Storia di Venezia

Pagina pubblicata 21 Dicembre 2014

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - XLII

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , XLII
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

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|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

Storia di Venezia - Crema invasa dai Francesi

Crema invasa dai Francesi attraverso la Porta di Ombriano e quella di Serio (courtesy of http://www.ideararemaps.com).

La Relazione sui fatti di Crema fu ricevuta in Venezia il primo di Aprile 1797, ma Tentori, che la ritrovò nell'archivio "Secreta" della Repubblica di Venezia, la inserisce a questo punto perché essa narra eventi precedenti.

Dal giorno del colpo di stato a Bergamo, a Crema si sparse la voce che un analogo evento stava per avvenire anche lì. Tale voce ebbe origine da lettere private e dalla comparsa in città di elementi provenienti da Bergamo.
(N. di U.S. - Si trattava in larga parte dei primi effetti di quel "protocollo dei sollevamenti popolari" che vedremo più sotto enunciato da Landrieux).

Il Rappresentante veneto, Zan Battista Contarini, avviò indagini per saggiare i sentimenti della popolazione e ne ricavò che la stragrande maggioranza dei cittadini era contraria a idee di mutamento del governo. Ricevette anche il rinnovo del giuramento di fedeltà da parte dei "Capi de' Corpi", ovvero dei Gastaldi delle Corporazioni e degli Ufficiali delle Milizie locali.

Giunta anche la notizia dei fatti di Brescia, il Rappresentante animò i cittadini a predisporre misure di difesa. Si montarono batterie, si fecero magazzini di munizioni, si mise all'erta la Milizia Urbana e si ordinarono "Cernide" (reclutamenti) nel Territorio.

In occasione di un falso allarme, che indicava l'arrivo di armati da Brescia o da Bergamo, il popolo si mostrò infervorato alla difesa.

Verso i giorni 24 e 25 Marzo, si poté invece notare un certo raffreddamento dell'ardore bellicoso, dovuto al fatto che la popolazione temeva di non dover affrontare i semplici rivoltosi di Bergamo, ma le truppe regolari francesi.

Infatti il giorno 27 Marzo 1797, alle ore 15, comparve a una porta della città un corpo di Cavalleria francese.
Da pag. 77:

Recato tosto l'avviso alla Carica (cioé al Rappresentante), essa ordinò, che fossero osservati i soliti metodi, cioè, fossero chiuse le Barriere, alzati i Ponti, assicurate le Porte, e poste sotto l'armi la Guardia, e la Guarnigione;... .

Prese queste precauzioni, il Rappresentante inviò tre ufficiali a interrogare il Comandante francese sulle sue intenzioni.
Al loro ritorno, i parlamentari riferirono di essere stati accolti in malo modo dal Comandante francese, il quale asseriva che lo stato di neutralità con Venezia era stato rotto.

Stupito di questa notizia, il Rappresentante invita il Comandante francese ad abboccarsi direttamente con lui.
L'Ufficiale viene fatto entrare in città da solo e condotto al "Pubblico Palazzo".

Nonostante i modi adirati e scortesi del Francese, il Rappresentante cerca di convincerlo che Venezia è ancora in posizione di perfetta neutralità, senza del resto riuscirci.

L'Ufficiale esige di entrare in città con i suoi quaranta uomini, e promette che se ne andrà l'indomani, dovendo proseguire per Soncino.

Il Rappresentante ritiene di soddisfarlo, fa entrare gli uomini e somministra alloggi, viveri e foraggi.

In un secondo incontro, il Rappresentante rileva l'identità del suo ospite come "Capitano Garuff", della XVIma Demi-brigade.

Zan Battista Contarini riceve vivi consigli dai notabili Cremaschi di lasciare la città, in quanto si prevede un colpo di stato simile a quelli di Bergamo e Brescia.

Contarini rifiuta, sostenendo che lascerà Crema solo su ordine del proprio Governo o costretto con la forza.

Per tutto il giorno 27 Marzo 1797 gli invasori si comportarono con moderazione, mentre il loro Comandante ribadiva l'intenzione di ripartire l'indomani. Nel frattempo aveva inviato staffette in varie direzioni; verso le tre di notte ricevette tre espressi.

Alla stessa ora giunsero anche al Rappresentante le Ducali da Venezia che confermavano e ribadivano la neutralità della Serenissima e l'autorizzazione a reprimere qualsiasi ribellione locale.

Contarini mostrò le lettere del Senato ai Capi cremaschi, ma questi "dimostrarono anche in quest'occasione il loro smarrimento d'animo, persuasi, che dovessero già i Francesi operar la rivolta della loro Patria: ...".

Non avevano torto, in quanto verso le ore nove del 28 Marzo 1797, si videro avvicinare alla città altri due corpi di Truppe francesi, composti da circa 200 uomini ciascuno, uno dalla parte di Porta Ombriano, l'altro dalla parte della Porta di Serio.

Quando queste truppe furono giunte all'altezza delle barriere esterne della città, con un colpo di mano sincronizzato i cavalleggeri che già si trovavano all'interno di Crema sopraffecero le guardie alle porte con l'aiuto di alcuni degli esterni che si erano arrampicati sulle mura, e permisero l'ingresso in città dei nuovi arrivati.

In un baleno furono disarmate le guardie e occupate tutte le postazioni militari.

Zan Battista Contarini fu disarmato e fatto prigioniero "con cinque palossi sguainati e una pistola al petto".

Al comando di questa operazione figurava un Capitano francese denominato "Bettenach", coadiuvato dal "capitano Garuff" e da un certo "Longaretti Bergamasco", vestito da Ussaro francese.

Lasciato Contarini sotto guardia di sentinelle francesi nel suo palazzo, costoro si recarono a occupare la "Camera", il "Monte", il "Fontico", gli "Offizi" e le "Cancellerie".

Mentre i militari effettuavano queste occupazioni, "arrivò in carrozza un certo Lermite emigrato Francese insieme con tre Bergamaschi, Cont. Asperti, Locatelli e Tomini.".

Riuniti nella "Casa della Città", questi signori lasciarono trapelare di aver deciso il trasferimento del Rappresentante veneto, con i suoi funzionari e la famiglia, nel castello di Bergamo come ostaggi fino al rilascio dei prigionieri bergamaschi e bresciani prigionieri nella Dominante.

Tale voce provocò una reazione popolare di indignazione e gli aggressori ritennero di cambiare atteggiamento.

Alle ore 20 Lermite si recò da Contarini in compagnia di Locatelli e Tomini.

Lermite (Lhermite) è il solo a parlare, alla presenza di tutti gli Ufficiali veneti prigionieri. Egli segue il copione dettato da Landrieux.
Il Rappresentante non deve temere per la propria sorte, poiché i Francesi sono lì solo per garantire che non vi siano eccessi da parte dei "rivoluzionari".
Muterà solo la forma di governo, senza che per questo la Serenissima deva perdere la propria Sovranità.

Il Podestà veniva esonerato da qualsiasi Carica, ma fintantoché rimaneva lontano da Venezia a causa delle presenti vicissitudini, il suo tenore di vita, così come quello del Camerlengo, sarebbe stato garantito dall'affetto del Popolo Cremasco.

La risposta del Contarini fu che egli non intendeva muoversi da Crema che dietro ordine del suo Governo o costretto a forza.

Gli interlocutori se ne andarono dopo grandi attestazioni di stima e impiegarono il resto della giornata nell'organizzazione di Autorità provvisorie.

Giunse il corriere Sangiovanni da Venezia, recando Ducali al Contarini. Dopo la consegna fu arrestato dai municipalisti. Istruito dal Contarini raccontò di avere recapitato solo comunicazioni verbali pertinenti la ricezione a Venezia di precedenti dispacci da Crema, ma il Rappresentante fu poi interrogato su quali carte avesse ricevuto.

Ovviamente confermò la versione del Sangiovanni e fu lasciato in pace fino alla mezzanotte. A quell'ora gli fu comunicato che doveva lasciare il Palazzo per far posto ad alcuni Ufficiali francesi.
Contarini rifiutò con decisione, e dopo breve gli fu comunicato che la richiesta di sloggio era stata frutto di un errore.

La mattina del 29 Marzo 1797 si prepararono le cerimonie per l'erezione dell'Albero della Libertà.

Si disposero le orchestre sotto il Palazzo Pubblico e si costrinse sotto minaccia di morte un muratore a porre una catena al collo del Leone di San Marco in marmo.

La festa doveva cominciare alle ore 21, e fu richiesto al Vescovo di partecipare. Questi rifiutò, ma promise di affacciarsi al balcone.

Nella Piazza si raccolse gran folla di popolo, ma non sotto l'albero. La maggioranza dei Cremaschi fissava il piccolo numero dei festanti con aria intimorita e preoccupata.

A festeggiare danzando sotto l'albero solo un piccolo numero: i Municipalisti, i Francesi, alcuni Lodigiani e Bergamaschi, oltre ai detenuti che erano stati liberati dalle prigioni cittadine.

Alle grida di questi, inneggianti alla Libertà, rispondeva dal popolo circostante il grido sporadico di "Evviva San Marco".

Prima che si avviassero tali "festeggiamenti", nella Municipalità si era dibattuto sulla sorte del Rappresentante e degli altri Ufficiali veneti.
Francesi e Bergamaschi volevano condurli prigionieri a Bergamo, ma prevalse l'opinione dei Cremaschi, che volevano invece la liberazione.

Lhermite, accompagnato dal Marchese Gambazocca, si recò dunque dai prigionieri a comunicare che erano liberi, e che il Rappresentante sarebbe dovuto partire da Crema la notte stessa, mentre la partenza degli altri esponenti veneti si sarebbe effettuata nei giorni successivi.
Nel frattempo il Rappresentante doveva evitare di mostrarsi in pubblico e di ricevere visite personali.

Il Rappresentante concordò sull'opportunità di non mostrarsi in pubblico, cosa che avrebbe potuto creare tumulto nel Popolo per difenderlo dal sopruso che stava subendo, ma confermò che sarebbe partito solo costretto con la forza.

Cosa che avvenne il mattino seguente (30 Marzo 1797) alle ore 5, per opera del Capitano Bettenach.

Contarini riuscì solo a ottenere di essere accompagnato dal suo aiutante, dal Camerlengo e dall'Ufficiale di guardia al Ministero.
Sotto scorta del Bettenach, di un Municipalista e di guardie francesi, vennero condotti alla porta di Serio, dove furono imbarcati in due carrozze sotto scorta di cavalleggeri francesi, con l'ordine che fossero condotti a Cremona.

Al Rappresentante fu consegnato un passaporto emesso dalla nuova Municipalità. Chiedendone egli uno di francese, o almeno controfirmato dal Bettenach, gli fu rifiutato, con la spiegazione "che non occorreva, "mentre li francesi erano buoni amici della Repubblica di Venezia".".

Giunti a Cremona e scesi dalle carrozze, il Rappresentante e i suoi furono abbandonati dalle scorte, dalle carrozze e dai cavalli.

Per proseguire il viaggio si rivolsero quindi al Comandante francese di quella Piazza, che li munì di cavalli con i quali raggiunsero Verona "per via di Mantova".
A Verona Contarini depositò una breve memoria e poi proseguì verso Venezia.

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Su questo episodio dell'occupazione di Crema, disponiamo anche di una fantasiosa descrizione da parte di Landrieux, ma prima di riportarla è opportuno fare un passo indietro, fin dove il Capo dell'Ufficio Segreto Napoleonico ci dà notizie più attendibili e riscontrabili, relative a come egli organizzò e finanziò questi primi colpi di Stato nelle cittadelle venete, nonché ad alcuni protagonisti, poco noti, delle vicende occulte di quei mesi.

Queste notizie si ricavano principalmente dal Capitolo VII delle Memorie, che si apre con la trascrizione del verbale di una assemblea notturna del "Consiglio di Alta Polizia" tenuta a Milano il 9 Marzo 1797.

Tale Consiglio si componeva dei membri più influenti, dei più devoti e dei più abili dei Consigli di: polizia ordinaria, vigilanza, finanze e politica e degli affari esteri, instaurati a Milano da Bonaparte per gestire gli affari segreti della Lombardia.

Esso si riuniva a notte fonda, all'uscita dall'Opera, orario in cui tutti coloro che si decideva di convocare sarebbero stati liberi da altre occupazioni.

Il Consiglio di Alta Polizia era stato a lungo presieduto da Saliceti, al quale era succeduto il cittadino Porro.

Landrieux descrive Porro come un "demagogo indurito", ma con il raro merito di essere in buona fede.

Per lui, Kilmaine e Landrieux avevano sviluppato una versione ad hoc degli ordini di Berthier, nella quale non si parlava dei piani contro Venezia, ma solo di aiutare la fazione del Porro e la Repubblica Cisalpina a espandersi e consolidarsi.

Porro, all'oscuro dei retroscena, fu talmente entusiasta di questa offerta di aiuto francese, che convocò immediatamente una assemblea straordinaria dell'Alto Comitato.

Da questa assemblea Landrieux intendeva ottenere la copertura di una approvazione popolare da parte di quei Comitati che intendevano farsi scudo della protezione francese, nonché le cose di cui aveva più necessità: denaro e uomini. Ci riuscì.

Porro apre l'assemblea con un discorso veemente.

"Copie du proces verbal de la séance de nuit del Comités diplomatique, de police genérale et de finance reunis de la Lombardie et autres pays conquis. du 9 ventose an V de la republique Francaise (9 mars 1797)." (pagine 201 - 219, 544 - 562 ed. digitale).

Nella sua arringa, riportata dalla pagina 201 alla 213, Porro sostiene che Venezia arma in segreto le Valli e progetta alleanze con l'Austria, mentre i realisti francesi rappresentati da Barthelemy, Faypoult, Myot, Laplace e Jacob, hanno inviato Clarke a Milano per spiare Bonaparte.

I filo-austriaci milanesi e gli esiliati Piemontesi avrebbero complottato per assassinare il Residente del Re di Sardegna, salvato in extremis dalla polizia di Landrieux. Landrieux a sua volta sarebbe stato salvato dai fidi repubblicani Milanesi.

Porro dimostra in vario modo di non aver capito nulla di quel che sta succedendo, pensa che Napoleone sia stato inviato in Tirolo dai suoi nemici interni per distruggerlo, e vede dunque necessario agire nelle retrovie per consolidare la Repubblica Cisalpina e offrirgli una via di fuga qualora ciò avvenga.

Il discorso del Porro è lunghissimo e non privo di buon senso, soprattutto quando valuta i rapporti di forza tra gli Imperiali e Bonaparte una volta che quest'ultimo si fosse addentrato in Tirolo.
Tuttavia, il Porro è all'oscuro dei veri rapporti di forza in gioco, oltre che, come dicevamo, del fatto di essere strumentalizzato da Landrieux con informazioni alterate e parziali.

Dal suo discorso vale la pena di notare ancora che, a pagina 208, egli parla di un grande segreto che lui non può rivelare completamente, come non può rivelare i passaggi per cui ne è venuto a conoscenza.
Di tale segreto può solo dire che, se si agirà tempestivamente nel rivoluzionare i Domini Veneti di Terraferma al confine con la Lombardia, allora si uniranno alla Cispadana anche tutti gli Stati di Venezia, compresi quelli di là dell'Adriatico.

Alla stessa pagina Porro cita il Trattato di Sant'Eufemia come l'estrema follia del Governo Veneziano, che si illude di poter rimanere neutrale mentre due Potenze straniere si battono sui suoi Territori.
A pagina 209 Porro cita Vivante come banchiere incaricato da Venezia per le forniture alle armate belligeranti.

Sostanzialmente la lunga arringa del Porro espone una immagine estremamente negativa del Governo veneziano e caldeggia il supporto dell'Armata francese alle rivoluzioni che, con Salvatori e Landrieux, ha preparato nelle Province venete e nella Serenissima stessa.

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Dopo Porro, prende la parola Salvatori (1) (da pagina 213).

Racconta del suo lavoro di spionaggio e propaganda clandestina svolto a Venezia nell'Ottobre - Novembre del 1796.

A Venezia non poteva avvicinarsi a Lallement, in quanto l'Ambasciatore ufficiale francese era troppo sorvegliato.
Aveva quindi corrotto un "nobile della classe dei Segretari", che era segretamente legato a un agente della Legazione russa.

In nota Landrieux specifica che si tratta, come ben si poteva immaginare, del d'Antraigues, "nemico dei Francesi".
D'Antraigues, come abbiamo visto nelle pubblicazioni relative alla questione del Conte di Verona era in realtà un'altra figura internazionale, legata assai probabilmente all'alta regia degli eventi, esperto libellista ed estensore del famoso Manifesto di Luigi XVIII.

Dal D'Antraigues, più che dal proprio governo, il Segretario veneziano ricavava le informazioni che vendeva a Salvatori e sarebbe stato dunque D'Antraigues, a propria insaputa secondo il Salvatori, a ragguagliare i Francesi su ciò che accadeva in Senato a Venezia.

Salvatori dice di essere ancora in contatto con questo informatore per mezzo della rete commerciale degli Ebrei (casomai servisse una ulteriore conferma di chi fosse D'Antraigues il cui nome, tra l'altro, ricorda figuratamente Mosé).

Quando Landrieux si è recato con lui in segreto a Venezia, prosegue Salvatori, il suo lavoro è stato soprattutto quello di allacciare le fila per un sollevamento generale in questa Capitale.

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Interrompiamo il discorso di Salvatori per riportare una correzione da parte di Landrieux nella nota alle pagine 214 - 215 (557 - 558 ed. digitale).

Il suo lavoro a Venezia sarebbe stato di altro tipo: non si occupava di organizzare società segrete,(2) ma di raccogliere informazioni e informatori, attività sulla quale manteneva all'oscuro il Salvatori.

Nello specifico, era riuscito a scoprire che il Senato Veneto, in apparenza unitario, era diviso in due partiti.

Uno voleva che si facessero concessioni alla Terraferma, estendendo a quelle Famiglie alcuni privilegi riservati a quelle del Dogado. Di questo partito era a capo il Segretario di Stato Rocco Sanfermo.

Secondo Landrieux, quest'ultimo, a lungo sospettato di essere un agente pagato dai francesi, era invece un sincero patriota. Tuttavia il suo partito riuscì utile ai Francesi in quanto, dividendo il Senato, lo paralizzava.

L'altro partito, refrattario a ogni cambiamento, faceva invece capo a un "miserabile" di nome Giovanelli, che era stato assoldato da Bonaparte.(3)

La corruzione del Giovanelli trova conferme sia nel comportamento del soggetto a Verona che in onorificenze elargitegli più tardi dal Regno d'Italia.
Sempre secondo Landrieux Giovanelli, "simulando ardori e furori", riuscì a guadagnarsi la fama di più devoto fra i Senatori della vecchia guardia.

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Riprendendo il discorso di Salvatori, a pagina 216 lo vediamo enunciare la decisione dei rivoluzionari milanesi di devolvere tutte le loro risorse a Kilmaine: 1.500.000 franchi, più armi, munizioni ed equipaggiamenti.

Salvatori promette anche che quando le Province e Venezia stessa saranno in mano ai Cisalpini, essi azzereranno tutti i debiti dei Francesi con i Veneziani, i Genovesi e coi Vivante. Per rafforzare la sua espressione, pronuncia un suo assioma: "Il primo colpo di cannone paga tutto".

Nelle sue conclusioni, Salvatori dimostra un notevole acume (o di aver avuto accesso a informazioni molto riservate. La sua figura è infatti molto torbida e confusa ma ad ampio spettro logistico e temporale).

Sostiene infatti che l'Austria non stringerà alleanza con Venezia, e che le conviene invece farla conquistare ai Francesi con la forza, per poi acquisirla legalmente in nome di un trattato, come in effetti sappiamo che accadrà.
Usa questo argomento, naturalmente, per sostenere la necessità che sia la Repubblica Cisalpina a divenire forte a sufficienza da divenire erede della potenza della Serenissima.

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Dopo Salvatori, dalla pagina 218 (561 ed. digitale) parla l'uomo che Landrieux ha delegato a rappresentarlo in quella riunione, indicato come "cittadino Comeyras".

Questi ha l'incarico di porre le condizioni per l'appoggio militare francese ai colpi di Stato nelle Province venete.
Richiede:

  1. Che il mandato per il trasferimento dei fondi (1.500.000 franchi) sia stracciato a discrezione del Presidente Landrieux, ovvero che non resti traccia bancaria di quel finanziamento.
  2. Che tale somma sia consegnata a Kilmaine su semplice richiesta verbale senza rilascio di alcuna ricevuta.
  3. Che l'aiuto francese alle sollevazioni della Terraferma sia segreto, e che si facciano apparire al Mondo come effetto di malcontento popolare.
  4. Che si forniscano a Landrieux agenti quanti ne chieda, pagati dal comitato degli insorti.
  5. Che la Guardia Nazionale di Milano sia a disposizione con 600 uomini.

Gli agenti e i soldati italiani saranno quelli che abbiamo poi visto all'opera a Bergamo, Brescia Salò e Crema.

L'Assemblea accetta le condizioni e gli uomini richiesti sono messi a disposizione dal Generale Trivulzi.

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Tra gli uomini disponibili però, Landrieux non ne trova alcuno con le abilità e l'affidabilità necessarie alle prime azioni segrete da attuarsi in Bergamo, ai colpi di mano verso le carceri, all'attività di propaganda di strada, ovvero al "protocollo dei sollevamenti popolari" (pagine 219 - 220, 562 - 563 ed. digitale).
Il Comandante della Guarnigione di quella Piazza, Colonnello Faivre, è un buon militare ma non adatto a quelle attività occulte di sovversione.

Su consiglio di un Aiutante generale per la Lombardia, tale Couthaud, Landrieux si risolve infine a ingaggiare un certo Lhermite.

Landrieux non è contento di questa scelta obbligata, e sarà ancora meno contento del lavoro che Lhermite svolgerà per lui a Bergamo. Così lo descrive:
"Brigante della più bassa lega, fuggito di Francia a seguito di una condanna alle galere per furto e per essersi millantato prete. Quest'uomo conosceva molta gente di basso livello a Bergamo, dove per anni aveva svolto con poca fortuna il commercio di pietre false.".

Lhermite accetta l'incarico in cambio di denaro, e il suo ingaggiatore si consola pensando che per il tipo di lavoro che dovrà fare, un uomo abituato al crimine può risultare più adatto di un uomo onesto.

Landrieux conclude la sua prima impressione su di lui dicendo che i suoi abituali delatori apparivano gente di rara probità, se paragonati a Lhermite.

Questo individuo riuscirà nell'intento di creare in Bergamo la turbolenza necessaria a coprire almeno apparentemente la matrice francese del colpo di Stato, ma si lascerà poi andare a eccessi che metteranno in seria difficoltà le "pubbliche relazioni" di Landrieux.

Nei falsi proclami "popolari" fatti emanare da Lhermite, e ripresi dalla stampa internazionale, egli inserirà elementi troppo smaccatamente falsi, come l'affermazione che il Popolo Bergamasco, entusiasta degli amici Francesi, aveva deciso di ricompensarli con la regalia di 5.000.000 di Lire, una cifra smaccatamente impossibile da raccogliere tra quelle genti anche in tempi normali, e decisamente ridicola dopo i mesi di continue requisizioni e saccheggi (pagina 247, 590 ed. digitale).

In altre occasioni, Landrieux chiamerà Lhermite frìpon, escroc, imbécile, espion et jamais agent.

Nei primi giorni dell'Aprile 1797 (pagine 344 - 347, 657 - 660 ed. digitale), Landrieux chiederà a Kilmaine ordini per estromettere Lhermite e il suo protettore Couthaud perché questi, non sazi del pagamento loro assegnato, estorcono in proprio denaro alle popolazioni bergamasche e alla Municipalità milanese, diventando causa di ulteriore inasprimento del sentimento antifrancese.

Denuncia Couthaud come complice anche in altre estorsioni, operate da tale ispettore ai foraggi Gras, che avrebbe taglieggiato le comunità montane della bergamasca (Monzambano, Ponte, Castellaro).

Landrieux si ripropone addirittura di far fucilare Lhermite senza processo alla prima occasione, ma dice che sarà poi distratto da altre occupazioni.

Questa decisione di fucilare il suo stesso agente potrebbe però aver a che fare con altro che con la sua condotta, del resto comune a moltissimi commissari e ufficiali dell'Armata.

Abbiamo visto, nella relazione del Rappresentante veneto, come si svolse la presa di Crema e chi ne fu protagonista: Garuff, Bettenach, i bergamaschi Longaretti, Asperti, Locatelli e Tomini nonché, appunto, il Lhermite, che abbiamo visto comportarsi come il capo di quella banda.

La cosa viene però raccontata in modo assai dissimile in due rapporti di Landrieux a Kilmaine (pagine 301, 644 ed. digitale, e seguenti (31 Marzo 1797) e 320 (663) e seguenti.

Landrieux si attribuisce il merito diretto della "espugnazione" di Crema. Egli inventa una sua geniale astuzia che avrebbe permesso quella conquista, uno stratagemma che vede protagonisti lui, Saint Hilaire, Trivulzi, Girard e Nicolini, nessuno dei quali figura però nel rapporto del Residente veneto in quella città.

Essi si sarebbero travestiti da corrieri veneziani per ingannare le guardie della prima barriera, e una volta entrati in città avrebbero sopraffatto la guarnigione con un colpo di mano.
Nell'operazione sarebbero stati impiegati 500 bombardieri, più la fanteria e i cavalleggeri.

Landrieux si vanta anche di avere in un lungo colloquio conquistato alla causa francese il Vescovo di Crema.

Inoltre Landrieux, allo scopo presumibile di darsi maggior importanza, descrive Crema come l'unica Fortezza veneta in cui i Francesi non erano ancora mai riusciti a entrare, a causa delle ripetute opposizioni del Podestà e della difficile espugnabilità del luogo.

Anche questa è cosa che noi sappiamo essere falsa.

Vi era entrato infatti Massena con oltre trecento uomini il 24 Maggio 1796, lasciando altre migliaia di soldati fuori dalle mura a saccheggiare il contado circostante.
Il 26 Maggio 1796 vi era transitato Napoleone con il suo Quartier Generale, fermandosi solo il tempo per cambiare i cavalli e per un colloquio con il Camerlengo di Crema Zorzi Pizzamano, come si apprende dalla corrispondenza tra quel Residente e il Provveditore Generale di Terraferma Foscarini (Arch. di Stato di Venezia, Senato/Dispacci/Provveditori/busta 116).

Nei giorni successivi i Francesi avevano poi abbandonato Crema, parte per rientrare a Milano, dove una sortita degli Austriaci dal Castello aveva arrecato gravissime perdite alla piccola Guarnigione francese lì rimasta, e parte per portarsi al fronte.

Questa falsificazione degli eventi in Crema getta una luce piuttosto sinistra sul desiderio del Landrieux di fucilare Lhermite, vero protagonista dei fatti.
Dal successo dei colpi di Stato, possiamo ben dedurre che Lhermite aveva fatto un "ottimo" lavoro, ed è assai probabile che Landrieux cominciasse a temere la sua concorrenza...

Chi volesse leggere per esteso la guasconata di Landrieux sulla sua "espugnazione" di Crema la può trovare nel Capitolo XV delle sue Memorie.

Umberto Sartori


Note

Nota 1 - Per altre notizie su Salvatori, si veda in fondo alla Pubblicazione dedicata a Jean Landrieux.

Nota 2 - Alla pagina 109 (454 ed. digitale) delle sue Memorie, Landrieux nega che vi fossero società segrete in azione a Venezia. Egli attribuisce la rete occulta filo-francese e il bluff della "congiura", che spaventerà i Senatori alla vigilia della Conferenza finale del Manin, esclusivamente alle attività del suo Ufficio Segreto. Poco probabile che Landrieux non fosse al corrente del lungo lavoro di infiltrazione ideologica e operativa precedente. Anche qui egli vuole probabilmente esagerare i suoi "meriti".

Nota 3 - In nota alla nota di pagina 215 (558 ed. digitale), le cifre: Berthier pagava a Giovanelli 125.000 franchi, 100.000 al Generale D'Argenteau (Generale austriaco coinvolto in molte delle sconfitte imperiali contro Napoleone. Tuttavia è possibile che questa notizia fosse diffusa per giustificare in qualche modo le irragionevoli vittorie campali del Liberateur), 50.000 a Lauer (altro Generale Austriaco, sul quale non trovo notizie significative).


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