Storia di Venezia

Pagina pubblicata 21 Marzo 2015
aggiornamento 8 Aprile 2015

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - XLVIII

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , XLVIII
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

Vai a pagg. 142 - 150 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 150 - 167 | Vai a pagg. 167 - 178

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Riprendiamo il racconto dei fatti di Verona con il Dispaccio del Provveditor Giovanelli del giorno 11 Aprile 1797.

  • Il Genersale Nogarola ha concluso il ripiegamento su Cerea, dove sta organizzando una "Massa".
  • Sono giunti da Vicenza 500 Oltremarini inviati da Erizzo e sono stati acquartierati a San Pancrazio.
  • Il Brigadier Maffei difende la linea del Mincio mentre il conte Miniscalchi presidia la via del Lago.

Queste sono le misure con le quali Giovanelli spera di mantenere la tranquillità dei Veronesi contro le minacce, sparse da alcune voci, dell'avvicinamento di ribelli Bresciani e dell'arrivo di 5000 uomini a Legnago.

Il Provveditore teme che l'ormai chiarissimo appoggio che i Comandanti francesi accordano ai colpi di Stato, rafforzato dalle notizie di gravi fatti a Salò che saranno di seguito narrati, possa indurre i malintenzionati veronesi a tentare quell'avventura.

Per prevenire questa evenienza ha deciso di inasprire la repressione ordinando numerosi arresti.
Da pagina 151:

... abbiamo ordinato l'arresto di coloro, che la Pubblica voce, e fama, ed i palesi indizj già comprovavano colpevoli.1

I detenuti sono al momento undici, ma è sfuggito uno dei capi principali, il conte Giuseppe Riva che, rifugiatosi dapprima in un Corpo di Guardia francese, è stato poi scortato da quattro fucilieri di quella Guardia fino al Castello di San Pietro.

Giovanelli ha scritto una lettera a Balland chiedendo la consegna del ricercato, senza ricevere risposta.

In un'altra lettera, ha preavvisato il Generale della propria intenzione di far entrare i 500 Schiavoni acquartierati a San Pancrazio in città, ma anche questa comunicazione non ha ricevuto risposta.

Per soccorrere ai bisogni delle "fedeli Valli Bresciane" si è inviato un artificiere perché, date le difficoltà nel trasportare munizioni, i valligiani possano produrre in loco la polvere loro necessaria.
Da pagina 152:

Verona 11 Aprile 1797 ore 12.
Iseppo Giovanelli Prov. Estraord. in T. F.
Alvise Contarini Cap. V. Podestà.

-- :: --

Allegata al precedente dispaccio è la relazione degli sviluppi della situazione a Salò, compilata dal "Tenente di Crovati a Cavallo Spiridion Zapoga, addetto al Presidio di Salò, dove fungeva l'incarico di Maggior di quella Piazza" con data "11 Aprile 1797 Verona".

Domenica 9 Aprile circa a mezzogiorno una feluca francese si è presentata al porto di Salò.

Incaricato dal Provveditore di parlamentare, Spiridion riceve la richiesta di consegnare le barche e gli equipaggi che si trovano in quel porto.
Il Provveditore esaudisce la richiesta, e i Francesi ripartono con quattro barche al seguito.

Lunedì 10 Aprile giunge notizia del fermo da parte dei Francesi di un piccolo battello diretto a Salò.

Zapoga riceve incarico di recarsi all'Isola dove i Francesi hanno fatto scalo per reclamare la consegna del battello.

Il battello risulta essere stato carico di quattro barili di polvere da sparo, e quando Spiridion lo reclama, riceve cortesemente dal Comandante francese la risposta che egli stesso entro breve si sarebbe portato a Salò per discutere la questione della sicurezza delle truppe francesi direttamente col Provveditore.

Ricevuta questa risposta, il Provveditore ordina di spedire agli avamposti due piccoli cannoni calibro 3.

Verso le ore 16 dello stesso giorno una squadra francese composta da quattro Barche Cannoniere e due Feluche entra nel porto di Salò. La nave del Comandante issa sull'albero di maestra una bandiera gialla e rossa come segnale, mentre su tutte le altre sventola a poppa quella francese.

Il Comandante di questa flottiglia, Capo di Brigata Colombo, sceso a terra, si recò alla casa di un altro Comandante Francese, che da tre giorni si era acquartierato a Salò con 300 uomini.

Spiridion viene inviato ancora a parlamentare con questi Comandanti, i quali lo congedano educatamente dicendo che entro breve si sarebbero recati di persona dal Provveditore per conferire con lui.

Dopo breve, il Battaglione francese si pone in marcia e va a rinforzare un contingente di 40 uomini con un cannone che già si era posizionato sull'altura di Santa Caterina dirimpetto a Salò.

Indi il Comandante Colombo risalì a bordo del suo battello.

Circa alle ore 18 l'Aiutante di Battaglione lascia il posto di Santa Caterina scortato da una decina d'uomini, e si presenta al Provveditore con una carta.

La carta contiene la perentoria richiesta di consegnare tutte le armi esistenti in città, sotto pena di veder aperto il cannoneggiamento della stessa.
Si indicano precisamente le modalità e il luogo dove le armi dovranno essere consegnate, promettendo che ne sarà registrato il legittimo proprietario per una futura restituzione.

Il Provveditore si consulta con "i Reggenti del paese (che mai non vollero decidersi né per la resistenza, né per il disarmo)" e risponde con una lettera nella quale, ricordando la neutralità e l'amicizia della Repubblica verso i Francesi, le assicurazioni del Direttorio, di Bonaparte ecc. ecc., sostanzialmente rifiuta di disarmare la sua gente (superfluo forse far notare che egli aveva già privato i Salodiani di ogni possibilità di difendersi sull'acqua, consegnando ai Francesi le loro barche).

La lettera viene spedita a bordo per mezzo di un ufficiale del Paese di nome Pasetti.
Pasetti tornò con una intimazione verbale da parte di Colombo di obbedire al disarmo entro mezz'ora o avrebbe aperto il fuoco.

Il provveditore rispedisce la precedente lettera, con una postilla in cui chiede quali garanzie davano i Francesi contro i ribelli che eventualmente approfittassero del disarmo per i propri fini.
Risponde Colombo di aver ordine di disarmare sia i regolari che i ribelli, e che il tempo concesso era ridotto a un quarto d'ora.

Spiridion riceve allora l'ordine di portarsi con 300 villici armati su una collina posta tra il paese e il Posto di Santa Caterina, in modo di tagliare le comunicazioni ai Francesi.
Da pagina 154:

Mi portai per raccogliere i Villici, ma questi tutti impauriti dopo un mezzo miglio di camino, inteso lo scoppio de' cannoni della Flottiglia diretto al Paese, si sbandarono, e per quante istanze facessi loro unitamente al Sig. Fabio Vitalini del Paese, che era meco cercando d'infonder loro coraggio, non vollero più seguirmi.

Zapoga e Vitalini tornano dunque da soli al loro Quartier Generale, stabilito nella casa del conte gio: Battista Fioravanti. Nel frattempo, le navi francesi hanno sparato sette e più bordate di tutta la loro artiglieria contro il paese.

Ma il Quartier Generale, come tutto il paese, risulta vuoto. Spiridion non riesce ad avere notizie né del Provveditore, né degli altri ufficiali. Sul Quartier generale sventola un panno bianco. Rimangono solo pochi uomini armati di fucile appostati taciturni in alcuni angoli del paese.

Circa alle ore 22 il cannoneggiamento cessa, e dalla finestra del Quartier Generale Spiridion vede la feluca ammiraglia accostare a riva e una voce intima che se entro un'ora il Provveditore o il Generale non si presentano a colloquio col Comandante Colombo il bombardamento riprenderebbe.

Zapoga cerca ancora inutilmente il Provveditore e infine si decide ad abbandonare a sua volta il paese, recandosi a Toscolano, dove si trova la casa di campagna del conte Fioravanti. Vi trova tutta la di lui famiglia, ma non il conte stesso né il Provveditore.

Con il favore della notte, Zapoga prende la via del lago e poi a piedi riesce a eludere i posti di blocco dei francesi e portarsi a Verona per riferire.

Prima di abbandonare Salò ha potuto osservare che alle sei imbarcazioni francesi si aggiungevano altre due barche e una feluca.
Da alcune finestre del paese si sono sparate fucilate contro le barche.
Dopo la prima scarica dei cannoni, sulla piazza alcuni Salodiani hanno ucciso un magazziniere francese e ne hanno nascosto il cadavere.

Da pagina 155:

E. H. L. C. & manu propria signavit aetatis sua annorum 35 circiter, ut dixit.
Tenente Spiridion Zapoga affermo.

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I Francesi, mentre da un lato continuano ad appoggiare e sostenere i golpisti nelle città venete, non cessano di gridare a gran voce al tradimento da parte della Repubblica di Venezia, usando come pezza d'appoggio presso la stampa internazionale il falso Proclama Battaja.

Viste inutili tutte le proteste presentate ai Comandi francesi, il Senato il 12 Aprile 1797 si risolse a produrre una deliberazione ufficiale in merito, che fu tradotta in due Proclami. Tali Proclami furono inviati con una Ducale a tutte le Autorità venete di Terra Ferma con l'ordine di diffonderli tra la popolazione e agli organi di stampa.2

La deliberazione, i Proclami e la Ducale sono riportate da Tentori dalla pagina 156 alla 158. 3

Il primo è in realtà un contro-proclama, volto a sancire la falsità del "Proclama Battaja", attribuito a nemici della Repubblica: l'intero costrutto è volto ad asserire non tanto e non solo la neutralità di Venezia, ma la comprovata amicizia della Francia verso lo Stato Veneto.
Da pag. 156:

...l'invenzione di una Carta sotto la data 22 Marzo da Verona, ... con cui si attribuiscono al Veneto Prov. Estr. Battaja principj, e sentimenti del tutto opposti a quelli costanti del Governo, ed espressioni offendenti una Nazione ingenuamente, e costantemente amica del Senato.
... solennemente protestare contro questo insidioso ritrovato, avvertendo li Sudditi di non lasciarsi sedurre da simili inganni per supporre alterate menomamente le costanti Massime del Senato della più perfetta amicizia, e armonia colla Nazione Francese; ... è certo che la lealtà della Nazione medesima perfettamente riconoscendo gl'indiretti fini di tali disseminazioni, artifiziosamente sparse in varj Pubblici Fogli, sarà per riguardarle come immeritevoli di ogni credenza, e quindi per conservare verso la Repubblica di Venezia quella giusta fiducia, a cui essa ha un titolo così spezioso egualmente per la fermezza de' suoi sentimenti, che per l'uniforme costanza della propria inevitabile condotta.

Obiettivo del Proclama non risulta essere tanto quello di rassicurare i Francesi delle buone intenzioni dei veneziani, quanto di avvisare i Sudditi Veneti di non dare credito al falso Proclama Battaja, e a non muovere un dito per difendersi dai sempre più tragici soprusi messi in atto dagli "amici" Francesi.

Il secondo proclama è invece assai più ambiguo. In questa carta infatti, troppo si elogiano l'impegno difensivo dei sudditi, e non ben espresso è il dovere di ineluttabile obbedienza ai Francesi. Come vedremo nella Pubblicazione L il testo metterà infatti in difficoltà il Provveditore Straordinario Giovanelli, che rifiuterà di pubblicarlo.
Da pagina 157:

Il Serenissimo Principe fa sapere, che determinata la Repubblica di Venezia alla più esatta neutralità verso le Belligeranti Potenze, ... ha avuta cura ... di esercitar verso di esse li tratti più ingenui ed ospitali ... .
Ma in questi recenti tempi alcune Città oltre Mincio prese da spirito ... d'insurrezione intrapresero anche di costringere altre Popolazioni a seguitarne l'esempio Queste però attaccate ... all'antico sperimentato Governo, spiegarono con zelo per la propria difesa un filiale ardore, e quindi prese spontaneamente le armi invocarono dal naturale loro Principe assistenze, e sussidj.
Le quali cose, dirette soltanto alle interne perturbazioni dello Stato, non possono per alcun modo ferire le ... massime di neutralità ... professate dalla Repubblica Nostra.
Conformandosi a questa costante pubblica intenzione li fedelissimi Sudditi Nostri, ... continueranno ad animarsi nel lodevole dimostrato fervore soccorrendosi gli uni gli altri in caso di minaccie, e di attacchi per l'oggetto importante della comune difesa.

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Torniamo ancora ai fatti di Verona con il Dispaccio di Giovanelli del 12 Aprile 1797.

A seguito delle misure repressive messe in atto, gli abitanti di Verona sono tranquilli e i Francesi non fanno alcuna mossa che li turbi.

Il conte Riva e altri noti sobillatori si sono però sottratti all'arresto e sono rifugiati nel castelli sotto la protezione di Balland, che ancora non si è degnato di rispondere alle richieste di consegna dei ricercati.

I Cittadini e i Nobili Veronesi sono instancabili nel lavoro di pattuglia della città e pronti a obbedire agli ordini di Giovanelli riguardanti il "Pubblico servigio".

Le forze venete riunite a Legnago hanno rifiutato di lasciarsi disarmare. Il conte Nogarola ha inviato al Comando francese di Legnago il Brigadiere Bevilacqua che ha concertato i modi per il transito di Truppe cispadane dirette in Tirolo per quella località.

Transitate tranquillamente dette truppe, il Comando francese ha ritirato la richiesta di disarmo dei volontari veneti.

In questa atmosfera di rappacificazione con i Francesi, la milizia volontaria è stata ritirata da Legnago e si è anche ritenuto di licenziarne una parte. Al comando di quei contingenti è rimasto il conte Bevilacqua, mentre il Generale Nogarola ha fatto ritorno a Verona "per acudire ad altri oggetti, e tentare di organizzar la Truppa".

Dal fronte del Mincio giungono però ben altre nuove.

Il Brigadiere Maffei riferisce che un Corpo calcolato in alcune migliaia di uomini, uscito da Brescia, ha incendiato San Marco, attaccato Lonato e si dirigerebbe verso Verona.
La gente di Lonato è ripiegata su Pozzolongo e si appresta alla difesa unita a quella di quel paese.

Si teme però che il nemico disponga di forze superiori a quelle del Maffei, quindi il Nogarola ha ordinato la marcia di un grosso numero di Valpolicellesi verso Castel Novo.
Le altre milizie venete e gli abitanti dei sobborghi sono in allerta per soccorrere se necessario.

Si spera in questo modo di poter respingere l'urto dei ribelli anche con l'eventuale aiuto delle Valli Bresciane.

La Val Trompia ha dovuto cedere quattro paesi perdendo anche quattro pezzi d'artiglieria. Continuano a inviare richieste di Ufficiali e munizioni e attribuiscono alla carenza di quest'ultime la sconfitta dei quattro paesi.

In risposta Giovanelli ha inviato loro un artificiere per la fabbricazione in loco delle munizioni. Quattro barili di polvere inviati per via lago sono stati intercettati e confiscati dai francesi.
Visto lo stato delle comunicazioni, Giovanelli teme che saranno infruttuosi ulteriori tentativi di inviare soccorsi alle Valli.

Da pagina 160:

Verona 12 Aprile 1797
Iseppo Giovanelli Prov. Estraordinario in T. F.
Alvise Contarini Capitanio e V. Podestà.

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Né i Dispacci Giovanelli né il rapporto di Zapoga ci dicono dove fosse finito il Provveditore di Salò Francesco Cicogna. L'Abate ci informa adesso che egli si era ritirato fino al Lago d'Idro "coll'oggetto d'incoraggire i Valsabbini" a scendere ancora a valle in difesa di Salò.

Dal paese di Idro Cicogna scrive al Provveditor Giovanelli il giorno 11 Aprile 1797.

Venerdì 7 Aprile era giunto a Salò un corpo di circa 300 Francesi provenienti dalla Val Sabbia.

Il terzo giorno dopo l'occupazione della città, improvvisamente essi si ritirarono nelle località di San Rocco e San Benedetto, abbandonando persino la guardia alle porte che avevano preteso di esercitare unitamente alle Milizie Urbane.

Sorpreso dall'inaspettato ripiegamento, Cicogna decise di chiedere rinforzi ai Capi dei Comuni, che radunarono in breve tempo un cospicuo numero di sudditi fedeli.
Questo rinforzo delle difese metteva Salò al sicuro da parte di terra, ma il paese rimaneva esposto ad attacchi dal lago, a causa della penuria di artiglierie.

Cicogna passa quindi a ripetere il racconto di Zapoga sulla comparsa delle barche cannoniere francesi, ma omette di raccontare l'episodio della sua consegna ai Francesi delle barche stazionanti nel porto.
Così facendo, egli ha privato il paese del miglior mezzo per tentare una difesa nel probabilissimo caso di un assalto dal lago.

Omessa anche la spedizione di Zapoga alla ricerca del battello sequestrato con i barili di polvere, egli passa direttamente all'ultimatum del Comandante Francese sul disarmo incondizionato dei Salodiani.

Determinati a non cedere, il Cicogna con il Capitano Zulati si sarebbero portati in città per organizzare la difesa a terra, mentre i Francesi aprivano il fuoco dalle barche.

Dopo un'ora di cannoneggiamento, che cominciava a rovinare le prime case sulla riva del lago, il Provveditore decise di alzare bandiera bianca per far sospendere le ostilità e trattare in qualche modo con il Comandante francese.
Subito dopo però decide di non potersi fidare del Francese, e opta per mettersi in salvo.
Da pag. 162:

... risolsi di ponermi in salvo, ritirandomi non troppo discosto sopra un'alpestre rimota situazione, mantenendomi per altro in comunicazione col paese.

Dal rapporto di Zapoga sappiamo che il Cicogna su questo punto mente, perché l'ufficiale da lui inviato in missione, al suo ritorno al Quartier Generale forse un'ora dopo, lo trovò vuoto e non fu, nonostante i suoi sforzi, in grado di mettersi in contatto con i suoi Superiori.

Anche il resto del racconto del Cicogna sui fatti di Salò non combacia con il rapporto di Zapoga.

Secondo il Provveditore, sotto il cannoneggiamento la Popolazione fuggiva sui monti, ma la parte armata resisteva e combatteva i Francesi sia dal lato di terra che del lago.
Da pagina 162:

Cessarono finalmente le ostilità ai replicati segni di pace, che anche lo stesso Paese richiese senza però disarmarsi.

A quel punto il Cicogna avrebbe spedito a bordo il Tenente di Artiglieri Monti per farsi consegnare le condizioni di resa per iscritto.
Il Monti sarebbe tornato con una perentoria richiesta di disarmo non solo per Salò ma anche per tutte le Valli.

Al dispaccio sono dichiarati come allegati sia la lettera di Cicogna che la risposta di Colombo, ma gli allegati non sono riportati dal Tentori.

Secondo il Provveditore egli rispose che lasciava decidere al "Popolo del Paese", e che per il resto raccomandava di salvare le vite umane.

Dopodiché il Cicogna si mette alla ricerca di "un sicuro ricovero" ed è lieto di comunicare che la sua "divota persona", dopo la fuga notturna, è ora in condizioni di molto minor pericolo, avendo messo tra sé e i Francesi l'intera Val Sabbia e i suoi agguerriti valligiani.

Dichiara di essere partito da Salò alle sette di sera dirigendosi ai "monti della diguisna" per ripartirne al mattino seguente, giungendo infine a Idro alle 24.

Zapoga ci dice che il cannoneggiamento proseguì invece fino a oltre le 22, e che la città non fu affatto difesa in armi, dal momento che i suoi 500 uomini si erano squagliati al Sole.

Cicogna infatti oltre a porre in salvo al più presto la sua "divota persona" aveva pensato bene di farsi scortare da tutta la Truppa regolare del Capitano Zulati, che si viene adesso a trovare arroccata alle sue spalle, nella fortezza di Anfo.

Spinge la sua sicumera fino a far notare come egli sia stato saggio ad andarsi a rintanare lassù.
Da pagina 162:

Presentemente ho la compiacenza di essere in situazione meno pericolosa riguardo alla mia divota persona, per aver di fronte li Paesi della Val Sabbia, e per esser al confine dello Stato Trentino, per dove al caso posso continuare la mia giurisdizione e nello Stato di V. Serenità e di VV. EE..

Egli non può dunque essere rimproverato, in quanto non è uscito dalla giurisdizione della sua carica. Dovesse pure scappare ulteriormente in Trentino, non lo si potrebbe accusare di essere espatriato...
Nel frattempo, mentre con i suoi uomini dà esempio di viltà e fuga, non trascura però di esortare i Salodiani e i Sabbini alla difesa.

Questo messaggio porta la data del giorno 11 Aprile.

Da pagina 163:

Idro 11 Aprile 1797.
Francesco Cigogna Proveditor a Salò.

"

Se i Francesi erano giunti a Salò via terra il Venerdì 7 Aprile, e le loro manovre si erano effettuate tre giorni dopo il loro arrivo, possiamo stabilire che l'aggressione navale sia avvenuta il giorno 10, come anche ci conferma il rapporto di Zapoga.

Bisogna dunque dedurre che Cicogna scrive il dispaccio alle ore 24 del giorno 11, non appena giunto a Idro. Eppure Cicogna sostiene di avere già avuto il tempo di venir contattato a Idro da un inviato del Comandante Colombo.
Da pagina 162:

Capitò qui anche il Capo della Marina Francese, spedito dal Comandante delle Cannoniere... . Mi consegnò una lettera, scritta da quel Comandante, chiamatosi Colombo, e diretta al Sindico, e Capi di Salò, ...

Sorge spontanea una domanda: "Se il Tenente di Crovati Spiridion Zapoga, pur essendo un suo ufficiale, non è riuscito a localizzarlo anche cercandolo fino a Toscolano, come mai il parlamentare francese invece lo raggiunse persino in cima alla Val Sabbia?".

Se fosse vero, bisognerebbe dedurne che tale francese avesse viaggiato assieme al Provveditore, e sotto la sua protezione, perché abbiamo visto che quei pochi Salodiani rimasti in armi non avrebbero certo aiutato un Francese isolato a raggiungere il loro Provveditore. Lo avrebbero piuttosto ucciso occultandone poi il cadavere, come sappiamo avvenne con il magazziniere, francese anch'egli.

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Segue un nuovo dispaccio del Giovanelli da Verona, in data 13 Aprile, che accompagna un'ulteriore comunicazione del Provveditore di Salò con la stessa data.

Secondo Giovanelli il comportamento dei Francesi a Salò non lascia più alcun dubbio sulla loro rinunzia a ogni riserva nel non rispettare i diritti del Governo Veneto.
Il Provveditor Cicogna chiede rinforzi e Giovanelli ha deciso di spedirgli due Compagnie di Fanti Oltremarini e due pezzi di Artiglieria, "se però sarà loro concesso di aprirsi il cammino".

I ribelli che si erano spinti fino a Lonato sono adesso ripiegati fino a San Marco, spinti dai Corpi al comando del marchese Maffei, che ha voluto coprire i Comuni più vicini.

A Verona le cose sono inquietanti. I Francesi hanno finito di armare tutti i posti, compresi quelli che dall'interno della città permettono la comunicazione con l'Adige.

Balland non ha risposto ad alcuna delle numerose lettere inviategli, e le sue truppe manovrano sempre più attivamente in città.

Il Francese ha inviato una lettera in quella stessa mattina nella quale accusa i Villici di avere ucciso un Capo di Brigata francese, suo domestico personale, tra Peri e Dolcè.
Il tono della lettera "palesa vie maggiormente la sua determinata volontà di far sorgere de' pretesti per agire ostilmente, e senza riserva.".

In obbedienza alle Pubbliche massime Giovanelli ha fatto guidare i suoi passi "dalla più misurata prudenza" nella risposta a Balland. Dopo aver ribadito l'ingenuità,l'amicizia etc., ha promesso pronto ed esemplare castigo per i colpevoli dell'assassinio.

Onde evitare che fossero formate ronde francesi in città, ha offerto di far partecipare alle ronde locali anche un uomo d'arme francese per ogni pattuglia.

Ha inoltre chiesto un abboccamento del conte Nogarola con Balland, perché il Comandante delle forze venete potesse ben spiegare le sue intenzioni militari e concordarne i modi.
Nemmeno questa lettera ha ricevuto risposta.

Allora il Nogarola in persona ha scritto a sua volta un biglietto chiedendo un appuntamento a Balland, ma anche il biglietto non ha trovato riscontro da parte francese.

Impossibilitato a comunicare con Balland, nonostante tutti i richiami agli ordini del Direttorio e di Bonaparte stesso, Giovanelli ha mandato il Capitano Viani dal Comandante della Police Carrer, per concordare l'ingresso in città dei 450 Schiavoni acquartierati a San Pancrazio.

Carrer ha ordine di non lasciar entrare né uscire alcuna truppa, e reinvia il Viani a conferire con il Generale. Ma il Generale ha disposto anche il divieto d'ingresso ai Veneti nel Castello di San Felice in cui risiede.
Dopo un'ora di trattative burocratiche finalmente Viani accede al Castello, solo per sentirsi dire che Balland non si trova lì.

Conferirà allora con il Beaupoil.

Del lungo colloquio tra i due, Giovanelli riporta solo che il Francese era "tutto concentrato a mettere in campo ideali accuse, imputandoci una condotta, ben lontana dalle scritte dichiarazioni", mentre il Viani si impegnava "a ribattere con nobili, franchi, e prudenti modi ogni suo pretesto".

Alla conclusione Beaupoil negò di avere il potere di consentire l'ingresso agli Schiavoni senza ordine diretto di Balland, asserendo inoltre che se fosse dipeso da lui lo avrebbe negato.
Prometteva comunque una risposta scritta dal Generale entro breve.
Da pagina 165:

Sono già passate molte ore, ma questo foglio non è ancora comparso.

In questa situazione così difficile, Giovanelli si è visto costretto a ricorrere alla corruzione.
Da pagina 165:

Tutto perciò collimando a domandare dal canto nostro le precauzioni ed i tentativi per divergere i mali, che sovrastano alla Pubblica Causa, abbiamo messo in opera anche quei mezzi occulti, che soli ci rimanevano per tentar di guadagnar la durezza, e l'opera de' Comandanti se effetto però ella fosse soltanto di arbitrio, e non di commissione precisa.

In pratica egli non sà ancora se l'operazione di corruttela funzionerà. Conta sul fatto che Balland si limiti a negarsi, e che non abbia distribuito ordini tassativi ai suoi sottoposti.

A ogni modo egli rimane disposto a "tutto tentare" per la grande importanza che Verona riveste nel destino delle città più vicine alla Dominante.
Da pagina 166:

... ma convien confessarlo, l'intervenzione francese è ormai spiegata, e la Pubblica autorità conviene ne riconosca le circostanze.

Inutile forse sottolineare che il Giovanelli mente su tutta la linea. Egli è infatti in costante contatto con il Balland, dal momento che gli fa regolarmente controfirmare tutti i dispacci che riceve da Venezia per mezzo del Segretario Lorenzo Vignola e del fantomatico Giovanni Dolfin.
Ho visto queste firme proprio su dispacci con data del 10 e 13 Aprile, oltre che su precedenti e successivi.4

Il Provveditore introduce poi brevemente l'allegato dispaccio del Cicogna da Salò, dicendo che da quegli eventi appare chiaro come i Francesi, pur continuando a sostenere di non parteggiare per i ribelli, nei fatti abbiano messo in atto "de' mezzi, tanto nuovi, altrettanto di tutta efficacia.".

Essi infatti costringono con la diplomazia o con la forza le popolazioni al disarmo, e quando esse sono impossibilitate a difendersi subentra l'attacco dei golpisti.

Conclude il dispaccio con stringatissime notizie dal Tirolo: gli avamposti tedeschi avrebbero raggiunto Rovereto, e il generale Joubert sarebbe sui monti con 4000 uomini accerchiato dagli Imperiali.

Da pagina 166:

Verona 13 Aprile 1797.
Iseppo Giovanelli Prov. Estraordinario in T.F.
Alvise Contarini Cap. V. Podestà.

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Ritroviamo dunque il Cicogna il 13 Aprile, ed è già ritornato a Salò, dopo che le barche cannoniere francesi si sono allontanate facendo rotta per Peschiera.

Nel brevissimo volgere di due giorni egli non solo è riuscito a tornare alla sua sede, ma ha avuto modo, a suo dire, di farsi raggiungere a Salò dai Capi di tutte le Valli, che fa quindi accompagnare a Verona perché conferiscano direttamente con il Provveditor generale e gli illustrino i loro bisogni.5

Non solo, sempre in questo improbabile lasso di tempo egli avrebbe anche concordato una dilazione all'intimazione di disarmo con il Capitano Colombo per mezzo di un suo ufficiale.
A seguito di questo suo accordo anche le truppe francesi di terra si sarebbero ritirate da Salò in direzione di Peschiera, lasciando dietro di sé saccheggi e rapine.

Mi sembra assai più credibile invece che i Francesi si ritirassero da un Territorio a loro ormai apertamente ostile e che non era ancora caduto nella trappola del disarmo preventivo che avrebbe dovuto garantire la loro vittoria.

Il Cicogna conclude il suo breve resoconto con le consuete attestazioni di pronta e cieca ubbidienza ai comandi delle Loro Eccellenze.

Da pag. 167:

Salò 13 Aprile 1797
Francesco Cigogna Prov. Estraordinario.

Tentori passa adesso a descrivere la situazione e le nuove mosse di Napoleone Bonaparte, come vedremo nella prossima pubblicazione.

Umberto Sartori


Note

Nota 1 - Si tratta di quegli arresti di cui abbiamo visto alla nota 6 della Pubblicazione XLVI.

Nota 2 - Nota di Tentori alla pagina 158:

(I) Sollecito il zelante e benemerito Cittadino N. H. Angelo Zustinian Recanati Prov. Ertraordinario in Treviso nel giorno 13 Aprile diffuse colle stampe le suddette carte nelle Provincie del Friuli, di Belluno, Feltre, Treviso, Ceneda, Conegliano, Cividal del Friuli, Pordenon, Carnia, e Cadore.

Nota 3 - Copie di questi documenti sono ancora rintracciabili alla Busta 81 del Fondo "Secreta" del Consiglio di X presso l'Archivio di Stato di Venezia.

Nota 4 - Dal fondo "Inquisitori di Stato, Lettere degli Inquisitori ai Rettori di Verona" presso l'Archivio di Stato di Venezia, busta 119:

A carta 2246 Dispaccio n. 143 del 10 Aprile 1797: lettera di lode al Provveditor Estraordinario per aver inviato "l'ufficiale da lei accennato" al Savio alla Scrittura come richiesto (si tratta presumibilmente del colonnello degli ingegneri Ignazio Avesani, che era stato richiamato a Venezia già il 14 Luglio 1796, il cui trasferimento era però stato rifiutato dall'allora Provveditore Estraordinario Foscarini, rifiuto autorizzato da decisione del Senato il data 16 Luglio. Cfr. A.S.Ve. Fondi/Provveditori Camera Confini/Serie Verona, busta 41).

Anche questo Dispaccio come altri già visti alle note 6 e 7 della pubblicazione XLVI, porta le controfirme per presa visione dello Stato Maggiore francese di Verona:

Balland
Malya, Gen de 18me
Firma di "Malya aide de Camp"
Lorenzo Vignola
Giovanni Dolfin
Berthollet
s.c. Nugue
secr. d.l. com

Il segretario francese annota tre allegati ma ci rimane un solo inserto, un estratto dal bando di ringraziamento al Cav. Gio: Batta Allegri Condottiere di gente d'armi per essersi messo al servizio della Repubblica.

Nota 5 - Non so ancora se gli approfondimenti storici presso gli archivi riusciranno a fornire maggiori informazioni in merito, ma trovo estremamente probabile che i Capi delle Valli in armi siano stati avviati a Verona perché fossero sterminati durante la tragica farsa delle Pasque, privando così anche le popolazioni montane di loro capi naturali al fine di ulteriormente demoralizzare quelle genti combattive.
Nell'ottica di captare la loro fiducia probabilmente vanno visti i recenti effimeri invii di munizioni e le promesse di supporto militare da parte dei Rappresentanti veneti.


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