Storia di Venezia

Pagina pubblicata 17 Gennaio 2017

Cristoforo Tentori, Raccolta Cronologico Ragionata
di Documenti Inediti che Formano la Storia Diplomatica
della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia, 1799 - LIX

INDICE || PDF Tomo Primo 1788-1796 || PDF Tomo Secondo 1796-1797

   

Storia della Caduta di Venezia , LIX
Sommario Commentato della "Raccolta Cronologica Ragionata..." di Cristoforo Tentori

PARTE TERZA
Consumazione della Rivoluzione e Caduta della Repubblica di Venezia
Dal giorno 12 Marzo sin al dì 13 Maggio 1797 (pagg. 3 - 416)

Vai a pagg. 294 - 301 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 301 - 315 | Vai a pagg. 316 - 325

|| Approfondimento della figura di Landrieux || Indice degli Argomenti di questa pubblicazione ||

Storia di Venezia, cittadini di Graz e soldati francesi  nell'Aprile 1797

Storia della caduta di Venezia, cittadini di Graz e soldati francesi nell'Aprile 1797 (immagine per cortesia di http://austria-forum.org

Veniamo dunque al resoconto della missione di Donà e Zustinian, deputati all'incontro con Napoleone tra le montagne del Tirolo.

La lettera, spedita da Gradisca il 28 Aprile 1797, si apre con il dichiararsi "sventuratissimi apportatori" di notizie su "l'estrema disgrazia dell'adoratissima Patria" e con la richiesta di compassione per la loro "amarissima situazione".
Segue il racconto della parte terminale del viaggio.

I deputati si dicono "atterriti" dalle voci raccolte tra Pontebba e Klagenfurt sulla spartizione dei Veneti Stati tra Austria e Repubblica Cispadana nonché da quelle, circolanti ovunque tra soldati e ufficiali francesi, sulla vendetta per presunti assassini di francesi in Venezia e Terraferma.

Su questo argomento hanno affrontato una accesa discussione con il comandante della piazza di Leoben e alcuni suoi "vivaci ufficiali", vertente soprattutto sul linciaggio di un francese a Venezia sul ponte dei Greci la Domenica delle Palme, fatto del quale i Deputati erano completamente all'oscuro.

Sottrattisi in Leoben alle non meglio precisate "insidie" di due "esploratori", Donà e Zustinian hanno proseguito il cammino verso Graz, dove il Buonaparte aveva posto il suo Quartier Generale il giorno precedente, a una sola "posta" dietro il fronte che attualmente si trova a Bruch, dodici stazioni di posta distante da Vienna.

Presero questa decisione mossi dal senso del dovere verso la Patria, nonostante i terribili dubbi che li tormentavano sull'utilità e i pericoli di un incontro con il Generale in capo francese.
Tali dubbi sorgevano:

  • dalle voci della già decisa spartizione degli Stati Veneti;
  • dal fatto che Napoleone avrebbe inviato un corriere a Venezia per richiamare il suo tesoriere Haller;
  • dalla Ducale del 18 Aprile che riportava i fatti di Verona ma non conteneva alcuna istruzione per i deputati stessi e affidava ogni mossa alla loro discrezione.

Giunti a Graz, per mezzo di Berthier hanno fatto recapitare a Buonaparte una lettera di suo fratello, trasmessa loro dal Luogotenente di Udine, dove si afferma che in quella città tutto era tranquillo "con pieno contentamento delle Armate Francesi".1
Berthier procura loro un appuntamento con Napoleone per la mattina del 25 Aprile 1797.

Il resoconto dell'incontro, pur per iscritto, mette in luce la straordinaria eloquenza dei Deputati (o forse del loro segretario Orazio Lavezzari, presumibile estensore materiale della lettera.2 Nell'ultimo capoverso a pagina 305 lo scrivente sembra indicare di essere il Donà).

Il racconto si apre con una breve descrizione del Buonaparte. Pur nella brevità, vi si accenna il sospetto che il carisma del Generale possa essere frutto di una studiata recitazione.
Da pagina 302:

... uomo veramente originale, ma forse non più che per vivacità d'imaginazione, robustezza invincibile di sentimento, ed agilità nel ravvisarlo esternamente.

Napoleone li accoglie con modi cortesi e ascolta senza interrompere le loro perorazioni.

Gli viene esposto lo scopo della visita, ovvero presentare i sensi dell'amicizia veneziana verso la Francia, amicizia comprovata prima e dopo l'ingresso delle sue truppe in Italia. Al contempo, si vogliono chiarire tutti gli equivoci che possono essere sorti, evitare che ne accadano altri e trattare per la preservazione degli Stati Veneti.

Nel breve spazio di poco più di una pagina, i deputati riescono a riassumere l'intera vicenda delle relazioni franco Veneziane.

Chiamano innanzittutto Buonaparte a convenire su due "principi":

Il primo è che le due Repubbliche non vogliono, né è verosimile che vogliano, la guerra reciproca.

Ciò è provato per quel che riguarda la Francese, da tutte le dichiarazioni pubbliche del Direttorio, del Buonaparte stesso e dei suoi alti ufficiali, di aver sempre voluto rispettare in passato i diritti di Venezia. Né si può temere che si voglia altrimenti in futuro, dopo i tanti servizi ricevuti negli Stati Veneti dalle truppe francesi senza mai alcuna ricompensa.

Da parte veneziana, l'amicizia per la Francia è comprovata da carte ufficiali anche prima della venuta in Italia dell'Armata Napoleonica:

  • Venezia per prima e contro tutte le Corti europee ha riconosciuto il nuovo governo francese ed accolto un suo ambasciatore;
  • si è sempre rifiutata di aderire alle varie coalizioni anti-francesi promosse dalle altre Corti europee;
  • ha aperto i suoi Stati spontaneamente alle armi francesi, senza esservi costretta da alcuna convenzione, come quella in vigore con l'Austria;
  • ha permesso ai Francesi l'uso delle sue Piazze, artiglierie, munizioni;
  • ha fornito somme grandissime in sussistenze e ha sofferto immensi danni per la guerra condotta da potenze straniere sui suoi Territori.

Come sarebbe pensabile che, dopo tutte queste liberalità, con lo Stato oppresso da tanti pesi, mutilato di tante città, mentre la pace si stava riportando in tutta Europa, Venezia volesse in qualsiasi modo inimicarsi la Francia?

Il secondo principio sul quale si cerca la concordia con Buonaparte è che la guerra, non desiderata da alcun Governo, è in realtà voluta da coloro che in essa cercano immensi profitti e la realizzazione dei loro disegni eversivi.

È precisamente a queste forze occulte che si devono le notizie e i documenti falsi con cui si vogliono provocare gli ufficiali francesi e sobillare il Popolo.
Da pag. 303: 3

... come fu il Proclama stampato col nome del Provveditor Battaja, falso, convinto, disdetto, inventato solo per ingelosire i Comandanti Francesi, per provocarli a sospetti, azioni compromittenti, sensibili al Governo, e intollerabili al Popolo, che non può sempre frenarsi.

Riguardo al passato e ai tanti inconvenienti accaduti, i Deputati non sono lì per presentare querele, ma giustificazioni. Essi sono in grado di comprovare con documenti che tutti i sospetti degli ufficiali francesi sono frutto di raggiri dei ribelli, e che in base a tali sospetti i Comandanti, contro gli ordini di Napoleone stesso, sono giunti a fare causa comune con i ribelli.

Per il futuro, ben più importante del passato, al fine di evitare i fatti equivoci e preservare le buone intenzioni dei Governi, i deputati dichiarano la piena disponibilità a soddisfare le richieste di Napoleone.
Tutti i responsabili di aggressioni verso i Francesi saranno puniti, dove il Generale sappia indicare come scoprirli dato che essi sono sconosciuti al Governo veneto.
Le popolazioni saranno tutte disarmate, a fronte di un impegno francese a tutelare le città venete dal sopruso di rivoltosi in armi, poiché non vi è dubbio che della smilitarizzazione dei veneti Domini approfitterebbero i pochi ribelli armati.

A questo punto però, i Deputati si avvedono che Napoleone ha già preso le sue decisioni, e non è disposto ad alcun ragionamento che possa metterle in discussione.

Infatti la sua risposta, saltando ogni considerazione o "principio" è una domanda. "Ebbene, sono liberati i prigionieri?"( da pag. 303).

Su questo argomento i deputati non hanno istruzioni specifiche dal loro governo, e rispondono che sono stati liberati tutti i Francesi, i Polacchi e alcuni Bresciani.

Napoleone sale di tono e inveisce di volere liberi tutti i detenuti per reati d'opinione.
Da pagina 303:

... o verrò io a rompere i piombi, giacché non voglio Inquisizione, barbarie de' tempi antichi, le opinioni devono essere libere.4

Donà e Zustinian non si scoraggiano, fanno notare che un reato d'opinione diviene un reato comune, quando "per opinione" poche persone violentano in armi la fedelta di molti al proprio governo. Forse che anche i molti non hanno il diritto di difendere le loro, di opinioni?

Napoleone sposta allora il tiro sui francesi assassinati a suo dire in Venezia: egli deve alla sua Armata la soddisfazione della vendetta.

I colpevoli saranno esemplarmente puniti, ribattono i deputati, non appena Napoleone saprà indicarli e provare la loro colpevolezza. Se non dispone di queste informazioni e delle prove, voglia credere al fatto che si tratta di notizie falsificate.

Napoleone comincia a barcollare sotto la logica stringente degli interlocutori. Sostiene che è il governo veneto a doversi procurare quei nomi e quelle prove, mettendo all'opera i suoi "tanti spioni". Se un governo non ha i mezzi per tenere a freno il suo popolo, "è imbecille, e non deve sussistere. Il popolo odia i Francesi perché sono odiati da' Nobili..." (da pagina 304).

Cerca infine di volgere a suo vantaggio anche la lettera del fratello da Udine:
Da pagina 304:

A Udine dov'è un ottimo Governatore, non arrivano inconvenienti a differenza che altrove.

Ma ha di fronte tre uomini preparati e, dobbiamo dire, anche coraggiosi. La loro risposta è che "... nessuna Polizia può aver metodi atti ad imbrigliare la azioni di millioni di sudditi, meno poi per dominar le opinioni, ch'egli dice, dover essere libere...".
Quanto all'odio per i Francesi, è sorto nel Popolo veneto a causa dei saccheggi, delle devastazioni, delle violenze che la guerra dei francesi ha portato nella loro terra.

Napoleone si rende conto di non poter competere con i veneziani in diritto né in dialettica. Pur mantenendo un tono calmo ricorre dunque alla villania e al sopruso della forza.

Se Venezia non punisce tutti i colpevoli di violenze contro i francesi, non scaccia l'ambasciatore inglese, non disarma il suo popolo, non libera tutti i prigionieri, non sceglie tra la Francia e l'Inghilterra, lui le dichiara guerra.
È in questa occasione che pronuncia una frase divenuta poi famosa fino ai nostri giorni:
Da pagina 304:

... io non voglio più Inquisizione, non voglio Senato, sarò un Attila per lo Stato Veneto.5

"

Egli ha offerto l'alleanza alla Repubblica Veneta più volte, quando riteneva di averne bisogno, l'ultima a Pesaro e Corner in Gorizia pochi mesi prima. Quell'alleanza è sempre stata rifiutata da Venezia, che anzi ha armato le popolazioni alle sue spalle per tagliargli eventualmente la ritirata.

Ora che egli è forte, e non più impegnato nella guerra con l'Austria, rifiuta ogni mediazione con l'antica Repubblica. Egli può dettare legge è lo farà.
Venezia è troppo debole sia per difendere i suoi Stati che per sedare le popolazioni in armi. Si occuperà lui di disarmarle e di dare a Venezia un nuovo governo, favorendo innanzittutto l'ingresso in questo dei "nobili delle provincie", tenuti oggi come schiavi.

Stupiti essi stessi del proprio coraggio, i Deputati continuano a ribattere, richiamando il conquistatore ai suoi principi e alle sue reiterate promesse, agli innumerevoli benefici ricevuti da Venezia, e al fatto che i nobili di provincia già da lungo tempo erano ammessi al governo.6

Essi non sono tuttavia in possibilità di trattare di simili argomenti, che esulano dal loro incarico. Essi possono solo rinnovare le promesse di esaudire quanto chiesto da Napoleone con la sua lettera al Doge del 9 Aprile, con quella 11 Aprile al Pesaro e con il memoriale Lallement del 14.

In quelle comunicazioni egli offre di far tornare le città allo stato abituale in cambio della punizione dei rei antifrancesi e del disarmo dei sudditi.

Donà e Zustinian hanno mandato di soddisfarlo appieno su quelle richieste, dove si garantiscano misure per difendere le popolazioni fedeli e per impedire ai rivoltosi di aggredirle in armi.
I deputati hanno lasciato Venezia per incontrarlo solo 24 ore dopo l'ultima di quelle comunicazioni, ed essi sono autorizzati a trattare solo su quegli argomenti.

Napoleone risponde che farà allora una linea di difesa sul Mincio che impedisca ai rivoltosi di assalire Verona. Ma questa città sta ora assassinando i francesi ed egli deve la vendetta ai suoi soldati.
Del resto non cerca più niente. Ha 80.000 uomini e intende esprimersi solo con gli ordini della sua legge. Con questo egli congeda i Deputati.

I Deputati non si fanno avvilire e il Giustinian riesce, con "un discorso così placido, ragionato, e insinuante", a ottenere un invito a pranzo e a proseguire il colloquio nel pomeriggio.

Il discorso di Giustinian ricalca le cose già dette, ma le amplia a considerazioni di Politica e Diritto più generali e a osservazioni di opportunità specifiche della presente situazione.

Uno Stato ha per essenza la propria integrità territoriale e come primo dovere la salvezza personale dei sudditi. Un disarmo unilaterale di Venezia in questo momento negherebbe entrambi gli assunti.

Se Napoleone firmasse un documento da produrre in Senato, dove fosse garantita la protezione a mezzo della sua proposta linea sul Mincio, Giustinian ritiene che sarebbe possibile convincere il Senato a obbedire agli altri suoi ordini riguardo i prigionieri e al rompere i rapporti con l'Inghilterra. I Deputati non hanno mandato per trattare su questo argomento, ma si "poteva farla proporre con altri mezzi" ( da pagina 306).

Non si poteva pensare che Napoleone, il quale ora dava la pace all'Imperatore, al Papa, al Re di Napoli, Potenze nemiche della sua, volesse invece negarla proprio a Venezia "e infierire contro di essa, che tanti sacrifizj, e buona fede aveva esercitata verso la Francia".

Anche riguardo ai prigionieri, Giustinian si dice convinto che essi saranno tutti rilasciati per riguardo al Generale una volta che, ritornate le città sotto il governo veneto, non vi sia più ragione di temerli.

Napoleone mantiene il tono imperativo. Ordina che intanto siano liberati tutti i prigionieri, e che si riparlerà della questione a Treviso, dove egli conta di giungere fra tre o quattro giorni dopo un incontro con il Marchese del Gallo (con il quale aveva trattato la pace a Leoben) e l'ispezione al campo di Bruch in programma per l'indomani.

A questo punto i Deputati si sentono definitivamente congedati, ma riescono a ottenere il nuovo appuntamento per il pomeriggio e l'invito a pranzo.

Donà e Zustinian usano le ultime ore del mattino per un abboccamento con il Commissario Ordinatore Wilmau, nell'inutile tentativo di convincerlo a diminuire le esorbitanti requisizioni da questi ordinate a Pordenone, Conegliano e Treviso, come era stato loro commissionato con le Ducali del 18 Aprile.

Dal colloquio con Wilmau e da un altro avuto con Berthier, essi si sono dovuti convincere che i Generali sono avveduti delle decisioni di Napoleone, e risoluti ormai a trattare i Territori della Repubblica come preda di guerra di una nazione ostile.

Segue "l'incomodissimo pranzo", dove i Deputati sono trattati civilmente ma dove la conversazione verte esclusivamente sulla derisione e le menzogne messe in giro dagli autori francesi sull'antico governo veneto.
Nel rapido excursus riportato dal dispaccio vediamo già comparire quelli che saranno i leitmotiv della successiva "Histoire de la Republique de Venise" del Daru nonché della "leggenda nera di Venezia" che da quella prese origine: "... e i piombi, e li molinelli, e il Canal Orfano, e le procedure degli Inquisitori di Stato, e tante altre menzogne che inventarono, e ricopiarono, gli Autori Francesi, con parole di disprezzo, ed ingiuria al Governo medesimo." ( dalle pagine 306 - 307).

I Deputati hanno risposto difendendo gli Inquisitori, "come conveniva al carattere universalmente acclamato, e riconosciuto di quel Tribunale, difesa, non mai terrore de' buoni, e amato perciò spontaneamente dal popolo." ( da pagina 307).

Nell'udienza del pomeriggio Napoleone si mostra ancora più determinato a dettare la legge della sua forza e a sovvertire l'intero governo veneto.

Alle pretese già accampate il mattino aggiunge adesso di volere la consegna di "ventidue millioni di Capitali di Zecca" e la consegna di tutti i beni inglesi presenti nella Dominante.

I Deputati notano che non fa alcuna richiesta relativa ai beni del Duca di Modena e alla di lui persona, il che li induce a pensare che quel sovrano sia stato compreso nel trattato di pace di Leoben "come aderente alla Corte di Vienna".

Non bastasse, Napoleone si guarda bene dal nominare mai la pace come risultato dell'eventuale soddisfacimento delle sue richieste; Egli solo minaccia la guerra se non sarà prontamente obbedito.

Prosegue dicendo di potersi ridere degli Schiavoni, che egli attaccherà sapendo di essere da loro bene accolto per avere già sviluppato buone relazioni in Dalmazia.

Legge poi una lettera di Kilmaine "riscaldatissimo" da Verona, alla quale i Deputati replicano che fu Balland ad aprire le ostilità bombardando la città dai castelli. Di seguito forniscono le loro versioni anche sui fatti di Crema, Brescia e Salò.

Questi argomenti non sarebbero rientrati nelle loro commissioni, ma hanno ritenuto importante cercare in ogni modo di ripristinare la realtà dei fatti nelle poche ore loro concesse, con la speranza di poter in qualche modo convincere Napoleone a desistere dai suoi foschi progetti.

A questo punto il Dispaccio spende alcune righe di elogio per il Circospetto Lavezzari, che "replicatamente fece uso di sua esperienza, e vivacità costringendo anche lui il Buonaparte alle solite uscite."
Dalle pagine 307 - 308:

Ma dove si sfugge il ragionamento, cosa giova il ragionare? dove uno resta immobile, cosa giova il lottare? a affàr deciso cosa giova il trattare?

Qui i Deputati presentano una veloce ma precisa disamina dell'intera avventura di Venezia con Napoleone.

Che l'affare presente, ovvero la guerra, fosse premeditato, lo provano a loro avviso "le voci del Beaupoil" riferite nella lettera da Padova dei rappresentanti di Verona del 26 Aprile, che essi hanno ricevuto in allegato alle Ducali del giorno presente.
Da pagina 308:

Perdonino VV. EE., non possiamo occultare il senso, che ci deriva dalla serie di questo terribile affare.

Quello che i Deputati ritengono di poter desumere è che sin dal principio della sua "rivoluzione" la Francia avesse coltivato dei disegni sulla Repubblica di Venezia, Stato ricco, dotato di grande potere commerciale e di grandi capitali privati.

Essi ritengono che la fama della potenza veneta avesse fatto desiderare una alleanza con lei, e che d'altro canto quella stessa fama avesse dissuaso fino ad allora i francesi da un attacco diretto.

Il comportamento del Governo veneto, che fu largo di elargizioni e aprì la sue fortezze, tenne a lungo gli invasori nel dubbio sulla effettiva forza militare dello Stato Veneto.
Così essi cercarono via via di proporre alleanze prima tramite il Rappresentante in Spagna, poi per mezzo di quello a Costantinopoli e infine con il memoriale di Lallement del 28 Settembre 1796.

Quest'ultima è una "carta" che meriterebbe attenta riflessione, poiché in essa si minacciava in caso di rifiuto veneziano, esattamente la situazione che si viene a porre nel presente.

Ritengono probabile che la Francia ricercasse in quell'alleanza una barriera veneziana contro la Russia in Morea e contro l'Austria in Italia orientale.

Ancora nel Marzo 1797, in occasione dell'incontro con Pesaro e Corner in Gorizia, Napoleone rinnovava l'offerta di un'alleanza, intesa questa volta a proteggergli la ritirata nel caso fosse stato sconfitto dal Principe Carlo in Friuli e in Tirolo.

Quella trattativa che sarebbe stata possibile a Gorizia è adesso impossibile, a fronte di un Napoleone che ha piegato l'Austria; egli si trova ora militarmente fortissimo e politicamente al corrente della debolezza delle forze Venete.

Su queste condizioni egli si è espresso apertamente. Adesso egli può prendere a Venezia tutto quel che vuole, senza alcun bisogno di alleanze o trattative.7

Il Mercoledì precedente la loro partenza da Graz i deputati hanno ricevuto la Ducale del 21 Aprile con i ragguagli su Verona e la notizia dei fatti del Liberateur.

Essi avrebbero voluto obbedire all'ordine di fermarsi e di ricontattare il Generale, ma vi sono stati dissuasi da alcune considerazioni.

  • Erano ormai stati ripetutamente congedati dal Generale;
  • Egli sarebbe partito il giorno stesso per Bruch (attuale Bruck an der Mur), e sarebbe stato raggiungibile a Treviso entro pochi giorni;
  • Fermandosi a Graz, ritenevano di correre il pericolo di perquisizioni, ed erano sprovvisti di Cifra per rendere segreti i documenti in loro possesso.8
  • Se si fossero trovati a Graz in occasione della partenza di Napoleone per Treviso, vi sarebbero rimasti bloccati a lungo dalla penuria di cavalli. I movimenti del Quartier Generale francese, per lo stesso motivo, li avevano non poco ostacolati e rallentati nel viaggio di andata.

Decisi dunque a partire, hanno però pensato di indirizzare al Buonaparte una lettera sui fatti del Lido. Con questa missiva hanno tentato al contempo di adularlo, di tenere aperto almeno un filo di trattativa e di rammentargli i punti salienti degli argomenti usati per dissuaderlo dall'uso della forza.

Ricevono in data odierna anche la Ducale del 25 Aprile, dove li si incarica di ben più importanti trattative, rispetto a quelle iniziali sui prigionieri e l'Oltre Mincio.

Si vuole adesso da loro che si facciano difensori in gravi urgenze che investono addirittura il Governo, il Popolo, lo Stato. Essi non possono obbedire nell'immediato, ma le Eccellenze avranno occasione di ripresentare il problema quando Napoleone sarà a Treviso.

È comunque loro opinione che allo stato attuale Napoleone possa essere solo assecondato, e che l'esito di una qualsiasi trattativa per la sopravvivenza di almeno alcuni degli Enti in pericolo può sperare riuscita solo dove si dimostri di una qualche reciproca utilità.

Per quanto riguarda i particolari della pace di Leoben, non sono in grado di dare alcuna notizia. Essi sono tenuti nel massimo segreto. Le voci sulla spartizione di Venezia sono misteriose, anche perché riguarderebbero territori non ancora conquistati.

Approfittando del passaggio di un Corriere espresso diretto a Vienna, hanno mandato le loro poche notizie a quell'Ambasciatore, dalla cui esperienza è sperabile si possano ottenere informazioni migliori.

Nel viaggio di andata, hanno trovato sparso tra Pontebba e Klagenfurt un corpo di truppe napoleoniche di circa 18.000 uomini. Nel viaggio di ritorno incontrano un altro distaccamento di 4000 uomini con molti cavalli diretti a Palma sotto il comando di "Bernardot".
Da pagina 310:

Gradisca 28 Aprile 1797
Francesco Dona Deputato
Lunardo Zustinian Deputato

Segue dunque, alle pagine 310 e 311, copia della lettera inviata a Napoleone da Donà e Zustinian.
Da pagina 310:

Da Ebrnargen 9 26 Aprìle 1797.

La lettera è un altro saggio della grande abilità dialettica e di sintesi dello scrivente. In poche righe riassume i fatti del Lido mettendo bene in luce la scorrettezza del comportamento del Laugier, denominato "corsaro" per la sua trasgressione a leggi di un principe amico. Lallement stesso ha riconosciuto il suo torto.

Dalla vicenda si prende spunto per ribadire i concetti principali esposti nei colloqui con Napoleone, e in particolare quello che attribuisce il deterioramento dei rapporti tra Venezia e la Francia all'attività dei malintenzionati che, indipendenti dai governi, "approfittano dei torbidi", al "raggiro dei facinorosi e dall'arbitrio dei subalterni, come il Corsaro" (da pagina 311).

La lettera si conclude avvisando Napoleone della partenza dei Deputati per Venezia e con la speranza che il Generale non voglia "convertire la piena ospitalità della Repubblica veneta verso le Truppe Francesi in istrumento della sua oppressione, né rivogliere le armi sue gloriose della preservazione del proprio Governo, e di quello de' Principi amici, a sovvertimento del Veneto".
Da parte loro il Principe veneto e i suoi Sudditi saranno "spontaneamente esultanti, e felici d'ubbidirlo." (da pagina 311)

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Donà e Zustinian giungono a Udine il 29 Aprile 1797, dove ricevono la Ducale del 27 Aprile che li informa dei fatti di Vicenza e Padova, alla quale rispondono prontamente con il Dispaccio che Tentori riporta alle pagine 311 e 312.

I fatti descritti nella Ducale sono per loro la chiara prova che Napoleone ha già cominciato ad attuare le risoluzioni che ha prospettato nell'ultimo incontro.

Nonostante essi personalmente ripudino i "maneggi" (ovvero i tentativi di corruzione) che la Ducale ingiunge loro di praticare, non mancheranno di tentarli per amor di Patria, cercando di raggiungere Napoleone a Palma il giorno stesso o il seguente, confortati dall'aiuto del Luogotenente di Udine, verso il quale Napoleone si era mostrato ben disposto.
Da pagina 312:

Ma, eccel. Signori, non è mai lecito, e molto meno in tanta estremità di circostanze, illuder la Patria. Non è più tempo di ricercar al Buonaparte, come ci incaricano le predette Ducali, di spiegarci le sue intenzioni sopra li Pubblici riguardi, e sopra le Provincie.

Dopo i fatti di Vicenza e Padova non è più possibile dubitare che si tratti di operazioni di guerra aperta, intesa ad appropriarsi dei territori veneti per poterne disporre. Purtroppo non si può sperare che l'incendio avvampato non voglia estendersi alla Dominante stessa, "donde Iddio concede a VV.EE., ed alla Città tanti mezzi, e robustezza di risoluzione per allontanarlo." (da pagina 312).

Ogni trattativa con Napoleone dovrà dunque essere impostata sulla certezza delle sue intenzioni ostili, nel tentativo di convincerlo a preservare lo Stato.

Essi useranno ogni mezzo possibile a questo fine, ma per la loro conoscenza di Napoleone le offerte pecuniarie non avranno alcuna efficacia, in quanto il denaro è "oggetto bensì solleticante, ma secondario per lui.".10

Tuttavia la consapevolezza dei loro limiti li spinge a supplicare il Governo perché voglia loro affiancare o meglio ancora sostituire, in questo genere di trattative basate sul denaro, "più esperti Cittadini".

I Deputati si fanno latori di una istanza dei Corpi Civili di Udine, che mira a sollevare la "Cassa Pubblica dal peso delle somministrazioni alle Estere Armate".

Gli Amministratori udinesi hanno progettato una riforma della vigente tassa di un soldo per ogni boccale di vino smerciato al minuto, sinora destinata alla fabbrica dell'Ospedale e alla riparazione delle strade. Tale riforma estenderebbe l'imposta a Comuni e consumatori precedentemente esenti e ne dirotterebbe i proventi appunto a finanziare gli approvvigionamenti forniti alle Armate francesi.

Il testo della riforma è già stato trasmesso dal Luogotenente di Udine al Magistrato dei Revisori in data 20 Aprile 1797.

Sarebbe molto urgente che giungesse a Udine l'approvazione ministeriale, perché con quella le Autorità del luogo potrebbero accedere a prestiti privati per fronteggiare le spese, che non sanno altrimenti come coprire, dato che nella sola Palma ammontano a mille Ducati al giorno.
Da pagina 313

Udine 29 Aprile 1797
Francesco Donà Deputato
Lunardo Zustinian Deputato

Mentre i Deputati scrivevano questo da Udine, in quello stesso 29 Aprile il Senato indirizzava loro una nuova Ducale, che sollecita una pronta risposta alle precedenti del 27 e accompagna una Species Facti degli ultimi avvenimenti.

La prima parte ricalca quella inviata il 26 Aprile al Nobile in Francia, riguardo ai fatti di Verona dove sarebbe tornata la calma dopo il ritiro delle Autorità venete e il concordato su un pagamento a favore dei francesi di 40.000 ducati. Anche qui nessun accenno all'imprigionamento da parte francese dei parlamentari Emilj, Garavetta e Sanfermo, avvenuto il 24 Aprile.

Elementi non presenti nella Species Facti al Querini sono, in questa ai Deputati, la notizia che le truppe venete sfollate da Verona sarebbero state inseguite dai Francesi, e quelle rimaste in città fatte "prigioniere di guerra".

I Francesi si sono spinti con picchetti armati verso Vicenza: giunti in località Tavernelle, vi hanno incontrato i due fratelli conti Bissaro, con i quali hanno stabilito i modi della rivoluzione in Città, garantendo la quiete e la sicurezza degli abitanti con l'unica condizione che fossero scacciate le Autorità venete.

Le truppe straniere sono entrate in Vicenza il 27 Aprile 1797, imponendo alla popolazione la coccarda francese; hanno demolito i caselli dei Dazi e atterrato gli stemmi pubblici.

Il giorno 28 il comandante francese di Padova avverte il Rappresentante veneto dell'arrivo in città di un grosso corpo di truppe, che si aggiungono ai 300 uomini già di stanza.
Da pagina 315:

È però seguita la rivolta in quella Città per opera di quegli Abitanti. Quasi tutti li Nobili in casa del Conte Girolamo Dottori sottoscrivono una Carta, che dimostra l'adessione al cambiamento del Governo; Carta che si fa girare per tutta la Città, onde essere firmata da tutti gli altri.

Non è chiaro se in Padova si sta riproducendo la situazione di Bergamo, o se effettivamente il partito filo-francese vi fosse forte, per antiche rivalità con la Dominante o per calcoli di opportunità.

In questo "stringente pericolo" il Senato rinnova il mandato ai due Deputati di mettere in opera qualsiasi maneggio con il Buonaparte, che possa fermare la "pubblica sciagura". Avverte anche i deputati di avere dato eguale incarico come ordine al Nobile in Francia.

Nel frattempo le truppe francesi, sotto il comando del generale Baraguey d'Hilliers, si erano portate fino all'Estuario, col chiaro intento di circondarlo.

Approfittando che la guerra non è stata ufficialmente dichiarata, il 29 Aprile 1797 Baraguey si reca a Venezia con la qualifica di "ospite", e vi incontra il "conferente" Francesco Pesaro.

Pesaro produrrà per il Senato una Memoria di quell'incontro, che Tentori pubblica alle pagine 316 - 318 e che vedremo nella prossima pubblicazione.

Nota di Umberto Sartori su Francesco Donà, Lunardo Zustinian e Orazio Lavezzari.

Dalle informazioni contenute in questi dispacci, possiamo ricavare che i due Deputati e il loro Segretario non sembrano appartenere alle varie congiure che concorrono alla caduta di Venezia.

Essi appaiono ben diversi dagli altri interlocutori forniti a Napoleone. Pesaro (incontro di Gorizia e conferente del Lallement), Querini (Parigi), Battaja ed Erizzo (Roverbella) ciascuno a suo modo sono inquadrabili in quelle trame e condividono una facile inclinazione ai "maneggi" di corruzione.
Donà e Zustinian invece si mostrano molto imbarazzati di ricevere un simile incarico. Corrompere è contrario alle loro convinzioni personali e lo farebbero solo per amor di Patria, ma si sentono inadatti allo scopo e chiedono di essere sostituiti in quell'incarico.
Quest'ultima richiesta indica che non ritenevano di poter contare in quegli affari nemmeno sull'abilità del Lavezzari.

Le loro riflessioni su Napoleone, pur mancanti di essenziali informazioni a priori, sono acute e tendenti alla ricerca di una visione dei fatti non convenzionale. Si veda l'analisi del fenomeno della guerra come efficiente solo ad affaristi e mestatori e anche l'ipotesi sulle intenzioni passate e future di Napoleone.
Con la loro insistenza dialettica mostrano anche un coraggio non comune nel loro approccio all'irascibile generale nella sua tana, pur lontanissimi da un qualsiasi possibile aiuto.

Dimostrano inoltre una notevole preparazione giuridica e grandi doti di sintesi e convincimento.

Anche il Lavezzari dal canto suo ha precedenti che sembrano indicarne l'onestà e la devozione al buongoverno. Al tempo in cui era rappresentante a Londra, infatti, egli caldeggiò la causa della morte di Pierantonio Gratarol come riportata dal gentiluomo inglese Morton Pitt, pur ben sapendo quanto quella morte fosse invisa al Fisco della Repubblica e ai poteri occulti nella medesima.

Mi è sorta dunque spontanea la domanda: "Come mai si affida questa trattativa, così drammatica e urgente, proprio a questi tre personaggi?".

La risposta si trova presumibilmente proprio nella loro abilità intellettuale e nella loro incorruttibilità.

Chi li manda a Graz sà perfettamente che la loro missione è inutile ai fini dichiarati. Sa anche che ormai con Napoleone siamo alla frutta, che la guerra strisciante sta per manifestarsi in tutta la sua realtà.
Si mandano i tre precisamente perché nell'immaginario popolare l'ultima sconfitta sia attribuita a loro.

Si ottiene così il duplice scopo di trasformare degli agnelli in capri espiatori e di eliminare ogni possibilità che essi, aperti finalmente gli occhi, possano prendere le redini di una qualsiasi resistenza popolare in Venezia.

I nemici hanno un bel sapere che ormai la Serenissima è finita. Alle spalle però c'è ancora il mito di mille anni di invincibilità, il ricordo dell'improvviso rovesciarsi della situazione in extremis, nella Guerra di Chioggia come in quella di Cambray.
Lunardo, Francesco e Orazio devono essere messi in condizione di non nuocere, come si era fatto con il Gratarol, con il Colombo, con il Contarini, con Ferigo Foscari e con altri più o meno celebri Patrizi che avrebbero potuto costituire una nuova intellighenzia per la Repubblica, se solo avessero abbandonato l'illusione di vivere in un inattaccabile Paradiso terrestre.

Anche dopo il fatidico 12 Maggio 1797 questa paura di un possibile colpo di coda della Venezianità sarà vigile e crudele.

Ricordiamo che l'unica condanna a morte per i fatti della Resistenza all'abdicazione fu un giovane alfiere, Antonio Mangarini, unico tra i volgari saccheggiatori a svolgere una azione militare in quei frangenti.

Una paura da parte degli anti-repubblicani che sembra essersi trasmessa nei secoli, fino al 1902 quando fu demolito per sabotaggio un grande emblema della potenza veneziana, il campanile di San Marco, e ancora fino al 1997, quando fu mobilitato il più abile colonnello dei Carabinieri per un gruppo di "nostalgici" che interferivano genialmente con le trasmissioni radiotelevisive in nome dell'antica Repubblica.

Il Colonnello Jannone era un vero mago dell'infiltrazione, aveva ingannato per anni persino le astute organizzazioni criminali del Sud. Inutile rammentare in dettaglio come finì la questione con gli assai meno astuti "indipendentisti veneti", spediti sul campanile a far la fine del topo.


Note

Nota 1 - Chissà quanto era costata al luogotenente di Udine quella lettera?

Nota 2 - Non tragga in inganno il titolo oggi modesto di "segretario". Presso la Repubblica di Venezia questo era un incarico funzionale di altissimo livello.
Il Lavezzari, per esempio, aveva ricoperto la carica di rappresentante della Repubblica a Londra dove nel 1792 aveva avuto a che fare con la scabrosa vicenda del suo ex-collega Pier Antonio Gratarol in merito all'accertamento della di lui morte che si diceva avvenuta nell'isola di Madagascar.
La vicenda del Gratarol può gettare molti lumi non solo sui decenni che prepararono la caduta della Repubblica di Venezia ma, visto ciò che accadde ai di lui eredi dopo l'instaurazione della Municipalità, anche sulla continuità della linea di potere vigente in Venezia in quegli anni. La saga Gratarol è tuttavia argomento molto vasto che esula dallo specifico di questa pubblicazione Tentoriana. Annoto soltanto che il Lavezzari doveva essere sostituito a Londra dal Circospetto Sanfermo il quale però, come sappiamo, non vi giunse mai, fermandosi a Basilea.

Nota 3 - L'edizione di riferimento è mutila della pagina 303, per la quale si fa dunque uso di altra edizione, la "Seconda, migliorata, e diligentemente corretta, Firenze MDCCC", pag. 201", vedi riproduzione in calce.

Nota 4 - Nonostante io sia perfettamente edotto del fatto che Napoleone recita a soggetto, vincolato a una trama obbligata e nonostante una "simpatia" per la sua figura di intellettuale faustiano che l'approfondimento della sua biografia ha fatto sorgere in me, mi fa un certo effetto sentire questo appello contro la barbarie da parte dell'uomo che risuscitò l'orda barbarica dalla remotissima ormai storia militare....

Nota 5 - In questa frase Napoleone svela la sua consapevolezza di essersi mosso con gli stessi sistemi delle antiche orde barbariche non solo con Venezia, ma nel corso dell'intera campagna d'Italia.
Non possiamo non mettere in evidenza che pagherà il contrappasso di questo salto indietro nella civiltà con la campagna di Russia, dove pensava forse di agire come un esercito regolare, ma fu tradito da chi doveva assicurare le sussistenze (generale Pierre Antoine Benoit Daru), e lasciato alla fame nelle stesse steppe asiatiche dalle quali erano fuggiti gli antichi barbari.

Nota 6 - Basti pensare che lo stesso Doge Ludovico Manin era friulano.

Nota 7 - Con un piccolo sforzo in più i deputati avrebbero potuto capire che in realtà la distruzione di Venezia e lo sbranamento delle sue ricchezze erano stati tra i principali obiettivi strategici della campagna napoleonica in Italia. A loro parziale, solo parziale discolpa, ricordiamo che sia gli esaurienti dispacci inviati dal Cappello in Parigi sulla vera natura della "rivoluzione", sia i reiterati avvisi di Sanfermo da Torino e poi da Basilea sul progetto di "olandesizzazione" di Venezia, non erano mai stati letti in Senato...

Nota 8 - Dal che mi sembra logico dedurre che Orazio Lavezzari, pur "Circospetto", non possedeva la qualifica di "Cifrista", posseduta invece dal Sanfermo.

Nota 9 - Non mi è stato possibile localizzare questo paese. Dalla radice "Ebr" nel nome penso possa trattarsi di una versione in dialetto locale di Judenburg.

Nota 10 - Il terzetto di Veneziani dimostra una acuta capacità psicologica. Se da un lato è facile dire che ormai Napoleone si sentiva padrone di ogni avere della Serenissima e quindi poteva mostrarsi disinteressato al denaro, da una analisi complessiva della sua figura storica risalta chiaramente che l'avidità di beni materiali non era uno dei suoi moventi primari.
A maggior onore dell'acume dei veneziani avere colto questo aspetto veritiero pur dopo aver notato che nei suoi rapporti con loro egli in gran parte recitava.


Vai a pagg. 294 - 301 | In questa pubblicazione, Vol. II pagg. 301 - 315 | Vai a pagg. 316 - 325

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Storia di Venezia, pag. 303 della Raccolta

Storia della caduta di Venezia, la pag. 303 della Raccolta, mancante nell'edizione di riferimento (immagine per cortesia di Google Books


Edizione HTML e grafiche a cura di Umberto Sartori. Consulenza bibliografica dott. Paolo Foramitti.