Storia di Venezia

Pagina pubblicata 13 Gennaio 2015
aggiornamento 29 Gennaio 2017

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - XLIV

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , XLIV
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

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Storia di Venezia - Il Leone di San Marco sulla Porta Erizzo di Salò

Il Leone di San Marco sulla Porta Erizzo di Salò. La didascalia attualmente presente su questa Porta non nomina il nome Erizzo. Si sostiene che fino al Settecento si sarebbe chiamata Porta Nuova, e poi Porta dell'Orologio quando fu spostato su di essa l'orologio di una vicina torre. Come apprendiamo dal racconto del "Sindico Turini", la Porta nel Settecento era chiamata invece Porta Erizzo, presumibilmente dal Podestà veneto che la aveva fatta edificare. La falsificazione storica è fatta anche di queste piccole cose. Foto per cortesia di Marialaura Durigato

A Venezia in quei primi giorni dell'Aprile 1797 era tempo di nomine. Dopo i due provveditori in Terraferma che abbiamo visto nella Pubblicazione precedente, si deve adesso provvedere a sostituire il Provveditore alle Lagune e ai Lidi, essendo deceduto il K. Proc. Giacomo Nani.

Con decreto del 4 Aprile 1797 il Senato nominava in sua vece il "N. H. Zuanne Zusto fu di s. Anzolo, uomo di Patrio zelo, e d'impuntabile politica condotta".

Tentori non fa cenno di cosa faccia nel frattempo il cav. Tommaso Condulmer ex-Capitano in Golfo che era stato appiccicato al Nani quando questi si era messo sul serio a difendere le Lagune e i Lidi.

Di certo non era passato a miglior vita come il Nani, dato che dopo il golpe veneziano si diede alla scrittura di libelli filogiacobini...

Se non ce ne parla Tentori, troviamo però qualche parola rivelatrice su Tomaso Condulmer nella voce Treccani che, non precisissima né limpidamente imparziale, è tuttavia tra le più ricche di informazioni su quei tempi torbidi.

Da: "L'ultima fase della serenissima - La politica: LA MUNICIPALITA DEMOCRATICA" di Giovanni Scarabello:
"Per altro verso, alla conferenza e al collegio facevano capo anche i responsabili della difesa militare: il vecchio e malato Zuanne Zusto, provveditore alla laguna e lidi (un paio di centinaia di vascelli e di barche disponibili per la difesa), il suo luogotenente straordinario Tommaso Condulmer (di fatto era lui che decideva e operava)".

Ancora una volta vediamo l'espediente dei Savj congiurati di porre a capo d'importanti Magistrature Patrizi di prestigio e di nota fedeltà alla Patria, ma anziani e ammalati, per poi farli affiancare da figure operative di tutt'altro genere.

Il Senato aveva inoltre ricevuto una supplica dai Salodiani perché fosse loro assegnato il N. H. Francesco Cicogna come "Provveditor interino", in sostituzione del N. H. Almorò Condulmer, arrestato e condotto a Brescia dai ribelli.
Il Senato esaudì la richiesta, nominando il 5 Aprile il Cicogna "Deputato a Salò, e Valli Bresciane".

Sia un errore del Tentori, o della stampa non so, sta di fatto che il Cicogna era già a colloquio con il Giovanelli a Verona il 4 Aprile, e quella sera stessa partiva per insediarsi a Salò.

Del 4 Aprile anche il primo Dispaccio al Senato del neo-Provveditore Iseppo Giovanelli.

Apre con un lungo panegirico sul proprio patriottismo e sulla propria abnegazione, che lo condurranno fino all'olocausto di sé "qualunque sia per essere l'evento, e le circostanze, che potessero insorgere".

Anche tralasciando il fatto che il signor Iseppo figurava al libro paga di Berthier per 135.000 franchi, basterà il successivo comportamento del Giovanelli in occasione delle rappresaglie francesi contro Verona, a svergognare questo suo autoelogio.

Tanto più, in quanto pare che il Giovanelli si spingesse assai più in là di quanto necessario ai Francesi per la creazione del casus belli, ma di questo si parlerà più avanti.
Al momento ricordiamo che Giovanelli si segnalò da subito con la repressione feroce di coloro che erano stati segnalati come sospetti giacobini dall' "Offizio di sopraveglianza" istituito dal Battaja.

Esaurito l'autoelogio, Giovanelli racconta che si è proceduto al blocco di Brescia con un cordone a dieci miglia dalle mura della Città.

Nel frattempo anche gli abitanti di Ghedi hanno sopraffatto i golpisti, abbattuto l'albero della Libertà che quelli avevano eretto e ripristinate le insegne Marciane.

Continuano le scaramucce epistolari con i Comandanti francesi, si sono acquietati per i soldati francesi uccisi a Salò, ma insistono per la demolizione del ponte di Mozambano e nel bloccare la libera circolazione di truppe e corrieri veneti.

In Verona, i Francesi stanno accumulando munizioni nei Castelli, e lavorando alacremente sulle fortificazioni della Mezzaluna a Porta Nuova e sul Monte San Leonardo, che batte il Castello di San Felice.

Giovanelli segnala il passaggio per Verona del Provveditore interino Cicogna, e il suo pronto portarsi a Salò.

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Segue il secondo dispaccio Giovanelli, in data 5 Aprile 1797.

Oltre a bloccare truppe e ordinanze, il Comandante francese di Peschiera e quello di Marina sul Lago bloccano adesso anche il transito dei trasporti del sale e delle barche armate, insensibili a ogni protesta.

Il Provveditore informa di aver ricevuto una lettera del "Comandante Francese in Bergamo Landrieux, diretta al Provveditor N. H. Battaja". Landrieux si lagna senza motivo che le Valli Bresciane, e in particolar modo la Val Sabbia, avrebbero violato la neutralità.

Tentori riporta qundi integralmente (pagine 108 - 110) una lettera allegata a questo Dispaccio, di tale "Antonio Turini Sindico della Val Sabbia", indirizzata al Rappresentante di Verona Alvise Contarini, che contiene una dettagliata descrizione della vittoria ottenuta dalla Val Sabbia sui ribelli bresciani a Salò il 31 Marzo, descrizione che era rimasta fumosa e lacunosa negli ultimi dispacci del Battaja.

La Popolazione della Val Sabbia aveva appreso "col massimo de' dispiaceri" dal Cittadino Francesco Olivari delle deplorevoli cose che accadevano a Salò e, rinascendo a queste notizie "il zelo ed il coraggio de' Padri nostri con eroismi di generosa animosità, si determinarono di tosto portarsi al soccorso di detti Salodiani.".

I Valligiani tennero consiglio di Guerra in una località detta La Chiusa alle ore 22 del 31 Marzo 1797.
Decisero di dividersi in tre colonne, che mossero all'attacco di Salò.

Le tre colonne attaccarono la Porta Erizzo simultaneamente da tre direzioni, la prima muovendo da Renzano, la seconda provenendo da Cacavaro (attuale Campoverde) e la terza da Tormini.

Così muvendosi, i Valligiani presero in morsa i ribelli, che si trovavano appunto nei dintorni di quella porta. Detti ribelli furono particolarmente intimoriti dalla grande precisione del fuoco dei Valligiani.

I ribelli furono catturati o uccisi quasi tutti, e la Popolazione di Salò acclamò i liberatori con abbracci e grida di "Evviva San Marco".

Una volta liberati, i Salodiani rimisero in ordine le loro milizie per ristabilire l'ordine interno alla città.

I valligiani riportarono solo tre feriti lievi, mentre dei ribelli 100 furono uccisi e 400 fatti prigionieri. Furono presi ai ribelli sette cannoni e cinquanta cavalli.

A detta del Sindico Turini, il valore dei Sabbini lascia sperare che saranno "sempre eguali nella prontezza, nel coraggio e nella costanza.".

A tal proposito, il Sindico della Val Sabbia supplica che i "Capitani, Uffiziali, Capi e Sottocapi" che si sono segnalati in questa vittoria siano decorati "con divisa, e Titoli Militari".
Da pagina 110:

Val Sabbia 4 Aprile 1797
Di V. E.
Umil. Devotiss. Osseq. Servitore
Antonio Turini Sindico

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Per tentare di risolvere i continui contenziosi tra i Provveditori in Terraferma e i Comandanti Napoleonici, tra il 2 e il 5 Aprile 1797 ebbero luogo dei colloqui a Venezia tra il Conferente Francesco Pesaro e il Ministro francese Lallement.

Il 6 Aprile Pesaro presentò al Senato il sunto di questi incontri, con una scrittura che Tentori riporta integralmente da pagina 110 a pagina 114.

Nel primo colloquio Pesaro espone protesta per i fatti di Crema, e il Lallement, cadendo dalle nuvole, si schermisce col dire di essere all'oscuro di ciò che possa essere accaduto, e che tale operazione è del tutto indipendente dall'Autorità Francese, e anzi contraria agli ordini impartiti sia dal suo Governo che da Bonaparte.

Il resoconto del secondo incontro, avvenuto il 5 Aprile, si divide in due parti.

Nella prima sono riportate le questioni poste dal Pesaro, che possono essere così riassunte:

  • Racconto dei fatti di Salò ed esaltazione dell'amore dei Popoli veneti verso la Serenissima.
  • Reclamo per la presenza di soldati francesi tra i prigionieri catturati a Salò.
  • Reclamo per il comportamento dei Comandanti francesi in Verona e Peschiera e sull'appoggio che essi danno ai ribelli, ostacolando invece le operazioni della Serenissima.
  • Richiesta di ragguagli sulle voci che in Treviso e Legnago si stiano raccogliendo di nascosto Truppe Lombarde e Cispadane.
  • Esposizione del fondato sospetto che barche armate francesi stiano muovendo da Pontelagoscuro verso Mesola al fine di entrare in Laguna di Venezia.
  • Esposizione dei provvedimenti presi dal Provveditor Giustinian in merito allo svaligiamento di un corriere diretto a Napoleone, avvenuto nei pressi di Treviso.

Su questi argomenti "varie furono le reciproche riflessioni", ma in sostanza le risposte di Lallement si limitarono a vaghe e deboli giustificazioni e "insussistenti querele" in merito a una presunta diffusa ostilità dei Veneti verso i Francesi. Si disse soddisfatto dei provvedimenti presi sulla questione della rapina al corriere e assicurò che nessuna barca armata francese aveva intenzione di violare la Laguna.

Lallement si mostrò persino dispiaciuto che le Truppe Lombarde e Cispadane potessero tentare in proprio infiltrazioni nelle Province venete.

In conclusione, il Ministro francese rimetteva il tutto a una lettera che avrebbe spedito per espresso a Napoleone. Non dubitava, il Lallement, che sia Bonaparte che il Direttorio fossero animati da rette intenzioni e si diceva certo che a entrambi ""stava sommamente a cuore non solo la conservazione della Repubblica di Venezia ma anche l'aumento di sua forza e potenza".".

Lallement incita anche il Pesaro a spedire a sua volta una lettera a Napoleone, per appoggiare e confermare quella che gli indirizzava lui stesso.

La seconda parte del colloquio verte invece sulle rimostranze del Lallement.

  • Alcuni individui della Legione Polacca al servizio di Francia, in trasferimento da Milano a Mantova, erano stati arrestati a Salò assieme a un Distaccamento di 100 uomini inviato loro incontro. Lallement chiede che siano liberati.
  • Un vascello veneziano avrebbe permesso il ricovero di un "convoglio di 50 vele" austriaco, inseguito da una flottiglia francese, a Porto Quieto. Da quel porto le navi da guerra austriache di scorta al convoglio avrebbero fatto fuoco contro i Francesi, e la stessa cosa avrebbe fatto il vascello veneziano, costringendo la flottiglia attaccante alla ritirata "(I)". (1)

A queste rimostranze fu la volta del Pesaro scaricare il barile, dichiarando che avrebbe riferito e chiesto lumi al Senato su fatti di cui era completamente all'oscuro.

Le esigenze del Francese proseguirono su questioni finanziarie.

A riprova della fiducia che Bonaparte nutre per i Veneziani, il Corso ha deciso di stabilire nella Dominante il suo ufficio generale di contabilità.

Il Capo di tale Ufficio, un banchiere di nome Haller (si veda Nota 4 alla pubblicazione LXI), deve realizzare operazioni finanziarie per un ammontare di circa 30 milioni di Lire Tornesi, che intende appoggiare sul Banco Giro veneziano.

Tali operazioni potrebbero richiedere una liquidità disponibile di circa 200.000 Talleri per settimana.

Lallement chiede dunque al Pesaro di "interessarsi", affinché si acceleri la fabbricazione di moneta e, in eventuale carenza di Ducati o altra moneta estera, si provveda a rifornire il Banco Giro di Talleri Veneti, parimenti utili alle operazioni di Haller.(2)

Il servizio di questo importantissimo Ufficio Finanziario richiederà un intenso traffico di Agenti e Commissionari, per i quali Lallement chiede l'esenzione dai normali controlli dell'Ufficio Forestieri e che siano invece provveduti di scorte che li conducano celermente al loro Ufficio.

L'ultima richiesta del Ministro francese riguarda una esenzione dai dazi.

Napoleone ha intenzione di spedire a Venezia i beni frutto della "contribuzione" imposta a Trieste "... consistenti in Panni, Telle, Pelli di cuojo, e Biada...".

Vuole che parte di questi materiali siano lavorati in Venezia per produrre vestiario a uso delle sue Truppe. Chiede che su queste merci, quando poi trasportate fuori Venezia, non sia applicata dogana, dichiarandosi disponibile a pagare invece i dazi su quella parte che venisse commercializzata o consumata in Venezia stessa.

Pesaro si dichiara incompetente a rispondere anche alle due ultime domande, e promette di riferire al Senato.

Chiude la relazione dichiarando che accetta l'incarico conferitogli con un "Damò "Mandatibus Sapientibus"" in quel giorno stesso in cui scrive, 6 Aprile 1797, di comporre la bozza per la lettera da indirizzarsi a Napoleone secondo il consiglio del Lallement.

La lettera a Bonaparte ebbe un iter fulmineo. Scritta il 6 Aprile fu la sera stessa approvata dal Senato e spedita a Napoleone con corriere espresso.
Tentori ne riporta integralmente il testo da pagina 114 a pagina 116.

La lettera sostanzialmente informa Napoleone degli eventi di Salò e del generale accorrere alle armi delle Popolazioni di Terraferma. Tra i prigionieri fatti a Salò figurano quattro soldati francesi, che saranno consegnati a un Comandante francese.

I Veneziani di Terraferma hanno ormai liberato tutte le città e cittadine dove si erano effettuati i colpi di Stato, a eccezione di Brescia, (3) ma hanno cinto questa città con un blocco e mordono il freno perché il Senato dia il via libera alla liberazione anche di quella.

Pesaro chiede a Napoleone di non permettere alle sue truppe di interferire con queste operazioni, che riguardano Venezia e sudditi a lei ribelli.

Chiede altresì che vengano richiamati all'ordine il Generale Balland, comandante di Verona che si permette di bloccare Corrieri e Ordinanze venete, così come il comandante di Peschiera Domergue che, dopo aver tentato di disarmare le Popolazioni venete circonvicine, pretenderebbe adesso la demolizione del ponte di Mozambano.

Ancora dice che città come Legnago e Treviso, che pure avevano accettato di buon grado le Truppe francesi, non sarebbero invece disposte a tollerare che a quelle si sostituissero, come ventilato, Truppe lombarde o cispadane.

L'intera lettera è infiorettata di attestazioni di stima e di amicizia della Repubblica di Venezia verso quella Francese e del Pesaro stesso verso il Bonaparte.

Dalle pagine 116 -117:

Lette in Senato le due trascritte Carte, il Savio in settimana Mes. Almorò Pisani primo K. e Procurator propose il seguente approvativo Decreto, il quale non opposto da alcuno, fu con 163 Voti sanzionato.

Tale decreto, riportato a pagina 117, è una mezza pagina di elogi al Pesaro e alle sue scritture, che approva integralmente.

In coda, demanda al Pesaro di aggiungere una postilla riguardante una lettera ricevuta in Senato da Jean Landrieux, in merito ai quattro prigionieri francesi di Salò che erano stati riconsegnati, guarda caso, proprio a lui.

Tentori purtroppo non riporta questa lettera, e non ne trovo traccia nemmeno nelle Memorie di Landrieux il quale, in quei primi giorni d'Aprile 1797, era impegnato da un lato nella trattativa con i ribelli bresciani che gli offrivano qualsiasi cifra purché egli mandasse Truppe francesi a difendere Brescia dai Valligiani che la stringevano ormai da vicino, e dall'altro a preparare piani bellici per far assalire alle spalle i Volontari delle valli, inviando corpi di spedizione sulle montagne e nelle valli lasciate sguarnite dai Valligiani accorsi in Pianura.

Il racconto di Landrieux, che va naturalmente preso con le pinze, si può trovare al Capitolo XVII delle sue Memorie (pagg. 332 e segg., pag 677 e segg. Edizione digitale).

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Tentori prosegue adesso la sua Raccolta con un nuovo dispaccio di Giovanelli da Verona, che vedremo nella prossima Pubblicazione.

Umberto Sartori


Note

Nota 1 - Nella nota "(I)" alle pagine 112 e 113, Tentori corregge il falso racconto di Lallement con il Dispaccio dal Pubblico rappresentante di Città Nova agli Inquisitori del 26 Marzo 1797, giunto a Venezia "alle ore 14 del giorno 28".

Secondo il Rappresentante di Città Nova, il giorno 25 Marzo erano entrate in Porto Quieto 12 Cannoniere Tedesche, seguite da circa 40 Trabaccoli e Tartannoni, fuggiti da Trieste a causa della presa di quella Città effettuata dai Francesi.
Il convoglio aveva tentato di lasciare il porto all'alba del 26, ma le avverse condizioni del vento avevano loro impedito di salpare.

Verso le ore 16 del 26 comparve all'imbocco del porto una Fregata francese seguita da sei piccoli Trabaccoli. Essa si pose a tiro di cannone e le navi tedesche aprirono il fuoco, al quale i Francesi risposero. Il cannoneggiamento durò intenso per circa mezz'ora, dopo di che la Squadra francese si ritirò.

Il popolo che si era nel frattempo radunato sulla riva, "vedendo che i Tedeschi si erano portati con più valore, gridò senza riserva "Bravi, Bravi"".
A questo punto la Fregata francese sparò due cannonate anche verso la Città, che però non fecero danni.

Il Rappresentante si affrettò comunque a ordinare che la gente tornasse nelle case e comandò che nel caso di nuovi combattimenti, i Cittadini stessero nascosti ed evitassero di parteggiare per alcuna delle flotte.

Nota 2 - Questa richiesta del Lallement può apparire paradossale, dal momento che Bonaparte aveva appena chiesto sei milioni al Senato affinché le sue Truppe non fossero costrette a saccheggiare le campagne venete. A che gli servivano i sei milioni se disponeva di trenta da impiegare in "operazioni finanziarie"?.

Mi è sinceramente impossibile non collegare la domanda di accelerare la produzione di valuta corrente, ovvero di vere monete in argento e oro, con la raccolta degli ori e argenti ecclesiastici avviata dal Decreto 18 Marzo 1797 che, come ho potuto verificare nei Bollettini dei Contadori, stava facendo affluire alla Zecca di Venezia argento a tonnellate e oro a quintali.

Un calcolo approssimato per difetto, basato sulle verghe di cui mi è stato possibile reperire documentazione archivistica, ci porta alla imponente cifra di oltre dieci tonnellate di argento accertate. Dalla numerazione delle verghe e dalla media del loro peso si può supporre un quantitativo realmente consegnato di 21 tonnellate e tre quintali.
Per quel che riguarda l'oro la documentazione è stata resa molto più lacunosa, e mi è stato possibile recuperare solo quattro bollettini di versamento per un totale di 24 chili e mezzo ma anche qui, in base alla numerazione delle verghe e alla media del peso, il quantitativo supponibile si aggira attorno alle quattro tonnellate e sette quintali.

Per la riproduzione delle fonti dell'Archivio di Stato di Venezia e per ulteriori considerazioni su queste risorse, si veda: "Ori e Argenti Sacri Fusi nella Zecca di Venezia tra il 18 Marzo e il 18 Maggio 1797".

Annoto infine che dal carteggio di Francesco Battaja con Napoleone alla vigilia del Trattato di Campoformio apprendiamo che i sei milioni richiesti da Bonaparte a Gorizia gli furono interamente versati, ma è argomento che rimando alle considerazioni finali sulla "Raccolta Cronologica..." del Tentori e sulla Storia della caduta di Venezia, che concluderanno questa serie di pubblicazioni.

Nota 3 - Bergamo fu circondata ma, secondo Landrieux, grazie al suo personale intervento con truppe di rincalzo, i Patrioti veneti non riuscirono a riconquistare la Città. Non ho trovato notizie su Crema.


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Edizione HTML e grafiche a cura di Umberto Sartori. Consulenza bibliografica dott. Paolo Foramitti.