli Articoli".

A pagina 392 Tentori riporta la lettera d'incarico della Commissione, illegale perché mancante delle firme di sette Consiglieri che rifiutarono di firmarla.

La lettera si apre con un riferimento alle Parti del Maggior Consiglio primo e quattro Maggio, "(I)" che danno incarico a tre Deputati di trattare con Napoleone le modifiche da lui richieste al Governo Veneto.

In considerazione delle pressanti richieste fatte pervenire dal Segretario della Legazione Francese in ordine al soddisfare appunto le intenzioni del Bonaparte, e nella mancanza di tempo per una convocazione del Maggior Consiglio, si da facoltà ai due commissari di proporre al Villetard l'accettazione dei "consigli" affidati allo Spada e allo Zorzi, concordando i tempi e i modi di applicazione al fine di salvare "possibilmente, li riguardi di sicurezza, tranquillità, ed interesse della Nazione.".

Nella sua Nota "(I)" a pagina 392, Tentori fa notare come quelle Parti del Maggior Consiglio autorizzavano a qualche modifica nel sistema di governo, riservandone però la ratifica al M.C. stesso. Non autorizzavano affatto ad abolire il Governo Veneto e la Repubblica; non si era mai autorizzata a trattare la "Serenissima Signoria debole e imbecille", ma i soli Deputati. Ancor meno si erano autorizzate trattative "con un infame incendiario, qual era Villetard, senza carattere, senza missione. Tutto era orrore in quei giorni.".

Segue l'elenco dei firmatari e di chi rifiutò il suo avallo.
Dalle pagine 392 e 393:

"Sottoscritti"
Lodovico Manin: aff.
Stefano Valier.
Lunardo Donà.
Pietro Antonio Bembo.
Marco Soranzo.
Z. Alvise da Mosto.
Zuanne Molin.
Filippo Calbo.
Gio. Antonio Ruzzini.
Alvise Pisani.

Non sottoscritti, e che ricusarono di sottoscrivere, anzi si sottrassero, partendo dalia Consulta.
"Consiglieri"
Giulio Antonio Mussato.
Zuanne Minotto.
"Savj di Terra Ferma"
Guido Erizzo.
Niccolò Vendramin.
Giuseppe Priuli.
Girolamo Querini.
Z. Battista Corner.

Il rifiuto di firmare e l'abbandono della Consulta da parte dei sette Consiglieri "dispiacque non poco ai malintenzionati" che in caso di unanimità progettavano di sciogliere immediatamente la Repubblica senza nemmeno convocare il Maggior Consiglio.
Alvise Pisani diede sfogo alla sua ira protestando che avrebbe denunciato i sette alla Municipalità Provvisoria "come refrattarj, e Caparbj.".3

Nonostante l'illegalità del loro mandato, Piero Donà e Battaja si affrettarono a recarsi dal Villetard, mentre la Consulta passava ad approvare una ennesima regalia per i Francesi.

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Bisogna sapere che il giorno 4 maggio 1797 era giunta al Cassiere del Collegio una laconica richiesta da parte di Francesco Donà, Deputato alle trattative con Napoleone. Da pagina 393:

"Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. Sig. Colendissimo".
Occorrono al grand'affare incaricatoci dalla Sovrana Autorità del Serenissimo Maggior Consiglio Zeechini sei mille, e però con la facoltà impartitaci dalle Ducali 26 del decorso ricerchiamo, vengano da V.E. pagati al Latore di questa, e le raffermiamo il nostro rispetto.
4 Maggio 1797
Francesco Donà Deputato.

La Consulta ridotta dei Savj del 9 Maggio approvò senza alcuna riserva né specificazione la richiesta, emettendo il mandato di pagamento al portatore, ovvero senza specificare alcun nome, come del resto non era specificato nella richiesta.

Ricordiamo che uno zecchino pesava circa 3,5 grammi, ed era d'oro purissimo. La richiesta del Donà ammonta dunque alla bellezza di 21chilogrammi d'oro fino.

Tentori non sa dire con fondamento a quale uso fossero destinati gli zecchini. Vi furono voci all'epoca che asserivano trattarsi di un dono che i Deputati intendevano fare al banchiere di Napoleone Haller, perché questi mettesse una buona parola per loro con il Bonaparte in occasione del progettato incontro.
L'idea sarebbe stata dal K. Dolfin, che nella Conferenza del 30 Aprile si era proposto di intercedere verso il tesoriere dell'Armata Francese.

Quello che invece Tentori conosce è il nome di chi si presentò a ritirare la somma.
Si tratta di una nostra vecchia conoscenza, e chi altri se non lui? Il Vivante, la cui "Fraterna" ovvero società a conduzione familiare aveva avuto l'appalto di tutte le forniture all'Armata Francese fin dal trattato di Sant'Eufemia.

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Il giorno 10 Maggio 1797 in una riunione della Signoria con i Savj attuali fu infine approvato l'immediato imbarco "de' fedeli Oltremarini, poicchè alla loro presenza non era possibile eseguire la già decisa rivoluzione.".

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Terminato il loro colloquio con Villetard, Donà e Battaja ne relazionarono con una scrittura in data 10 Maggio 1797, che l'Abate riporta integralmente dalla pagina 395 alla 399.

I due si fanno "un sacro dovere" di esporre l'andamento pericolosissimo cui Venezia è esposta.

Citando le Parti del M.C. del primo e 4 Maggio 1797, lodano il Condulmer e il Morosini che hanno saputo evitare qualunque inconveniente che potesse turbare lo svolgersi delle trattative con Napoleone.

Sono anche da lodare, secondo i due, le relazioni informative rese alla Conferenza sia dal Luogotenente Condulmer che dal Deputato alla difesa interna Morosini.
Si riportano dunque due riassunti di tali relazioni entrambi però "arricchiti" di particolari che gli estensori originali di tali relazioni avevano forse dimenticato di citare.

Così al Condulmer si attribuisce di avere affermato che il blocco della Terraferma avrebbe in breve tempo affamato gli abitanti di Venezia.

Nota di U.S.

Questa acuta osservazione fu forse omessa dal Condulmer tenuto conto della relazione del Provveditore alle Sussistenze (vedi pubb.LVIII), che garantiva invece risorse per sostenere un assedio lunghissimo (molto più lungo della possibile resistenza dei napoleonici nelle malsane paludi costiere con alle spalle un entroterra già saccheggiato fino al midollo, comunque).

Il Condulmer, a dire del Donà e del Battaja, avrebbe anche sostenuto l'impossibilità di ricevere viveri via mare, in quanto quelle vie "cominciano ad essere intersecate dalle Forze Francesi".

Altra affermazione che il Condulmer si era ben guardato dal fare, dato che la Marina Francese in Adriatico era pressoché insignificante e ben impegnata, se non dalla Marina Austriaca, dalla ben più temibile Marina Britannica, che incrociava in quelle stesse acque come sappiamo dalla richiesta del Residente Inglese Worsley (cfr. Pubb.LXV).

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Leggermente più fedele il riassunto delle relazioni del Morosini, gran sostenitore dei pericoli di una congiura interna e dell'insubordinazione degli Schiavoni contro i comandanti considerati traditori. Gli si fa adesso dire che "andavasi aumentando, la corruzione di molti individui militari".

Nota di U.S.

Anche qui non è difficile immaginare perché il Morosini si fosse astenuto dal fare in prima persona una simile affermazione.
È un dato di fatto che la corruzione fosse ormai da decenni profondamente radicata nel funzionariato e nell'ufficialato delle venete Armi.

Una corruzione semplice, volta cioè al deviare i finanziamenti militari nelle tasche di privati aveva cominciato a diffondersi dalla metà del Secolo precedente, non appena Venezia aveva preso l'infausta decisione di dichiararsi "Potenza Neutrale".
Così si erano lentamente spogliate le fortezze più lontane di ogni possibilità di sussistenza.

In un crescendo sempre più incontrollato si era giunti alle desolanti ispezioni svolte per incarico del Senato dal Nani, dal Graham (cfr. nota 3 a pubb. XV) e dal Brigadiere Moser Filseck (cfr. E. Barbarich, La Campagna del 1796 nel Veneto) nel corso del XVIII secolo.

Con l'avvento delle "nuove idee d'Oltralpe" e con la cosiddetta "rivoluzione francese" alla corruzione semplice si era sovrapposta quella aggravata dal tradimento per denaro.

Così, se il Morosini avesse citato la corruzione tra i suoi motivi di preoccupazione, egli avrebbe corso il rischio di inimicarsi profondamente un enorme numero di persone, in prevalenza funzionari e uomini d'arme ma non solo.
Ovvio che, in una situazione di guerra guerreggiata, l'inimicarsi gli uomini d'arme sia cosa che qualsiasi persona di buon senso cerchi di evitare.

Il nuovo motivo di preoccupazione poteva però essere introdotto per interposta persona, come vediamo fare a Donà e Battaja. Salvo dall'impopolarità il Morosini per non averlo detto, salvi Donà e Battaja per aver creduto di riportare parole d'altri.

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Dai due riassunti si faceva emergere una immagine vivida: "la total distruzione della Patria" sotto lo sforzo congiunto di un assedio e di una insurrezione interna.

La relazione di Donà e Battaja prosegue nella rievocazione degli ultimi giorni, confondendo tra loro gli eventi occorsi nelle riunione del 7, 8, 9 e 10 Maggio, omettendo di citare la riunione illegale in casa di Alvise Pisani e l'abbandono della riunione del nove Maggio da parte di sette partecipanti, ma facendo ben risaltare l'effetto prodotto dalle relazioni di Morosini e Condulmer sull'uditorio.
Da pagina 396:

Quest'immàgine turbò non meno la mente, che gli animi di tutti i Cittadini raccolti all'oggetto di preservar la Patria dagli estremi pericoli, che la minacciavano, ...

Segue un ancora più confuso racconto dell'entrata in scena dello Spada, nel quale sembrerebbe essere il Battaja l'estensore della scrittura che stiamo leggendo ("Venne da me Battaja il Spada..." da pagina 396; "...fece nota ogni cosa a me Francesco Battaja..." da pagina 397). Poche poche più sotto vediamo però "... ne ritrovò me Pietro Donado ..." che riconduce lo scritto nella comoda misura di un lavoro a responsabilità divisa.

Questo dunque lo svolgersi dei fatti secondo Battaja e Donà:

Morosini, nel tentativo di obbedire alle istruzioni di evitare ogni via di fatto, convoca Giovanni Andrea Spada (appena dimesso dai Piombi) per convincerlo a evitare le stragi che sarebbero nate nel caso di una insurrezione armata.
Lo Spada si reca però prima dal Battaja per consultarlo in merito. Battaja gli consiglia di accettare l'invito del Morosini. 4

Dal Morosini, Spada nega di avere alcuna nozione di una insurrezione armata e anzi confida di avere cercato di ottenere un passaporto dal Villetard per lasciare Venezia con la famiglia. Il passaporto gli è stato rifiutato col dire che deve restare in città per "cooperare al bene del Paese".

Spada comunque accetta dal Morosini l'incarico di parlamentare col Villetard, unica persona di sua conoscenza che poteva secondo lui fornire lumi sull'insurrezione ed eventualmente scongiurarla.

Avverte il Morosini che il Ministro francese, in occasione di una visita a casa sua (dello Spada) gli ha detto di aver saputo da un informatore che Morosini era al corrente di una congiura e intenzionato a giustiziarne i capi dei quali avrebbe posseduto una lista.
Il Ministro, pur non prestando molta fede al suo informatore ha fatto rispondere a Morosini di non conoscere né praticare "Rivoluzionari", ma che tutti i detenuti politici liberati dalle prigioni "erano sotto la protezione speziale della Francia, e che se fosse loro caduto un capello dalla testa, risponderebbe quella del Morosini.".

Prima di tornare da Villetard con l'incarico datogli dal Morosini, Spada ha un nuovo abboccamento col Battaja, che lo esorta ad assolvere l'incarico.

Da Villetard Spada incontra lo Zorzi.
Il Segretario francese si mostra disponibile a consigliare il Governo Veneto per il meglio, ma rifiuta di farlo per iscritto e tanto meno di rassicurare sullo scoppio di una insurrezione. Anzi il Francese parla di "possibili esplosioni di quelli, che possono volere a qualunque costo la rivoluzione ...".

Zorzi (lo Spada ne sarebbe stato impedito da motivi di salute, ma è assai più probabile che non fosse ritenuto opportuno mandare nelle stanze del Doge un "avanzo fresco di galera" come lo Spada....) quella stessa notte dell'otto Maggio decide di recarsi a informare il Morosini e il Doge.
Da pagina 397:

... si è creduto in dovere il Zorzi, non potendolo per la sua salute il Spada, di portarsi nella notte delli otto corrente tanto dal Serenissimo Principe, che dal N.H. Morosini, ed in seguito ritornato dal Serenissimo stesso, ne ritrovò me Pietro Donado; ...

Donà lo rispedisce dal Villetard, per tentare con ogni mezzo di avere istruzioni scritte su ciò che si chiedeva perché Napoleone fosse soddisfatto.

Villetard ancora rifiuta di scrivere o di promettere ma affida a Zorzi e Spada la lunga lista di "consigli" che abbiamo già visto più sopra, però in versione diciamo edulcorata.

Donà e Battaja omettono di riportare nella loro relazione:

l'arresto di D'Antraigues; ==>> (grave affronto alle Corti d'Austria, di Russia e di Prussia dalle quali il diplomatico era per vari motivi protetto)

l'apertura al pubblico delle prigioni;
l'abolizione della pena di morte
==>> (distruzione del sistema giudiziario)

l'annuncio dell'avvento della democrazia con suffragio al Popolo;
il rogo delle insegne del governo sotto l'albero della libertà;
==>> (abolizione della Repubblica e del suo Governo)

il Te Deum di ringraziamento; ==>> (imprimatur divino alla rivoluzione)

l'elenco delle Istituzioni civili e militari di cui i Francesi dovranno avere il controllo;
il richiamo e la sostituzione di tutti gli Ambasciatori;
il richiamo della flotta;
la clausola che nella Municipalità la quota di nobili non potesse superare un terzo dei Membri e che tali nobili dovevano essere scelti fra i veri Patriotti illuminati.
==>> (totale abdicazione di ogni potere veneziano)

Aggiungono invece clausole che nella relazione di Zorzi non erano presenti:

  • l'intercessione di Villetard anche per Pizzamano oltre che per gli Inquisitori;
  • la sicurezza della Religione, delle vite e delle proprietà;
  • la pensione per i nobili poveri da finanziarsi con una lotteria appare estesa anche "alle beneficate Patrizie, Segretarj, ed altri Provvigionanti dell'attual Governo.".

Il riassunto di Donà e Battaja giunge adesso al punto in cui hanno ricevuto la carta, scritta da Zorzi e Spada in presenza di Villetard, e la hanno letta al cospetto del "Serenissimo Principe, della Serenissima Signoria, Capi di 40 e Savj del Collegio".

Questi, nel timore che l'insurrezione fosse programmata per il giorno seguente, e mancando quindi il tempo per una convocazione del Maggior Consiglio, associano il Battaja al Donà nella qualifica di conferente con il Ministro Francese e li incaricano di un abboccamento immediato con Villetard.

In questo incontro del 9 Maggio i due Conferenti hanno conferma delle richieste già affidate a Spada e Zorzi e ottengono una promessa di spostare la "rivoluzione" di quattro giorni, ovvero alla Domenica successiva, per dare il tempo di una risposta ufficiale e operativa da parte del Maggior Consiglio.

Alla pagina 398 si chiarisce perché nella loro relazione i Conferenti abbiano mitigato quella di Zorzi e Spada. Essi infatti si spingono ad affermare che in quei "consigli" risulta implicito il mantenimento dello Stato veneto, come struttura necessaria a "sostenere i pesi" dell'attuazione di alcuni articoli (pensioni, solidità della Zecca e del Banco, istituzione della Municipalità).

Danno poi notizia di un dispaccio pervenuto dal Morosini deputato all'incontro con Napoleone, dove si afferma che il Generale ha concesso un prolungamento dell'armistizio di otto giorni.

Il succo di quello che sarebbe dovuto essere il vero contenuto della loro relazione, cioè il risultato del loro colloquio ufficiale con Villetard è espresso in un solo paragrafo, dove ci si compiace di avere ottenuto la dilazione sullo scoppio della congiura interna, consentendo il tempo di avere un pronunciamento ufficiale da parte del Maggior Consiglio.

In occasione di una ulteriore visita a Villetard quello stesso 10 Maggio, il Francese ha confermato che Napoleone ha diramato gli ordini per il prolungamento dell'armistizio e che si riterrebbe soddisfatto se i veneziani ottemperassero ai "consigli" dati da Villetard.

La relazione si conclude con l'invito a prendere una pronta decisione in favore di "quelle disposizioni, che siano atte a conciliare nel grande argomento quegli oggetti di pubblica salute, che soli possano esser combinabili coll'imponente, e pericolosa difficoltà del momento."
Da pagina 399:

Data li 10 Maggio 1797
Pietro Donado K. Conferente.
Francesco Battaja Conferente.

Nota di U.S.

Non sfugge che non si tratta di una relazione sull'incontro dei Conferenti con Villetard. A quella sarebbero state sufficienti poche righe. Si è voluto invece presentare il memoriale Spada-Zorzi in una forma più facilmente digeribile al Maggior Consiglio.

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Rimaneva adesso "all'imbecillità della Conferenza ... il molesto imbarazzo di preordinare le cose, onde far eseguire l'abdicazione spontanea (come i rivoluzionarj dicevano) del Maggior Consiglio".

Si comincerà il giorno 11 Maggio imbarcando gli Schiavoni, come vedremo nella prossima pubblicazione.


Note

Nota 1 - Tentori non vi accenna esplicitamente, ma in questi giorni cruciali Lallement doveva aver preferito cambiare aria mentre l'ambasciata di Francia rimaneva aperta, affidata alle cure di Villetard ("Willetard").

Nota 2 - Di Tommaso Gallini trovo solo notizia che fu un brillante avvocato, vincitore in una causa del 1790 nella quale difendeva la Società del Nuovo Teatro contro alcuni dei partecipanti al bando per il Nuovo Teatro La Fenice (cfr. Memoria Storica del teatro la Fenice)

Su Tommaso Zorzi non ho trovato notizie.

Abbondante invece il materiale archivistico su Gian Andrea Spada. Abbiamo già visto nella pubblicazione III come, "giacobino" egli stesso, avesse ricoperto incarichi dagli Inquisitori in una delle prime campagne di repressione del giacobinismo nello Stato Veneto.
Tuttavia potrebbe trattarsi di una errata informazione del Tentori. Lo Spada infatti pubblicò nel 1801 le "Memorie Apologetiche" a difesa della propria fama presso i posteri. Nel terzo volume, riferendosi alla affermazione di Tentori, egli nega di aver mai avuto incarichi dagli Inquisitori e afferma che il ruolo attribuitogli dal nostro abate fu in realtà svolto dal "Nobile di Treviso Sig. Gio. Antonio Brocchi".
Le "Memorie Apologetiche" dello Spada sono un testo che può essere molto interessante per tratteggiare un'immagine dello stato generale di Venezia nella seconda metà del XVIII Secolo. Immagine che paradossalmente concorda per molti versi con quella tratteggiata da Tentori stesso. Tuttavia nelle "Memorie", soprattutto per quel che riguarda i giorni di cui ci stiamo occupando, compaiono numerose contraddizioni, sia con i documenti d'archivio che all'interno del racconto stesso. A tutta l'opera va applicata la tara che lo scrivente è un uomo di fazione che, pur forse non felice dello stato in cui versava la Repubblica, aveva molta dimestichezza e traeva lucro dalle meccaniche di corruttela e abuso.

Dall'Archivio di Stato di Venezia e dalle Memorie stesse si può appurare che egli, in origine Sollecitatore nel Foro di Venezia, era divenuto appaltatore dei dazi su olio e sale nella Terraferma veneta e uomo d'affari di successo in stretta relazione con la Fraterna Vivante.

Sempre in Archivio di Stato è presente un voluminoso incartamento riguardante il processo intentato a lui e ai suoi figli per attività sovversiva e costituzione di logge massoniche clandestine.
Esistono documenti per processi allo Spada anche in relazione a malversazioni nella sua Magistratura daziaria.

Se egli era appena uscito dai piombi come abbiamo appreso, la sua detenzione non doveva però essere stata lunga. Probabilmente verso di lui fu spiccato mandato di cattura dopo la perquisizione del 9 Ottobre 1796.
Secondo le sue Memorie, fu arrestato il 10 Dicembre ma la sua versione, in cui tale arresto gli sarebbe giunto completamente di sorpresa e sarebbe attribuibile a un vecchio rancore nei suoi confronti da parte di un Inquisitore suo vecchio rivale nel Foro, appare improbabile in quanto non menziona la perquisizione del 9 Ottobre di cui abbiamo prova documentale. Non rimase nei piombi più di qualche mese, comunque.

Vale la pena ricordare che, contrariamente all'immagine fosca diffusa dalla letteratura romantica ottocentesca e dai falsi storici, i "piombi" erano la prigione più moderna e confortevole esistente a quei tempi, con camerotti in legno e la possibilità di ottenervi un trattamento quasi alberghiero, come raccontano prigionieri illustri come Casanova, Daniele Manin e lo Spada stesso.

Documenti sullo Spada individuati in Archivio di Stato a Venezia.

Fondo Consiglio di Dieci/ Deliberazioni/Secrete/Filze/Busta 81 anno 1797
Lettera di Francesco Bertini A Giovanni Andrea Spada e Compagnia, Brescia 14 Marzo 1797.
Fondo Inquisitori di Stato Busta 118/Lettere degli Inquisitori al Rappresentante di Verona Nov. 1795 -Ott. 96
Fascicolo Marzo-Maggio 1796
Lettera senza data dello Spada che il 10 Giugno deve assumere l'appalto dei Veneti Dazi sui sali di Lombardia.
Fascicolo Settembre-Ottobre 1796/Carta 2160
10 settembre 1796 deposizione di Giovanni Malenza veronese a Giuseppe Gradenigo, punto 3, elenco di conclamati agitatori filo-francesi nel Veronese.
12 settembre 1796 verbale di interrogatorio del Malenza sulla sua lista di agitatori.
10 Settembre 1796 referta dell'informatore Antonio Sanzelo denuncia Spada e i due figli.
Fondo Inquisitori di Stato Busta 119/Lettere degli Inquisitori al Rappresentante di Verona Nov. 1796 - 1797
24 Novembre 1796 richiesta al Podestà di Verona di fornire informazioni sui transiti e soggiorni veronesi dello Spada e del figlio.
Fondo Inquisitori di Stato Busta 1252/Carta 396/Informazioni su G. Andrea Spada.
Si tratta di una busta che ho trovato in grande disordine, come se fosse stata frettolosamente perquisita.
Il primo fascicolo, molto voluminoso contiene carte con date tra il 30 Maggio 1796 e il Febbraio 1797 pertinenti a un processo per malversazione negli incarichi daziari e a una certa eredità Giacomelli.
Figurano carte relative agli affari dello Spada con i Vivante.
Nel secondo fascicolo gli esiti di una perquisizione effettuata in casa dello Spada il 9 ottobre 1796: vengono trovate pubblicazioni oscene, stampa sovversiva e una cassetta sigillata con istruzioni e parafernalia di Loggia massonica, due passaporti rilasciati da Lallement per lo Spada e il figlio Pietro, ancora carte relative ai suoi affari con i Vivante.
Nel terzo fascicolo le imputazioni allo Spada, ai figli e al suo braccio destro negli affari Luigi Salmasi. Varie accuse "politiche" e alcune per malversazione negli affari coi Vivante.
Nel quarto fascicolo, referte di informatori sulle abitudini dello Spada, e sulle sue frequentazioni. Verbali di interrogatori ai suoi amici.

Nota 3 - In realtà il traccheggio non ha origine in una volontà veramente patriottica. I savj riluttanti a firmare sono solo più avveduti dei tempi necessari. Come infatti vedremo, nessuna "rivoluzione" era possibile in Venezia prima che si fossero allontanati gli Schiavoni, il che avverrà solo il giorno 11 Maggio.

Nota 4 - Il Battaja vuole coprire il Morosini attirando su di sé le ipotesi di connivenza con i rivoluzionari. Da questo punto di vista egli era già "bruciato" da anni, mentre vuole che si pensi il Morosini eventualmente disposto alla repressione dei "Giacobini" come si farà insinuare allo Zorzi.
Vista la personalità, non escluderei che vi sia in questo tentativo anche il vezzo di mostrarsi più vicino degli altri alla congiura filo-napoleonica.


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