Storia di Venezia

Pagina pubblicata 7 Dicembre 2014
aggiornamento 4 Marzo 2017

Trattato di Sant'Eufemia
Convenzione tra Napoleone e i Plenipotenziari di Venezia
stipulata il 27 Maggio 1796

Preliminari di Leoben || Storia Caduta di Venezia, Sommario

   

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Storia della Caduta di Venezia, Napoleone ride a Sant'Eufemia

Storia della Caduta di Venezia: Napoleone ride con Kilmaine dopo la firma del Trattato di Sant'Eufemia, ma è Sanfermo che ha portato a termine la sua vera missione. (elaborazione grafica da un'immagine di "Napoleon Total War").

Premessa al Trattato di Sant'Eufemia e alla fonte Landrieux in generale

Non è facile districarsi nel labirinto di menzogne nel quale Jean Landrieux inoltra il racconto della sua vita.

Tuttavia questo labirinto non può, e forse non vuole, scansare alcuni lacerti di verità, costituiti da documenti d'archivio, da aneddoti, da spiegazioni che lui utilizza da un lato per mettere in luce le sue proprie doti, dall'altro per restituire ai legittimi autori le responsabilità di azioni che travalicano la sua misura e che pertanto egli non può sostenere con sufficienti argomentazioni.

Questi sprazzi di verità combaciano con i documenti conservati negli Archivi della Serenissima, in particolar modo con quelli che l'Abate Tentori trasse dalla sezione segreta e dalla filza dei dispacci non letti al Senato, consentendo molte importanti integrazioni alla Storia della caduta di Venezia che possiamo trarre dalle fonti di origine veneta.

In particolare, ho potuto osservare che l'opera del Landrieux, e quella di Grasilier a lui ispirata, si esercitano alla falsificazione soprattutto in alcuni settori specifici:

  • In primis negli argomenti generali, dove le falsificazioni sono intese a denigrare la Repubblica di Venezia.
    Sia Landrieux che Grasilier, infatti, pur a distanza di molti decenni tra loro, scrivono in un'epoca nella quale le Accademie mondiali e la comunicazione di massa sono completamente asservite alla grande manovra di falsificazione storica voluta dalla Restaurazione e ordita nella "Histoire de Venise" del Daru.
    Se i loro scritti fossero andati in controtendenza, non avrebbero mai potuto vedere la luce su pubblicazioni ufficialmente accreditate.

  • In secondo luogo, come lo stesso Landrieux ebbe a confessare, egli deve sostenere quelle menzogne necessarie a far crescere in Francia il prestigio dell'Armée d'Italie e nel mondo intero il mito di Napoleone.

  • In terzo luogo, per lucro personale suo e di altri, egli dovette coprire con menzogne, proprie o riportate, i dati relativi ai consumi e quindi ai numeri dell'Armata.
    Numeri che del resto né lui, né altri Generali anche più alti in grado poterono mai conoscere con esattezza, in quanto, come l'Autore stesso spesso osserva, Napoleone aveva segreti che non avrebbe condiviso con nessuno dei suoi sottoposti.

    Sono interessanti da questo punto di vista (e da quello dei riarruolamenti di soldati Austriaci), le lamentele di Augereau e Massena per il fatto che le loro demi-brigades venivano scambiate e rimescolate di continuo dagli ordini di Bonaparte o dei suoi sostenitori nel Direttorio, un fatto raccontatoci da Landrieux, e che egli non avrebbe avuto nessun motivo di falsificare (Nota 1 a pagina 114 delle Memorie, 417 dell'edizione digitale).

I piani segreti del Napoleone compaiono spesso nei racconti di Landrieux il quale, come capo a sua volta dell'Ufficio Segreto, non se ne stupisce affatto.
Egli ha ben chiaro che la sua misura di intrigante non è paragonabile a quella di Napoleone, e non disdegna l'onore di fargli talvolta da prestanome, come sarà il caso del terribile Trattato di Sant'Eufemia che pubblichiamo in queste pagine.

Gli capita a volte di intuire, dove vadano a parare i piani del suo Generale in capite, come nell' imminenza delle trattative di Leoben.
In quel caso egli embrionalmente esporrà il fatto che l'intesa con l'Austria doveva essere precedente all'inoltrarsi dell'Armée nel Tirolo, ma non si spinge molto oltre (1).

È possibile, d'altro canto, che Landrieux "faccia il finto tonto": non è difficile immaginare che nel suo ambiente comprendere troppo a fondo argomenti non di propria competenza poteva riuscire fatale. Una cosa deve essere stata molto chiara a Landrieux: che Napoleone era vincente e che conveniva stargli vicino.

In complesso possiamo dire che, grazie ai rigorosi compartimenti stagni delle intenzioni Napoleoniche, a Landrieux e a tutti gli altri Militari francesi coinvolti, sfuggono completamente le reali dinamiche dei fatti. Dinamiche che del resto erano occulte in vario grado allo stesso Direttorio e alle Corti europee.

Napoleone stesso, pur apparendo come detentore del più alto grado di potere nella "Riforma generale ed universale di tutto il mondo", che con lui cominciava a manifestarsi in forma operativa, ricopre in realtà solo il ruolo di deus ex machina.

Ma la machina che gli permette di entrare in scena esercitando la sua autorità non era di sua competenza.

I fili, i meccanismi e i macchinisti appartengono all'alta regia degli eventi, una regia che Napoleone spesso tenterà di eludere senza mai riuscirci, fino al tragico epilogo della sua vita.

Penso di poter affermare, con i dati in mio possesso, e che in gran parte sono rintracciabili nei miei studi sulla "Raccolta Cronologica" del Tentori, che l'umile Rocco Sanfermo (2), protagonista anche in questo Trattato, accedeva a un livello più alto del Bonaparte, nell'iniziazione ai veri misteri di quella "Riforma generale".

Non voglio dilungarmi oltre su questo argomento in questa sede, in quanto richiede una collazione di dati che è ancora in corso, alla cui organizzazione analitica comincerò a dedicarmi, se il Signore mi dà Grazia e vita, solo dopo avere ultimato la disamina della "Raccolta" di Tentori.
Chi abbia seguito con attenzione queste mie pubblicazioni ha già capito il senso di queste mie allusioni, e troverà ulteriori prove della loro fondatezza in questo "Trattato di Sant'Eufemia".

Al fine dunque di completare e di meglio chiarire la Storia documentata della caduta di Venezia che andiamo ricavando dalla "Raccolta" di Tentori, tra i "fari" lasciati da Landrieux nella sua opera uno brilla di luce particolarmente intensa.
Si tratta del testo del fondamentale "Traité de Saint Euphemie".

Esso fu stilato di pugno del Landrieux, che a quanto mi risulta è l'unico che si sia preso la briga di tramandarlo integralmente ai posteri, ma per affermazione di Landrieux stesso, il Trattato di Sant'Eufemia fu parto dell'ingegno del Bonaparte.

Ai miei occhi, e alla luce dei dati in mio possesso, mi sento di affermare che nell'estensione del Trattato ebbe larga parte anche almeno uno dei firmatari del Trattato da parte veneziana, l'ineffabile "Secretario Circospetto e Cifrista" Rocco Sanfermo, già protagonista appena un po' velato di Trattati ben più famosi, come quelli con la Prussia, con la Spagna e con il Piemonte.

Prima di venire a riflessioni specifiche su questo "Traité de Sainte Euphémie", esaminiamone il testo integrale, come offerto dalle Memorie di Landrieux.

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Trattato di Sant'Eufemia, 27 Maggio 1796 in Brescia.

Traité de Sainte Euphémie 8 prairial an IV

Per il testo originale in francese si vedano le pagine dalla 74 alla 77 di "Mémoires de l'adjudant-général Jean Landrieux".
Nell'edizione digitale, che unisce anche la Biografia di Landrieux, queste pagine corrispondono alle 417 - 420.

Articolo Primo
La Repubblica di Venezia sarà neutra e non armata per tutto il tempo in cui l'Italia sarà teatro di guerra tra la Repubblica Francese e l'Impero di Germania, e di conseguenza le truppe francesi non incontreranno alcun ostacolo da parte del governo veneziano nelle manovre che effettueranno sulla Terra-Ferma.
Articolo 2
Solo le piazzeforti saranno interdette alle potenze belligeranti, a meno che una di queste potenze venga a impadronirsi con qualche mezzo ostile di una di queste fortezze, nel qual caso l'assedio che sarà posto dall'altra potenza non potrà essere considerato come atto ostile contro la Repubblica di Venezia.
Articolo 3
Nel caso che una di queste potenze si fosse impadronita di una postazione bellica, o di un qualsiasi forte, i Veneziani apriranno immediatamente tutte le altre Piazze di Terra-Ferma all'altra potenza, la quale potrà installarvi una propria guarnigione, la quale guarnigione presidierà le mura e le postazioni esterne, mentre la guarnigione veneziana occuperà l'interno della fortezza con compiti esclusivi di ordine pubblico e polizia. I Comandanti veneziani della Piazza si accorderanno su questo argomento con il Comandante delle truppe introdotte. In questo caso, le guarnigioni veneziane non dovranno prendere alcuna parte nelle operazioni di difesa. Esse potranno bensì evacuare dalle Piazze occupate in questo modo, secondo eventuali ordini dei Provveditori Straordinari in Terra-Ferma.
Articolo 4
In caso di occupazione pacifica come si è descritto nell'articolo precedente, sarà effettuato l'inventario di tutto il materiale d'artiglieria e delle sussistenze che si troveranno nella Piazza. Il Comandante dell'occupazione se ne servirà per la difesa e per il nutrimento delle truppe degli Stati, e a questo riguardo si terrà un conteggio dei consumi rispettivi delle truppe secondo le forme ordinarie.
Articolo 5
L'Armata pagherà a fine guerra, se non potrà farlo prima, ed entro il termine di tre anni dalla firma della pace, la somma di tre milioni di franchi come indennità per i danni inevitabilmente arrecati dalla presenza dell'Armata sui Territori veneti, che sono stimati approssimativamente e irrevocabilmente fissati a forfait. Essa farà inoltre ristabilire a proprie spese, e secondo i piani esistenti, i dettagli degli inventari, gli stati dei luoghi e le fortificazioni che saranno state distrutte mentre era assediante.
Articolo 6
Rimane ben inteso che l'ordine e la disciplina nelle truppe saranno tali che i soldati non possano in alcun modo molestare i sudditi della Repubblica di Venezia.
Articolo 7
Il generale Baraguey d'Hilliers è incaricato: - della compilazione, in contraddittorio con i Governatori delle Piazze o forti Veneziani, di tutti gli stati di fatto o inventari di cui si è più sopra parlato; - di identificare la consistenza delle Compagnie di truppe veneziane al fine che non possa sotto alcun pretesto, essere apportato alcun aumento al loro numero; - regolare il prezzo delle munizioni da guerra e da bocca immagazzinate e fissare con il signor Vivanti, banchiere di Venezia, il prezzo delle derrate alimentari necessarie all'armata francese e che saranno da lui stesso consegnate per partite agli agenti dei diversi servizi, senza che questi possano rifornirsi altrove. È stipulato che i conti saranno regolati a ogni mese di 45 giorni, e pagati il più possibile in contanti a soddisfazione del suddetto signor Vivanti.
Firmato da una parte
Bonaparte, Salicetti e Berthier, capi dello stato maggiore generale;
Dall'altra parte
Rocco San Fermo e Benedetti del Bene, per l'eccellentissimo provveditore straordinario in Terra-Ferma, muniti di pieni poteri ad hoc.
Articolo 8
Gli articoli 1,2,3,4,5 e 6 del presente trattato saranno notificati alla corte di Vienna a cura del signor provveditore straordinario in Terra-Ferma, con l'invito ad aderirvi, e nonostante fosse rifiutato, il presente trattato non cesserà di avere piena esecuzione tra le parti firmatarie.

L'Articolo 8 porta le firme dei soli Bonaparte e San Fermo.

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Osservazioni sul Trattato di Sant'Eufemia

Come vediamo, il Trattato di Sant'Eufemia è un testo molto breve, eppure si tratta del vero atto formale di abdicazione della Serenissima, ben prima che questa abdicazione fosse divulgata e resa ufficiale dalla "Conferenza" del Manin e degli altri congiurati un anno dopo.
A questo Trattato di Sant'Eufemia si informò tutto il susseguente comportamento remissivo del Governo di Venezia.

L'abdicazione di Venezia alla Sovranità sui propri Domini è già esplicitamente dichiarata nel primo Articolo.

La Serenissima permetterà a due Potenze in guerra tra loro di usare i suoi Territori per le loro operazioni belliche, e questo sarebbe in sé mostruoso anche se si fosse trattato di una guerra convenzionale condotta con sussistenze proprie da entrambe le parti.
Al contrario, era ormai arcinoto che l'Armata Napoleonica si alimentava con i metodi dell'orda barbarica, ovvero saccheggiando e depredando i paesi che attraversava o veniva a occupare.

L'Articolo 2 (come poi il sesto) sembra fatto per rassicurare un Senato disattento e paralizzato, ma in realtà non è che la preparazione al seguente, sancendo che la Repubblica non potrà considerare atti di guerra l'assedio e la eventuale distruzione delle sue Piazzeforti.

L'Articolo 3 avrebbe già potuto essere scritto nella forma: "La Repubblica di Venezia consegna le proprie postazioni di difesa all'Armata Francese". Infatti proprio il giorno precedente 26 Maggio 1796, gli Austriaci erano entrati nella Fortezza di Peschiera, e in virtù di questo Articolo i Francesi acquisivano il diritto di presidiare tutte le altre fortificazioni Veneziane.

La lettura di questo articolo riempie di significati che prima ci mancavano, la manovra coordinata su Peschiera di Liptal agli ordini del Beaulieu e di Berthier con Augereau a quelli di Napoleone: come ricordiamo, gli Austriaci erano entrati nella Fortezza di Peschiera, per abbandonarla quattro giorni dopo, il 30 Maggio 1796, nelle mani di Augereau senza bisogno di alcun assedio (cfr. Pubblicazione XI).

L'Articolo 4 risulta interessante per il fatto che Beaulieu si offre spontaneamente di rispettarlo nelle sue comunicazioni col Carrara Comandante di Peschiera, quando a rigore non poteva nemmeno essere ancora al corrente dell'esistenza del Trattato di Sant'Eufemia.
Certo, con la dichiarazione sugli inventari potremmo essere di fronte alla volontà dell'Ufficiale Austriaco di mantenere un comportamento onorevole, ma la perfetta sincronia degli avvenimenti e l'incongruenza delle mosse austriache in quell'occasione mettono in serio dubbio questa ipotesi. Egli del resto già abbondantemente si disonorava ordinando l'occupazione di una Fortezza neutrale.
Al contrario, nella luce del Trattato di Sant'Eufemia e dei futuri Preliminari di Leoben, la presa e l'abbandono di Peschiera da parte degli Austriaci assumono una logica che direi inoppugnabile.

L'Articolo 5 stabilisce a forfait un risarcimento a Venezia per i danni di guerra irrevocabilmente fissato a priori in tre milioni.
Solo una settimana dopo, il giorno 8 Giugno, Napoleone estorcerà proprio quella somma a Erizzo e Battaja nel colloquio di Roverbella, con la promessa di fare con quel versamento cessare i saccheggi e le requisizioni, che ovviamente invece continueranno ad aumentare.
Abbiamo visto che chiederà e otterrà altri sei milioni dopo l'udienza concessa a Pesaro e Corner in Gorizia il 25 Marzo 1797. Direi che possiamo archiviare l'articolo come un semplice sberleffo.

L'Articolo 6 è quello che, almeno nei primi tempi, giustificherà il Trattato di Sant'Eufemia agli occhi del distratto e rimbecillito Senato Veneto: i Veneziani e il Dogado saranno lasciati tranquilli a prezzo del sacrificio delle Province di Terraferma e di un po d'oro.

L'Articolo 7 é il secondo capitolo dell'abdicazione di Sovranità da parte di Venezia. Essa non potrà aumentare in alcun modo le proprie truppe in ossequio agli invasori.
Contiene però anche un argomento a mio modo di vedere assai più importante, al fine di comprendere le dinamiche sottili di quell'intrico di assurdità: la designazione della "Confraterna Vivante" come appaltatore unico ed esclusivo di tutti gli approvvigionamenti di guerra (vedi Nota 2 sul Sanfermo e Nota 3).

L'Articolo 8 contiene clausole che fanno del Trattato di Sant'Eufemia una patente violazione della Neutralità veneziana. Francia e Venezia si accordano infatti tra loro a prescindere dall'opinione della Casa d'Austria. Non solo, a quest'ultima non dovrà essere presentato l'intero corpo dell'accordo, ma solo i primi sei Articoli. Si tratta a tutti gli effetti di un patto di favoreggiamento ai francesi, se non di una vera e propria alleanza segreta.

Che Rocco Sanfermo sia un Plenipotenziario più "plenipotente" del suo collega Benedetto del Bene, e che Napoleone mantenga i suoi segreti anche con i più stretti collaboratori, ci è mostrato dal fatto che quest'ultimo articolo, il capestro più stretto di tutti, viene stipulato solo da loro due.

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Landrieux racconta che dopo la stipula del Trattato di Sant'Eufemia Napoleone rise per tutto il suo viaggio fino a Binasco, dove condivise la sua ilarità con Kilmaine.
Landrieux stesso, riaccompagnando Del Bene e Sanfermo ai loro alloggi non poté astenersi dal deriderli per quello che avevano firmato.

Dal canto suo, si spiegò questo inqualificabile comportamento dei Plenipotenziari veneti con il fatto che essi erano stati accolti molto rudemente dallo Stato Maggiore Francese, e che si trovavano sotto l'effetto del timore e della sorpresa.
Ma il re degli spioni in questo caso si sbagliava: Sanfermo avrà modo di dimostrare nel castello di San Felice, di non essere un codardo a tal punto, e alla luce di quel che ormai sappiamo, è assai probabile che lasciasse Sant'Eufemia pensando che avrebbe riso bene chi rideva ultimo.

Dopo questo aneddoto, Landrieux dà la stura alle sue lapalissiane bugie, ma anche in mezzo a queste troviamo un frammento di verità interessante.

Egli dice dunque che, forte dei fatti di Peschiera, e in nome del Trattato di Sant'Eufemia, Napoleone cominciò a introdurre le sue guarnigioni in tutti i forti veneziani alla sua portata, e in particolare a Bergamo.
Sulla presa di questo castello, Landrieux trasforma il timido Ottolini in un feroce capobrigante, che oppone strenua resistenza all'ingresso dei Francesi, i quali sarebbero stati costretti a espugnare Bergamo con la forza e a fucilare cento tra Ufficiali, sottufficiali e soldati.
Landrieux sarà pure nato nel Dipartimento della Tarn, ma è indubbio che la sua patria d'elezione avrebbe dovuto essere la Guascogna.

Il frammento di verità che ci interessa, però, è quando egli afferma due cose:

A - Che fu un grave problema effettuare questa manovra a causa del ridotto numero di soldati e soprattutto ufficiali di cui Napoleone disponeva.

B - Che per sopperire a questa penuria, Bonaparte fu costretto ad affidare la maggior parte delle fortificazioni minori a ufficiali inferiori nominati Comandanti di piazza sul momento, accompagnati da una minima scorta.

Questi Ufficiali avrebbero poi aumentato la loro guardia reclutando spadaccini di passaggio e disertori.

La maggior parte di loro riuscì tanto bene in questo intento, da procurarsi forze sufficienti a saccheggiare le città stesse e le campagne vicine. Acquisendo ricchezze in tal modo, questi, loro sì veri e propri capi-brigante, non trovavano poi difficoltà a far regolarizzare le truppe d'accatto da qualche Generale compiacente.

Landrieux conclude le sue notizie sulla stipula del Trattato di Sant'Eufemia dicendo che lo Stato Maggiore Francese decise di tenerlo segreto nella sua forma documentale, nel timore che il sarcasmo che avrebbe suscitato in tutta l'Armata potesse provocare troppo i Veneziani. Altrettanto fu tenuto tanto segreto dai Plenipotenziari veneti al punto che, come testo esplicito non lo ritrovò neppure Cristoforo Tentori, o forse ne ebbe tanta vergogna da non osare pubblicarlo.

Un segreto che è rimasto ben custodito fino a oggi, dal momento che non si trova traccia di questo Trattato con alcuna ricerca Internet, nemmeno in quelle specifiche alla Biblioteca Nazionale Francese dove in realtà è conservato nel libro di Landrieux.

Speriamo che questa mia pubblicazione abbia miglior fortuna.

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A parte l'Articolo dedicato al Vivante, questo Trattato di Sant'Eufemia non contiene che vuoti formalismi, espedienti per "salvare la faccia" nel senso più ipocrita di questa espressione.

Alla luce del Diritto Naturale e di quello Sostanziale, il Trattato stesso non può in alcun modo essere considerato valido, in quanto rientra pienamente nella categoria dei "patti leonini", già contemplati e condannati anche dal Diritto Romano.

Tuttavia il formalismo, o "etichetta" rivestiva e ancora purtroppo riveste un ruolo fondamentale nella costituzione e nel mantenimento delle gerarchie nelle strutture di Governo.

Per quanto barbara e feroce sia l'ingiustizia che uno Stato va a esercitare, è considerato fondamentale che la sua azione sia formalmente sostenibile, che non appaia all'evidenza l'insieme di intrighi e di soprusi che vengono perpetrati.

Le violazioni all'etichetta venivano e vengono infatti strumentalizzate dagli avversari di fazione o dinastia per tentare di delegittimare di fronte all'opinione pubblica chi le commettesse troppo platealmente.

Anche questo è un discorso che può essere oggetto di lunga analisi, ma per il momento ci basti sapere che "etichetta" è un diminutivo di "Etica", o meglio, il suo vuoto fantasma.

Umberto Sartori

Note

Nota 1 - Accenni ai segreti noti solo a Napoleone e all'inspiegabilità delle sue vittorie e della sua sopravvivenza in Tirolo si trovano da pagina 102 delle Memorie.
Dalla Nota a pagina 105:

Sarebbero queste forze ridicole ad aver deciso l'Austria a siglare i preliminari di Leoben?

Nota 2 -

Rocco Sanfermo è forse la figura più enigmatica ed elusiva che ho incontrato in questi studi.
Egli ne è protagonista fin dalle prime pagine, quando svolge ruolo di collegamento con la Corte piemontese e più in generale con tutte le forze europee interessate alle Leghe per la difesa ideologica dalle infiltrazioni francesi.

Sarà ancora mallevadore dei trattati di pace e di alleanza che disfarono le coalizioni anti-Francesi, ragione per cui sarà escluso dagli incarichi diplomatici all'Estero e richiamato a Venezia come Segretario di Stato (Circospetto) e addetto ai codici di crittazione (Cifrista).

È opinione corrente che il Sanfermo fosse un agente francese. Lo accuserà apertamente Francesco Agdollo, agente doppiogiochista della corte di Sassonia e degli Inquisitori veneziani, ne sembra convinto Cristoforo Tentori, e dichiara di averlo pensato lo stesso Landrieux.

Ma è proprio quest'ultimo, che infine scagiona il Sanfermo da quell'accusa. Egli aveva ricavato la prima impressione dal fatto che Rocco Sanfermo aveva costituito uno dei due partiti segreti che dividevano il Senato Veneziano in quegli anni: il partito degli "innovatori" che, contrapponendosi a quello dei "conservatori", di cui era esponente il Giovanelli, aveva praticamente portato alla paralisi quell'organo di Governo, con evidente vantaggio delle manovre filo-francesi.
Tuttavia, venendo a conoscerlo meglio, Landrieux muta la sua opinione. Giungerà infine alla conclusione che il Sanfermo fosse un sincero patriota e una persona senza macchia, come vediamo nella nota a pag. 214 - 215 delle Memorie (557 - 558 nell'edizione digitale).

Lo considera un ingenuo, forse un vigliacco, lo deride apertamente dopo la firma del Trattato di Sant'Eufemia, ma lo esclude dal novero degli agenti doppiogiochisti al servizio della sua Armata.
Anche qui non c'è ragione di ritenere che Landrieux menta, dal momento che non sembra intenzionato a mantenere il segreto sui nomi degli altri agenti. Ce ne elenca molti, dalle pedine alle figure importanti come il Provveditore Giovanelli. Ma scagiona recisamente Sanfermo.

Io stesso, fino a questo punto dei miei studi, non riuscivo a "inquadrare" Rocco Sanfermo, e lo ho spesso qualificato come "ineffabile".
Se da un lato infatti pesavano le azioni decisamente sfavorevoli a Venezia da lui compiute, dall'altro i suoi dispacci da Torino erano veritieri e, in taluni casi, persino accorati nel sostenere la necessità di arginare la propaganda ideologica giacobina, nonostante sia assai probabile che lo stesso Sanfermo lavorasse alacremente alla formazione e al consolidamento delle società segrete.

Sempre al Sanfermo, oltre che all'Ambasciatore Cappello, si deve se Venezia fu avvisata (pur inutilmente) fin dai primordi della guerra, dal 1790 addirittura, delle intenzioni malvage dei Francesi verso Venezia.
Col Dispaccio del 5 Aprile 1795 è Rocco Sanfermo a informare che i Francesi progettano lo scambio dei suoi Domini con i Paesi Bassi (Olandesizzazione), dopo che nel 1794 aveva più volte lanciato l'allarme per le manovre di corruttela da parte dei Francesi sui Magistrati e i Savj veneziani.
Ancora sarà il Sanfermo, a essere inviato per richiamare all'ordine lo sguaiato Battaja e la sua corte, che esponevano troppo liberamente le loro inclinazioni giacobine.

Vedo una sola maniera di spiegare questo ambiguo comportamento, questa capacità del Sanfermo di tradire senza mentire: il suo Amor di Patria, la sua ragion d'essere, erano al servizio non dei Francesi, non di Venezia, ma di una terza parte, e questa terza parte non può che essere l'alta regia degli eventi.

Ritengo che l'Articolo 7, di questo fantomatico Trattato di Sant'Eufemia, dove l'intero apparato degli approvvigionamenti di guerra viene assegnato in esclusiva assoluta alla Confraterna Vivante, sia una buona prova a sostegno di quel che scrivo.
Per notizie approfondite su questa Famiglia, e la storia della sua ascesa sociale, economica e politica in Venezia nel corso di poco più di cinquant'anni, ancora una volta rimando alla lettura dell'ottimo lavoro di uno dei discendenti, Cesare Vivante: "La memoria dei padri, cronaca, storia e preistoria di una famiglia ebraica tra Corfù e Venezia".

Sanfermo dunque non è un avventuriero, ma uno dei pochissimi nomi tra quelli che compaiono in queste vicende che serve un Ideale, una causa ultrapersonale: la riconquista della sua propria vera Patria: Israele. Egli è del resto un crittografo, mestiere tipico quanto altri mai dei Cabalisti d'Israele.

Per la prima enunciazione della componente Sionista negli eventi dell'epoca, si veda anche la Pubblicazione II.

Purtroppo l'Archivio di Stato di Venezia ha subito ormai due secoli di saccheggi continuati, e in particolar modo è stata resa estremamente lacunosa se non affatto mancante la documentazione relativa al periodo che ci interessa in queste pubblicazioni.
Vi ho però potuto ritrovare proprio oggi (17 Dicembre 2014) una Relazione di Antonmaria Priuli, Residente veneto a Verona, datata 18 Febbraio 1796 che contiene le note di qualifica del Sanfermo; da Archivio di Stato di Venezia, "Relazioni al Collegio" busta 50:

... Consigliere nelle circostanze più ardue e stringenti. I suoi già noti non comuni talenti, l'esperienza nel maneggio dei politici affari, la cognizione dei rapporti dell'estere cose da lui acquisita nelle sostenute residenze, l'abitual conoscenza delle Pubbliche Massime, e finalmente la pura fede, il distinto suo zelo per il reale servigio di V. S., la sua rara instancabilità nel travaglio siccome lo resero il più sicuro appoggio delle mie direzioni così lo costituiscono nel più benigno grado di benemerenza.
Tributato alla verità, ed alla giustizia il dovuto riferimento all'utile servigio di questo abile Ministro di V.V. E.E., devo ...
(seguono lodi più stringate di altri collaboratori e funzionari).

Con una simile reputazione, non stupisce dunque di trovare, solo tre mesi dopo, Rocco Sanfermo come plenipotenziario a Sant'Eufemia.

Impossibile per noi determinare quanto Landrieux comprese di quest'uomo, ma di una cosa si accorse: egli era un uomo diverso, da lui e dalla maggior parte dei protagonisti di quegli eventi, e gliene rese, pur sbrigativamente, il merito.

Nota 3 - Che la Fraterna Vivante (Lazzaro, Jacob Vita, e Nepoti Vivante) ricevesse effettivamente questo incarico in esclusiva trova ampia testimonianza documentale nei fondi dell'Archivio di Stato di Venezia, soprattutto nei famosi "bollettini del Contador di Zecca", ricevute infilzate su chiodo ma anche in altri lacerti sopravvissuti al saccheggio.
Ecco un elenco dei documenti che ho personalmente individuato.

Fondo Zecca e Banco Giro/busta 1118/Parti Senato/Copie di Banco/Bollettini del Contador 2051-2389 - anno 1796
Carta 2382 6 Giugno 1796 30.000 lire a Vivante per generi richiesti dal Provveditore Generale in TF. con lettera del 2 Giugno.
Carta 2389 23 Luglio 1796 30.000 lire a Vivante sempre per i beni richiesti il 2 Giugno.
Fondo Zecca e B. G./busta 1203/Parti Senato/Copie di Banco/Bollettini del Contador 2701-3270 - anni 1796-1797
Carta 3172 18 Febbraio 1796 m.v (1797) 30.000 ducati di banco a Vivante per acconto crediti provvista generi somministrati alle Estere Truppe giusto Decreto 15 Ottobre.
Carta 3172 18 Febbraio 1796 m.v (1797) 30.000 ducati di banco a Vivante per acconto crediti provvista generi somministrati alle Estere Truppe giusto Decreto 22 Ottobre.
Carta 3173 18 Febbraio 1796 m.v (1797) 30.000 ducati di banco a Vivante per acconto crediti provvista generi e derrate.
Fondo Zecca e B. G./busta 1204/Parti Senato/Copie di Banco/Bollettini del Contador 1-600 - anno 1797
Da carta 220 a carta 225 ricevute di pagamenti alla ditta Lazzaro, Jacob Vita, e Nepoti (Fraterna Vivante) 30.000 ducati di banco per provvista generi e Derrate alle Estere Truppe, ed a conto de' suoi crediti. Le sei ricevute hanno tutte data del 4 Marzo 1797, ma riferiscono a date diverse delle forniture, con cadenza settimanale.
Fondo Zecca e B. G./busta 1205/Parti Senato/Copie di Banco/Bollettini del Contador 601-900 - anno 1797
Carta 827 11 Marzo 1797 in Pregadi decreto di pagamento alla ditta Lazzaro, Jacob Vita e Nepoti Vivante 40.000 ducati di Banco per acconto crediti provvista generi somministrati alle Estere Truppe.
Fondo Zecca e B. G./busta 1209/Parti Senato/Copie di Banco/Bollettini del Contador 2201-2552 - anno 1797
Carta 2512 20 Gennaio 1796 m.v. (1797) 50.000 ducati di banco alla Ditta Vivante per acconto crediti provvista generi somministrati alle Estere Truppe.
Carta 2513 26 Aprile 1797 30.000 ducati di banco alla Ditta Vivante per acconto crediti provvista generi somministrati alle Estere Truppe.
Carte 2407 - 2418 Gennaio - Maggio 1797 pagamenti circa settimanali per ducati 40.000 (3), 25.000, 50.000, 30.000 (4) 20.000, 10.000 . generi somministrati alle Estere Truppe.
Fondo Inquisitori di Stato/busta 1252/primo fascicolo (Informazioni su G. Andrea Spada)
Nei carteggi del Gennaio 1796 m.v. (1797) di vari appaltatori (Lorenzo Beltrame da Verona, Ottavio Baroni e Francesco Bertelli da Brescia, Carlo Barbieri da Salò Paolo Miscio da Bergamo) con lo Spada incaricato dei dazi su olio e sale in transito sul Garda e dintorni, viene spesso citato il Vivante come figura centrale sia dei traffici che delle trattative con i Francesi.
In una lettera di tale Franco Pandini allo Spada si menziona che la maggior parte delle imbarcazioni sono sequestrate da emissari della ditta Vivante per le forniture ai Francesi.
Fondo Senato/Dispacci Provveditori/busta 116
Inserto 1 al Dispaccio Foscarini n. 20 8 Giugno 1796 (cofirmatari Battaja e Giacomo Sanfermo)
Gaeano Vela istituito commesso della ditta Vivante.
Dispaccio 29 11 Giugno 1796 incarico segretissimo al Vela per far abradere le marche venete dalle armi che provvederà a consegare a Massena.
Dispaccio 30 18 Giugno 1796 Massena si rivolga a Vivante per alcune irregolarità nelle armi ricevute dal Vela.
In coda alla busta resoconti con firme autentiche del Vivante.
Fondo Consiglio di Dieci/deliberazioni/Secrete/Filze/Busta 81 - anno 1797
Fascicolo Lallement 12 Aprile
6 Aprile Ducale a Giovannelli in Verona comunica che sono stati rimessi ai Deputati e Aggionti alla Provvision del Denaro "i conteggi trasmessici dalla Ditta Vivante e d'essersi nel tempo medesimo commesso al Cassier del Collegio il gitro di Banco di Ducati 30.000 V.C. a conto del di lei credito.".
Fascicolo Polesine 5 Aprile 1797 C.X.
Damò 30 Marzo seconda carta trasmessa al Provv. Estr. e al Cap. V.P di Verona, commesso Al Savio Cassiere del Collegio giro di Banco al nome della ditta Vivante ducati 30.000 a conto del di lei credito.
Fondo Inquisitori di Stato/busta 374/Lettere del Rettore di Verona Nov. 1795 Sett. 1796
Sesto Fascicolo Maggio - Agosto 1796
Lunghi manoscritti di Rocco Sanfermo e Vita Vivante in merito a pagamenti effettuati a Saliceti e Napoleone.
Storia di Venezia, bollettino pagamento ditta Vivante

Ha ricevuto l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Savjo Cassier dell'Eccellentissimo Collegio, infrase dall'Illustrissimo ed Eccellentissimo Cassier del Deposito di Zecca cinquantamilla Lire di banco per dar alla Ditta Lazzaro, Jacob Vita e Nepoti Vivante a conto de' suoi crediti per provvista Generi, e Derrate per le Estere Truppe §50000§
Francesco Calbo Savjo Cassier


 

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Edizione HTML a cura di Umberto Sartori. Consulenza bibliografica dott. Paolo Foramitti