Storia di Venezia

Pagina pubblicata 5 Dicembre 2014

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - XL

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , XL
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

Vai a pagg. 45 - 58 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 58 - 72 | Vai a pagg. 72 - 76

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

Storia di Venezia, Salò, un piccolo paese che può diventare fonte di molti chiarimenti

Salò, un piccolo paese che può diventare fonte di molti chiarimenti.

Da pagina 58 a pagina 66, Tentori riporta la Relazione da Udine dei Deputati "Francesco Pesaro K. e Procurator di S. Marco, e Zan Battista Cornaro Savio di Terraferma", sul loro incontro in Gorizia con Napoleone Bonaparte, spedita da Udine il 25 Marzo 1797. Tale Relazione proviene dall'Archivio Segreto della Repubblica.

Passata l'ora fissata da Napoleone per incontrarli in Udine Giovedì 24 Marzo 1797, i Deputati Pesaro e Cornaro decidono di raggiungere il Generale a Gorizia, dove giungono verso la sera.
Nel viaggio hanno modo di notare e riferiscono il "dolente spettacolo" delle poche città venete lungo quell'itinerario, "devastate e saccheggiate dalla licenza delle Estere Armate".
Osservano anche la rapida demolizione delle Mura e delle fortificazioni di Gradisca.

A Gorizia trovano Bonaparte impegnato a contrattare la resa di Trieste con quattro Commissari di quella città; il Generale tuttavia concede loro un'udienza di tre ore.

Dopo i consueti convenevoli adulatori, i Deputati presentano protesta per i fatti di Bergamo e Brescia.

Napoleone afferma di essere a conoscenza dei fatti di Bergamo, ma non di quelli in Brescia. (1).
Sostiene che dai suoi rapporti risulta che sia stata la popolazione a effettuare la sommossa, forse incoraggiata dalle "massime Francesi" e animata dall'esempio della vicina Milano, ma senza alcun concorso delle milizie francesi.
Tuttavia, in omaggio alle rimostranze dell'amico Governo veneto, avrebbe disposto un formale processo in Milano a carico del Comandante delle Truppe francesi di Bergamo, promettendo di punirlo ove da tale processo fosse emersa una sua qualche responsabilità nei fatti occorsi in quella città.

I Deputati ringraziano per la promessa di punizione del Generale, ma fanno notare che ciò che sta loro a cuore è soprattutto ricondurre Bergamo e Brescia sotto il loro paterno Governo, e ottenere da lui il permesso di agire con la forza contro quei pochi ribelli che non rappresentano la maggioranza della popolazione, ma solo un manipolo di teste calde e avventurieri, che si fanno forti solo della presenza francese nei castelli delle città.

È dunque necessario, al fine che la Repubblica possa inviare proprie Forze Armate in quelle città, che le guarnigioni francesi siano avvertite che tali manovre non sono intese a rompere la neutralità nei loro confronti, ma solo a sedare ribellioni interne allo Stato Veneto.
Sarebbe anzi opportuno che, in occasione di tali spedizioni atte a ristabilire l'ordine costituito, le guarnigioni francesi si ritirassero momentaneamente dai due Castelli di Bergamo e Brescia che attualmente presidiano e che non si trovano sotto alcuna possibile minaccia da parte austriaca.

Napoleone rifiuta l'opzione col pretesto di doversi in ogni modo garantire una eventuale ritirata.

Suggerisce inoltre che, se per caso le spedizioni della Dominante dovessero uscire sconfitte dallo scontro con i ribelli, questo avrebbe accelerato le sommosse che, come lui sa, sono latenti in molte altre Province.
Del resto, se i veneziani vogliono seguire quella via, facciano pure, purché non rivolgano le armi contro le guarnigioni francesi.

Largo di consigli, suggerisce ancora che il modo migliore di risolvere la questione sarebbe affidare il ristabilirsi dell'Ordine costituito proprio alle guarnigioni francesi delle due città.

È la volta dei Deputati di ritenere impraticabile questa via, in quanto affidare l'Ordine a una Nazione straniera non potrebbe che rivelarsi controproducente per Venezia.
Sarebbe però stata auspicabile, a loro modo di vedere, una collaborazione delle guarnigioni francesi con le Truppe venete inviate a sedare le rivolte.

Napoleone nicchia, dicendo che sarebbe da parte sua segno di poca gratitudine, collaborare a reprimere coloro che si ribellavano in nome delle "nuove opinioni" di cui la Francia si era fatta portabandiera.
Lo farebbe solo su ordine espresso del Direttorio. A tal proposito, Bonaparte torna a caldeggiare, pur velatamente, che Venezia esca dalla neutralità e si allei con la Francia.

I Deputati difendono la Neutralità in questo conflitto come unico mezzo valutato dal Senato come atto a salvaguardare la Repubblica da mali maggiori, e che solo una volta firmata la pace, Venezia prenderà in considerazione la possibilità di alleanze.

Napoleone cerca di deviare il discorso dal tema riproponendo le lagnanze relative all'ospitalità concessa in Verona a Luigi XVIII e in Venezia al Duca di Mantova suo nemico. In particolare Napoleone si dice convinto che questi personaggi abbiano depositato nei forzieri veneziani immense ricchezze. Egualmente egli ritiene che in Venezia vi siano ingenti fondi appartenenti a suoi nemici, soprattutto al Re d'Inghilterra.

Lascia intendere di ritenere di poter avanzare dei diritti su tali ricchezze.
Le smentite in merito e i richiami all'inviolabilità della proprietà privata eventualmente in affido alla Serenissima da parte dei Deputati non sembrano convincerlo.

A questo punto Bonaparte dichiara che, dal momento che non si raggiungono pratiche conclusioni, è opportuno riflettere, e aggiorna l'udienza all'indomani mattina, "due ore prima del mezzo giorno" (da pag. 62).

Pesaro e Corner mettono a profitto la dilazione per un abboccamento con il Generale Berthier, convinti che questi abbia un forte ascendente su Napoleone.
Da pag. 62:

... abbiamo creduto di prevenirlo favorevolmente alle nostre viste con una officiosa visita, in cui nulla fu da noi trascurato per guadagnare la di lui persuasione, e per quanto ci parve in seguito non senza qualche utilità di successo.

Alla mancia per il Berthier i Deputati attribuiscono la benevolenza con cui Bonaparte li accoglie l'indomani.
Il "Generale in Capite" li accoglie dicendo che dopo aver riflettuto, ha deciso che i Veneziani possono fare come credono nelle questioni di Bergamo e Brescia, a patto naturalmente che non attacchino le sue truppe in quelle città e che lui sia preventivamente avvertito di ogni mossa.

Suggerisce però che, prima di muoversi militarmente contro i ribelli, i Veneziani attendano la risposta del Direttorio al promemoria presentato dal Querini il 15 Marzo, risposta che non avrebbe tardato molto a giungere.

I Deputati fanno osservare che ogni ritardo da parte del loro Governo poteva favorire l'espandersi dell'incendio ad altre città.

Napoleone dice allora che facciano come credono meglio, e che del resto lui è al corrente del fatto che vi sono già delle truppe in marcia dalla Serenissima verso la Terraferma. (2)

Poi il francese mostra una relazione sui fatti di Brescia che avrebbe appena ricevuta (presumibilmente quella del Battaja), assieme a una carta senza firme né data con la quale i golpisti bresciani ricercherebbero la protezione della Repubblica Francese.

Per consolidare in qualche modo le autorizzazioni alla difesa militare della Repubblica dai ribelli, concesse verbalmente da Bonaparte, i Deputati decidono di trascriverle in una lettera che gli consegneranno prima della partenza, e che Tentori riporterà integralmente tra qualche pagina.

La Relazione di Pesaro e Corner prosegue descrivendo un altro spinoso argomento affrontato nel colloquio.

I Deputati esprimono la speranza che, adesso che l'Armata Francese lascia il Territorio veneto spostando, di vittoria in vittoria, il teatro delle operazioni "nella Germania", lo Stato Veneto sarà sollevato "dall'enorme peso sofferto per oltre dieci mesi di provvedere in misure eccedentissime, e sommamente arbitrarie", alla sussistenza di detta Armata.
Osano persino sperare che dalla "giustizia e generosità" del Condottiero non sarebbero tardati a giungere i dovuti risarcimenti.

Napoleone è però di altro avviso. Proprio in quanto è aumentato di numero e si addentra in regioni montagnose, il suo Esercito maggiormente abbisogna di trarre sussistenza dalle retrovie italiane, e sarà dunque logico attendersi un aumento delle requisizioni.
A lui stesso non piace doversi avvalere di tali sistemi, ma si trova nell'assoluta necessità di provvedere di sussistenza le sue truppe.

Vi potrebbe però essere un espediente, per alleggerire il peso dalle spalle delle popolazioni venete.
Basterebbe che il Senato si impegnasse a versargli un contributo mensile di un milione di franchi per il periodo di sei mesi.

Riguardo alle "misure eccedentissime" esse non vanno imputate all'Esercito, il quale non riceve nemmeno la metà di quello che viene requisito ed elargito dalla Repubblica.

L'eccedenza è dovuta all'avidità personale dei suoi Commissari e delle "terze figure" che si occupano degli approvvigionamenti da entrambe le parti. Napoleone sostiene di avere più volte affrontato l'argomento con il Provveditore Straordinario Battaja (3).

Se dunque il Senato gli corrisponderà la somma mensile richiesta, Bonaparte si impegna non solo a far cessare immediatamente le requisizioni e le vessazioni sulla popolazione, ma anche contabilizzerebbe tutti i risarcimenti dovuti a Venezia in un unico "credito liquido, che la Nazione Francese non lascierebbe certo di soddisfare al momento della pace.".

Pagando in contanti, sempre secondo Napoleone, il Senato farebbe anche un figurone col Direttorio, che a suo dire aveva valutato assai di più i quattro milioni sull'unghia offerti dalla Repubblica di Genova, che tutte le immense requisizioni in natura effettuate con la forza nello Stato Veneto.

I Deputati tentano costernati di far notare che, in ossequio alla neutralità, Venezia si sarebbe poi trovata esposta a una richiesta analoga anche dalle Truppe austriache, ma Napoleone a questo punto li interrompe, facendo notare che gli Austriaci sono ormai fuori dall'Italia, mentre lui al presente occupa tutte le fortezze venete, ed è quindi in condizione di dettar legge.

Inoltre egli ritiene che l'Erario veneziano sia perfettamente in condizione di offrirgli quel denaro, e che se anche non lo fosse, dovrebbe avvalersi dei denari del Duca di Modena e degli altri nemici di Francia, "che egli (Napoleone) pretende d'aver titolo di reclamare".

Inutili i reclami da parte del Pesaro sul fatto che Venezia sia finanziariamente allo stremo e che non può trasgredire la fiducia di chi le avesse affidato in custodia le sue proprietà.

Napoleone dimostra di avere dati molto precisi sull'Erario veneziano, dai quali risulta ampiamente esaudibile la sua richiesta.
Ma anche non fosse, lascia intendere nuovamente di poter ottenere ormai qualsiasi cosa con la forza, dal momento che, occupando Palmanova (che sta rimettendo rapidamente in efficienza) e il porto di Trieste, egli ormai blocca Venezia da ogni parte.

La relazione si conclude con il rammarico per il sostanziale fallimento delle speranze veneziane. Tuttavia le parole gentili e le promesse di Napoleone avrebbero aperto al Senato alcune possibilità di negoziazione e al contempo meglio chiarite le intenzioni dell'invasore.

Pesaro e Corner si consolano ritenendo di non avere in alcun modo peggiorata "la condizione delle Pubbliche cose".
Attendono dunque la risposta di Bonaparte alla lettera con la quale intendono legarlo ai permessi di difesa da lui accordati verbalmente, prima di fare ritorno a Udine e da lì, piacendo al Senato, a Venezia.

Da pag. 66:

Udine 25 Marzo 1797
Francesco Pesaro K. Procur. Sav. del Consig.
Zan Batt. Corner Savio di T. F. .

Alle pagine 67 e 68 Tentori riporta il testo della lettera inviata dai Deputati a Bonaparte nella speranza che la sua risposta scritta desse consistenza probante a quelle promesse e richieste che aveva proferito verbalmente.

La lettera riporta tutti punti già esposti, e non necessita di essere riprodotta ulteriormente, ma può valere la pena di leggerla per vedere a quale risibile livello di adulazione potesse spingersi un "diplomatico" veneziano del tempo.

Nota la psicologia del Bonaparte, ancora una volta i Savj veneziani dovettero confermarlo nel suo disprezzo verso di loro.
Da pag. 67 - 68:

... attribuisco a somma mia ventura d'avere potuto, sebbene per pochi istanti, ammirare d'appresso quelle eminenti qualità, che rendono cotanto celebre e glorioso il di lei nome, ... per l'equità e per la generosità del li di lei sentimenti, ... le di lei benevole, e graziose disposizioni nelli funestissimi emergenti delle Città di Bergamo, e Brescia, ...
... li sentimenti del di lei animo equo, ed umano ...
Sommo conforto ho pure recato al zelantissimo Governatore di questa Provincia coll'assicurarlo della di lei umanissima propensione a promuoverne la maggiore tranquillità, ... .
E mentre egli unisce alli miei li suoi più vivi sentimenti di riconoscenza, io approfitto col maggior pregio di questo gratissimo incontro di ripetere a V. E. le ingenue proteste della somma mia stima, e della più alta considerazione.

Interessa invece riportare la nota a questa lettera che Tentori compila a pag. 68.

L'Abate rileva come nemmeno in questa lettera vi sia il minimo accenno a richieste di Napoleone in merito a un cambiamento della forma di Governo veneziana o a concessioni fatte dal Pesaro in tale materia.

Devono dunque considerarsi "atroce calunnia" le accuse rivolte al Pesaro dopo il suo allontanamento da Venezia, che egli fosse fuggito per avere occultato al Senato le sue trattative in materia costituzionale.

Napoleone del resto, non aveva ancora la copertura dei Preliminari di Leoben, e si trovava in stato di guerra ancora aperta, quindi non in condizione "di dichiarare le ingiuste e barbare sue pretese sopra i veneziani, avendo il nemico a fronte.".
Da Nota (1) a pag. 68:

Fu dunque una nera calunnia di quelli per l'appunto, che aspiravano al cambiamento del Governo come Figli sconoscenti, e perfidi Traditori della loro Patria.

Spiace dover contraddire l'Abate, ma egli non poteva essere al corrente del fatto che l'unità d'intenti tra Napoleone e l'Austria ai danni di Venezia datava da ben prima dei Preliminari di Leoben, nei quali solo si cominciò a precisare in dettaglio la spartizione dell'immenso bottino.

Questo non significa che a mio modo di vedere il Pesaro avesse effettivamente trattato la resa costituzionale di Venezia.
È anzi abbastanza probabile che così non fosse, dal momento che, come appunto meglio suggeriva precedentemente Tentori, egli non potrebbe in alcun modo aver avuto legittima autorità in tale materia, pertinente al solo Maggior Consiglio.

Però, dato il tenore di rapporto che abbiamo visto instaurare dal Pesaro con il Lallement, non mi sento di condividere l'opinione del Tentori sul Pesaro come "zelante cittadino".

-- :: --

Da pag. 68:

Mentre tali affari si maneggiavano a Gorizia, i ribelli Bresciani e Bergamaschi, mescolati a' Francesi, avevano sorpreso e rivoluzionato Salò col suo Territorio.

Il 25 Marzo 1797 Francesco Battaja, in merito, trasmette a Venezia un racconto resogli per iscritto dal "sig. Andrea Giacomini di Bogliaco Riviera di Salò, ma da molto tempo Abitante in Venezia".
Bogliaco è un agente agli ordini di Battaja, e dichiara che su incarico di quest'ultimo si trovava a Salò dal Martedì della settimana precedente (21 Marzo).

La mattina del 25 Marzo, mentre sta per imbarcarsi e tornare a Verona attraverso il lago, Giacomini ode uno strepito di cavalli che si avvicinano a Salò dalla parte di Brescia.
Sono tredici cavalleggeri con la divisa rivoluzionaria di Brescia, al comando del loro Generale Francesco Gambara. Entrano in paese al grido di "Viva la Libertà" e con altri slogan incitano i Salodiani a ribellarsi al giogo di Venezia.
Sono seguiti da una ventina di uomini armati di fucile a piedi, senza divisa, "che io riconobbi essere tanti sbirri, e spadacini".

Gli armati si portano al "Pubblico Palazzo", dove disarmano e imprigionano la guardia degli Schiavoni. Arrestano il Provveditore e si impadroniscono di tutte le Cancellerie e degli Archivi.

Nel frattempo giunge a piedi un'altra cinquantina di individui armati "fra quali trenta sbirri circa, e venti di Truppa Colletizia senza divisa colla sola Cocarda, e Pennacchio in testa;".
Questi portano un piccolo cannone, che al Giacomini è sembrato austriaco.

Il Generale accompagnato da questo seguito percorre a cavallo il paese, incitando i Salodiani alla rivolta, ma nessuno dei locali lo segue.

Essi cercano allora di istituire una Municipalità, secondo una lista di nomi già compilata a Brescia. Ma la maggior parte dei prescelti si era già dileguata, e solo alcuni, che si erano trattenuti in paese, furono costretti ad assumere l'incarico.

Come primo atto amministrativo la Municipalità compila "un esatto inventario di tutti i Pubblici effetti, de' Dazj, ed ogni altra Pubblica Cassa.".

Al Provveditore non viene effettuata alcuna violenza. Al Giacomini stesso gli assalitori propongono "Cariche luminose, ed una piena libertà, ed indipendenza alla mia Patria.".

Egli rifiuta adducendo di essere atteso a Verona per suoi importantissimi affari, e viene lasciato partire con l'invito a un pronto ritorno una volta sbrigati gli affari.
Tra i cavalleggeri, egli ha potuto riconoscere "un certo Francesco Milani di Salò, un certo Dominicetti pur di Salò, ed un certo Costa di Polgenace.".

Tra gli appiedati, invece, ha notato cinque Francesi, senza divisa, che si sono detti congedati dall'Armata Francese e riarruolati in quella Bresciana.
Da pag. 70:

In tutto Salò regna un silenzio ed una mestizia che sorprende il General medesimo.
Quest'è tutto quello, di cui io stesso fui Testimonio di vista; come pure viddi incominciarsi 1'imbarco dell'Equipaggio de' Schiavoni, che dicesi devono essere spediti a Verona.
Alle ore 17 circa mi partì, e ritornato in questa Città il tutto fedelmente espongo a Pubblica cognizione.
Q. H. L. C. & manu propria signavit Aetatis suae annorum 52 circiter, ut dixit.
Andrea Giacomini.

-- :: --

Il 25 Marzo 1797 si ricevono a Venezia le attestazioni di fedeltà del Cadore, di Feltre, di Belluno, di Desenzano e della Val Sabbia, che in difesa della Serenissima offrono "e sangue, e vite, e sostanze." (da pag, 70).

Il 26 Marzo 1797 arriva, con un dispaccio del Querini da Parigi, anche la risposta del Direttorio al Promemoria del 15 Marzo (quello poco più sopra citato da Napoleone).

Il Presidente del Direttorio (Carnot) e il Ministro delle Relazioni Esteriori (Delacroix) si erano mostrati stupiti alle notizie su Bergamo loro riportate dal Ministro veneziano, il quale dunque produsse al Delacroix, in data 23 Marzo, il Promemoria dettagliato.

Querini lo riassume brevemente (il testo del Promemoria è riportato alle pagine 21 - 23 del Tomo II) e racconta di aver espresso al Direttorio la "ferma lusinga" che il comandante della Piazza di Bergamo Le Faivre sarebbe stato disapprovato e richiamato ufficialmente all'ordine.

Il Direttorio palleggia e dichiara di voler attendere informazioni da Bonaparte.

Delacroix, a nome del Direttorio, il 2 Germinal (22 Marzo 1797) assicura di aver trasmesso il Promemoria al Direttorio, e che questo non manchera di dare alla Repubblica Veneta ""una nuova prova della sua Lealtà, e Amicizia."".

Carnot, interpellato sulla questione della difesa armata di Venezia dai ribelli, dà risposata analoga a quella di Napoleone, ovvero che il Senato Veneto era libero di prendere quei provvedimenti, laddove non attaccasse le Truppe francesi.

Querini termina il dispaccio con alcuni avvertimenti:

  • Il Direttorio non ha un piano politico, e si regola di volta in volta in base agli eventi.
  • Loro scopo principale è di allontanare l'Austria dall'Inghilterra, e di non fare la pace se non acquisendo il Belgio.
  • Le rivoluzioni in Italia sono fomentate allo scopo di compensare l'Austria con le città venete in cambio del Belgio.
  • Bonaparte è plenipotenziario, quindi il Direttorio non ha autorità su di lui.
  • Venezia deve prendere precauzioni.
  • Augereau va sostenendo che i Triestini hanno trasferito le loro ricchezze a Venezia.

Tentori commenta dicendo che l'evidente gioco di rimpallo tra il Direttorio e Bonaparte, unito alla loro manifesta malafede, mettevano in serio imbarazzo il Governo Veneto, e purtuttavia i Savj non si discostarono dal sistema della neutralità disarmata e dalla cattiva abitudine di nascondere i Dispacci molesti al Senato.

E che l'Abate non poteva avere nozione, di quali fossero stati i veri ordini del Napoleone, che noi apprendiamo in nota 4 grazie alle Memorie di Landrieux....

Cristoforo Tentori ci riporta adesso a Verona, e ai fatti che sconvolsero Salò, Desenzano e Crema, che vedremo in prossime Pubblicazioni.

Umberto Sartori


Note

Nota 1 - Napoleone mente, vista la lettera in merito speditagli per espresso da Battaja il 23 Marzo, nonché quanto apprendiamo sugli ordini da lui trasmessi a Landrieux di cui a Nota 4.

Nota 2 - Si tratta delle truppe richieste dal Battaja, pochi uomini con artiglierie fuori uso, come vedremo in prossime pubblicazioni. Vedremo anche come la reazione del Battaja fosse stata in realtà calibrata e prevista dal diabolico Piano Landrieux.

Nota 3 - Napoleone dimentica che era stato proprio lui, nel colloquio di Roverbella con l'Erizzo e il Battaja, a "suggerire" l'istituzione delle "basse figure" come incaricate degli approvvigionamenti.
Dimentica anche che egli aveva già istituito tali figure, sotto la supervisione del Vivante, nel Trattato di Sant'Eufemia, stipulato con i plenipotenziari veneti Del Bene e Sanfermo il 27 Maggio 1796, ovvero 10 giorni prima dello stesso colloquio con l'Erizzo e il Battaja a Roverbella.
È evidente, a mio modo di vedere, che le figure degli approfittatori di guerra erano state imposte al Napoleone stesso, da chi si occupava dell'alta regia degli eventi. È altresì ormai evidente che Napoleone gestiva trattative differenti con diversi poteri della Serenissima.
Il Trattato di Sant'Eufemia è stato fino a oggi del tutto trascurato da ogni storiografia, ma è adesso oggetto di una specifica Pubblicazione (vedi anche nota 5).

Nota 4 - L'azione contro Salò rientra perfettamente negli ordini segreti che Napoleone avrebbe comunicato il 16 Ventoso 1797 (6 Marzo), per mezzo di Berthier, a Kilmaine e Landrieux, come questi li riporta dalla pagina 85 alla 92 delle sue Memorie.

Da pagina 88 e seguenti - Berthier in Milano parla a Kilmaine e Landrieux:

"... Noi faremo in modo di raddoppiare e triplicare i torti dei Veneziani...
Ecco quello che dovrete fare voi che restate qui nelle retrovie
("con le vostre febbri", letteralmente, in riferimento alle paludi allora malsane della Lombardia).
"Noi sappiamo da consolidati rapporti che non sarà difficile fomentare un sollevamento dei Veneziani di Terraferma contro i Pantaloni.
È necessario, da oggi in poi, che agiate in ogni modo per ottenere questo risultato, senza però compromettervi.
Venezia, incapace di fornire un'armata contro l'insurrezione, inciterà i suoi Valligiani a prendere la sua difesa, ed ecco che l'incendio divamperà su tutta la Terra-Ferma.
Allora, voi chiederete ingenuamente ai capi di questi contadini di deporre le armi in virtù del trattato di Sant'Eufemia (5). Loro rifiuteranno e voi attaccherete.
Sta a voi di non aspettare che si organizzino efficacemente, e soprattutto dovrete avere l'aria di agire di testa vostra.
Agli insorgenti direte sottovoce che siete lì per difenderli ma di non divulgare questo fatto.
Loro si municipalizzeranno, si armeranno, e voi vigilerete solo che non diventino troppo forti.
Venezia, che blatera di avere in corso trattative con l'Austria
" (questo noi oggi sappiamo non essere vero, ma Napoleone, come abbiamo visto, non trascurava di disinformare anche i suoi, per i propri fini e per quelli dei suoi mandanti)", diventerà insolente e maltratterà le nostre retroguardie.

Storia di Venezia - Louis-Alexandre Berthier

Louis-Alexandre Berthier (courtesy of Wikimedia).

Nel caso non lo aveste notato essa sta già reclutando truppe" (riferimento al Piano Nani ma anche e soprattutto ai Manifesti di Battaja, il cui ruolo in queste vicende meriterà uno speciale approfondimento in una prossima Pubblicazione).
"Allora sarete voi, voi per primi, a reclamare contro la violazione del Trattato di Sant'Eufemia, vi adirerete, prenderete il tono della collera, della vendetta. Bisogna che tutta l'Europa oda il vostro grido.
Non ascolterete alcun ordine formale che vi venisse dal Generale in Capo o da me. Di fatto, noi non vi scriveremo affatto su questi affari, e se dovessimo decidere di fermare la vostra marcia, l'ordine vi arriverà a viva voce.
Dunque senza perdere tempo, ribaltate tutto, sfasciate tutto; prudenza, abilità, astuzia, forza: bisogna che tutto marci a tempo e soprattutto che non abbiate bisogno di noi
" (ovvero dell'Armata combattente).
"...
Ridete apertamente di chi vi dicesse che la Rivoluzione Francese e i nostri chiacchieroni di soldati hanno causato la rivoluzione a Venezia. "La colpa è degli Dei che la hanno fatta così bella", dice Berthier in uno scoppio di risa.
Sostanzialmente, amici miei, noi abbiamo bisogno che questo affare diventi presentabile al mondo. Senza di questo, buonasera e buonanotte. Dovremo tornare a dormire in Francia, senza aver concluso altro che perdere il mondo. Siamo minacciati da 2-300.000 Austriaci e il Direttorio dice di non poterci aiutare.
Scrivete poco, ma in modo che si possa a ogni occasione dimostrare il nostro valore a questa ciurma di Parigi, che vuole malgrado tutto governare con delle vecchierie, con le teorie più sofistiche del mondo.
Soprattutto, che non ci si possa attribuire il minimo torto apparente.
Quanto al resto, il Generale in Capo conta più sulle debolezze, sui peccati dei Veneziani e sulla vostra abilità nel metterle a profitto, che sulle forze armate che vi possiamo lasciare. ...
"

Landrieux, come vedremo parlando del Battaja e degli sviluppi dei fatti a Salò, lo prese alla lettera, inviando a Parigi rapporti platealmente falsificati soprattutto sul numero il comportamento e la sorte dei "rivoluzionatori" di Salò.

Quel che più conta, ai fini del valutare l'attendibilità nel caso degli ordini segreti ricevuti dal Berthier, è che nella sua comunicazione ad Augereau in Parigi del 30 Ventoso 1797 (20 Marzo) (pagine 232 - 233 della Biografia del Grasilier), Landrieux già informa del voltafaccia di Battaja, descrivendolo come strenuo difensore armato della Serenissima. Battaja lo diventerà, pur solo pro tempore, come minimo il giorno 21, ma più plausibilmente il 22.

Questo porterebbe nuova credibilità all'ipotesi di Tentori che Battaja fingesse, tuttavia ritengo che così non fosse, come vedremo più avanti.

Landrieux mescola anche ai fatti di Brescia eventi che ancora non sono accaduti, come l'invio dei cento cavalleggeri che Battaja mobiliterà invece nella difesa di Verona il giorno 21 o 22 Marzo.
Inutile dire che Landrieux inventerà per questi cavalleggeri un combattimento in cui saranno sconfitti, naturalmente da truppe di rivoluzionari locali.

In quella stessa comunicazione di Landrieux ad Augereau del 20 Marzo, apprendiamo anche che Landrieux aveva riscosso nel frattempo due importanti accrediti.

Viene nominato Generale in Capo dalle truppe insurrezionali della Lombardia.

Dall'altro lato, il residente a Milano Vincenti Foscarini si congratula della sua elezione a tale dubbio onore, e lo nomina mediatore tra la Repubblica e le Provincie "insorte".

Egli dovette questo incarico, oltre agli abboccamenti segreti con Foscarini e Ottolini (cfr. le Pubb. XXXVI e Landrieux), ai buoni uffici svolti dalla contessa Theresia Casati-Albani, che aveva un forte ascendente sul Foscarini.
Da una lettera della stessa in data 25 Germinal (14 Aprile 1797) vediamo il Landrieux ancora a colloquio in tale funzione con il Foscarini (pag. 238 Biografia Grasilier).

Nota 5 - Questo Trattato di Sant'Eufemia è una convenzione stipulata il 27 Maggio 1796 nell'omonimo convento Bresciano tra Napoleone e due inviati del Provveditore Generale in Terra-Ferma, muniti dei pieni poteri in merito: Benedetto del Bene e Rocco Sanfermo.
Il testo fu redatto ufficialmente da Landrieux, che si prese la responsabilità di questo contratto leonino dettato in realtà dal Bonaparte.
Presunte violazioni veneziane a questo patto furono tra gli argomenti della Dichiarazione di guerra Napoleonica a Venezia.

È un documento molto importante, in realtà è il vero documento che segna la fine della Repubblica di Venezia, ben prima di Leoben e Campoformio, e porta la firma di due Plenipotenziari veneziani.
Tuttavia non sembra essere mai stato pubblicato né studiato, e non compare ancora in alcuna ricerca Internet che io abbia potuto effettuare.
Anche nel reperimento di questo testo è stata fondamentale la collaborazione del dott. Paolo Foramitti.

È un trattato non validabile, in quanto presenta le caratteristiche del "patto leonino", e ne parleremo per esteso in questa Pubblicazione.


Vai a pagg. 45 - 58 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 58 - 72 | Vai a pagg. 72 - 76

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

TOP

   

Edizione HTML e grafiche a cura di Umberto Sartori. Consulenza bibliografica dott. Paolo Foramitti.