Storia di Venezia

Pagina pubblicata 19 Novembre 2014

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799, XXXVIII

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , XXXVIII
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

Vai a pagg. 12 - 29 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 29 - 45 | Vai a pagg. 45 - 58

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

Storia di Venezia - Veduta di Brescia

Brescia diventa francese.

Alle pagine 30 e 31 Tentori riporta la "Ricercata" del Senato al Tribunale degli Inquisitori in data 17 Marzo 1797.

Tale comunicazione incarica il Tribunale di attivare il Consiglio dei Dieci in un'inchiesta sulle "cose avvenute nella città di Bergamo, "che esigono i Pubblici riflessi sopra la condotta in tal emergente tenuta dal Pubblico Rappresentante in quella Provincia" (1)".

Si da anche mandato al Sommo Tribunale di adoperarsi perché "con quelle caute forme, che sono tutte riservate alla di Lui autorità, e prudenza" sia mantenuta viva la fiducia nel Veneto Governo dei sudditi nelle Province invase, nonostante, su consiglio del Battaja, non si ritenga per il momento opportuno effettuare alcuna azione volta a reinsediare le legittime Autorità.

Ricevute le lettere e i documenti relativi all'Ottolini, i Capi dei Dieci "restano ricercati a devenire col loro Consiglio perle vie secrete a quelle deliberazioni, che pareranno proprie alla loro prudenza.".

Alle pagine 30 e 31 Tentori compila una lunga nota in difesa dell'Ottolini, che a quanto pare fu poi denigrato anche in due opuscoli: la "Relazione Sommaria della perdita della Veneta Aristocratica Repubblica" e la "Memoria per servire alla Storia Politica degli ultimi otto anni della Repubblica di Venezia" (cfr. Pubb. I).

Secondo Tentori il comportamento di Ottolini fu ineccepibile, egli si attenne sempre agli ordini e alle indicazioni ricevute dai Savj e dal Battaja, al quale si deve anche imputare il radicale disarmo di Bergamo tre giorni prima della prima invasione di Truppe francesi il 25 Dicembre 1796.

L'abate imputa dunque l'incriminazione dell'Ottolini al tradimento di alcuni savi, in particolare Pietro Donà e Francesco Battaja, entrambi a suo modo di vedere agenti filo-francesi.
Questi congiurati avevano sempre osteggiato l'Ottolini, troppo severo nel perseguire i "malintenzionati" e potenziale attivatore delle milizie spontanee della Bergamasca.

Ai nostri occhi egli non può apparire che come un funzionario timoroso e imbelle, tuttavia al suo tempo sappiamo che egli fu temuto anche dai Francesi, per via di quelle decine di migliaia di uomini armati che avrebbe potuto avere ai suoi ordini se fosse stato fatto d'altra pasta.
Ma non lo era, né militarmente né politicamente e cadde nel tranello tesogli da Landrieux, dopo aver piegato la testa a tutte le assurdità che riceveva dai propri Superiori.

In coda alla nota Tentori riporta che, quando Ottolini fu a Venezia per la sua Relazione, il segretario Soderini, rifiutandogli l'udienza al Senato, gli avrebbe detto : ""l'accaduto in Bergamo poco importa, giacché fra due Mesi saremo tutti Cittadini"".

La sera di quello stesso 17 Marzo 1797 fu spedita una lettera Ducale al Provveditor Battaja in Brescia. In tale lettera lo si esorta a "porre in esecuzione i più prudenziali mezzi, onde conservare costante l'attaccamento, che i Territoriali della Bergamasca continuavano a dimostrare verso il legittimo loro Sovrano ... ed a prendere le più efficaci misure, onde arrestare il corso della minacciata rivolta." (da pag. 31).

È probabile, a mio modo di vedere, che il vero senso di questa raccomandazione consistesse nel monitorare e reprimere l'andamento di una possibile reazione delle Popolazioni ai fatti di Bergamo.

Battaja riceve anche compito di provvedere a un nuovo "destino" per il presidio militare espulso da Bergamo.

La Ducale si chiude con la lode di due lettere scritte dal Battaja al Kilmaine (15 Marzo) e a Napoleone; si conferma al Provveditore la piena fiducia del Senato.
Da pag. 32:

Così scriveva il Senato; fra poco vedrà il Lettore, in qual guisa corrispose il Battaja a tanta fiducia.

In data 18 Marzo 1797 il Senato si occupa di misure economiche. Per fare fronte alle enormi spese conseguenti il mantenimento dell'intera armata Napoleonica, si deliberò di "far uso delle argenterie non necessarie al culto divino.".

Lo stesso 18 Marzo si risponde al Residente in Milano Vincenti Foscarini.
Questi aveva presentato rimostranze a Kilmaine, il quale si era mostrato sorpreso e protestava l'estraneità delle sue truppe ai fatti di Bergamo, producendo una lettera da lui inviata al comandante Le Faivre, che vedremo più sotto.

Il Senato volle credere alla buona fede del Kilmaine (quanto a torto, lo sa chi abbia letto del piano che il generale aveva concepito con l'aiutante maggiore Landrieux) e trasmise pertanto le seguenti istruzioni al Vincenti.
Dalle pagine 32 - 33:

... trova opportuno questo Consiglio commettere alla nota tua desterità di significare al Comandante medesimo, che essendosi da te fatti presenti al Senato questi sentimenti di onestà e di giustizia corrispondenti all'amicizia, ed alla Neutralità vigenti tra la Nostra, e la sua Repubblica, ti trovi incaricato di ricambiare in Pubblico Nome con le proteste del più pieno aggradimento, e dell'intiera nostra fiducia che Egli vorrà rendere efficaci col fatto i sentimenti medesimi... .

Impossibile oggi a noi, come lo fu al Tentori, credere alla buona fede di chi scrisse quella Ducale, firmata ufficialmente da "Andrea Alberti Segretario".

Alla pagina 33 troviamo la lettera che Kilmaine avrebbe scritto al suo comandante Le Faivre in Bergamo. Non mette conto di riportarla dettagliatamente, in essa Kilmaine autorizza il presidio di quella città ad agire solo in caso di attacco diretto alle Truppe francesi e disapprova che si commetta alcun atto che potrebbe compromettere "la Neutralità, che esiste fra le due Repubbliche Francese, e Veneziana".

Il che ci mostra come il Kilmaine, quanto a faccia di bronzo, non fosse secondo a nessuno.

A ogni modo questa epistola del Kilmaine fu pubblicata dal "Monitor Bolognese" come in data 20 Marzo, ma Tentori la definisce precedente, in quanto essa fu mostrata da Kilmaine al Vincenti Foscarini e da questi trasmessa per lettura in Senato il 18. Ma Vincenti la aveva spedita ancor prima al Battaja, il giorno 16.

Mentre il Senato mostrava di cullarsi nell'efficacia delle sue rimostranze al Lallement e al Direttorio nonché delle ambascerie di Pesaro e Corner presso Bonaparte, per riportare Bergamo all'amato seno Veneto, i Francesi, al contrario, "rivoluzionarono" anche Brescia.

-- :: --

La notizia venne a Venezia con una dettagliata relazione da Verona in data 28 Marzo 1797, il cui originale si trova nell "Archivio della Secreta".
Da pag. 34:

Sebbene essa non porti il nome del Provveditor Estraordinario Battaja, è sua senza contrasto, giacchè egli altri dettagli non spedì al Senato, come era suo dovere.

La Relazione del Battaja occupa le pagine dalla 34 alla 45. Eccone il riassunto.

Da tempo si poteva osservare che molti "malvaggi" complottavano contro il Governo veneziano, facendosi scudo di "relazioni colla Repubblica Francese".

11 Marzo 1797

Giunge a Brescia un inviato di Ottolini. Riporta a Battaja il piano rivoluzionario secondo la truffa ordita da Landrieux, ovvero che la "rivoluzione" sarebbe scoppiata prima a Brescia, per poi estendersi a Bergamo.

È opportuno dilungarsi su questo piano, perché nella Relazione di Battaja ne emergono aspetti che ci risultavano mancanti o imprecisi nelle notizie che abbiamo sinora potuto ottenere dalla Relazione di Stefani e dalle memorie di Landrieux.

Secondo le false informazioni fornite allo Stefani, Brescia sarebbe stata presa da una truppa di Lombardi alla quale si sarebbe unito gran numero di Bresciani, usciti dalla città per assaltarla dall'esterno (già questa parte del piano faceva largamente acqua sul lato credibilità, dal momento che non si vede perché, potendo contare su una consistente ribellione anche dentro le mura, questa forza sarebbe stata portata fuori per un assalto su un solo fronte).

Entrati in città e impadronitisi del Palazzo, i rivoltosi avrebbero arrestato e ucciso il Provveditor Estraordinario Battaja, il Rappresentane Mocenigo e altre 60 principali Autorità cittadine.

Battaja non sarebbe però stato ucciso subito. Lo si sarebbe dovuto minacciare di morte davanti al Popolo, in caso che quest'ultimo non avesse accettato di proclamarsi "popolo libero". Una volta ottenuto il consenso popolare, Battaja sarebbe stato assassinato discretamente.

Segue la descrizione delle patenti speciali rilasciate dai Francesi ai congiurati, corrispondente a quella che abbiamo trovato nella Relazione di Stefani a Ottolini.

Segue ancora la prima lista di una decina di congiurati ("Lecchi, Arici ec.") e, secondo il copione già noto, l'indicazione che non bisognava far nulla prima della riunione plenaria dei congiurati, che avrebbe permesso di arrestarli tutti in un colpo solo.

Rispetto a quanto ci era già noto dalla relazione dello Stefani, troviamo qui due ulteriori notizie, la data del colpo di Stato in Brescia, fissata per il 21 Marzo, e il fatto che nelle raccomandazioni dell'informatore francese figurava la richiesta della fucilazione di molti degli arrestati.

Così facendo, si sarebbe impedito alle pur fitte radici del complotto di giungere a effetto, ed entro breve Francia e Austria avrebbero firmato la Pace.

Al contrario, se il colpo di Stato fosse andato a buon fine, "avrebbe Buonaparte ingrandite le sue idee, forse a voler essere il Cromuel dell'Italia.".

Ecco come Landrieux contava di liberarsi di quegli Italiani che lo avevano aiutato a riarmare le scarne truppe del Kilmaine.

I Francesi si sarebbero astenuti dall'intervenire, sempre secondo gli accordi segreti presi tra Landrieux, Ottolini e Vincenti Foscarini.

Dopo aver considerato inopportuno attendere il 21 Marzo senza alcuna azione, Battaja scarta l'idea di far arrestare tutti i congiurati, temendo di provocare subbuglio in città, dato l'alto numero di questi. Per lo stesso motivo esclude di poterne fucilare sui due piedi.

Inoltre il Provveditore teme che, se non saranno i Francesi di Kilmaine a proteggere i congiurati, ben potrebbe Napoleone in persona, dato l'enorme numero di patenti diplomatiche che questi aveva rilasciato.

Si consulta quindi con il "Colonnello Soffietti" e il "Capitan Bigoni", decidendo di inviare il "Tenente Colonnello Rivanello" a Verona per chiedere rinforzi di truppa.

Battaja designa l'uomo da inviare a Milano per i colloqui con Landrieux nella persona di "Gio. Battista Gherardi di Lonato", indi convoca una riunione dello Stato Maggiore, con il quale vara i seguenti provvedimenti:

  • chiudere tutte le porte del palazzo a eccezione della principale;
  • radunare il maggior numero possibile di truppa italiana per la difesa dello stesso;
  • radunare i corpi di Cavalleria attualmente sparsi;
  • costituire un deposito munizioni.

Quindi scrive una lettera a Napoleone, informandolo della minaccia e chiedendogli sei od otto cannoni per difendere la città; Napoleone avrebbe inoltre dovuto ordinare alle Truppe Lombarde di non andare a Brescia.
Questa lettera fu spedita il giorno 11 Marzo alle sei di sera.

12 Marzo 1797

Nel pomeriggio Battaja riceve la lettera di Ottolini con la notizia del colpo di Stato a Bergamo.

Curiosamente, Battaja non accenna qui a quanto dichiarato nel dispaccio agli Inquisitori del 13 Marzo, dove affermava di essere stato informato in precedenza da una lettera del capitano di Cavalleria Wlastovich (cfr. Pubblicazione XXXVII).

I fatti di Bergamo mettevano in discussione tutte le notizie ricevute dall'informatore francese a mezzo della relazione Stefani. O l'informatore era infedele, oppure era intervenuto un cambiamento nei piani del complotto.
Il comportamento del Generale Chambran comandante i Francesi in Brescia, dava adito a forte sospetto che i Francesi avrebbero cooperato al colpo di Stato.

Ne consegue che Battaja si trova estremamente indeciso sul da farsi.

13 Marzo 1797

Nella notte tra il 12 e il 13 si raduna in Brescia la Cavalleria sparsa. Battaja, temendo che gli sparuti rinforzi in marcia da Verona possano risultare più "irritanti" che utili, li rimanda indietro la sera del 13.

In questo giorno Battaja convoca i Rappresentanti della città cercando di convincerli a offrire denaro e uomini per la difesa dall'imminente pericolo. La sua richiesta viene accolta con freddezza e l'aiuto gli è negato da tutti con l'esclusione del Deputato Federigo Fenaroli, ma l'offerta di questi è talmente condizionata da risultare insignificante.

Era opinione corrente che i Francesi, attestati nel Castello, avrebbero potuto incenerire in qualsiasi momento l'intera città.

Battaja descrive come lacunoso, inutile e solo apportatore di probabili lutti sia il reclutamento di volontari nel contado e nelle valli.

14 Marzo 1797

Arriva a Brescia da Bergamo il Capitan Corner, che conferma la partecipazione dei Francesi al colpo di Stato.
Da pag. 38:

... infatti i due Cannoni trasportati dal Castello, e collocati dinanzi il Pubblico Palazzo, erano serviti da Cannonieri Francesi, e la Truppa e nella Piazza, e nel Castello era in movimento minaccioso.

Vincenti Foscarini da Milano scrive a Battaja che per riconquistare Bergamo basta spedirci un piccolo contingente di Truppe.

15 Marzo 1797

Convocato un nuovo Stato Maggiore con i Capitani Corner, Bigoni e Vidali, si decide di non avere forze sufficienti per la task force su Bergamo. Includendo i rinforzi da Verona, a Brescia non si giunge a mille uomini, quasi tutti nuovi alle armi, inaffidabili in quanto potenzialmente già ingaggiati nella congiura, privi di artiglieria e di ufficiali.

La sera del 15 si riceve la risposta da Napoleone.
Ovviamente non esaudisce alcuna delle richieste del Battaja, si limita ad affermazioni generiche sulla libertà d'opinione e ad auspicare un colloquio con il Battaja.

Pur priva di importanza per il Provveditore, questa lettera, con il suo tono noncurante ci suggerisce di confermare l'ipotesi, già avanzata nella Pubblicazione dedicata a Landrieux, che Bonaparte fosse al corrente della truffa ordita apparentemente in proprio da questi con la complicità di Kilmaine.

Battaja risponde auspicando che nell'incontro tra il Generale e i due Deputati che Venezia gli avrebbe inviato, si sarebbe risolto ogni contrasto.

Qualche giorno prima, il conte Federigo Fenaroli aveva caldeggiato un incontro tra il Battaja e il Conte Francesco Gambara, considerato uno dei capi della congiura. A detta del Fenaroli, egli non lo era, ma conosceva molti dei nomi coinvolti.

Il Gambara si recò due volte dal Battaja, il 15 e il 16, ma i suoi discorsi "misteriosi" non fecero che accrescere l'inquietudine e i dubbi del Provveditore.

Battaja riceve sempre il 15 un nuovo messaggio dal Vincenti Foscarini, dove lo si invita a non chiedere aiuto al comandante del Castello in caso di sommossa, in quanto quello avrebbe avuto ordine di farlo uccidere dai soldati che avrebbe finto di inviare in aiuto.

Ci è legittimo sospettare che Landrieux e compagni non facessero affidamento sul Generale Chambran, e che volessero impedire eventuali abboccamenti di questi con il Battaja.

16 Marzo

Nuovo biglietto dal Vincenti Foscarini che accompagna la lettera scritta da Kilmaine a Bergamo (riportata da Tentori a pag. 33), lettera che peraltro non ebbe alcun effetto né in Bergamo né in Brescia.

Dicendosi tormentato da tanti dubbi e indecisioni, Battaja sostiene di aver tentato di ricorrere "per ultimo alla dolcezza".
Così non trova di meglio che promulgare una amnistia generale per i colpevoli di turbamento dell'Ordine Pubblico.

In pratica egli mette in libertà tutti gli agitatori e i provocatori che erano stati arrestati dai troppo solerti Ottolini, Mocenigo e dal suo predecessore al Provveditorato, Niccolò Foscarini.

Cercando abboccamenti, per mezzo del "Capitan Stuari", con il conte Giuseppe Lecchi, altro noto capo dei congiurati, Battaja ebbe modo di verificare che la sua "tenerezza" non aveva affatto intenerito gli oggetti della stessa. Lecchi rispose con fisionomia torbida e fredda.
L'incontro infruttuoso con i due capi del complotto convinse Battaja che la sua battaglia era già perduta.

17 Marzo

Vincenti Foscarini avvisa che si vogliono introdurre a Brescia 300 soldati milanesi travestiti, ma nonostante le indagini, Battaja non riesce a scoprire se ciò sia vero.

Lo stesso giorno, Battaja afferma di essersi voluto preoccupare della Cassa Pubblica (danari della Camera).
Sostiene di averla consegnata al conte Vettor Martinengo, "per la di lui riputazione presso di tutti di uomo d'onore;".
Da pag. 40:

ma vide d'essersi ingannato anche in questo, giacchè assunse con grande compiacenza il Posto di Municipalista; ed il giorno appresso avendo il Provveditor Estraordinario chiesto l'adempimento del suo impegno, gli rispose, che quelli erano danari della Nazione Bresciana.
Cosicchè il Provveditor Estraordinario perdette una somma non leggera, di cui non sa render conto neppure per approssimazione, non avendo a questa parte le due Persone (1) che potriano ajutarlo a renderne conto, licenziate a Verona per non prolungare il peso della Pubblica Cassa.

In calce a pagina 40 la bruciante nota del Tentori, che definisce insostenibile questa procedura illustrata dal Battaja:

(1) Nuova, e strana maniera di amministrare il Pubblico Patrimonio.
E come è credibile, che senza quietanza, o Ricevuta fosse consegnata la Cassa al Martinengo?
Senza nemmeno sapere "per approssimazione" il suo valore?
E che il Martinengo così all'oscuro la ricevesse!
In si fatta maniera il Provveditor, e li suoi Ministri potevano a man salva defraudare il Pubblico Erario.

La sera del 17 si viene a sapere che 60 Ufficiali francesi al comando di Antonio Nicolini, Aiutante del Kilmaine, con due cannoni e circa 500 uomini tra Bergamaschi e Lombardi hanno impedito a Loncaglio il passaggio a un distaccamento di Cavalleria che il Provveditore inviava da Brescia a Chiari.

18 Marzo

Al mattino la notizia che le truppe del Nicolini si avvicinano a Brescia. I capi dei ribelli bresciani escono dalla città per unirsi a loro.

Ai due parlamentari inviati da Battaja viene risposto che in caso di resistenza la città sarà ridotta in cenere con grande spargimento di sangue.

I Francesi nel Castello hanno aperto le imbrasure, i nobili sembrano indifferenti alla catastrofe. Gli aggressori sono armati di cannoni francesi, mentre Battaja non ha artiglieria alcuna, così confina le sue truppe nelle caserme con ordine di non fare resistenza e licenzia persino le Guardie del palazzo, rimanendo con solo alcuni ufficiali "e pochi Bresciani del Corpo della città arrivato in palazzo qualche ora prima dell'ingresso de' Congiurati. (1)".

-- :: --

Un diverso racconto dei fatti in Brescia.

Nella lunga nota alle pagine 41 e 42, Tentori ci sottopone un'altra relazione di questo momento, assai diversa dalla versione del Battaja.

(1) Abbiamo per le mani da molto tempo una dettagliata Relazione degli avvenimenti di Brescia, scritta da un Testimonio oculare, Uomo quanto Letterato ed illuminato Uffiziale, altrettanto probo, onesto, e religioso Suddito Veneto (1), il quale arrivando a questo passo così scrive.

Il racconto del probo suddito veneto, com'era da aspettarsi, è assai differente da quello del nostro "Provveditor Estraordinario" Francesco Battaja.

La città, infatti disponeva sia di Autorità atte al comando che di Truppa.
Da nota (1) a pag. 41:

... il Lettore sarà curioso di sapere, se in tale congiuntura non vi era forse in Brescia né Rettori, né Soldati, né Abitanti atti alle armi, ed io gli rispondo immediatamente.
I - Che vi era il N. H. Alvise Mocenigo, qual Capo di Provincia, ossia qual Capitanio, e Vice Podestà.
II - Che vi era il N. H. Francesco Battaja qual Provveditor straordinario.
III - Che vi erano Soldati d'Infanteria, e di Cavalleria in buon numero, oltre i Cannonieri, e Bombardieri della Città, a quali tutti meritamente soprantendeva come Governator delle armi il Graduato Gian Antonio Soffietti Colonnello di Dragoni, quanto probo altrettanto perito, ed eccellente nell'Arte militare.
IV - Che vi erano tra gli Abitanti dodeci in quindici mila uomini atti alle Armi.

Secondo il relatore, il consistente Presidio disponibile fu reso inutile solo dagli ordini del Francesco Battaja.

... avvegnaché il Provveditor Estraordinario stato sempre circondato da una Corte corrotta, che formava una specie di "Club di Giacobini"; si è opposto a tutti i movimenti, ed a tutte le Deliberazioni pubbliche, che avrebbe desiderato il Mocenigo, ed ha ordinato non solo alle Soldatesche tutte, ma anco agli Abitanti di non fare contra gli Ammutinati la menoma resistenza.

Il "Testimonio oculare" prosegue dicendo che i parlamentari mandati da Battaja incontro alla truppa in arrivo incontrarono poco più di un centinaio di persone, e non le 500 dichiarate dal Battaja.
Tra questi, il Lecchi in funzione di Generale.

Lecchi dichiarava l'intenzione irrevocabile di "liberare o per amor, o per forza tutto il Popolo Bresciano dal giogo della Veneta Repubblica.".

Per fare la voce grossa pur con lo sparuto gruppo di armati che comandava, il Lecchi ricorre a una millanteria:
Da nota (1) a pag. 42:

... per ciò fare, dovea essere da lì a poco raggiunto da un corpo di diecimila Uomini, e da non so quanti Francesi, stati espulsi dalla Francia, come troppo crudeli, e sanguinari.

Battaja non sembrò tuttavia preoccuparsi di questa terribile minaccia, egli si dispose a ricevere le belve sanguinarie "placidamente"; mentre tutti gli abitanti, raggiunti da voci sinistre, si mostravano sconvolti, Battaja licenziò le sue guardie e rinnovò l'ordine di stare quieti e non reagire in alcun modo.

Il "Testimonio oculare" si interroga se il comportamento del Provveditore fosse dettato da viltà o da intese segrete col nemico, Non sa rispondersi, ma nemmeno può evitare di evidenziare che tale comportamento "dà argomento a molti sospetti".

Noi che sappiamo assodate le intese segrete, possiamo evincere che il Battaja, pur all'oscuro del "piano Landrieux", si fosse sentito rassicurato dalla risposta del Napoleone, il quale a tutti gli effetti non si mostrava preoccupato della situazione.
Egli presumibilmente intese l'offerta di un colloquio fattagli da Bonaparte come un promettere la spiegazione di nuovi aspetti intervenuti nei loro piani, e si dispose a non ostacolare i progetti francesi.

La relazione si conclude con un elenco delle misure che Battaja avrebbe potuto prendere se davvero egli avesse voluto difendere lo Stato Veneto in Brescia, ma noi ben sappiamo che egli non voleva, quindi tralascio questo elenco, che può essere visionato a pagina 42.

-- :: --

Riprendiamo a pagina 42 il racconto del 18 Marzo nella Relazione Battaja.

Non appena ritornati gli ufficiali che aveva mandato incontro agli assalitori, Battaja si portò nell'alloggio di un "Procurator Pisani", che a quanto pare si trovava agli arresti nel Palazzo (2).
Gli propose di trasferirlo a Venezia, cosa alla quale il Pisani acconsentì, con la preghiera che non venisse aggravata la sua posizione.

Gli assalitori entrano dunque in Città, puntano due cannoni contro il Palazzo e vi entrano, diretti dapprima agli appartamenti del Residente Mocenigo, dove apprendono con loro grave disappunto che questi è partito. Come e quando, il Battaja non racconta.

Spostano dunque la loro attenzione sulle stanze del Provveditore, dove trovano Battaja in compagnia del Tenente Colonnello Rivanello, del Capitanio Mattelinovich e del Tenente Rabbi, che li attendono.

Per gli invasori, parla il Conte Lecchi, il quale dà lettura di un proclama nel quale, per sua voce, il Popolo Bresciano si sarebbe dichiarato libero dalla tirannia del Governo Veneziano.

Il Provveditore avrebbe risposto difendendo la bontà paterna del governo e in particolare la propria.
Si sarebbe spinto fino ad affermare che il proclama non avrebbe riscosso la maggioranza dei consensi, come si annunziava, se non per la minaccia della forza.

Alla perorazione del Battaja il Lecchi avrebbe addolcito il suo tono, per poi ordinare le prime misure.

  • Dirama ordine alle caserme perché le Truppe venete depongano le armi;
  • occupa il Palazzo;
  • Battaja e i suoi ufficiali sono guardati a vista;
  • al Battaja si intima di lasciare Brescia entro quattro ore.

Nelle operazioni di disarmo della "Compagnia Capitano Stuari" partono alcune archibugiate, che feriscono due degli assalitori.

Il Lecchi torna infuriato dal Battaja minacciandolo con la spada per l'accusa di tradimento.
La rappresaglia pare però limitarsi al lacerargli gli abiti, dopo di che l'ex-Provveditore viene tradotto coi suoi ufficiali al Castello, "conducendolo per una via occulta, forse perché non fosse veduto dal Popolo".

Sulla porta del Castello trovano 100 francesi con le armi pronte e le micce dei cannoni sui rampari accese.
Lecchi impartisce loro l'ordine di "non offendere i patrioti, ma bensì rivogliere (sic) l'offesa sopra gli Aristocratici".
(Il Lecchi doveva aver momentaneamente obliato il fatto di fregiarsi del titolo di conte... N. di U.S.)

A seguito di un breve colloquio del Lecchi con il Comandante francese, le porte del Castello si aprono e Battaja con i suoi viene condotto in una stanza al piano terreno, sotto la guardia di francesi e "insorgenti", tra i quali un fratello del Lecchi.

Dopo due ore torna il Lecchi, dicendo di aver scoperto l'innocenza del Battaja.
Questi chiede di poter condurre il Pisani con sé a Venezia, ma il Lecchi dichiara che il Pisani sarebbe rimasto con loro, "nutrindo Essi da gran tempo tale desiderio.".
Il Pisani infatti fu prelevato e condotto a casa Lecchi "fra gli Evviva del Popolo".

Lecchi, a seguito dell'incidente delle archibugiate, ritiene opportuno dilazionare anche la partenza del Battaja, e intende prendere precauzioni per salvaguardarne la vita.

Il Provveditore trascorrerà la notte del 18 in compagnia dei suoi ufficiali che erano stati disarmati delle loro sciabole, "guardati a vista da una moltitudine d'insorgenti, non avendo lasciato all'Estraordinario, che un semplice pagliazzo senza coperte.".

La stessa sera del 18 Battaja riceve una visita del Pisani, che si scusa di non poterlo seguire a Venezia, in quanto "costretto da una amichevole violenza a restare.". Prega il Provveditore di recapitare una lettera a sua moglie, cosa che il Battaja rifiuta.

19 Marzo

Al mattino si predispone la partenza del Battaja, ma all'ultimo momento il Lecchi fa staccare i cavalli e rimanda alla sera, adducendo un atteso "fermento del popolo", che avrebbe messo a rischio la sua vita (vista la natura del "fermento", più sotto descritta, sembra di poter interpretare che il Lecchi in questo caso si riferisse alla propria vita).

Così Battaja passa la giornata del 19 rinchiuso in una stanza degli appartamenti che erano stati del Mocenigo.

Verso sera, gli vengono rinforzate le guardie, e il Lecchi viene a comunicare che "alla porta di Tor Longa, per dove doveva sortire il Provveditor Estraordinario, vi era un tumulto promosso da bassi Ministri del Mocenigo, e che perciò conveniva prendere delle misure per assicurarsi di essi." (da pag. 44).

Lecchi parla all'orecchio di un certo "Martinengo, uomo facinoroso, e sanguinario, ed a vari altri de' più feroci, e fu inteso dire, uccidetelo.".

Martinengo rimane di guardia con la spada sguainata fino alle tre di notte, quando il Lecchi ritorna e finalmente fa partire il Provveditore con due suoi ufficiali, scortato da due Guardie francesi e da due esponenti della Municipalità, "Tonelli, e Filippini".

Uscito da Tor Longa, Battaja fa una breve sosta a Desenzano e raggiunge Peschiera, dove prende riposo dal "Governator Colonnello Carrara".
In Peschiera ha un breve colloquio anche con il Generale francese Guillaume, che si dichiara all'oscuro dei fatti di Bergamo e Brescia.

Battaja conclude la sua lunga e poco attendibile relazione comunicando che tutti gli altri Ufficiali Veneti sono rimasti a Brescia, in stato di arresto "o per provvedere alle cose loro".
Alcuni di questi, prima della partenza del Provveditore, avevano ricevuto "larghissime offerte" dai ribelli per passare alla loro parte, ma avrebbero tutti rifiutato.
Su uno degli ufficiali, il "Capitan Stuari", sarebbero esercitate violente pressioni "perché accetti un posto di Colonnello".
Da pag. 45:

Verona 28 Marzo 1797

Nel frattempo, "giunta la nuova di Brescia al Senato", la si inoltrò al Deputato Pesaro, già in viaggio per incontrare Napoleone, con una lettera del 20 Marzo, che vedremo nella prossima Pubblicazione.

Umberto Sartori


Note

Nota 1 - Dalla qualifica di Ufficiale e Letterato, possiamo immaginare che l'Autore di questa testimonianza sia Pietro Alvise Mocenigo, Vice Podestà di Bergamo.

Nota 2 - La "Raccolta Cronologica" del Tentori non precisa chi fosse questo Procurator Pisani, né per quali motivi si trovasse agli arresti.
Non è peregrino ipotizzare che si trattasse di quel Giorgio Pisani già incontrato alla Pubb. II in relazione alle sobillazioni dei Barnabotti in Venezia negli anni attorno al 1780.

A questo proposito, dalla voce "Contarini, Carlo", in Dizionario Biografico degli Italiani Treccani:

All'arrivo nel Veneto delle armate di Napoleone Giorgio Pisani, che gli inquisitori non erano riusciti a far trasferire in tempo a Venezia, tentò un'impossibile rentrée politica, presentandosi come vittima del cessato governo e paladino delle nuove municipalità democratiche, ma incontrò subito l'ostilità dei Francesi e degli italiani filogiacobini e venne rapidamente emarginato da qualsiasi carica.


Vai a pagg. 12 - 29 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 29 - 45 | Vai a pagg. 45 - 58

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

TOP

   

Edizione HTML e grafiche a cura di Umberto Sartori. Consulenza bibliografica dott. Paolo Foramitti.